Vicenza – Autonomia conquistata con l’uso del POS, di Silvana Valente

Autore: Silvana Valente

Dal primo gennaio 2020 è entrata in vigore la normativa che prevede, ai fini di poter beneficiare della detrazione fiscale delle prestazioni sanitarie, che il pagamento delle stesse deve essere tracciabile. Poco male potremo dire, ma per un libero professionista non vedente ritrovarsi improvvisamente a scegliere e quindi a gestire un dispositivo preposto a ricevere i pagamenti elettronici, non è una cosa così banale. Perché? Ovviamente, per me, che certo non ero l’unica a non essere ancora dotata di un Pos proprio per la difficoltà a gestirlo in autonomia, sarebbe stato molto più semplice avere a disposizione un lasso di tempo per l’adeguamento in tal senso (3-6 mesi). Dunque, ho subito cominciato la ricerca. L’amico e collega A. C. mi ha consigliato di interpellare l’Invat (Istituto nazionale valutazione ausili e tecnologie), di cui non conoscevo l’esistenza. Ho contattato i referenti che si sono mostrati molto collaborativi, anche perché non ero stata l’unica a rivolgermi a loro per trovare un dispositivo dotato magari di sintesi vocale o di sistema di lettura braille.

Fortunatamente, un ragazzo che mi supporta nell’ambito informatico mi ha consigliato di contattare SumUp (società di pagamenti mobili), con cui lui si trova benissimo, sia perché vengono accettate per il pagamento tutte le varie carte bancomat e carte di credito, sia perché le commissioni dovute sono inferiori a quelle di una qualsiasi banca. Inoltre, qualora non mi fossi trovata bene, avrei potuto contare sulla possibilità di restituire il lettore carte entro un mese dall’acquisto. Oltretutto, non essendoci dispostivi nati con sintesi vocali, avrei potuto gestire il tutto ugualmente bene, sfruttando una app da installare sullo smartphone (disponibile per Android e ios). Inizialmente, per evitare di trovarmi in difficoltà, ho scelto l’apparecchio più completo, con la tastiera in rilievo e dotato di stampante per la ricevuta cartacea, quella a cui fa seguito la regolare fattura. Io non mi ero resa conto che non era quello il dispositivo che si può gestire con lo smartphone e dunque dovevo ogni volta farmi leggere il display dai pazienti, che, a volte complice l’età di taluni non sempre mi erano d’aiuto. Del resto, succede non di rado anche nei negozi che i cassieri aiutino i clienti nell’utilizzo dei tasti del lettore. Inoltre, qualche volta capitava, nell’orario di punta, che sul display comparisse la scritta «Attendere» e io non potevo accorgermi, come non potevo controllare se il pagamento andava a buon fine. Inutile dire che non era il caso di continuare ad avvalermi della consulenza dei miei pazienti.

Dopo aver testato varie possibilità, i referenti dell’Invat mi hanno confermato che avevo fatto bene ad orientarmi su SumUp, ma il lettore che avrei dovuto scegliere per gestirlo attraverso l’app dello smartphone era il dispositivo più semplice e non quello che avevo scelto io: per capirci, senza stampante e con tastiera touch ma a cui si può applicare una cover braille. Ho, dunque, provveduto ad acquistare il dispositivo più semplice nonostante fosse già trascorso il mese previsto per un eventuale sostituzione. Il referente di SumUp che ha seguito la mia pratica ha fatto prevalere l’aspetto umano, pensando a chi cerca ogni giorno di superare le difficoltà lasciando da parte le regole scritte sulla carta e di questi tempi direi che non è poco.

Ora sono diventata veloce e sicura anche nel ricevere i pagamenti tramite Pos, potendo avvalermi del voice over che vocalizza ciò che compare sul display dell’iPhone, insieme all’applicazione con cui utilizzo il lettore carte. Non nascondo però che non sarebbe male se ci si preoccupasse un po’ di più delle categorie di lavoratori svantaggiati.

Brescia – Ipovedenti, la sfida della Dad e l’aiuto dell’Uici

Autore: Irene Panighetti

Fonte: Bresciaoggi, del 19 Novembre 2020

LA TECNOLOGIA. L’Unione Ciechi all’avanguardia dal punto di vista digitale ha tenuto prima del lockdown un corso per una decina di adolescenti

Debora: «Devo ricordare di leggermi le slide» A Ettore invece manca «il rapporto diretto»

Non si è fatta cogliere impreparata di fronte ai Dpcm la sezione bresciana dell’Unione ciechi e ipovedenti (Uici), che dal 1924 è al servizio dei cittadini bresciani, con problemi di disabilità visiva. Ma iniziative e servizi sono spesso aperti a tutti. Uici Brescia ha da subito pensato ai ragazzi ipovedenti che avrebbero dovuto seguire le lezioni a distanza: quindi «abbiamo messo in campo le nostre strategie per affiancare le famiglie, circa 200 nuclei nel Bresciano – informa la presidentessa Sandra Inverardi -: è stata una risposta ad un bisogno concreto manifestato proprio da alcune famiglie. Nella nostra sede funziona molto bene il settore informatico: abbiamo un’aula con i Pc e organizziamo corsi Windows, Mac e Iphone».

