Una straordinaria esperienza, di Gaetano Aquilino

Autore: Gaetano Aquilino

XXIV Congresso Nazionale Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti: quante ansie, quanto lavoro e quante gioie riposte attorno a questo evento. Io ve lo voglio raccontare dal dietro le quinte!

Eventi di tale portata e risonanza non sono mai facili da realizzare, c’è bisogno di tanto lavoro e determinazione, ma questo lo avevamo ben chiaro. Ogni progetto va vissuto come un grande giorno che ha un alone di magnificenza che poi, dopo tanto duro e minuzioso lavoro, si concretizza in una splendida e straordinaria opera da mettere in pratica.

Ed è proprio un gran giorno quello che, ancora una volta, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti mi ha fatto vivere insieme a tutto il team selezionato per il Congresso.

Dentro la Famiglia dell’Unione da poco più di un anno e mezzo, mai avrei potuto pensare che mi avrebbero chiesto di entrare a far parte della squadra di collaboratori, soprattutto del Congresso. Fidarsi di qualcuno, anche e soprattutto a livello professionale, non è mai una passeggiata, ma a volte può rivelarsi una fortuna e dare senso a tutto il resto: ai sacrifici, alle ore infinite di lavoro, ai pianti.

Fortunatamente esistono anche i sorrisi di chi ama ciò che fa e te lo insegna, le amicizie che confortano quando le ore di lavoro superano i limiti e che riscaldano quando ti senti solo e perso in una grande città che non ti appartiene. Ci sono momenti, addirittura, in cui le risate superano i momenti di sconforto, perché magari hai la fortuna di lavorare con professionisti di talento.

Tutto inizia dal pomeriggio di mercoledì 4 novembre: arrivata l’equipe per le riprese, noi iniziamo a predisporre il tutto per i collegamenti e le piattaforme. Ma in realtà già alla base di tutto c’era ben altro. Quanti immaginano che dietro un Congresso così imponente hanno sudato più di 60 persone? Mesi e mesi di ragionamenti e di contrattazioni, di cambi di idee, di rinunce, di “forse non è opportuno”. Si lavora ininterrottamente per cercare di capire cosa può piacere e cosa no, cosa può garantire un qualcosa che deve filare “liscio”. Ogni minuzia, ogni dettaglio deve essere livellato alla perfezione. I computer e i telefoni sono stati il pane quotidiano di quelle persone per settimane.

Impari presto che il dietro le quinte non è mai uguale al davanti. Anche se la gente, a volte, è esattamente la stessa. Sarà che quando arrivi ad una meta, in proporzione, tutto assume una dimensione decisamente inferiore. Alcune persone che avevo idealizzato, sono diventate d’improvviso persone umane come me, fatte di debolezze, di capricci, di momenti di sconforto. Persone che sanno far sorridere e ridono di gusto.

E allora in un momento sei già dentro l’evento, sei già a dover coordinare gli interventi di varie personalità di spicco della Politica: il premier Conte, Matteo Salvini, la ministra Azzolina, il Presidente Mattarella. Il tutto in combutta con il tempo che è sempre troppo poco per poter dar spazio a tutti e di cui sei l’unico custode. Il primo giorno è passato e con esso la rafforzata fiducia che tutto può andar bene, deve andar bene. Arriva il sabato, il giorno più temuto da tutti noi, il giorno delle elezioni.

Ore 12:30. Il Presidente Mario Barbuto ne annuncia l’inizio. Partono le schede. Un misto di preoccupazione e sollievo ci assale. Qualcosa potrebbe andare storto, ma allo stesso tempo pensiamo con grande “ottimismo” che il più è passato. Alla fine delle votazioni, il seggio di cui anche io faccio parte, svolge i lavori preliminari. Poi il Congresso riprende fino alle 21, momento di inizio dello spoglio. Il presidente di seggio apre le operazioni. Le mani sudano, la voce trema, cercando di scandire bene numeri e nomi dei candidati. Più scorrono le schede, più aumenta l’attenzione, anche se a complicare il tutto ci sono la tarda ora e la stanchezza. Ore 00:15, finalmente finisce lo spoglio. Ci guardiamo tutti, soddisfatti, sfiniti, ma felici. Vorremmo perderci in un abbraccio comune, almeno in delle calorose strette di mano. Il periodo non lo consente, ma gli occhi rossi, sopra la mascherina, non celano i sentimenti e le emozioni che si diffondono nel gruppo. La domenica 8 novembre è condita di rilassatezza, soddisfazione, stanchezza e forse un po’ di sonno. Ma l’importante è essere consapevoli di aver fatto un bel lavoro per la riuscita di tutto! La proclamazione e la torta danno il giusto epilogo a tre giornate da “distanti, ma vicini”.

Siamo fatti di sogni e viviamo tutta la vita cercando di realizzarli. Poi, un giorno, qualcuno diventa straordinariamente realtà, e questo nel nostro piccolo lo è diventato. Pensare di fare un Congresso così seguito e partecipato solo pochi mesi fa forse era utopia pura e la vera vittoria è non aver rinunciato a nessuno. Se vi dicono che è tutto facile o che “non ci vuole niente”, non credeteci. Ma in voi stessi, invece, non smettete di farlo mai!

