CONTRIBUTO DEI LETTORI – Una vacanza tra mare e monti

Autore: Maura Bonsembiante e Roberta De Censi

Una vacanza tra mare e monti, immersi nella natura e nella storia del Friuli, in compagnia di tante persone speciali all’insegna della condivisione, del divertimento e perché no, del piacere della tavola

Finalmente una vacanza accessibile in tutti i suoi aspetti, non sedentaria ma dinamica, è stata definita attiva e questo aggettivo le calza a pennello…

Portate l’asciugamano da mare, ma scordatevi ombrelloni e comode sdraio: sup, canoa, nuotate e passeggiate in una caletta spettacolare.

Indossate gli scarponi, ma dimenticate comode mulattiere e sentieri ultra battuti: incamminatevi nel fitto bosco, ascoltate i rumori, fatevi inebriare dai profumi. Sollevate il piede per evitare un masso o una radice.

Calzate comode scarpe da ginnastica e avviatevi alla scoperta delle meraviglie di una riserva naturale tra monti e pianura, fiume e laguna.

Tutto questo e altro ancora organizzato in modo puntuale da persone che non solo ci hanno accompagnato e guidato, ma soprattutto hanno condiviso con noi ogni singolo istante di questa avventura raccontandoci la Storia, facendoci conoscere la cultura del territorio e conducendoci nell’esplorazione di bassorilievi, mosaici, sculture lignee ed elementi naturali con passione, competenza e sapienza.

Quest’anno volevamo una vacanza diversa e l’abbiamo trovata.

La Flumen viaggi, https://flumenviaggi.it, ha presentato un’allettante vacanza dal titolo “Ferragosto multisensoriale in Friuli”.

Soddisfatte le normali curiosità di ciascun viaggiatore che si appresta a partire, abbiamo aderito a questa proposta.

In passato abbiamo partecipato ad iniziative organizzate direttamente dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, ma non ci siamo mai rivolti ad operatori esterni.

A dire il vero avevamo già sentito parlare bene di Flumen viaggi, ma qualche incertezza comunque c’era, invece no, nessun dubbio: è stata un’esperienza favolosa.

La presenza costante, ma discreta, l’intervento corretto, non invasivo, il considerarci persone prima che ciechi, ci ha fatto sentire leggeri, parte di un gruppo e soprattutto liberi…

Questo è stato il valore aggiunto, il gran merito che va riconosciuto a Luigia, Roberto, Elio, Santina, Vanna e tutti gli altri che si sono avvicendati durante la settimana. Grazie a tutti e… alla prossima!!!

Contributo dei lettori – Verso il Congresso

Autore: Mario Mirabile

9 agosto: aspettavo con ansia di consultare la pagina relativa al Congresso straordinario dell’Unione in programma nel prossimo mese di ottobre. Un congresso che, a differenza dei precedenti a cui ho partecipato fin dal 2001, non mi entusiasma per nulla; sia perché sembra una resa dei conti per quanto successo in quest’ultimo anno, sia perché si svolgerà a distanza, una modalità quest’ultima che non mi convince per niente; sarò antiquato, ma un Congresso può definirsi tale, soltanto se c’è la reale possibilità di confrontarti, di discutere, di conoscere tutti coloro che prenderanno parte ad un momento così importante per il futuro della nostra gloriosa associazione. Insieme ai momenti ufficiali, è fondamentale stringersi la mano, pranzare insieme, consumare un caffè e, perché no, anche mandarsi a quel paese se serve. Già l’ho detto in altre occasioni, non riduciamo i nostri incontri a riunioni asettiche dove si sta dietro uno schermo credendo di essere i migliori. Ma torniamo al 9 agosto. Finalmente apro la pagina internet dedicata al Congresso straordinario e faccio un immediato confronto tra i soci regolarmente iscritti al 31 dicembre 2022 e quelli al 31 dicembre 2019, ovvero prima del XXIV Congresso, e mi accorgo che abbiamo una emorragia di quasi 3000 soci 36.769 a fronte di 39.258 del 2019. Un numero di defezioni davvero impressionante. Una riduzione così eclatante che dovrebbe portare tutti noi ad aprire una seria ed importante discussione su cosa è stato il nostro sodalizio e su che cosa vogliamo che diventi. Non ho la ricetta per sistemare la situazione, ma so di certo che, purtroppo, i disabili visivi non sono diminuiti e il nostro sodalizio deve continuare ad operare per perseguire la sua mission. Credo che i futuri 2 mesi di discussione non debbano essere incentrati su chi guiderà la nostra associazione, ma, piuttosto, sulle modalità che si intenderanno utilizzare. Purtroppo è un dato di fatto: i soci sono diminuiti e pure di tanto e qualcosa si dovrà fare. Lancio una piccola proposta, non so se utile: negli ultimi anni, con il contributo del fondo di solidarietà sono state incentivate le campagne per il reperimento e la fidelizzazione dei soci: qual è stato il risultato? Quanti nuovi soci ci sono stati? Quanti soci siamo riusciti a fidelizzare?

E poi, abbiamo sempre detto che i dirigenti locali e i dipendenti devono essere sgravati da incombenze burocratiche per meglio dedicarsi alle esigenze dei soci; abbiamo raggiunto questo obiettivo? A me sembra di no. Credo che le incombenze dei dirigenti locali che, è bene ricordarlo, sono dei volontari, sono cresciute a dismisura. Inoltre, da oltre 15 anni, la nostra associazione dovrebbe includere anche gli ipovedenti; ma quanti ipovedenti lievi, medio gravi e gravi abbiamo tra i nostri soci e quali sono i servizi che offriamo loro?

Spero che da queste riflessioni possa scaturire una reale discussione atta a fortificare il nostro sodalizio a tutti i livelli: locale e nazionale. Viva l’Unione Italiana dei Ciechi e degli ipovedenti.

Pubblicato il 29/08/2023.

Contributo dei lettori – Questionario

Autore: Alessandra Natalino

Gentilissimi,
sono Alessandra Natalino e dopo un percorso di un master in impresa sociale sto portando avanti l’avvio di un’impresa a vocazione sociale che permette l’inserimento lavorativo di persone non vedenti e ipovedenti.

Attualmente sono entrata nell’acceleratore Social Tides, promosso da INCO e google.org che promuove iniziative di alto impatto sociale. Il mio progetto dal nome “Oro Invisibile” si propone di diventare un brand di gioielli il cui design viene realizzato attraverso la modellazione manuali di una porcellana morbida da persone non vedenti.
Il modello verrà poi replicato grazie alla tecnologia 3D e fuso in metalli sostenibili.