COSÌ IL GIORNO stesso della firma dell’ultimo Dpcm, alla sede di via Divisione Tridentina una decina di adolescenti ha seguito un corso di 4 ore gestito da Ignazio Fontana, insegnante di informatica per disabili visivi e accreditato dall’ente formativo I.Ri.Fo.R. Nove ragazzi nella grande aula della sede più una ragazza da casa. «Il problema maggiore è connettersi alle piattaforme come Classroom o Teams – spiega Fontana – ma queste ultime generazioni sono facilitate dalla nativa competenza digitale; per gli ipovedenti l’uso dello strumento di screenreader agevola già l’approccio alla tecnologia. Obiettivo del corso: navigazione web e gestione del registro elettronico». La sintesi del docente è confermata dagli adolescenti come Debora, 16 anni, liceo linguistico a Leno: la difficoltà subentra «quando i professori proiettano le slide e spesso si dimenticano che io ho bisogno che me le leggano. Quindi chiedo al docente o, a volte, ai compagni». Lo stesso per Usman, 17 anni, al Gambara come Lorenzo, 14 anni, che invece si sente più sicuro, al punto di trasmettere lui stesso agli amici ipovedenti ciò che ha imparato dalle lezioni di Uici. Giulia, 16 anni, linguistico a Orzinuovi, se la cava bene con la tecnologia, sebbene trovi ancora difficoltà «nella gestione di due Pc: quello della videolezione e quello dove ho i miei libri», dichiara.

ETTORE, 14 anni in prima al classico Arici di Brescia che all’inizio del nuovo anno non aveva avuto bisogno di adottare, nemmeno in parte, la Dad. Ora è necessaria. «Non è impossibile, anzi – ammette Ettore – però già mi manca il rapporto diretto con professori e compagni». All’Uici per fortuna il corso si è svolto in presenza e lo saranno pure, salvo imprevisti, le repliche in caso di richieste da altre famiglie.

Link del webinar sullo Smart Working ad HANDImatica, di Valter Calò

Autore: Valter Calò

Di seguito il link per chi volesse riascoltare il Webinar tenutosi il giorno 28 novembre dal titolo “Le 1000 facce dello smart working. Come una persona con disabilità visiva “sopravvive” al tempo del Covid19″.

Evento tenutosi all’interno della manifestazione HANDImatica 2020 creato e gestito da Universal Access.

Nel link i relatori con le loro tematiche sono comodamente suddivisi per un facile ascolto.

PROGRAMMA:

Moderatore:

Michele Landolfo

Relatori:

Valter Calò. Smart working: Dalle criticità alle opportunità.

Chiara Tirelli. Normativa sul aggiornamento del posto operatore per persone non vedenti e ipovedenti.

Giuseppe Fornaro. Gruppi di auto aiuto e comunità. Superare la pandemia insieme.

Vito Saladino. Lavorare all’interno di un ospedale, dal centralino al front office.

Paolo Maggia. Come preparare il Computer di una persona non vedente e ipovedente? Quali software accessibili per Fornire assistenza informatica da remoto.

Guglielmo Boni. Lavoro al centralino con Skype for business e teams, formazione personalizzata E guidata a distanza.

Vito Rafaschieri. Esempio funzionale dell’utilizzo di una work station postazione di lavoro per ufficio e casa.

Kedrit Shalari. L’esperienza diretta di chi ha vinto la sfida di un concorso pubblico.

Sauro Cesaretti. (Accessibility days) abbattere le barriere digitali.

Rossy KK e Silvia Fattori. Quali sono le risorse e le competenze necessari per affrontare questo periodo di cambiamenti?

Link:

Criticità di inclusione scolastica ed accessibilità digitale, di Stefania Leone e Marco Pronello

Autore: Stefania Leone e Marco Pronello

Fonte: www.fedman.it

Il tema dell’accessibilità digitale in ambito scolastico, non impatta solo sull’utilizzo di ausili tecnologici o accomodamenti ragionevoli per disabilità visive, ma anche per disabilità uditive, motorie, intellettive, relative a disturbi dello spettro autistico, nonché a pluriminorazioni. In questi mesi di emergenza, in cui l’uso dell’informatica nella didattica è stato fortemente incrementato, si è riscontrato che l’accessibilità degli strumenti scolastici presenta qualche luce, ma purtroppo ancora molte ombre. Ci si dimentica che, oltre agli alunni disabili, esistono genitori ed insegnanti con disabilità, che restano ancora quasi del tutto invisibili. Su questi aspetti ci siamo confrontati con alcuni addetti ai lavori, tra cui insegnanti di scuola secondaria, docenti universitari e docenti incaricati presso gli atenei per i corsi di sostegno, e una delle sensazioni comuni rilevate in situazione di disabilità è quella di sentirsi ai margini della vita dell’istituto scolastico. Nel collegio docenti, nei gruppi di lavoro, nei consigli di istituto e nelle commissioni d’esame; tra le principali motivazioni vi sono problemi nella scelta dei libri di testo, degli strumenti digitali di lavoro, delle piattaforme tecnologiche accessibili di meeting e didattica a distanza. Proviamo ad esaminare qualcuno di questi problemi.  