Mariella Murisciano a 40 anni dalla prima pubblicazione, di Anna Buccheri

Quando la poesia racconta la vita e le emozioni

Cos’è la poesia? È l’esperienza di essere visti, di pensare gli altri, di essere pensati dagli altri in una reciprocità di sguardo, è vedersi nel proprio essere visti.

La poesia è percezione di sé e degli altri, incontro tra sé e gli altri, tra sé e la natura, tra sé e il mondo, tra sé e le cose.

Ne scaturisce una consapevolezza che procede per gradi e raggiunge profondità sempre maggiori, mentre il linguaggio poetico è certamente il più rispondente a veicolare i messaggi dell’anima, duttile e pronto, emozionato e sfacciatamente sincero, ritroso e affettuoso. È un linguaggio che rende possibile sentirsi e dirsi, perché la poesia è generativa: di emozioni, di parole, di incontro.

I desideri si intrecciano tra loro ed esplodono nelle parole che diventano di volta in volta rammemorative, toccanti, di preghiera, di protesta, ma mai distratte, mai urlate, anche quando mostrano o esprimono indignazione.

Ogni componimento poetico è un viaggio all’interno del cuore, della mente, del sé e del mondo.

La poesia stimola la memoria e la memoria è la sostanza della nostra identità, la costruisce, ci rende individui identificabili, unici e irripetibili, riconoscibili per il nostro modo di essere e nella nostra essenza, per la nostra unicità di soggetti nel mondo. Se non custodissimo ricordi, memorie, frammenti di tempo, visi, cose, luoghi, non saremmo noi stessi, ci sentiremmo amputati di una parte di noi, ne avvertiremmo la mancanza, perché la poesia è nostos, ritorno a sé stessi.

Quella di Mariella Murisciano è una produzione ricca e varia, che non tralascia nessun tipo di composizione poetica spaziando dall’acrostico all’haiku, ricorrendo anche al dialetto quando la lingua italiana sembra muta, incapace di dare voce a certe affezioni dell’anima.

Prima di pubblicare Piccolo beauty nel 1980, Mariella ha già scritto qualche poesia da ragazzina, ma erano cose scritte per sé. Le prime vere poesie prendono forma nel 1970 e d’altra parte lo stesso Piccolo beauty rimane nel cassetto per un po’ di tempo, probabilmente per quel timore di offrire al mondo sé stessi nella propria nudità che provoca la scrittura e poi c’è, verso il primo libro, un attaccamento quasi viscerale, molto simile a quello che si prova per un figlio. E infatti a Piccolo beauty Mariella è molto affezionata, è il suo preferito.

Nei libri di Mariella c’è un pensiero, un ricordo, un augurio per tutti: «Le mie poesie hanno il pregio di essere brevi. Possono non piacere, ma non possono stancare», dice lei con una punta di autoironia e molta modestia.

Ma vediamoli da vicino questi libri a cui Mariella affida le sue parole e se stessa.

In Piccolo beauty del 1980 con immediatezza e schiettezza si colgono cose, sentimenti, sensazioni, stati d’animo. C’è un bisogno di recupero di autenticità della vita e delle relazioni. Il dolore si sublima e diventa gioia di vita e cara memoria di affetti, mentre tristezza e malinconia sono vagheggiamento di qualcosa che è stato e non è più.

Darreri lu sipariu. Pensieri in lingua siciliana è del 1986 e contiene 40 componimenti. Sono pensieri che stanno dietro il sipario, che da lì fanno capolino e per esprimersi ricorrono al dialetto, perché il dialetto, e quello siciliano in particolare, conosce vezzeggiativi e ha espressioni che sanno fare vibrare il cuore, come succede nei due componimenti Ppi tia mammuzza e A me’ patruzzu. L’amore, l’affetto, la riconoscenza per i genitori sono sentimenti costanti e sempre vivi in Mariella: per la mamma, la sola capace di indovinarne il pianto; per il papà, al quale riserva la parola «grazie» per dire tutto quel che c’è da dire.

Il Raggio verde, che dà il titolo alla raccolta del 1988, in astronomia è una folgorazione luminosa intensa e repentina e in questa autobiografia poetica gli stati d’animo sono cassa di risonanza per tutti, parole in cui è facile riconoscersi, creandosi una rispondenza con il verso di Eugenio Montale posto ad epigrafe del libro: «Occorrono troppe vite per farne una». Il libro è stato omaggiato alla festa per il pensionamento di Mariella, pensionamento avvenuto il 29 marzo 1988, da tutte le donne presenti che indossavano qualcosa di verde.

In Coriandoli. Tanti nomi per riflettere insieme (acrostici) del 1991 viene fuori un’anima che ha vissuto oltre un muro, al di là di un paravento, tra emozioni, speranze deluse, verità mai pronunciate, scandite ed espresse attraverso nomi, mesi e stagioni. Nel libro è possibile leggere la poesia che i colleghi hanno dedicato a Mariella quando è andata in pensione in cui dicono di lei: «la luce e i colori li porti nel cuore».