Il 9 settembre stiamo organizzando a Milano un workshop di creazione di gioielli con la partecipazione di un’artigiana che modella la porcellana.
Il workshop sarà gratuito e finanziato da Social Tides. https://www.socialtides.eu/it

Al fine di valutare l’interesse al tema artigianato vi chiederei la collaborazione nella compilazione e diffusione del questionario disponibile al seguente link:

https://docs.google.com/forms/d/17CRH6nD4I3ydjOU18XECzJ0-ds66796ssyWW8C2c-EA/edit

Vi ringrazio anticipatamente per la collaborazione.
Spero di aggiornarvi presto con altre novità!

Pubblicato il 21/07/2023.

Contributo dei lettori – Messaggio dal futuro

Autore: Sergio Prelato

Caro Robert Edlin, il mio nome non ha importanza, sono un banalissimo uomo moderno.

Nel cimitero americano visitato questo giugno 2023, in Normandia, fra le migliaia di croci bianche, mi sono soffermato sulla tua.

Ti ho dedicato questo piccolo omaggio, come se tu fossi sopravvissuto allo sbarco, lo avrei voluto tanto, anzi avrei voluto che non fosse esistito lo sbarco.

Il mio viaggio di uomo moderno l’ho fatto al contrario, prima Parigi, poi la spiaggia dove tu hai lasciato la tua vita.

Sia sotto la torre, sia la mattina che mi sono svegliato a pochi chilometri dalla spiaggia, la tua spiaggia, non ho mai smesso di pensare a quello che avete fatto per me, per noi, per il mondo di oggi.

Mentre il sole filtrava dalle finestre, prima che io leggessi il tuo nome, non sentivo gli uccelli allegri dell’alba, non gustavo la colazione servita a tavola, volevo vedere i luoghi in cui sei sbarcato.

Dopo averli visti, dopo aver impresso il tuo nome nella mia mente, mi sono permesso di farti questo piccolo, umile omaggio.

Ma la memoria è una palestra, va frequentata con assiduità e rigore.

Il tuo sacrificio non è stato inutile, stai tranquillo, ora ti saluto, dal lontano luglio 2023, i tuoi compagni erano ancora a metà strada, ma, tu lo sai, certamente, ce l’hanno fatta, ce l’avete fatta.

Grazie e sappi che io quella foto che hai strappato ce l’ho in un libro nel mio scaffale, non l’ho distrutta, ho fatto di meglio, l’ho raccontata a mia figlia di 15 anni.

Grazie dal tuo futuro.

Normandia

Sembrava di essere sotto le zampe di un enorme ragno, un immenso ragno di ferro sopra di lui.

Era mezzogiorno, stava seguendo con gli occhi la complicata trama di quella torre così famosa in tutto il mondo.

Lui era lì sotto, sicuramente stupito di essere lì, in quella città  sembrata irraggiungibile, invece eccoli lì, eccolo sotto il ragno di ferro.

Mezzogiorno di gioia e festa, sotto le ombre intricate della torre Eiffel.

Abbassò lo sguardo sulla gente vicina a lui, uomini, donne, bimbi, anziani, soldati, auto private poche, mezzi militari moltissimi, per la parata d’entrata in città, a favore dei cine giornali in patria, e per il mondo intero.

Ogni tanto una ragazza lo abbracciava e baciava sulle labbra, ringraziandolo festosa e commossa.

Lui frastornato guardava i francesi, pieni di lacrime e commozione.

I visi pallidi e smunti, ma gli occhi, mai visto degli occhi così belli ed esultanti.

Ben quattro anni sotto i nazisti, ora la libertà.

Si sforzò di ricordarsi il giorno dello sbarco e ricollegarlo a quel momento, 6 giugno, oggi 25 agosto 1944.

Quei mesi erano stati una scia di morte e distruzione.

Chiuse gli occhi per escludere la festa e raccogliersi intorno ai compagni scomparsi, nella sua mente.

Non era stato più bravo di loro come soldato, come uomo, solo più fortunato.

Rivide se stesso sulla spiaggia, che idiota, pensava che superata quella maledetta spiaggia, il resto sarebbe stato una bazzecola.

Era stato solo l’inizio.

Nelle varie battaglie di avvicinamento a Parigi, inizialmente aveva distolto lo sguardo dai compagni morti o moribondi, lasciando il compito di raccolta ai medici e infermieri.

Poi aveva cominciato a chiudere occhi, a ricomporre i corpi in posizioni scomposte, a rimettere elmetti sulle teste, come segno di rispetto in attesa di una degna sepoltura.

Odiava il rosso sangue sulle divise.

Aveva stretto mani agonizzanti, ascoltato pianti di bambini sgorgare da soldati, aveva udito preghiere di tuti i generi.

Aveva guardato gli occhi dei suoi compagni morenti, ormai incapaci di parlare, spegnersi lentamente prima che spirassero. Non li aveva lasciati soli.

Aveva raccolto targhette di riconoscimento nel terreno sconvolto da corpi dilaniati dalle mine o da colpi di mortaio che facevano a pezzi gli uomini, impossibile riconoscerli.

Sentiva ancora l’odore della morte, di bruciato, di sangue, sudore e i mille odori che la guerra offre a chi la segue per mesi.

Quando andava bene dormivano una notte intera. Per terra senza contrattacchi dei tedeschi.

Solo che quando riapriva gli occhi era sempre più difficile rialzarsi, come se i piedi non volessero camminare, paralizzati dalla fatica, dalla fame, dal caldo, dal freddo, dalla pioggia, dalle bombe; non c’era posto per la paura, era troppo stanco.

Una mattina si era alzato stranamente senza sentirsi troppo pesante, aveva indossato lo zaino come una seconda pelle.

Arrivato a rapporto nel punto di raccolta, subito sbattuto in ricognizione vicino ad un ponte, che naturalmente gli ufficiali volevano intatto.

Durante il giro, aveva messo un piede su una mina.

Un lampo di luce, poi nulla.

Dopo un po’ si era svegliato con un ago nel braccio, morfina, un medico lo stava aiutando.

Riaprì gli occhi nel presente, e la festa lo strappò alla scia di giorni che lo avevano portato lì.

Prese un pacchetto di sigarette, aveva cominciato a fumare, ne estrasse una con la mano destra.

La quale non aveva le falangi dell’anulare e del mignolo, spariti con la mina

Gli era andata bene che non era morto dissanguato, in effetti gli avevano detto che il calore della deflagrazione aveva cauterizzato quasi subito le ferite alla mano, salvandolo.

Doveva pure essere grato alla gentile mina.

Lo spostamento d’aria lo aveva riparato da guai peggiori.

Gli avevano chiesto se voleva essere congedato.

Neanche a parlarne.

La guerra crea odio per i nemici.

Anche se durante qualche tregua concordata, li aveva visti fumare, esattamente come lui a poca distanza dalla linea di tiro.