I libri di testo accessibili

Spesso, un rappresentante di una casa editrice che arriva in sala professori, non ha la versione accessibile dei testi e non comprende esattamente cosa significhi accessibilità. È dunque evidente che il primo gap è proprio la mancanza di competenze e di possibilità di verificare il prodotto, anche perché i tempi per la scelta sono ristretti e gli unici escamotage possibili sono l’aiuto dei colleghi o, qualora si conoscano personalmente gli autori, la richiesta diretta dell’invio del file in formato accessibile, ma tale soluzione non può essere definita accessibilità universale. Questi problemi ricadono a cascata sui genitori e sugli alunni con disabilità i quali, tra l’altro, non possono consultare preventivamente i testi e devono sperare che il prodotto acquistato sia fruibile tanto per la lettura, quanto per l’interazione con gli esercizi da svolgere. Proviamo a dare anche qualche parziale buona notizia: ad esempio, per le scuole secondarie si è attivato un progetto denominato “Scuolabook”, che consiste in un portale per acquistare ebook online , e si può fare anche riferimento a piattaforme mainstream come Kindle, ma purtroppo non sono tutte totalmente accessibili. Attualmente si sta sviluppando un nuovo sistema autorizzato dalla normativa vigente, secondo cui un docente non acquista il testo, ma può produrlo man mano tramite dispense. Il vantaggio è la possibilità di produrre il testo tenendo conto delle eventuali esigenze di accessibilità del docente e degli alunni, lo svantaggio sta nei costi, in quanto richiede grande dispendio di tempo e di risorse umane. Spesso le soluzioni, invece di essere affrontate a livello istituzionale, ricadono a livello associativo; ad esempio la commissione nazionale insegnanti dell’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) sta pensando di creare una banca dati con i testi già prodotti e questo progetto costituirebbe una buona prassi sia per l’accessibilità che per la non discriminazione nella professione dell’insegnamento. Si segnala inoltre un interessante progetto, a cura dell’Università di Torino, per gli studi di “matematica accessibile”: si tratta del laboratorio Polin, in cui vengono messi a disposizione degli studenti universitari, computer già forniti di tecnologie assistive e il “pacchetto accessibility”, software per la decodifica accessibile delle formule matematiche, compatibile con i  più comuni screen reader, ausili utilizzati da persone cieche o fortemente ipovedenti.  

I registri elettronici accessibili

Quando nacquero le prime piattaforme private all’inizio degli anni 2000, non c’era l’obbligo dell’uso del registro elettronico. In seguito all’obbligatorietà dello strumento, sono iniziati i problemi di accessibilità e usabilità. Qualche anno fa il MIUR (ora MI, Ministero dell’Istruzione) aveva aperto un tavolo tecnico con i principali gestori di piattaforme a livello nazionale e alcune associazioni di categoria, per l’adozione di una piattaforma comune che rispetti le norme sull’accessibilità. A tutt’oggi però, ogni istituto scolastico sceglie la piattaforma da adottare ed anche in questo caso le segnalazioni di inaccessibilità restano a carico del mondo associativo. Per esempio, in seguito a ripetute segnalazioni da parte di alcuni soci su problematiche con l’utilizzo di piattaforme sviluppate da Spaggiari e Argo, l’Associazione Disabili Visivi ONLUS (ADV) ha contattato i gestori, i quali si sono resi disponibili a risolvere i problemi, adeguando i prodotti già esistenti al tipo di problema e di disabilità. Tali soluzioni, effettuate a posteriori, non sono mai totalmente risolutive ed inclusive e risultano “toppe”, che lasciano sempre aperti altri problemi: rendere accessibile un prodotto vuol dire riprogettarlo alla radice, in modo da renderlo universalmente utilizzabile. Esistono differenze nell’accessibilità di una piattaforma digitale, a seconda della tipologia di utente che la utilizzi in compilazione o in consultazione. Per fare un esempio tecnico tra i tanti, un insegnante non vedente che debba inserire gli argomenti svolti e i compiti assegnati giorno per giorno, può trovarsi nell’impossibilità di completare il lavoro a causa della difficoltà di inserire la data nel registro digitale, perché il campo relativo non è digitabile o non è correttamente etichettato. In un periodo come quello di lockdown dovuto all’emergenza Covid-19, il problema è aggravato da forti difficoltà per insegnanti che lavorano a distanza, senza il supporto di colleghi o familiari in grado di risolvere eventuali impedimenti tecnici. Un buono stimolo affinché le scuole adottino un registro digitale accessibile, potrebbe dipendere dall’ottenimento di finanziamenti da parte del Ministero, dei Comuni e delle Regioni, a seguito di un buon rapporto annuale di valutazione RAV, a cui gli istituti scolastici sono sottoposti. Si tratta del giudizio degli stakeholders quali genitori, studenti e insegnanti, sul livello di gradimento dei servizi offerti dall’istituto scolastico, tra cui rientra ovviamente l’accessibilità e l’usabilità del registro digitale.  