Ikebana. Una storia narrata come in un film tra prosa e poesia del 1997 è strutturato in 7 capitoli e contiene un omaggio sincero e ammirato alla giornalista Ilaria Alpi. Tratto distintivo del libro è la generosità di Mariella espressa con parole semplici e quasi con allegria. Così nel capitolo III si legge: «Se offri un sorriso/se tendi la mano, non/te ne pentirai!». Tra i ricordi più cari e che ritorna anche in altre raccolte di poesia c’è quello di Bologna, tratteggiata come città serena e gioiosa negli anni Cinquanta dove Mariella arriva con la voglia nel cuore di apprendere e di ritrovare le cose perdute.

Quel che resta d’un filo del 2000 è un diario in acrostici degli anni 1988-2000. La memoria appartiene al tempo della coscienza, coltiva e conserva non solo il fatto, ma anche i sentimenti e le emozioni ad esso legati, così il presente si riallaccia al passato. Vengono evocati alcuni luoghi (Brescia, Padova, Bologna, Adrano, Abano Terme, via Etnea a Catania), tappe importanti nella vita di Mariella. Molti i riferimenti alla contemporaneità, alla cronaca, alla cultura. Come in una galleria sfilano personaggi, eventi, trasmissioni TV: Indro Montanelli, Fatti vostri, il Giubileo, Alessandro Gennari (poeta), Piera Aiello, Oscar Luigi Scalfaro, re Hussein di Giordania, Slobodan Miloševič, Paolo Limiti, Maria Teresa di Calcutta, Sandro Pertini, Orietta Berti, Rita Dalla Chiesa, Alfred Hitchcock, Rita Atria, Louis Braille, Ilaria Alpi, Marta Russo, Noi oggi, Nico Querulo, Aldo Moro, Alberto Castagna. Ci sono citazioni da Giovanni Paolo II, Blaise Pascal, David M. Turoldo, Georges Bernanos, Khalil Gibran, Nino Salvaneschi, Sant’Agostino, Mahatma Gandhi; e poesie di Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale e Bertolt Brecht.

Tra le rughe del cuore del 2005, invece, racconta un anno di vita (27 luglio 2002-27 luglio 2003) tra sogni, speranze, desideri, riflessioni e ricordi, alternando prosa e poesia. Così dalle pagine riemergono: episodi della propria vita (tromba d’aria del 1969, terremoto ed eruzione dell’Etna del 1996); i trenta anni dalla morte della mamma il 26 gennaio 2003; la morte di Alberto Sordi (avvenuta il 25 febbraio 2003); il ritorno dei Savoia in Italia (15 marzo 2003); il ricordo di Aldo Moro a 25 anni dal rapimento (16 marzo 2003); il ricordo di via Apollo ad Adrano, casa del nonno e poi del padre, dove Mariella è nata; i sessanta anni dal 10 luglio 1943, con la guerra e la ricerca di una zona sicura in cui trovare un rifugio; i cento anni dalla nascita del padre l’8 settembre 2002. E poi ci sono: poesie dedicate (per Maria Grazia Cutuli, Rita Dalla Chiesa, La vita in diretta, Giulietta Capuleti, alcuni cari amici, il Papa); auguri per compleanni; ringraziamenti per i medici che non l’hanno soltanto curata, ma si sono presi cura di lei.

Nel Calendario 2007 emerge il sentimento religioso di Mariella sempre molto forte e vero, come nell’epigrafe di novembre: «Ciò che rimane lo porto/nel cuore/porto nel cuore quel che/sa Dio». Seguono la preghiera «O Signore» e l’acrostico per Sant’Agata. Il volume si chiude con una affettuosa, trepidante e accorata Preghiera alla Madonna. E poi ci sono i ricordi: di Bologna e di Adrano (via Apollo 7); della sorella Tanina (morta il 2 luglio 2006, dopo quarantacinque anni di premure, la cui ultima e unica parola era «Ormai»).

Agenda 2008 Amarcord è arricchita dalle foto di Mariella bambina, quando ancora vedeva, della sua prima comunione, mentre è al lavoro, di quando era giovane. C’è un omaggio a Victor Ballu e ci sono ricordi legati alla propria nascita, infanzia, adolescenza e maturità vissute tra Adrano, Catania (all’Istituto Gioeni), Bologna (all’Istituto Cavazza). I mesi di volta in volta sono presentati con santi, calendario, segno zodiacale, proverbi e detti. Scandiscono il tempo: poesie (tra cui quella a lei dedicata dai colleghi al momento del pensionamento e la sua in risposta); acrostici (uno per la mamma e uno per il padre, entrambi nel mese di maggio, entrambi corredati di foto che ritraggono la mamma con le tre figlie bambine, Mariella che ancora vede e il padre in divisa da militare); anniversari (fine lavoro, andata in pensione, morte della sorella Tanina con foto); ricordo delle città visitate della Spagna e di Bologna, dei coniugi Ritter/Inguscio, di Ana Paola (la bambina brasiliana in affido a distanza), di Louis Braille, di Matteo Cabiati, del corso Braille del 2007, di Santa Maria Teresa di Calcutta, degli amici di penna, di tutti i cari che non ci sono più (parenti/amici); foto e disegni. Un ricordo si impone su tutti gli altri, evocato dalla poesia del poeta Alfio Cariola, quello di Piazza Ammalati ad Adrano che prende corpo dalle pagine in una descrizione che dà a chi legge la sensazione di trovarsi tra le alte case che oggi «forse nascondono il tramonto», per trasportarlo indietro nel tempo quando Mariella vi abitava fanciulla. Era il tempo in cui: «Da lì partivano con valige di cartone legate con la corda gli emigranti, figli che lasciavano le famiglie che li piangevano lontani (…) L’abbeveratoio al centro d’estate, la piazza odorava del basilico messo sulle porte delle case, sui tetti delle case basse fichi e pomodori a seccare al sole (…) La gallina gratta il terreno (…) La piazza ha conosciuto peste e altre epidemie (…) Tanti ragazzi vi scorrazzavano, amori nascevano, fiori sfiorivano». Erano i tempi in cui ogni casa era riconoscibile dalla famiglia che l’abitava e in particolare dalle donne, dalle madri.