Ad alcuni suoi compagni sopravvissuti alle mine, era andata peggio, chi mutilato senza mani o dita, oppure cieco di guerra, la vista, il bene più prezioso dopo la vita.

Osservò la mano destra formata da tre dita, fumava senza problemi, e soprattutto, almeno per lui, non sentiva le dita mancanti come gli avevano anticipato.

Ne sentiva tre, e ne usava tre, come se fosse nato così.

Tanto sparava con il suo fucile M1, con la sinistra.

La pistola non l’aveva usata più.

Aspirò il fumo con soddisfazione, guardando il casino immane intorno a lui.

Abbracci, ancora abbracci.

Si tolse lo zaino dalle spalle, e si trovò un angolo tranquillo, e si sedette sulle sue uniche proprietà.

Era sceso da un carro armato, stanco di camminare, ma voglioso di calcar la terra liberata.

Decise di usare lo zaino come cuscino, e si sdraiò per terra per riposare, guardando il cielo sgombro, anche lui aveva capito che era un giorno che sarebbe passato alla storia, e lui era lì, avrebbe fatto parte dei libri di storia.

Finì di fumare la sua sigaretta fino in fondo, con attenzione, non si sprecava nulla in guerra.

Poi si alzò e rovistò nello zaino.

Tirò fuori un foglio di giornale e lo distese davanti a sé.

Lo aveva trovato in una di quelle rare case ancora intatte dove aveva sostato con i suoi compagni, nei paesi evacuati.

La foto che campeggiava al centro lo aveva colpito. Diavolo, sugli spazi bianchi c’erano dei numeri, scritti da lui, i reggimenti che aveva cambiato dallo sbarco.

Motivo? Ogni reggimento di cui aveva fatto parte si era assottigliato ad ogni avanzata così tanto che rimanevano pochi uomini, e venivano accorpati ad altri reggimenti, e lui non si ricordava mai l’ultimo a cui era stato assegnato, quindi lo notava sul giornale.

Si alzò, prese lo zaino e se lo rimise in spalla.

Osservò la foto sdrucita: Hitler e molti ufficiali posavano sotto la torre Eiffel, tutti contenti, foto scattata nel 1940.

La guardò un’ultima volta e girandosi verso la torre di ferro, la strappò in mille pezzi.

Come coriandoli a carnevale lanciò in aria i resti del giornale.

Si accese un’altra sigaretta pensando ai suoi commilitoni, gli dedicò quel gesto.

In fondo erano stati la sua famiglia, lui figlio unico e orfano da anni.

Si immerse nella folla, seguendo il primo camion di soldati per capire dove diavolo avrebbe dormito quella notte.

Pubblicato il 17/07/2023.

CONTRIBUTO DEI LETTORI – Riflessioni di un mio paziente sui non vedenti

Autore: Andrea Salvatore Labate

Essendo fisioterapista della riabilitazione ho lavorato all’istituto ortopedico di Reggio Calabria e dialogando con diversi pazienti del più e del meno tra i tanti pazienti ho conosciuto uno in particolare e per la privacy sostituirò il suo nome con uno di mia invenzione, chiamandolo Caracciolo Pietro, il quale mi ha raccontato la sua vita vissuta da adolescente, che a suo tempo aveva preso amicizia con un non vedente che stava a pochi metri da casa sua, io racconto per filo e per segno, come fossi lui, le sue vicissitudini.

Dice il signor Caracciolo Pietro: sono stato un alunno di una scuola di quarta elementare comunale, ubicata al centro di Reggio Calabria, nonostante l’età posso descrivere il significato di questa particolare giornata, celebrata dal non vedente, puntualmente ogni anno il 13 dicembre nella Chiesa di Santa Lucia, la quale dedica la santa messa alla siracusana vergine e martire Santa Lucia, la quale sono stato per quattordici anni partecipe alla messa. Vorrei fare una premessa, esprimendo una riflessione sul buio mondo che vivono i non vedenti: avete mai provato a chiudere i vostri occhi per un istante? Quel buio… incubo dei nostri sogni giovanili. Quanti di noi hanno tremato nel proprio lettuccio, quando la mamma spegneva la luce e ci lasciava in quella atmosfera cupa nel buio della stanza… Io ricordo i sudori e i tremiti allo scricchiolio di una tenda oppure ad un gemito che proveniva dalla strada e che assumeva nella mia mente la dimensione di un fantasma che si lamentasse. Anche ora l’oscurità profonda mi infonde paura e inquietudine che mi fanno balenare nella mia mente mille pensieri vaganti senza potersi soffermare, rendendo l’animo come svuotato e indifeso. Se devo muovere un passo, le gambe diventano come paralizzate ed ho sempre un senso di vuoto come se un baratro si fosse aperto innanzi a me. Sono sensazioni che credo siano comuni a tutti ad eccezione per una categoria di persone, i ciechi, viventi e vedenti nel buio più tenebroso, per loro, è accentata come una quarta dimensione nella quale si sentono padroni assoluti e si muovono con una disinvoltura che lascia attoniti chi li osserva. Quanto premesso sopra, scaturisce dall’esperienza fatta attraverso una sincera e profonda amicizia che ho intrapreso con un ragazzo non vedente due anni più grande di me che io, Caracciolo Pietro, conobbi un anno fa, in casa di amici comuni. Ricordo che in quella occasione, mentre giocavamo allegramente in giardino, una voce da lontano chiama pronunciando il nome del mio compagno Costantino Antonino non vedente, era sua madre che lo richiamava a casa ed io premurosamente andai incontro per accompagnarlo, ma egli sorridente disse: “grazie, non occorre” e salutandoci a tutti si avviò lungo il marciapiede disinvoltamente. Naturalmente io rimasi sconcertato e al tempo stesso lo guardavo con ammirazione mentre si allontanava. Successivamente lo invitai a casa mia e una sera accadde che avendo necessità fisiologiche, lo accompagnai al servizio igienico e stavo per accendere istintivamente la luce, ma il mio amico Antonino mi precedette dicendomi che non gli serviva la luce accesa e sebbene non conosceva l’ambiente, è entrato sicuro senza dimostrare alcuna difficoltà. Quando se ne andò intorno alle ore 21, mi salutò dandomi la buona notte e non volle essere accompagnato. Quando entrai nella mia stanza volutamente non volli accendere la luce e presi subito una capocciata contro lo spigolo di un armadietto. Quell’esperienza mi fece meditare: quale sesto senso guida il non vedente nell’oscurità di tutte le sue ore della giornata? Certamente, quel buio è il suo mondo ed è in quel nero assoluto, che è diventato per lui come un sensore radar e che egli può concentrare tutti i suoi pensieri ed avvertire tutte le sensazioni, brutte o belle, ma pur sempre raccogliendo così anche i più impercettibili segni della vita che lo circonda e che a noi vedenti sfuggono. Ecco, perciò si distingue la ragione della sua grande facoltà di concentrazione, di autocontrollo, di analisi, di sintesi, che lo rende attento e pronto ad ogni discussione e ad ogni intervento con il prossimo. Così, mentre per noi vedenti l’oscurità, il buio, le tenebre, sono fattori che ostacolano le nostre reazioni e il nostro ragionamento, per i ciechi vuol dire che proprio nel buio più profondo ritrovano il proprio io, la propria personalità e la lucidità per esplicare al massimo tutte le loro funzioni intellettive. Nel buio noi vedenti siamo ciechi, loro, i ciechi, invece, vedono oltre le tenebre, ed è questa la loro rivincita sulla società, la quale li relega come persone non utili, li reputa ancora oggi ciechi e come tali non possono aspirare a ciò che noi ci ostiniamo a credere solo a noi vedenti riservati! La società, lo sta dimostrando in questi ultimi anni, cercando in tutti i modi di relegarli nel ghetto di un tempo, disconoscendo il valore professionale nel settore sanitario, trasgredendo alle leggi sui massofisioterapisti che fin dal lontano 1918 hanno operato nel settore riabilitativo a beneficio di chi soffre. Ma una vittoria brillante, unica nella storia d’Italia nel campo della giustizia, l’ha ottenuta la nostra cittadina cieca dottoressa Angela Malavenda di Santa Caterina di Reggio Calabria, facendo causa contro lo Stato che impediva l’accesso dei ciechi nei concorsi pubblici per giudici. Altri ciechi che si fanno onore insegnando nelle scuole elementari, medie ed anche alle università, poeti illustri di un tempo quali: Nicolò cieco d’Arezzo che visse a Firenze al tempo di Papa Eugenio IV, Francesco Bello di Ferrara che nel 1495 scrisse il poema “libro d’arme e d’amore nomato il Mambriano, le novelle del Mambriano”, Cristoforo Scanello di Forlì, Luigi Groto letterato e poeta detto il cieco d’Adria, vissuto nel XVI secolo, e tra i poeti contemporanei, il nostro cittadino Labate Andrea Salvatore, che scrisse un libro di poesie dal titolo “Le mie poesie” edizione 1977 tipografia Piazza di Reggio Calabria. Ci sono valenti musicisti, artisti come lo scultore Giuseppe Bertolino, lo scultore Felice Tagliaferri, lavoratori di vimini, centralinisti telefonici, inventori quale Louis Braille (francese), che nel 1825 ideò il sistema di lettura e scrittura braille, accordatori per pianoforti, rilegatori di libri, telescriventisti, programmatori, etc etc… Ci sono numerosi non vedenti che praticano vari sport quali: il calcio mediante il pallone a sonagli, nuoto, ginnastica, torball, lancio del peso, atletica etc etc…