La didattica a distanza

Le piattaforme utilizzate per la didattica a distanza sono numerose; tra quelle maggiormente diffuse citiamo Moodle con Gsuite, Zoom e  Skype, che  hanno una  fruibilità  accettabile, mentre    per i webinar e i convegni, vengono molto utilizzate Microsoft Teams, Cisco meeting e Google meeting, che risultano più facilmente  gestibili tramite dispositivi mobili. Nell’ultimo periodo c’è stato un incremento dell’accesso a tali piattaforme da parte sia dei genitori che dei figli, con molte difficoltà per alcune categorie di persone con disabilità gravi, intellettive e con pluridisabilità. In alcuni casi, con sorpresa, la didattica a distanza è stata un valore aggiunto: è il caso di ragazzi affetti da disturbi dello spettro autistico, che hanno un rapporto preferenziale con la tecnologia, che consente loro di godere di quell’isolamento che in aula si cerca di minimizzare. Va sottolineato però che la didattica a distanza non può essere sostitutiva della didattica in presenza, perché impedisce la relazione, il contatto e l’empatia. Per le disabilità gravi, anche in caso di una piena accessibilità, l’isolamento costituirà sempre un gap, in modo particolare per le famiglie meno “tecnologiche”, o comunque che senza un supporto esterno si trovino a dover sopperire a una serie di problemi di gestione della persona con disabilità per tante ore, senza tempi di riposo e di recupero. Il ministero, nell’ambito del piano nazionale di formazione triennale 2017-2019, utilizzando  i fondi europei, ha formato  più di 3000 coordinatori ed esperti di tecnologie assistive, di sostegno presso le scuole; la piattaforma utilizzata dagli enti formatori “Sophia”, pur essendo stata dichiarata accessibile, ha creato problemi di inaccessibilità in quanto  diverse  piattaforme adottate dagli enti formativi,  o i software collegati a Sophia non lo sono e dunque tutta la tecnologia è stata resa inaccessibile. Come fare dunque per risolvere tutte queste problematiche? Si può ricorrere a diversi strumenti che permettano a tutte le persone interessate di tutelarsi, a cominciare dagli strumenti giuridici. Ricordiamo infatti che la necessità di disporre di strumentazione accessibile è disposta da alcuni provvedimenti legislativi, come la ben nota legge Stanca (L. n.4/2004), che ha un articolo dedicato proprio al materiale didattico e formativo utilizzato nelle scuole di ogni ordine e grado, ai libri scolastici e agli strumenti di lavoro anche a distanza, rispetto ai quali deve essere garantita l’accessibilità anche per le persone con disabilità. Ai provvedimenti esistenti se ne aggiungeranno altri, quale la direttiva UE nota come European Accessibility Act, che a partire dal 2025 entrerà in vigore anche in Italia e verrà estesa a tutti i soggetti pubblici e privati (ad eccezione delle micro imprese). Secondo tale direttiva infatti, non potranno essere immessi sul mercato europeo prodotti e servizi che non siano accessibili; ci si riferisce quindi non solo di personal computer, ma anche di strumenti come pos bancari, e-commerce, libri digitali, registri elettronici, e qualsiasi servizio digitale, che dovrà rispettare le regole tecniche delle WCAG 2.1, Web Content Accessibility Guidelines, emanate dal W3C per l’accessibilità e usabilità digitale. Infine, si può ricorrere sempre e comunque ad un procedimento anti-discriminatorio ai sensi della legge 67 del 2006 contro le discriminazioni ai danni delle persone con disabilità, che quasi sempre costituisce lo stimolo giusto per prestare all’accessibilità degli strumenti digitali, scolastici e non solo, la dovuta attenzione.

Smart Working: la risposta al Covid19, di Valter Calò

Autore: Valter Calò

Il giorno 28 novembre all’interno dell’importante manifestazione di “HANDImatica 2020” si è tenuto un Webinar creato e gestito da Universal Access dal titolo “Le 1000 facce dello smart working. Come una persona con disabilità visiva “sopravvive” al tempo del Covid19″.

Questo articolo vuole essere solo un approfondimento di uno dei tanti argomenti trattati durante le quasi 4 ore di collegamento, con una media di 150 contatti. Tratterò solo la parte che ho presentato dal titolo: “Smart working: Dalle criticità alle opportunità”, considerando le numerose telefonate ed e-mail che ho avuto per chiarimenti su questo complesso argomento.

Il processo di digitalizzazione e lo sviluppo delle nuove tecnologie, denominato Industria 4.0, che coinvolge sia l’aspetto economico che sociale, ha determinato dei cambiamenti anche nel modo di concepire la prestazione lavorativa, una di queste possibilità è lo Smart Working che subentra per vie semplificate ad un accordo interconfederale del 2004 tra alcune sigle sindacali e le maggiori categorie produttive come Confindustria, Confartigianato, lega Cooperative, ABI ecc… Accordo volontario tra lavoratore e datore di lavoro, questo è e rimane un “accordo” interconfederale e non una normativa, il suo ben noto nome è: Telelavoro.

La Legge 22 maggio 2017 n. 81 anticipa e definisce per la prima volta un quadro normativo per il lavoro agile (smart working).