Eccolo il racconto di Mariella, un racconto intimo e privato, collettivo e partecipato, che si affida con fiducia alla poesia perché la poesia può cambiare il mondo e certo cambia le persone che la leggono, ma anche chi la scrive.

La rete deve connettere tutti, senza barriere, di Marco Rolando

Autore: Marco Rolando

«La forza del Web sta nella sua universalità. L’accesso da parte di chiunque, indipendentemente dalle disabilità, ne è un aspetto essenziale». Queste le parole di Tim Berners-Lee, uno dei padri della rete e attuale direttore del World Wide Web Consortium, l’organizzazione non governativa internazionale che ha come obiettivo quello di sviluppare tutte le potenzialità del Web.

L’accessibilità è un aspetto insito nella natura del web, ma non si limita a essere una questione tecnica: è anche un’attenzione culturale, un impegno etico da mantenere nei confronti di tutti gli individui che compongono una società. Per questo, la Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano ha fra i propri obiettivi la diffusione e la promozione della cultura dell’accessibilità digitale fra gli utenti, ma soprattutto fra gli sviluppatori e i proprietari di siti web, nella convinzione che una rete, per essere tale, deve poter connettere tutti senza barriere o distinzioni di sorta.

Per raggiungere l’obiettivo della piena accessibilità, molte aziende e istituzioni si rivolgono così agli enti accreditati (tra i quali l’Istituto milanese) per validare i propri siti nel rispetto dei requisiti previsti dal Decreto di attuazione della Legge 4/2004, che riguarda le “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”. Così ha fatto “e-distribuzione”, la più grande società nel settore della distribuzione e misura di energia elettrica in Italia con oltre 30 milioni di clienti. Gli esperti di accessibilità dell’Istituto dei Ciechi di Milano hanno verificato e revisionato il sito di questa società, per certificarne la conformità allo standard Web Content Accessibility Guidelines, il WCAG2.1 previsto dalle vigenti normative.

Le continue innovazioni tecnologiche consentono infatti di rendere accessibili a tutti contenuti digitali. L’importante è avere cura di progettare sin dall’inizio secondo gli standard tecnici previsti e affidare la valutazione a professionisti esperti di accessibilità.

«Una delle nostre mission è certamente quella di promuovere e diffondere la cultura dell’accessibilità in tutti gli ambiti, compreso quello del web» sottolinea Franco Lisi, Direttore Scientifico della Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano, che con la sua squadra di operatori dell’area tecnologica ed esperti di accessibilità, in particolare Francesco Cusati e Fabrizio Sordi, ha seguito quest’ultimo progetto di validazione e certificazione del sito di e-distribuzione. I siti progettati e validati seguendo gli standard riconosciuti dalla normativa, rappresentano una grande risorsa umana e culturale perché consentono di soddisfare quella che è diventata un’esigenza fondamentale per la maggioranza dell’umanità: essere connessi.

31 ottobre 2020, grande manifestazione a Catania: anche l’UICI è stata presente!, di Alfio Pulvirenti

La manifestazione ad opera degli ex allievi dell’Istituto Tommaso Ardizzone Gioeni di Catania, in appoggio agli attuali convittori, avveniva sabato mattina davanti al cancello dell’ingresso principale. Alcuni giorni precedenti, i convittori venivano raggiunti da una nota a firma commissariale con cui si richiedeva loro di non risiedere in istituto a partire dal primo di novembre in quanto l’istituto non possiederebbe i requisiti di sicurezza previsti per ospitare persone non vedenti. A questa conclusione giungevano gli organi competenti dopo aver ispezionato l’istituto. La struttura, pertanto veniva ritenuta idonea per ospitare soggetti normodotati!

È immaginabile il disagio a cui i convittori andrebbero incontro se lasciassero l’istituto. Questa struttura, malgrado il degrado in cui versa, è adeguata alle necessità di vita quotidiana dei ciechi, pertanto i convittori non hanno alcuna intensione di ottemperare quanto auspicato dal Commissario.

Oltre a 40 ex allievi erano presenti il Presidente della Sezione catanese… e il Presidente regionale…  Erano presenti anche esponenti della politica fra cui… La manifestazione culminava in una conferenza stampa in cui le autorità dell’U.I.C.I. hanno manifestato il malessere espresso dalla comunità dei non vedenti e la volontà di non arrendersi e non sottostare alle decisini che lederebbero i diritti delle parti interessate.

I manifestanti non hanno potuto varcare la soglia dell’Istituto in quanto il cancello era chiuso ma questo ha prodotto la possibilità di essere notati sulla via Etnea dove molte persone scorrono e molte delle quali conoscono quella struttura come l’Ospizio dei ciechi.