A capo di questi valori artistici e professionali raggiunti dai non vedenti merita di essere menzionata la loro associazione, l’Unione Italiana Ciechi, costituitasi nel 1920 tramite il suo primo presidente Aurelio Nicolodi.

Ricordiamo Augusto Romagnoli, che è stato il promotore di tante lotte per ottenere l’inserimento allo studio, al lavoro e allo sport, evitando che il cieco continuasse ad esercitare l’accattonaggio, ha ottenuto dallo Stato una pensione per chi impossibilitato di lavorare. Conosceva un gruppo di terapisti e di studenti australiani che hanno elaborato dei giocattoli educativi per bambini non vedenti. Vi è mai capitato di incontrare un non vedente accompagnato dal suo cane guida? L’uomo e il cane sono in quel momento integrati ed io vi consiglio di non disturbare il cane guida, riconoscibile dalla croce rossa che porta sul dorso perché il lavoro che esplica in quel momento è di particolare importanza sociale, che a volte l’uomo vedente stesso non sarebbe capace di imitare. Infatti a Milano un paio di anni fa, un cane guida, spingendo da un lato il cieco, si è fatto uccidere dall’automobilista che non si attenne al regolamento sulla circolazione stradale. Potrei parlare a lungo di tantissimi episodi oppure di tante altre problematiche del mondo dei non vedenti, ma voglio concludere per evitare che il dilungare possa essere tedioso. Oltre le tenebre vi è per loro, i ciechi, la luce di una fede incrollabile, che li porterà finalmente ad essere considerati uguali a noi vedenti in ogni settore della vita sociale!

Pubblicato il 12/07/2023.

Contributo dei lettori – Ricordi di Congressi ordinari, verso quello straordinario che ci aspetta

Autore: Elena Ferroni

Nella primavera del 2010 poco ne sapevo di che cosa fosse un Congresso nazionale della nostra UICI, quando il mio presidente Massimo Vita mi incoraggiò a candidarmi e partecipare per la sezione territoriale di Siena. Accettai allora questa sfida con curiosità, immaginando di poter crescere nella conoscenza dei meccanismi dell’associazione, di persone di valore, di poter imparare e dare qualcosa di buono. Così i soci mi votarono come delegata per quel Congresso, rinnovandomi poi la loro fiducia cinque anni dopo per quello del 2015 e per l’ultimo del 2020 svolto in modalità online. Nell’estate del 2010 feci un viaggio in treno verso Bologna e da lì iniziò davvero quest’avventura che non è ancora finita. In tutti questi anni infatti, la storia dell’associazione si è impastata con la mia vita e ne è stato un ingrediente importante, di quelli che quando cucini una ricetta non possono proprio mancare, perché il piatto sia saporito e gustoso. Ho imparato a conoscere tanti dirigenti territoriali, regionali e nazionali, persone con disabilità visiva come me, che scelgono di mettere a disposizione capacità e tempo, che vivono l’associazione come un ambiente prezioso, da proteggere, promuovere, da nutrire con risorse economiche e umane da cercare, conservare, far fiorire con progetti e tutela dei diritti. Durante i tre Congressi a cui ho partecipato ho visto prima confrontarsi maggioranza e minoranza, appreso aspetti riguardo l’istruzione, il lavoro, gli ausili e le possibilità di autonomia, il sostegno agli anziani e alla disabilità complessa. Ho visto due presidenti avvicendarsi alla guida dell’associazione, votato modifiche al nostro Statuto, ho fatto parte per cinque anni del Consiglio nazionale, dedicandomi in particolare al tema del cane guida. Mi sono poi appassionata, grazie al prof. Antonio Quatraro, all’ambito della riabilitazione e mi sono dedicata con lui nella mia Toscana all’organizzazione dei campi estivi per i nostri bambini e ragazzi. In questi anni ho visto un’abbondante pioggia di risorse arrivare sul territorio, ad attivare e sostenere progetti, che hanno inciso profondamente sul miglioramento della qualità della vita dei piccoli, delle nostre famiglie e degli anziani. Ho imparato insomma ad amare l’Unione, che è divenuta una parte significativa della mia vita.