All’inizio del 2020, nell’ambito delle misure adottate dal Governo per il contenimento, la prevenzione e la gestione dell’emergenza sanitaria da COVID-19 (coronavirus), al fine di limitare al massimo gli spostamenti e gli assembramenti dei cittadini, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato il DPCM del 1 marzo 2020 che interviene con un nuovo Decreto semplificato sulle modalità di accesso allo smart working.

Ai sensi dell’art. 26 del Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in Legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dal D.L. n. 104/2020 (Decreto Agosto), convertito in Legge n. 126/2020, a decorrere dal 16 ottobre e fino al termine dello stato di emergenza sanitaria 31 gennaio 2021, i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, L. n. 104/1992 possono svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso lo svolgimento di diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto.

Il DPCM del 3 novembre 2020 sottolinea e raccomanda il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza.

Cerchiamo bene di capire il motivo di questa normativa che interviene fortemente sulla modalità di trasmissione di questo virus e quindi sul suo sviluppo epidemiologico, fermando gli spostamenti dei cittadini si interrompe la modalità di infezione determinata dalla diffusione per via aerea e per contatto  del virus stesso, limitando così il suo sviluppo, attualmente questa metodica assieme al distanziamento, le mascherine e la disinfezione, sono gli unici strumenti che abbiamo per il suo contenimento e l’abbassamento della carica virale, metodologia preventiva che determina il calo delle persone infette, in rianimazione e dei morti determinati come causa diretta o complicanza di questa pandemia.

Evidente è che se il lavoratore non è messo nelle condizioni di tutelarsi e tutelare secondariamente le persone che gli sono vicine, (figli, congiunti, genitori, persone anziane ecc.), nonostante abbia ufficialmente richiesto una modalità di lavoro agile che gli spetta di diritto durante una emergenza sanitaria e questo diritto le viene negato ingiustificatamente, il lavoratore colpito da questa presa di posizione dovrà fortemente considerare se ricercare quali e di chi siano le responsabilità.

Cos’è lo Smart Working secondo la definizione del Ministero del lavoro:

“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”.

La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).

Il Governo, ha incentivato l’utilizzo di questa particolare forma del lavoro, introducendo una procedura semplificata, che prescinde da qualsiasi accordo individuale tra azienda e dipendente, lasciando come unici adempimenti la comunicazione al Ministero del lavoro circa il periodo di smart working e il dettaglio dei lavoratori interessati oltre ad un’informativa da rendere a dipendenti ed ai Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Salvo proroghe, con la fine dell’emergenza sanitaria, 31 gennaio 2021, tutto tornerà in modalità ordinaria con il ripristino del lavoro con le stesse modalità antecedenti a questa situazione sanitaria emergenziale, ma il governo lascia una porta aperta a tutti i datori di lavoro e ai lavoratori che vogliano continuare in modalità autonoma questa possibilità lavorativa. Nei confronti dei lavoratori disabili, ma non solo loro, sarà possibile stipulare degli accordi aziendali con le rappresentanze sindacali della stessa azienda o rappresentanze territoriali che regolamentino il ricorso allo smart working.

L’azienda, anche in regime di Smart Working, nei confronti dei lavoratori è tenuta a garantire la loro salute e sicurezza, ma non solo, il datore di lavoro è responsabile del funzionamento, manutenzione, installazione e della sicurezza degli strumenti tecnologici qualora vengano affidati al dipendente per lo svolgimento della prestazione da remoto.

Molte sono le tematiche che si potrebbero trattare su questo argomento come l’aspetto sociale, l’isolamento del lavoratore, la produttività, l’abbassamento del concetto di Team Working, la comunicazione interpersonale o argomenti tecnici come configurare un PC, le modalità di connessione o le problematiche tecniche dovute a questo operare come Home Office, tutto ciò è stato trattato durante il Webinar, voglio solo nominare il moderatore Michele Landolfo e i relatori con i loro significativi interventi:

Valter Calò. Smart working: Dalle criticità alle opportunità.

Chiara Tirelli. Normativa sull’aggiornamento del posto operatore per persone non vedenti e ipovedenti.

Giuseppe Fornaro. Gruppi di auto aiuto e comunità. Superare la pandemia insieme.

Vito Saladino. Lavorare all’interno di un ospedale, dal centralino al front office.

Paolo Maggia. Come preparare il Computer di una persona non vedente e ipovedente? Quali software accessibili per fornire assistenza informatica da remoto.

Guglielmo Boni. Lavoro al centralino con Skype for business e teams, formazione personalizzata e guidata a distanza.

Vito Rafaschieri. Esempio funzionale dell’utilizzo di una work station postazione di lavoro per ufficio e casa.

Kedrit Shalari. L’esperienza diretta di chi ha vinto la sfida di un concorso pubblico.

Sauro Cesaretti. (accessibility days) abbattere le barriere digitali.

Rossy KK e Silvia Fattori quali sono le risorse e le competenze necessari per affrontare questo periodo di cambiamenti?

Il futuro del digitale? Chiedilo a chi non vede!, di Gigio Rancilio

Autore: Gigio Rancilio

“Se vuoi sapere come sarà la tecnologia del futuro, chiedilo a qualcuno che non può vedere”. Sembra una frase slogan, buona per una pubblicità o un film.