La strada da percorrere è in salita ma i manifestanti hanno fatto intravedere alle istituzioni che sono dotati di buone gambe, capaci di percorrere tutto il tragitto e di raggiungere il traguardo.

L’istituto catanese è dei ciechi, di Alfio Pulvirenti

Si tratta dell’Istituto Ardizzone Gioeni, situato a Catania, che ha ospitato al suo interno diverse centinaia o più di non vedenti da quando il filantropo, il barone Tommaso Ardizzone Gioeni, donò ai privi della vista questa meravigliosa struttura.

Il 31 ottobre 2020 avrà luogo una protesta indetta dagli ospiti attuali dell’istituto i quali vorranno affermare che l’istituto Gioeni è dei ciechi.

La manifestazione è stata preceduta dalla lettera aperta indirizzata all’attuale Commissario dell’istituto e resa nota da più testate giornalistiche per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Il primi firmatari della lettera sono stati gli ex allievi Mario Barbuto, Presidente Nazionale dell’U.I.C.I., e Salvatore Romano, Direttore Generale dell’U.I.C.I. ma non sono mancate le firme di ex allievi che godono di minor notorietà e che, al pari dei primi, hanno beneficiato dell’istituto Gioeni.

Gli ex allievi in questa lettera palesano il timore che l’istituto possa essere totalmente locato a scuole per vedenti e ad altri enti, venendo, in questo modo, disattesa la destinazione agli scopi per cui veniva donato.

Nei primi anni 80, veniva posta a rischio di chiusura l’Istituto Professionale per l’Industria e L’Artigianato per Ciechi “Tommaso Ardizzone Gioeni”, che formava centralinisti telefonici e massofisioterapisti e tale evento fu scongiurato anche grazie alla voce dei ciechi che sfilavano in via Etnea, gridando a squarciagola: “solo in Sicilia siamo 100 mila e tu D’Acquisto non ci hai ancora visto!” D’Acquisto era il Presidente della regione Sicilia e, forse, la stima dei numero dei ciechi siciliani era eccessiva.

Oggi gli ospiti dell’istituto, sostenuti dagli ex allievi, gridano, anche mediante i media: l’istituto catanese e dei ciechi!

A pochi giorni dal Congresso Nazionale dell’U.I.C.I. che, malgrado i disagi causati dalla pandemia, si svolgerà per assicurare la tutela dei ciechi italiani nel prossimo quinquennio, l’appello dei pochi ospiti del Gioeni contribuirà, sicuramente, a rafforzare la determinazione dei delegati nella definizione del programma e delle scelte politiche associative.

Lavoro e disabilità visiva: nuovi orizzonti e traguardi, di Francesco Cusati

Autore: Francesco Cusati

Negli ultimi anni le nuove tecnologie stanno contribuendo a una continua e costante trasformazione del mercato del lavoro. Lo stiamo vedendo proprio in questo periodo che, in virtù dell’emergenza sanitaria, tutto non è più oramai come prima.

Il cosiddetto “Smart working” è entrato appieno nel nostro lessico e ha contribuito a un cambio radicale delle nostre abitudini non solo lavorative, modificando notevolmente anche la nostra società.

Negli ultimi anni, e proprio  in questo quadro, si evidenzia come le normative del collocamento mirato delle persone con disabilità, causa anche  la crisi economica, vengono sempre meno rispettate. Si preferisce spesso non assumere e incorrere nel pagamento di multe, che a dir la verità non sono poi così “salate”.

Per quanto riguarda la disabilità visiva conosciamo bene il ruolo che ha avuto in tema di collocamento lavorativo la legge 113/85 “Aggiornamento della disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti”,  che però ultimamente viene purtroppo spesso disattesa

Recentemente si è tentato di salvaguardarla ma purtroppo il costante l’immobilismo dei centri per l’impiego delle nostre provincie e l’evoluzione tecnologica hanno posto le basi per una sostanziale difficoltà di applicazione.

Che fare?

Da oltre un decennio l’Istituto dei Ciechi di Milano e la sezione milanese dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti hanno  operato alla ricerca di nuove opportunità lavorative coinvolgendo direttamente il tessuto imprenditoriale meneghino.

E iniziata perciò la costruzione di un ponte fra la domanda, rappresentata dalle aziende che si sono messe in gioco, e l’offerta, rappresentata dalle persone con disabilità visiva.

Sono nati percorsi formativi innovativi dove, oltre alla formazione tecnica di base, si è proposto un percorso condiviso con le aziende di training sugli applicativi aziendali propretari. Questi ultimi sono stati chiaramente oggetto di attenta valutazione preliminare, in relazione alla loro accessibilità,  da parte degli operatori del Centro Informatico dell’Istituto dei Ciechi di Milano.

Tra le esperienze più significative  annoveriamo certamente il progetto di inserimento di ben 10 operatori con disabilità visiva nella centrale operativa di AWP (Allianz Worldwide Partners).

Più di recente  la collaborazione con due realtà importanti aziendali quali DHL e Aler Milano ci ha permesso di inserire degli operatori nell’ambito dei rispettivi “Servizi clienti” e di progettare un percorso formativo specifico di “Addetto Customer Care”.