Ad oggi dunque, alle porte di questo nuovo Congresso, mentre si svolgono le assemblee per la scelta dei delegati, ricordo, scrivo e penso che vorrei esserci. Vorrei riflettere con i congressisti sulla necessità dell’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore, su quanto questo ci permetta di accedere a risorse e progettualità altrimenti precluse, sull’importanza di non perdere la nostra identità, naturalmente focalizzata sulla disabilità visiva, che si può al contempo integrare con i normovedenti, per saltare tutti insieme oltre, verso qualcosa di più. Mi piacerebbe essere in mezzo ai congressisti, a far memoria di una storia, alla quale ho preso parte per un piccolo pezzetto e poter pensare insieme al futuro. Mi piacerebbe mettere la mia firma nella scelta di donne e uomini che avranno il compito di portare l’associazione al Congresso ordinario del 2025, con la forza, la passione, l’incisività che gioisce dei momenti belli e permette di rifiorire con la vita che resta in quelli più critici. Esserci infatti è continuare a costruire un futuro possibile, migliore per noi e per chi con noi porta addosso la caratteristica della cecità, dell’ipovisione, di una disabilità complessa che segna la vita e che ci spinge ad un noi, per non sentirci soli.

Pubblicato il 21/06/2023.

Opinioni dei Lettori – Qualche riflessione sul Congresso

Autore: Mario Mirabile

In questi mesi ho parlato ben poco delle vicende politico-associative, concentrandomi quanto più possibile sulle quotidiane emergenze della Sezione e, soprattutto dei soci per i quali il tempo dedicato non è mai abbastanza. Dopo aver letto il resoconto dei lavori dell’ultima Direzione Nazionale, però, sento l’esigenza di dire la mia sul prossimo congresso straordinario. Non mi soffermo in alcun modo sulla questione relativa alla opportunità o non opportunità di svolgere un congresso straordinario in questo momento così delicato, ma l’aver letto della possibilità di svolgere il congresso da remoto mi ha fatto davvero venire i brividi. Per carità, nulla questio sul congresso del 2020, purtroppo con la situazione pandemica era davvero l’unica modalità per dare un governo alla nostra Associazione, ma adesso non c’è alcuna ragione per non svolgere il congresso in presenza. Vi prego: se deve esserci un congresso, che sia un congresso vero! Se dobbiamo modificare lo Statuto con cambiamenti importanti che possano consentire l’iscrizione dell’UICI nel RUNTS, che queste modifiche vengano discusse e apportate con piena consapevolezza da parte di tutti: delegati e base associativa!

Faccio mia una affermazione che il Presidente Mario Barbuto ha pronunciato in molte occasioni: “dall’Unione non deve uscire nessuno!” L’unione è la casa dei ciechi e, in un momento così complesso nessun cieco deve sentirsi distante dall’Unione.

Se vi sono problemi per lo svolgimento del congresso ad ottobre, che lo si faccia a novembre o a dicembre, ma ribadisco, è fondamentale che tutti i delegati si sentano davvero protagonisti del congresso.

Pubblicato il 09/06/2023.

Contributi dei lettori – L’Unione del terzo millennio: come si costruisce?

Autore: Massimo Vita

In questi giorni appena ho capito che si andava verso il congresso straordinario ho tentato di immaginare come io pensavo di contribuire alla costruzione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti per il terzo millennio.

Prima di tutto mi sono immediatamente detto che se avrei presunto di camminare da solo avrei commesso un errore grave per me e per l’associazione. Mi sono confrontato con diversi amici e insieme abbiamo pensato di ripartire da Firenze perché da quella città è partita l’associazione e l’evento più significativo: la marcia del dolore.

Abbiamo predisposto un manifesto aperto che sarà sottoscritto da quanti aderiranno a questa iniziativa e proveremo a costruire una squadra forte la quale sceglierà i candidati al consiglio nazionale e il candidato o la candidata alla presidenza. Non chiediamo di aderire alle idee di una persona ma a una squadra che si sceglierà un candidato o candidata alla presidenza.

Io sto contribuendo come posso e come so ma sono certo di essere parte di un progetto in cui mi sento parte attiva e per il quale mi batterò fino alla fine.

Sono sempre convinto però che di questo congresso si poteva fare a meno e sinceramente mi aspetterei un intervento del ministero vigilante che portasse un po di chiarezza nella nostra associazione. Non mi si dica che i panni sporchi si lavano in casa perché a lavare i panni sporchi in piazza è stato per primo chi si è rivolto alla magistratura senza aver, di fatto, mai lasciato il suo posto.

Ci siamo ritrovati difronte al fatto che il presidente ricorre contro la sua associazione e quindi contro se stesso e l’Unione di fatto non ha potuto mai difendersi come avrebbe dovuto.

Oggi però siamo al congresso e io spero di poter offrire il mio contributo di idee al fine di portare l’associazione verso il terzo millennio e renderla sempre più aperta, sempre più trasparente e sempre più collegiale.

Contributo dei lettori – L’abbraccio a Francesco… La gioia di vivere la Speranza

Autore: Pierfrancesco Greco

Il Tempo di Natale può essere, deve essere un’occasione per soffermarsi su ciò che siamo, sulla nostra tenuta valoriale, sulla nostra maturazione spirituale… Per quanto mi riguarda, in questo periodo, le riflessioni trovano agio nel tornare con la mente allo scorso 12 dicembre, a un momento vissuto insieme con mia moglie e con le Amiche e gli Amici dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. Un momento, un incontro…