Ma non è uno slogan: il suo autore, Will Butler, ne è completamente convinto. Lui è uno scrittore, un giornalista e un autore di podcast, ma soprattutto è il vicepresidente di Be My Eyes (“Sii i miei occhi”), la più grande comunità sulla cecità al mondo. Non vedente dall’età di 19 anni, Butler è ai vertici di “una piattaforma digitale di supporto in cui più di 4 milioni di persone e aziende aiutano gli utenti non vedenti in quasi 200 lingue”.

Su cosa basa la sua tesi Butler?

“Negli ultimi 10 anni – ha scritto su TechCrunch – questo tipo di tecnologia è letteralmente decollata. Anche se inizialmente è stata sviluppata da e per le persone con disabilità, ora è utilizzata da tutti, indipendentemente dal fatto che una persona sia o non sia disabile”.

Quella che viene definita “la tecnologia senza occhi” tocca davvero ogni parte delle nostre vite. “Spesso – ha spiegato Butler – gli inventori di questo tipo sono mossi dalla sincera voglia di aiutare i bisognosi, ma oggi sappiamo che le loro invenzioni per migliorare la vita dei non vedenti hanno creato nuove capacità per tutti e aperto strade verso un’innovazione imprevedibile”.

L’elenco che fa Butler delle invenzioni per non vedenti che oggi sono usate da tutti è illuminante. “Un tempo avere un assistente tecnologico personale sembrava un miraggio”. Oggi chiunque di noi può usare la voce (su un cellulare o grazie agli assistenti vocali) per comandare tanti oggetti tecnologici, ascoltare musica, comandare gli elettrodomestici o per farsi leggere siti web, articoli o riviste. Per non parlare degli audiolibri. Sviluppati per i non vedenti già nel 1934 e osteggiati a lungo dall’editoria, oggi, almeno in America, sono un business in crescita.

Sono cose che diamo per scontate, ma che dimostrano appieno la tesi di Butler. Per questo sarà particolarmente interessante seguire Sight Tech, la prima conferenza mondiale virtuale (cioè, online) su questi temi che si terrà il 2 e 3 dicembre, con alcune delle figure più importanti del mondo tecnologico (la registrazione è gratuita, si può farla online qui tinyurl.com/y3sfzxwo ). “Parleremo di passato, presente e futuro della progettazione delle tecnologie per i non vedenti e come questo abbia influenzato le vite di tutti” spiega Butler. Che racconta anche una parte dei temi che saranno trattati al Sight Tech. Si parlerà, per esempio, di come raggiungere una mobilità perfetta. “Per molti l’auto a guida autonoma è un lusso promesso da tempo. Per quelli di noi che non possono ottenere la patente di guida, è la chiave per un livello di indipendenza senza precedenti”. Allo stesso modo, si discuterà di come rendere le mappe digitali ancora più utili e accessibili ai non vedenti (e a tutti). Si discuterà di come a battere le discriminazioni e le difficoltà presenti nelle tecnologie. Si discuterà di come l’intelligenza artificiale sia uno dei pilastri del futuro di tutti ma anche – e soprattutto – di come realizzare macchine, programmi e servizi che non ereditino i nostri pregiudizi culturali sugli handicap e non solo su quelli.

Si discuterà di come l’accesso alle informazioni sia un diritto civile; quindi, si analizzerà quanto siano fruibili i siti e i servizi di informazione per i non vedenti e per chiunque abbia problemi di vista (e non solo), e quindi di quale sia la strada da prendere per migliorare ancora. “Tanto più – spiega Butler – che i siti d’informazione organizzati per venire incontro ai non vedenti nel modo migliore sono quelli più apprezzati da tutti gli utenti”.

Insomma, più si entra nelle pieghe del Sight Tech e più la tesi di Butler sembra valida: se vuoi vedere il futuro della tecnologia, chiedi a un non vedente.

Gigio Rancilio.

Fonte: https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/il-futuro-del-digitale-chiedilo-a-chi-non-vede

Articolo del 27/11/2020

Le 1000 facce dello smart working: Come una persona con disabilità visiva “sopravvive” al tempo del Covid19, di Valter Calò

Autore: Valter Calò

Seminario HANDImatica

Siete tutti invitati a seguire questo importante e attuale seminario che approfondirà in tutti i suoi risvolti lo Smart Working.

Giorno: sabato 28 novembre

Orario: inizio ore 15:00 fine ore 18:00

Questo confronto si svolgerà internamente ad una delle manifestazioni del settore più conosciute a livello nazionale,

HANDImatica 2020

Tecnologie digitali per la comunità fragile

XII° Edizione online – 26|27|28 novembre

A fondo pagina trovate:

Link di accesso al seminario tramite la piattaforma Zoom, contatti di riferimento UNIVERSALACCESS, per tutti i chiarimenti sul seminario, link del programma handimatica 2020.

Presentazione e programma:

Si fa un gran parlare di Smart Working tra mezzi di comunicazione, aziende e Pubbliche Amministrazioni. La recente emergenza Coronavirus ha fatto emergere moltissime problematiche. In Italia la quasi totalità degli enti pubblici e privati non era preparata al lavoro agile.

https://universalaccess.it, sito di riferimento in Italia sulle Tecnologie Assistive per le persone non vedenti e ipovedenti, porta ad handimatica esempi virtuosi di persone che sono riusciti ad affrontare nei migliori dei modi il periodo di smart working, perché lavorare a distanza si può!!!