Purtroppo la pandemia ci ha costretto a sospenderlo più o meno a metà percorso e  solo di recente è ripreso, prima in presenza e  ora utilizzando la Didattica a distanza su piattaforma web.

È oramai troppo importante e fondamentale coinvolgere le aziende  per poter costruire insieme un proficuo e soddisfacente inserimento lavorativo considerando anche che, alla base di tutto, è necessario promuovere e diffondere una vera cultura dell’accessibilità per tutti!

Francesco Cusati

Servizi al lavoro della Fondazione Istituto dei Ciechi di Milano ONLUS

UICI, un francobollo per il Centenario, per la Storia, per l’Identità, di Pierfrancesco Greco

Autore: Pierfrancesco Greco

Questa mattina, presso la Sede genovese di Poste Italiane, si è svolta la cerimonia relativa all’emissione celebrativa, a cui ha partecipato, in collegamento dalla Sede Nazionale dell’Associazione, il Presidente Nazionale Mario Barbuto.

I francobolli costituiscono una parte rimarchevole dell’identità di un Paese, di una Nazione, di una Comunità, di una Categoria: il francobollo è un compendio di Storia, di Cultura, di Arte, di Costume. Ecco perché l’emissione di un francobollo è sempre un evento di grande rilevanza, ancor di più se un’emissione è afferente a una ricorrenza importante, storica, veicolante valori solidali e inclusivi: ebbene la celebrazione dei primi 100 Anni di un’associazione come l’UICI è una ricorrenza avente tali crismi; ed è una ricorrenza che cade oggi, a un secolo esatto dalla fondazione dell’Associazione, avvenuta, grazie all’opera e alla personalità di Aurelio Nicolodi, ex ufficiale del Regio Esercito a cui la Grande Guerra portò via la vista, il 26 ottobre del 1920, a Genova, città ove stamattina, presso la Sede di Poste Italiane, si è svolta la cerimonia di annullo del francobollo, a cui ha partecipato, in collegamento dalla Sede Nazionale dell’UICI, in Roma, il Presidente Nazionale Mario Barbuto, massimo rappresentante dei non vedenti italiani, per i quali questo francobollo andrà certamente a rivestire quella funzione identitaria di cui si diceva prima. Durante la cerimonia è stata anche mostrata la cartellina contenente il francobollo, al cui interno si troverà la riproduzione grafica della carta valore in questione, con una breve didascalia sulla storia dell’UICI; il tutto riportato, ovviamente, in Braille, per dare ai protagonisti di questa ricorrenza la possibilità di cogliere le caratteristiche e le peculiarità di un’emissione destinata a entrare nella Storia, non solo dell’UICI, oltre che ad assurgere a punto di riferimento per gli appassionati di filatelia. “Il francobollo – ha spiegato la dottoressa Annamaria Palummo, Consigliere Nazionale dell’UICI – rappresenta un occhio stilizzato che vuole guardare al futuro, che è proiettato sul domani: la sua emissione va al di là della pregevolezza visiva e del valore filatelico in essa insita, assumendo, piuttosto, il significato proprio di un viatico positivo, di un messaggio ottimistico, rispetto al momento che il mondo sta vivendo. In particolare, tale iniziativa, promossa da Poste Italiane, in collaborazione con il Ministero delle Infrastrutture e dello Sviluppo Economico e in sinergia con l’UICI, rende onore e merito alla forza, alla resistenza, alla capacità rappresentativa di un sodalizio che è riuscito a proiettare i ciechi e gli ipovedenti nella dimensione della Cittadinanza attiva, dell’Autonomia, della Libertà!” Una dimensione che troverà nel francobollo emesso poco fa una pietra miliare: una pietra miliare di aulica bellezza e incommensurabile valore morale, in un percorso di progresso sociale, di crescita culturale, di elevazione globale.

Catanzaro – La sezione UICI perde il suo guerriero nel giorno del suo Centenario, di Luciana Loprete

Dieci, cento o mille parole non basterebbero per descrivere lo stato d’animo che mi assale in questo momento. Te ne sei andato in una fredda notte d’autunno, giorno in cui colei che ci ha fatto conoscere, la nostra Unione ha compiuto il suo centesimo anno d’età.
Eri allora un ragazzo di 25 anni, un ragazzo che all’improvviso era stato catapultato in una condizione profondamente lontana da quello che sino ad allora era stato il tuo percorso di vita. Condizione però che non ti ha limitato, anzi al contrario ti sei subito speso affiancandomi nelle iniziative di prevenzione della cecità, di recupero di soggetti in stato di abbandono e soprattutto nella rivendicazione dei diritti spesso violati.
Oggi non ho perso un socio, un consigliere o un amico, oggi ho perso Domenico e non ci sono parole che possano bastare per racchiudere quello che eri e quello che hai rappresentato per tutti noi.

Non è mai facile dire addio ad una persona ma lo è ancor di più quando a legarti sono sentimenti profondi di affetto ed amicizia. Hai lasciato un segno ed ora un vuoto incolmabile, nessuno avrà mai la forza e la voglia di dimenticarti. Sei stato un guerriero fino alla fine, lo stesso guerriero che mi ha sempre affiancato nelle innumerevoli battaglie che l’amore per il prossimo ci spingevano ad affrontare.

