Giornata mondiale contro la violenza sulle donne in tempi di Coronavirus: per non dimenticare, di Anna Buccheri

Da un’indagine FISH del 2019 è emerso che le donne con disabilità sono più a rischio di violenza e che il 65% di quelle intervistate ha subito una forma di violenza. Il dato di partenza attesta che le donne con disabilità subiscono una discriminazione doppia, in quanto donne e in quanto disabili. Non ne deriva una semplice somma di discriminazioni, venendosi a determinare invece una condizione ancora più complessa. Peraltro solo un terzo circa delle intervistate riconosce come violenza ciò che ha subito o che continua a subire. Molto spesso inoltre le donne hanno difficoltà a riconoscere e a definire la violenza di cui sono oggetto se non è esplicitamente fisica o sessuale. Solo il 37% dichiara di aver reagito. Fra queste una percentuale più ristretta ha deciso di confidarsi con familiari e amici (6,5%) o si è rivolta ad un Centro antiviolenza (5,6%) per avere aiuto. E nei Centri antiviolenza bisogna avere cura di integrare le donne disabili perché sono importanti il confronto con le altre donne, la partecipazione agli eventi a fianco di tutte le donne e la testimonianza della propria storia.

Spesso la violenza è perpetrata da chi delle donne disabili dovrebbe prendersi cura. È una violenza che sfrutta e crea dipendenza e subordinazione, enfatizzandole e usandole di volta in volta come motivo di rimprovero o di ricatto o di svalutazione della persona. È una violenza che ricorre ad abusi sessuali, a ricatti affettivi, ad offese e insulti sull’essere disabile e sull’essere un peso per l’altro. Sono violenze che feriscono profondamente, specialmente quando la disabilità si acquisisce dopo la nascita o in seguito ad un incidente o ad una malattia. Inoltre la donna disabile può sentirsi ancora più disorientata, privata di ogni punto di riferimento, avendo bisogno di qualcuno che possa supportarla e di un nuovo spazio conosciuto, sicuro e accessibile in cui vivere, non sapendo dove andare e a chi rivolgersi.

Le donne disabili vittime di violenza devono inoltre fare i conti con barriere culturali, mentre la mancata consapevolezza dei propri diritti e la dipendenza economica costituiscono i principali ostacoli nel loro processo di autodeterminazione e di emancipazione.

Fondamentale è la collaborazione tra chi ha competenze specifiche sulla disabilità e chi le possiede sulla violenza di genere. Tale collaborazione è utile per rendere efficaci gli interventi e offrire alle donne con disabilità reali possibilità di sottrarsi alla violenza, migliorando i servizi esistenti e adeguandoli alle loro necessità, accogliendo e sostenendo la donna affinché possa sentirsi libera di esprimersi e possa prendere consapevolezza della violenza. È infatti necessaria una conoscenza sia delle dinamiche della violenza di genere e degli effetti che può provocare, sia delle metodologie e degli strumenti da utilizzare per facilitare la creazione di una relazione di fiducia. È importante supportare la donna nel percorso di comprensione di ciò che vive e di ciò che vuole sostenendola senza sostituirsi a lei e senza decidere al suo posto. Solo attraverso la conoscenza di sé e la consapevolezza del proprio valore e della propria dignità, la donna è in grado di pretendere il rispetto che le è dovuto in quanto persona innanzitutto e in quanto figlia, sorella, moglie, madre, studentessa, lavoratrice, anziana.

Le donne con disabilità corrono però un ulteriore rischio molto insidioso, quello dell’invisibilità, costrette a subire anche la violenza quotidiana dell’indifferenza e della disconferma da parte degli altri. Le politiche di genere, da una parte, e le politiche sulla disabilità, dall’altra, non sono sempre attente a due fattori essenziali: le prime non intervengono sulla condizione di disabilità; le seconde non tengono conto del genere. Delle donne con disabilità così non sono mai riconosciute le dimensioni della femminilità, della maternità, della genitorialità, della bellezza.

Donne. Con disabilità e con diritti di libertà è il titolo del seminario promosso il 12 novembre scorso dalla FISH all’interno del progetto Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica – Azioni e strumenti innovativi per riconoscere e contrastare le discriminazioni multiple. Si è posto l’accento in particolare sull’incremento dell’autoconsapevolezza, sull’autorappresentanza, sulla partecipazione politica, sull’accesso ai servizi di ginecologia e di ostetricia, sulla violenza e sulla comunicazione accessibile per le donne con disabilità.

Da un punto di vista etico, culturale e di maturità civica siamo tutti coinvolti, non possiamo voltare la testa dall’altra parte e dire e dirci: non mi riguarda. Siamo tutti chiamati a fare qualcosa, a vigilare, a cogliere i segnali, a denunciare, ad offrire vicinanza alle donne e alle donne disabili in particolare vittime di violenza che devono essere trattate da donne e devono essere consapevoli dei loro diritti.