Non dimentichiamo però le criticità del lavoro in presenza come la questione dell’accessibilità dei software, la mancanza delle assunzioni, il rinnovo delle competenze professionali.

MODERATORE: Michele Landolfo. cambiare lavoro? Lasciare il pubblico per il privato.

Relatori:

Valter Calò. Smart working: Dalle criticità alle opportunità.

Chiara Tirelli. Normativa sul aggiornamento del posto operatore per persone non vedenti e ipovedenti.

Giuseppe Fornaro. Gruppi di auto aiuto e comunità. Superare la pandemia insieme.

Vito Saladino. Lavorare all’interno di un ospedale, dal centralino al front office.

Paolo Maggia. Come preparare il Computer di una persona non vedente e ipovedente? Quali software accessibili per  Fornire assistenza informatica da remoto.

Guglielmo boni. Lavoro al centralino con Skype for business e teams, formazione personalizzata E guidata a distanza.

Vito Rafaschieri. Esempio funzionale  dell’utilizzo di una work station  postazione di lavoro per ufficio e casa.

Kedrit Shalari. L’esperienza diretta di chi ha vinto la sfida di un concorso pubblico.

Sauro Cesaretti. (accessibility days) abbattere le barriere digitali.

Rossy KK e Silvia Fattori quali sono le risorse e le competenze necessari per affrontare questo periodo di cambiamenti?

SESSIONE DI DOMANDE E RISPOSTE

Entra nella riunione in Zoom:

https://us02web.zoom.us/j/82464382343?pwd=dHZIRHkvQ0gzbU1ORkFTQnpxdHRCdz09

Per qualsiasi comunicazione:

info@universalaccess.it

Telefono: 3282958037

WhatsApp: 3282958037

Link della manifestazione handimatica

Programma Webinar: https://www.handimatica.com/programma-2020/

Buon seminario a tutti!

L’App che vede al posto tuo: Be My Eeyes, di Miriana Kuntz

Autore: Miriana Kuntz

Immaginatevi il giorno in cui, scendendo dal letto, i miei occhi non hanno visto più niente.

È quello che è successo a Hans Jorgen Wiberg, che a 25 anni ha iniziato a perdere la vista. Qualche anno più tardi ha ideato Be My Eyes, l’app che permette ai ciechi o agli ipovedenti di riacquistare un po’ della loro indipendenza.

Provata sulla sua pelle la vergogna di chiedere aiuto costante ad amici e parenti, Wiberg, ebbe l’intuizione improvvisa: creare un’applicazione che potesse connettere i non vedenti ai vedenti volontari 24 su 24.

L’app nel dettaglio.

L’ applicazione è disponibile sia per iOS e sia per Android. Dopo aver scaricato e installato l’app ci si può registrare come non vedente o volontario vedente. Per quanto riguarda l’utenza con problemi visivi, il gioco è semplice. Basterà aprire l’app, premere un tasto, ed essa chiamerà il primo volontario disponibile. Per quanto riguarda la prospettiva volontario, le chiamate arriveranno nella fascia oraria dalle 8 alle 21. Rispondere non sarà obbligatorio, poiché l’app dispone di una lunga gamma di volontari che possano prendere il posto del volontario uscente.

L’app è stata lanciata nel 2015, e ad oggi la comunità di Be My Eyes si è estesa in 150 paesi con oltre 180 lingue. Sono 104mila gli utenti non vedenti registrati all’app, tra cui 1500 italiani. 1,8 milioni invece il numero dei volontari, di cui 22mila italiani. L’utilizzo dell’app è gratuito, e non c’è alcun limite di durata o di frequenza di chiamate.

Gli utilizzi sono i più disparati, come spiega il fondatore Wiberg. Le chiamate durano dai tre minuti ai pochi secondi. L’utenza non vedente chiama per controllare la scadenza del cibo, ritrovare oggetti persi per la casa, farsi descrivere un abito o una forma. Ma anche per trovare una strada, controllare se le luci sono accese, o preparare insieme la cena. Attraverso una videochiamata, si riacquista quindi un pizzico di autonomia.

Aiuto aziendale.

A fare da spalla ai volontari normovedenti, c’è l’aiuto specializzato. All’interno dell’app, infatti, è possibile utilizzare una funzione aggiuntiva, la quale offre una comunicazione diretta con l’agente dell’assistenza clienti di una certa azienda. Il sistema sarà assolutamente lo stesso, con la differenza che a rivestire i panni del volontario, sarà un agente rappresentante della società, che potrà aiutare con soluzioni ancora più rapide. Ovviamente, nell’app, è presente un elenco di aziende che avranno aderito all’iniziativa, con una lista di servizi, orari e lingue supportate.

Altre applicazioni per utenza con problemi visivi.

Sono molte le applicazioni che ad oggi arginano il disagio e le difficoltà di chi vive con un problema visivo parziale o totale.