Non dimenticherò mai le nostre chiamate, gli scambi di opinioni, ma soprattutto non dimenticherò mai il tuo incoraggiamento ed il tuo spingermi a proseguire sul percorso che insieme avevamo tracciato. Non ti dimenticherò mai e veglierò sui gioielli che hai lasciato qui in terra. Ciao fratellino mio.

Luciana Loprete insieme a Domenico Garieri

Un secolo di luce, di Mattia Gattuso

Autore: Mattia Gattuso

Nella ricorrenza dei cento anni della Nostra grande Associazione il mio attaccamento alla stessa mi porta a svolgere queste brevi considerazioni utilizzando un titolo che, a mio avviso, ben si presterebbe ad essere utilizzato per il Congresso: Un secolo di luce.

Infatti. in questo complisecolo del 26 ottobre prossimo, un faro ha indirizzato l’occhio della mente dei non vedenti italiani: l’Unione Italiana dei Ciechi.

Utilizzo la vecchia denominazione volontariamente perché, avendo partecipato al Congresso in cui essa è stata modificata in Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, ritengo che sia quello il segno distintivo che caratterizza da sempre la Nostra Associazione.

Infatti, quando partecipai al ventiduesimo Congresso ho assistito all’ingresso degli ipovedenti, rientrando fra di essi anche quelli lievi con un visus residuo fino a 3/10 che, beati loro, li rende pur sempre vedenti.

Ho partecipato anche al ventitreesimo Congresso che ha visto numerose modificazioni dello Statuto della Nostra Associazione, ma su di esse non esprimo alcuna valutazione lasciando l’ingrato compito di proporre modifiche, sulla scorta delle criticità emerse nel quinquennio appena trascorso, qualora ve ne siano, alla Commissione che fra qualche giorno se ne occuperà in sede congressuale.

Ma la vera considerazione che volevo esprimere è che la Nostra Grande Associazione vive di vita propria.

È così grande, radicata, importante e riconosciuta tale che è lei che rende importante chi la guida e, contemporaneamente, chi la guida rende importante lei, in uno scambio simbiotico in cui l’una non può sopravvivere senza l’altro, non dimenticando che un Capitano del popolo dei ciechi senza soci e senza validi luogotenenti non potrebbe tenere nessuna campagna vittoriosa.

È lei che è sopravvissuta ai soci fondatori e a chi nei decenni ne è stato alla guida che, proprio nell’occasione del centenario, merita di essere ricordato: Aurelio Nicolodi (1920-1945); Paolo Bentivoglio (1945-1965); Giuseppe Fucà (1965-1980); Roberto Kervin (1980-1986); Tommaso Daniele (1986-2014) e Mario Barbuto (2014 – 2020).

È lei che si alimenta con l’operosità dei singoli soci che trovano nel Presidente Nazionale ed in quelli territoriali la punta di un iceberg che porta nella società civile esempi di eccellenza, esempi che stupiscono i vedenti che spesso esclamano “come fanno? Io non ne sarei capace”.

E nell’approssimarsi del prossimo Congresso del 5 – 8 novembre 2020, il ventiquattresimo, non posso che augurare, ed augurarmi, che coloro che saranno rieletti o eletti per la prima volta, continuino a rappresentare i soci difendendo ciò che nei decenni è stato conquistato e battendosi per rifondare la legislazione del collocamento dei non vedenti oggetto di gravi rimaneggiamenti.

Solo a mo’ d’esempio richiamo la cessazione della figura del massofisioterapista non vedente, che tanto lustro ci ha dato, e la diminuzione dell’importanza dei centralinisti telefonici ciechi a fronte dell’assenza di altre figure di pari importanza da offrire ai nostri soci. Mi consolo, anzi mi inorgoglisco, pensando che la Nostra Grande Associazione rappresenta la luce della mente e del cuore che ci ha alimentati ormai da un secolo e ci ha aiutati ad essere uguali pur non essendolo in partenza, Associazione che abbiamo ricevuto in usufrutto dai soci del futuro ai quali la dobbiamo restituire più prestigiosa di prima.

Firma digitale remota di Aruba, di Giovanni Clerici

Autore: Giovanni Clerici

Dal 2003 siamo alle prese con la Firma Digitale e con i problemi derivanti dalla sua accessibilità. L’Unione italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, si è messa subito in campo con i suoi tecnici per evitare che i disabili visivi restassero emarginati dall’uso di questo importantissimo strumento giuridico per la privacy e per l’autonomia.

Dopo aver fornito supporto ed avuto da Poste Italiane un dispositivo di firma digitale accessibile su pendrive che è ancora l’unico di quelli venduti ad esserlo, ci siamo dedicati alla verifica di accessibilità delle firme digitali remote oferte da alcuni gestori.

Aruba, gestore di firma digitale che non ci ha mai dato ascolto per la firma digitale su pendrive che commercializza, dispositivo che all’ultimo test eseguito è risultato non accessibile, da qualche tempo ha messo in commercio anche la sua firma digitale remota.

Questa firma remota, contrariamente al dispositivo su pendrive, al momento risulta completamente accessibile e senza aver fornito da noi un supporto o eseguito dei test di accessibilità.

La firma digitale remota, anche se diversa come concezione da quella su pendrive, è uno strumento dedicato a chi desidera questo tipo di strumento giuridico senza dover usare dei lettori da collegare al pc che si collegano ai siti di riferimento e leggono i certificati contenuti in un supporto magnetico locale.