“Santità, Lei è una luce di speranza per noi e per il mondo intero”… Mentre gli rivolgevo queste parole, il Papa sorrideva… Io e Annamaria stringevano le sue mani… Gli avevamo detto pure altro, in quegli attimi: Francesco aveva ascoltato con attenzione, rispondendo con arguzia e affetto, dispensando quella speranza di cui egli è generoso elargitore…
Sì, lo so: ho iniziato questo racconto praticamente dall’epilogo, senza contestualizzarlo adeguatamente in ordine al tempo e allo spazio ove i fatti hanno trovato svolgimento, senza spiegare, insomma; chiedo venia, ma ha avuto il sopravvento la voglia di palesare subito la nostra gioia, la mia e quella di Annamaria, per aver nuovamente avuto l’opportunità e l’onore di incontrare da vicino Papa Francesco, di parlare con lui, di guardarlo nei suoi occhi pieni di umanità: gli stesso occhi che il pomeriggio dell’8 dicembre, davanti alla Statua dell’Immacolata, erano stati aspersi dalle lacrime… Quelle lacrime che più di ogni parola, di ogni discorso, di ogni gesto hanno veicolato in maniera forte, prorompente, cristallina un appello, un richiamo, un’esortazione di pace: pace per i popoli, pace per i bambini, pace per sempre…
Con nella mente tali pensieri e tali immagini, la mattina del 12 dicembre, io e Annamaria abbiamo lasciato il nostro hotel, nel centro di Roma, a pochi passi dal Teatro dell’Opera, culla di melodiosa bellezza, e ci siamo avviati verso la Città del Vaticano: Papa Francesco aveva concesso al Consiglio Nazionale e ai dirigenti territoriali dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti un’Udienza particolare nella Sala Clementina, all’interno del Palazzo Apostolico. Annamaria, essendo Consigliere Nazionale, era parte della delegazione e io, come suo consorte e accompagnatore, avevo nuovamente la possibilità di vivere un’esperienza che definire straordinaria mi appare banale… Si, nuovamente, ma di questo scriverò fra poco… L’appuntamento era in un settore del Colonnato di destra, in Piazza San Pietro, nei pressi del Portone di Bronzo, uno dei varchi d’ingresso del Palazzo Apostolico.
Siamo colà giunti, con un pò di anticipo rispetto all’orario prefissato per l’appuntamento, attraverso Via dei Corridori, costeggiando il celebre Passetto di Borgo, con le sue merlature, le sue arcate e i segni lasciati su di esso dalla Storia… Nel raccontare mi pare di essere ancora là… Le Mura Leonine sono foriere di suggestioni il cui respiro trae linfa nelle rimembranze degli anni passati, sui banchi di scuola, nelle aule dell’Università e sulla mia scrivania, ad appassionarmi agli studi storiografici; suggestioni che richiamano magnificenza e dramma, potenza e conflitto, genio e dominio, opulenza e saccheggio. Siamo sotto le Colonne con cui l’ispirazione del Bernini ha cinto la culla della cristianità: dopo gli opportuni controlli di sicurezza, attendiamo qualche minuto, insieme alle altre amiche e agli altri amici che fra poco varcheranno quella soglia. Quei minuti sembrano non passare mai: poi, ecco, un agente ci dà il via libera e iniziamo a salire per le scale… Superiamo il portone bronzeo, facciamo qualche metro in un arioso corridoio e percorriamo uno scalone elegante e imponente, che ci conduce nel Cortile di San Damaso, ove si affacciano le logge del Palazzo e al cui centro, in queste settimane, è stata assemblata una grande aiuola infiorata di rosso, a forma di stella su cui spicca un grande albero di Natale sobriamente punteggiato da sfere dorate e argentate. Anche otto anni addietro, prima di salire verso la Sala Clementina, ci eravamo ritrovati in questo luogo, seguendo un altro percorso: dopo essere entrati in Vaticano dalla Porta del Perugino, eravamo stati guidati, passando per Piazza Santa Marta, verso la Piazza del Governatorato, ove avevamo sostato qualche minuto, ammirando la Cupola di San Pietro da una prospettiva diversa rispetto a quella offerta dalla Piazza o da Via della Conciliazione e apprezzando la bellezza di quello spicchio dei Giardini Vaticani, con le architetture rinascimentali, i camminamenti ameni e le aiuole artisticamente ornate da elementi floreali, su tutte quella raffigurante, proprio di fronte al Palazzo del Governatorato, lo Stemma del Papa. Da qui, percorrendo la via del Governatorato, eravamo giunti nei pressi del Palazzo Apostolico, entrando infine, passando dall’ombra, stillante atmosfere che raccontano epoche trascorse, dei cavedi attigui, tra cui il Cortile Borgia, nel Cortile di San Damaso, ove mi trovo nuovamente oggi, otto anni dopo quella prima volta. Qui ci attende, nell’uniforme storica dalle bande blu, rosse e gialle, un Milite della Guardia Svizzera Pontificia, che, lentamente, ci guida verso uno degli accessi interni, da dove accediamo a un’altra scala, attraverso cui giungiamo all’ingresso della Sala Clementina. Lasciamo i soprabiti ed entriamo: la Sala è scintillante più del solito, con i suoi affreschi e i suoi marmi intarsiati, con il presepe che fa dolce mostra di sè sul lato destro, rispetto alla nostra posizione, a pochi passi dalla sedia ove prenderà posto il Santo Padre. Santo Padre il quale, ecco, arriva dalla stanza accanto, puntualissimo: ci viene incontro, lentamente, aiutandosi col suo bastone. Eccolo, è qui, sorridente, e noi siamo nuovamente al suo cospetto… Sì, nuovamente: io e Annamaria, infatti, avevamo già conosciuto alcune delle inesprimibili sensazioni che l’incontro con Papa Francesco riesce a suscitare… Le parole di Annamaria, al riguardo, sono, comunque, alquanto esplicative e significative: “l’incontro con Papa Francesco è qualcosa rispetto a cui le parole risultano insufficienti a offrire una descrizione capace di veicolare l’emozione e l’intimo trasporto che abbraccia la mente e il cuore in quegli attimi. Per me e mio marito Pierfrancesco non è stata la prima volta: il 13 dicembre del 2014 avevamo partecipato all’Udienza straordinaria che il Santo Padre aveva concesso al Consiglio Nazionale dell’UICI, anche allora nella Sala Clementina, in occasione della ricorrenza di Santa Lucia, mentre nel novembre del 2016 eravamo tra coloro i quali hanno affollato l’Aula Paolo VI, in occasione dell’incontro tra il Pontefice e i rappresentanti del Servizio Civile Universale. Di certo, l’Udienza del 2014 e quella dello scorso 12 dicembre, svoltasi anche questa volta in quello scrigno di arte e bellezza che è la Sala Clemetina,
restano i momenti che rendono lieto il nostro animo con particolare fervore e con intimo calore. Nel 2014 un caloroso saluto, accorato e sincero, lasciò il segno nei nostri sospiri, che furono pervasi di gioia sublime allorché avemmo la possibilità di andare verso il Santo Padre, di stringergli la mano, sfiorargli l’anello piscatorio, abbracciarlo, sussurrargli qualche pensiero copioso di speranza… E anche lo scorso 12 dicembre è stato così: la sua prolusione, col richiamo al valore universale della fragilità, ha regalato, nel nome della Santa siracusana, un raggio di luce più fulgido di quelli che accarezzavano una mattinata romana di fine autunno; raggio di luce che s’è trasfigurato in dolcissimo splendore quando, in prossimità della conclusione dell’Udienza, ci siamo incamminati nuovamente verso il sorriso di Papa Francesco, il quale, anche questa volta, mentre stringeva la mia mano e quella di Pierfrancesco, ha ascoltato con attenzione e pazienza le nostre parole, con le quali gli abbiamo ricordato il colloquio che ci aveva già donato otto anni addietro, con la medesima certezza di trovare comprensione, corresponsione e linfa morale traboccante di fiducia e speranza. Un ricordo e una speranza a cui Francesco ha risposto con la simpatia propria di quelle sensibilità capaci di entrare in profonda empatia con gli interlocutori, riuscendo a elargire il fresco ottimismo che nella Parola di Gesù ha la propria fonte. Quell’ottimismo e quella freschezza valoriale che Papa Francesco non si stanca di somministrare, di distribuire col suo sorriso, con le sue parole, con quegli occhi scintillanti d’Amore… Quegli occhi, quelle parole, quel sorriso con cui, mentre ci allontanavamo, dopo avergli detto nuovamente ciò che Egli è per noi e, ne siamo certi, per tutto il mondo, ci ha salutato con calore giocondo, dandoci appuntamento al prossimo incontro”. Annamaria racconta bene… È riuscita a porre in evidenza gli elementi pregnanti di quei momenti… Io ancora ho negli occhi e nella mente il suo sguardo sorridente, a pochi centimetri dai nostri respiri: il Pontefice, seduto sulla scranna, posta in posizione leggermente rialzata, rispetto al variopinto pavimento, su un tappeto purpureo, davanti al monumentale camino, conversa amabilmente con noi, invitandoci ad avere fede e a non rinunciare ai nostri sogni, che nella preghiera potranno trovare il sospirato coronamento. Come otto anni addietro mi colpisce la capacità di ascolto che quest’uomo, anziano e tuttavia giovane nella sua attitudine ad infondere forza e fiducia, riesce a palesare con aulica semplicità. Il tempo passa presto, ora, vola: la melodiosa bellezza di cui scrivevo poco fa, in riferimento alla magia della musica quando si promana dal proscenio, si trasfigura nei tratti e nella voce di questa figura, in cui il candore delle vesti è specchio di un animo che ha come anelito precipuo il donarsi agli altri, chiedendo in cambio, unicamente una cosa: “Per favore, non dimenticatevi di pregare per me”, ha esortato nel concludere la catechesi. Il Santo Padre, nel richiamarsi diverse volte a Santa Lucia, la quale “ci ricorda col suo esempio che la più alta dignità della persona umana consiste nel dare testimonianza alla verità, seguendo la propria coscienza costi quello che costi, senza doppiezze e senza compromessi”, in linea con la condotta