Per la firma digitale remota, è sempre necessaria la connessione ad Internet, ma non abbiamo bisogno di nessun dispositivo fisico. Infatti, come da ad intendere il termine “remota”, il requisito fondamentale è quello di avere una connessione ad internet attiva, unico requisito necessario, dato che i propri certificati di firma sono ospitati on line su dei server dedicati.

In questo modo, da una qualsiasi postazione o dispositivo collegato in rete, sia esso un pc, piuttosto che uno smartphone o un tablet, possiamo firmare digitalmente i nostri documenti. Unica incombensa necessaria, installare l’applicazione software di firma specifico per il proprio dispositivo.

Sebbene la firma digitale remota viene commercializzata da molti provider di servizi, avendo provato con soddisfazione quella di Aruba, sia per una certa semplicità di sottoscrizione, sia per la buona accessibilità dei software usati, di seguito viene spiegato quali passi effettuare per acquistarla ed usarla.

Quella che ci interessa è la firma digitale remota “OTP mobile”. In pratica, si va ad acquistare i certificati di firma, mentre il generatore di password temporanee usa e getta, OTP, è fornito dall’applicazione OTP di Aruba, fornita gratuitamente.

Il primo passo da fare, quindi, è collegarsi al sito di Aruba e scegliere di acquistare la firma digitale remota OTP Mobile. Ovviamente, è necessario avere un account Aruba e se non si fosse già in possesso di tale account, lo si dovrà creare.

L’acquisto si compone di tre fasi:

– Una prima schermata, nella quale inserire i propri dati o, comunque, completare i dati mancanti.

– Una seconda schermata, nella quale inserire i dati di un documento di riconoscimento.

– Una terza schermata consiste, invece, nello scegliere il metodo con cui effettuare il riconoscimento, passaggio fondamentale per accertare la propria identità.

In questa terza fase, ci sono varie opzioni tra cui scegliere: dal riconoscimento on line tramite un operatore, procedura a pagamento, e le altre gratuite, tramite tessera sanitaria, carta di identità elettronica, SPID e firma digitale.

Molto importante anche il test eseguito per verificare che la modalità scelta per il riconoscimento funzioni correttamente e che è completamente accessibile ed utilizzabile allo scopo per acquistare la firma.

A questo punto non resta che effettuare il pagamento, tramite carta di credito o PayPal, servizio anch’esso accessibile.

Confermato l’acquisto e trascorso qualche minuto, si riceveranno le mail necessarie per il riconoscimento, l’attivazione della firma digitale remota e del dispositivo OTP.

Tutti questi passaggi sono fatti con procedura guidata, direi anche molto intuitivi e forniti di spiegazioni pratiche, di conseguenza, basta attenersi alla procedura guidata e non si incontrano difficoltà, nemmeno per chi usa uno screen-reader.

Riassumendo, il primo passaggio sarà quello del riconoscimento che, se avvenuto con successo, consente di passare all’attivazione della firma remota. Dovendo scegliere un nome utente e una password, compiuto anche questo passo, si installa e si configura l’OTP Mobile, operazione che conclude la procedura. Se tutta la procedura viene eseguita senza problemi, si è immediatamente pronti per iniziare ad usare la propria firma remota.

Attenzione, l’ultima email che si riceve è quella per scaricare i software necessari per la firma, disponibili per pc, tablet e smart phone, per dare la possibilità di scaricare il software adatto per il proprio dispositivo.

Personalmente ho provato i due software per computer Mac e per iPhone, entrambi completamente accessibili e anche semplici da utilizzare.

Uso della Firma Digitale Remota.

Per firmare, una volta aperto il software sul dispositivo utilizzato, si procede caricando il documento da firmare. Viene chiesto di inserire il proprio nome utente e la password, quindi, al passo successivo si dovrà inserire l’OTP generato dall’applicazione.

Proprio in questa fase, se state utilizzando un iPhone, si abbassa ad icona il software di firma e si apre l’app Aruba OTP Mobile e si genera il codice usa e getta. Cliccando due volte sul codice, questo viene copiato negli appunti.

In questo modo, chiudendo l’applicazione Aruba OTP Mobile ed aprendo di nuovo quella per la firma, basta spostarsi sul campo dove bisogna inserire l’OTP e si può incollare, procedura che semplifica e velocizza di molto la firma, evitando di dover ricordare a mente il codice numerico di 8 cifre.

Tutti questi software consentono anche di apporre ai documenti in aggiunta la marca temporale, un servizio aggiuntivo che si può acquistare separatamente. Questo ulteriore sigillo, serve a certificare la data e l’ora in cui il documento viene firmato, sigillo che è valido solo se c’è la marcatura temporale. In questo contesto di firma digitale e marca temporale, un documento firmato e marcato certifica sia l’identità del firmatario, sia indiscutibilmente ora e data in cui queste apposizioni sono avvenute.

Al link che segue, si va direttamente alla pagina di accesso, dove eventualmente anche registrarsi, al fine di compiere l’acquisto della firma digitale remota OTP Mobile di Aruba.

https://manage.pec.it/carrello/login.aspx

Giovanni Clerici, clerici.giovanni@gmail.com