propria di chi vuole “stare dalla parte della luce, servire la luce, come evoca il nome stesso Lucia”, ha focalizzato la sua attenzione sulla società italiana: una società che “ha bisogno di speranza, e questa viene soprattutto dalla testimonianza di persone che, nella propria condizione di fragilità, non si chiudono, non si piangono addosso, ma si impegnano insieme agli altri per migliorare le cose. Santa Lucia, in effetti, viene descritta proprio così: come una donna giovane e inerme che però non cede alle minacce e alle lusinghe, anzi, risponde con coraggio e tiene testa al giudice che la interroga. Con la protezione e l’esempio di Lucia, andate avanti!” Ora che io e Annamaria siamo vicini a Lui queste parole ancora echeggiano nel nostro animo e, dopo una breve conversazione che serberemo gelosamente per sempre nel Cuore, e con il pensiero che si è soffermato sulle persone a cui vogliamo bene, a me viene naturale dirgli ciò che ho scritto poco fa: “Santità, Lei è una luce di speranza per noi e per il mondo intero”… Sì, Egli sorride e mentre, nell’allontanarci, lasciamo scivolare lentamente le nostre mani sulle sue, avvertiamo un’intima sensazione di pienezza: pienezza di felicità, di armonia, di melodiosa bellezza, per usare un’espressione già precedentemente adoperata e decisamente congrua a rendere, almeno parzialmente, l’idea delle emozioni che hanno illuminato quei momenti; una melodiosa bellezza che inonda i nostri sensi, i miei e quelli di Annamaria. Usciamo dalla Sala Clementina con una certezza: la pienezza interiore che avvertiamo, che sentiamo in questo momento ci aiuterà ad assaporare appieno quel grande dono che è la nostra esistenza. Quel dono che questo periodo ci induce a vivere con lo spirito in cui si estrinseca la nostra Umanità: “Il Natale del Signore è il Natale della pace” afferma San Leone Magno (Sermo 6, in Natività Domini)… “Natalis Domini Natalis est pacis”, si legge sul retro di una pregevole immaginetta – ritraente il dipinto “Adorazione dei Pastori”, opera di Orazio Zecca, ammirabile nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore – che ci viene consegnata nel corridoio adiacente alla Sala. Un dono gradito, che conserveremo con cura… Gradimento pari a quello di otto anni addietro, quando, al termine dell’Udienza, ci avevano donato una coroncina, custodita in una bustina verde con sopra stampato lo Stemma stilizzato di Papa Bergoglio; quello stemma che parla di un uomo, d’una vocazione, d’una missione… Uno stemma, che lo accompagna fin dalla sua consacrazione episcopale, improntato alla semplicità: lo scudo blu, con la base inferiore circolare, è sormontato dai simboli della dignità pontificia, con la mitra al posto della tiara, collocata tra due chiavi, una d’oro, l’altra d’argento, incrociate e annodate da un cordone rosso; al suo interno, in alto, campeggia l’emblema della Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, un monogramma, acronimo di “Iesus Hominum Salvator” (IHS), con lettera H sormontata da una croce e con, in punta, i tre chiodi in nero. Sulla parte bassa dello scudo, si trovano la stella, in questo caso a otto punte, tante quante le beatitudini, e il fiore di nardo, con la stella che simboleggia, secondo l’antica tradizione araldica, la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa, mentre il fiore di nardo fa riferimento a San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. In tal modo, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe. Infine, il motto “miserando atque eligendo”, è stato inserito in un cartiglio bianco con bordi rossi, posto alla base dello scudo. Il motto del Santo Padre Francesco, “guardò con sentimento d’amore e lo scelse” è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi). Omelia, questa, che è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo e che riveste un significato particolare nella vita e nel percorso spirituale di Francesco. Infatti, in occasione della festa di San Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Mario Bergoglio provò, all’età di 17 anni, la presenza benevola, nella sua vita, di Dio, il quale con sguardo amorevole, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola. Tale stemma, unitamente alla firma autografa del Papa, “Franciscus”, è anch’esso stampato, senza i colori, sul retro dell’immaginetta che ci hanno donato al termine dell’Udienza… Lo Stemma che, dopo aver temporeggiato qualche altro minuto nel Cortile di San Damaso – giusto il tempo di aspettare Chiara e un’altra Annamaria, due nostre amiche che hanno partecipato all’incontro, insieme con noi, e di fare qualche foto nelle vicinanze dell’Albero -, scorgo di nuovo, stavolta nella cura della sua colorazione, su uno dei muri delimitanti i gradini da dove questa mattina siamo saliti con l’animo sospeso tra la gioia e l’impazienza… Ora, scendendo, dopo aver vissuto uno dei momenti più intensi della mia esistenza, questi spazi, da cui sono passato circa due ore addietro, e che già conoscevo, essendo da qua disceso successivamente all’Udienza del 2014, mi appaiono nuovi, ancora più belli e luminosi di prima… Le ombre dell’animo, che in certi frangenti sono più tenebrose di quelle alberganti nei cavedi a cui ho fatto cenno poco fa, appaiono dissolte da una fiducia che scalda più di un astro del cielo, di quel firmamento dove è assiso Colui che dona Luce e Speranza alle donne e agli uomini volenterosi nel cercare il senso autentico del cammino terreno e dell’essere, nel suo complesso… Quella speranza che il suo Vicario ha dispensato poco fa a tante amiche e a tanti amici, ad Annamaria, la metà del mio cielo, e pure a me, che non sempre cerco la via della gioia piena con la dovuta determinazione e con la congrua convinzione. Ora, però, qualcosa sta cambiando… L’intima pienezza di cui ho già scritto non è una mera espressione verbale… È tangibile, vera, grazie a questo Papa l’ho già conosciuta ed essa sta incidendo sul serio nel mio cammino interiore, che vivo con trasporto, pur senza rinunciare alle mie idee: idee proprie di un credente che, tuttavia, non abbandona una prospettiva laica nell’ambito della mondanità e delle scelte… Idee, che, sovente, mi hanno condotto su posizioni non esattamente coincidenti con quelle sostenute dal magistero della Chiesa… Da quasi dieci anni non è più così: anzi, il più delle volte, le mie idee sull’esistente trovano corrispondenza nella lettura che la Chiesa quotidianamente suggerisce, ove è preminente l’attenzione ai fenomeni di povertà, sfruttamento, diseguaglianza e marginalizzazione sociale ed esistenziale, attanaglianti la storia del genere umano… Un mutamento non da poco, rispetto a cui fondamentali sono risultate e risultano l’opera e l’insegnamento donati quotidianamente al mondo da Papa Francesco, il quale riesce a parlare alla contemporaneità con fermezza non disgiunta da una profonda umanità e una spiccata simpatia – come ho avuto modo di sperimentare direttamente -, rendendo palese la sublime validità della Novella rispetto alla necessità di trovare valori e punti di riferimento
solidi nel caotico e contraddittorio incedere della nostra epoca… Al riguardo, nel 2014, poche ore dopo l’Udienza, attingendo con la penna nella mia passione per la poesia, dedicai alcuni versi a Papa Francesco e a “La Dolcezza di un Incontro”:
Al di quest’altro anno vesperare,
di tanti momenti al ricordo sovviene:
ma su tutti persevera il brillare
di un momento in cui ai sensi viene
di commuoversi e di esultare
all’amore candido che contiene
la dolcezza e l’amicale parlare
col sorriso che la voce sostiene
d’un fratello lieto di portare
a chi s’appropinqua al suo bene
il tesoro di pregare et sperare
nella luce che ci scalda insieme
dalla sede de lo infinito albeggiare…
A Papa Francesco, grati per tanto Amore.
Oggi, dopo il secondo incontro, quei versi mi risultano più attuali di allora, li sento miei più di allora, perché vedo più chiaro di allora, perché riesco a vedere dentro di me e, nella ricerca di senso e verità, a guardare oltre me, cercando la poesia in ogni giorno… Poco prima di varcare la soglia del Portone di Bronzo e di imboccare in senso discendente l’ultima rampa che ci condurrà nuovamente sotto al Colonnato, all’esterno del Palazzo Apostolico, vedo, riposte sugli appositi sostegni fissati al muro, alcune delle alabarde in dotazione alla Guardia Svizzera: esse, unitamente all’imponenza delle Mura Leonine e alle suggestioni che questi luoghi suscitano, ove spicca la magnificenza dei Palazzi, delle Opere d’Arte e della Basilica che, tra poco, visiterò nuovamente, sono manifestazione di quella tradizione in cui l’istituzione ecclesiastica affonda le proprie radici… Quella tradizione che Papa Francesco è riuscito a mettere in comunicazione, sul piano dei valori universali, col mondo dei nostri giorni, dei nostri momenti, dei nostri pensieri, delle nostre parole, facendo comprendere anche a me, e non solo perché ho avuto la possibilità e l’onore di ascoltare direttamente la sua voce, di stringere la sua mano, di guardarlo negli occhi, che l’insegnamento del Vangelo, ieri come oggi, promana un un’essenza rivoluzionaria, la più rivoluzionaria di tutte, ovvero l’Amore, e che la preghiera non è un accessorio della nostra vita: essa è la Vita che ritrova la strada della felicità, della melodiosa bellezza che riempie il nostro sentimento e che ci fa stare bene con gli affetti, con la famiglia, con gli amici, con le persone che amiamo.
Sì, è proprio così: “Santità, Lei è una luce di speranza per noi e per il mondo intero”… Quando il suo sorriso abbraccia le nostre emozioni…
Nell’attimo in cui gli rivolgiamo le parole ove si riverberano le Speranze che albergano nel Cuore…
Grazie di Cuore, Santità!

Pubblicato il 05/11/2023.

Contributo dei lettori – Una bacheca per migliorare la comunicazione

Autore: Massimo Vita

Da tempo si discute come migliorare la trasparenza e la comunicazione interna alla nostra associazione e non si può dire che non si siano fatti dei passi avanti soprattutto grazie alla radio. Credo però che si dovrebbe fare un passo avanti e mettere a fattor comune tutti gli atti deliberativi almeno a livello nazionale con la costruzione di una bacheca dove pubblicare tutte le delibere estratte dai verbali delle riunioni.

Questo permetterebbe ai soci e ai dirigenti di conoscere in pieno lo svolgersi della vita associativa e forse si eviterebbero le dicerie e i pettegolezzi.

Per rispondere a chi potrebbe opporre problemi di riservatezza preciso che parlo di deliberati e non del processo verbale delle riunioni. Come è ovvio, se una delibera riguarda una persona il nome della stessa dovrebbe risultare oscurato.

La bacheca potrebbe pubblicare i resoconti di tutti i consigli regionali e territoriali per far conoscere a tutti il vissuto del territorio e magari stimolare progetti e nuove iniziative.

La bacheca potrebbe anche essere leggibile tramite smartphone o alexa per arrivare fino alla periferia più lontana.

Credo che tutto questo non comporti grandi difficoltà e per questo spero che qualcuno riprenda questa mia idea e magari la migliori realizzandola.

Pubblicato il 28/12/2022.