Seeing AI: quest’applicazione disponibile per iOS, e sviluppata da Microsoft, sfrutta l’intelligenza artificiale per trasformare il mondo visivo in un’esperienza uditiva. L’obiettivo della fotocamera descrive volti, oggetti, legge testi, interpreta persino le emozioni delle persone attraverso un’analisi facciale. Oltre alla decifrazione monetaria.

La mobilità è affidata all’app WalkyTalky, che sfruttando Google Maps, permette alle persone con disabilità visive di muoversi all’interno di una città, sotto indicazioni precise del GPS. Funzioni simili anche quelle dell’applicazione Arianna, ideata dai ricercatori dell’università di Palermo.

Niente paura per il buon gusto. Cromnia, un’app a pagamento di iOS,  che attraverso il puntatore della fotocamera, è in grado di riconoscere il colore dei vestiti, l’intensità, e persino la fantasia A Light Detector, è affidato invece un compito casalingo. L’app, infatti, disponibile per iOS, permette di capire se le luci di casa sono accese o meno, emettendo un suono più o meno acuto a seconda della quantità di luce che riesce a captare.

Le radici della videotelefonia.

Ma se tutto questo è possibile, se l’app Be My Eyes riesce a connettere volontari con fruitori, è senz’altro grazie all’utilizzo di una videochiamata.

Tale tecnologia affonda le sue radici in campi antichissimi.

Sono passati, infatti, cinquant’anni dalla prima videochiamata. Era mercoledì primo luglio del 1970, quando negli Stati Uniti, AT&T lanciava sul mercato un apparecchio chiamato Picturephone Mod II. La prima videochiamata avvenne nell’auditorium del quartier generale di Bell Telephone a Pittsburgh. Il sindaco Peter Flaherty, chiamò l’amministratore delegato di Alcoa John Harper, pronunciando la famosa frase: “Buongiorno, John, hai un bell’aspetto stamattina “.

L’apparecchio altro non era che un ibrido tra un telefono e un televisore. Lo schermo in bianco e nero misurava 5.5 pollici, con un aggiornamento delle immagini pari a 30 fps. La qualità video potrebbe essere paragonata a quella di un sensore odierno da 0,8 megapixel. Tale tecnologia, seppur ad oggi considerata modesta, all’epoca era un vero e proprio lusso, così come lo era la tariffa mensile, circa 160 dollari, mille dollari odierni. Nel giorno successivo, furono otto, le aziende che decisero di comprare l’apparecchio, per un totale di 38 vendite.

Nonostante l’apparecchiatura fu accolta con successo dalle grandi aziende, essa, non ebbe lo stesso fiorente destino per quanto riguarda gli acquirenti meno facoltosi. Il PicturePhone Mod II, si rivelò infatti, un flop. Agli inizi del 1973, le unità vendute erano solo 453, disattendendo le previsioni aziendali con oltre 500 milioni di dollari investiti. Il progetto fu abbandonato, fino ad essere ripreso negli anni novanta.

Anche il modello I della stessa apparecchiatura, non ebbe una florida espansione, basti pensare che per una videochiamata da tre minuti da Washington a New York il costo si aggirava sui 16 dollari, decisamente prezzi proibitivi rispetto ad una classica chiamata a gettoni.

Tuttavia, la storia delle videochiamate non inizia cinquant’anni fa, nel 1927, infatti, la stessa AT&T, testò l’ikonofono, un apparecchio di grosse dimensioni che scambiava segnali audio come un normale telefono, ma operava sul canale video. Negli stessi anni, in Germania, venne creato un sistema di videoconferenza a circuito chiuso che da Berlino riusciva a trasmettere segnali video fino a Lipsia tramite un lunghissimo cavo coassiale.

Per terreni fertili, la videotelefonia, dovrà certamente attendere gli anni duemila. Grazie alla diffusione della Rete, e di dispositivi quali webcam e software appositi, si è resa tale pratica, finalmente alla portata di tutti.

Intervista a Rosa Gavitone, l’ipovedente che sognava di diventare una pittrice.

Tornando al presente, è doveroso sottolineare ancora una volta, l’importanza delle app, che ad oggi, attraverso il sistema di video trasmissione, permettono di abbattere le barriere strutturali che allontanano normovedenti da ipovedenti o ciechi. Per l’occasione abbiamo intervistato una fruitrice dell’app Be My Eyes, che con ironia ci ha parlato delle problematiche e degli aiuti collegati alla sua ipovisione.

– Quando sei diventata ipovedente e come lo hai capito?

– Mi chiamo Rosa Gavitone, ho 25 anni, e sono diventata ipovedente all’età di 20 anni, a causa dell’uveite. Ho capito che c’era qualcosa che non andava nel momento in cui non riuscivo a fare le cose che prima facevo quotidianamente, come leggere e camminare da sola per strada. Iniziavo ad inciampare nei marciapiedi e a non vedere gli ostacoli. Era diventato per me impossibile fare entrambe le cose senza l’aiuto di qualcun altro.

– Come hai scoperto l’app Be my eyes?

– L’app l’ho conosciuta sotto consiglio di altra gente, gente che come me viveva la stessa esperienza di ipovisione. Nonostante tutti ne parlassero molto bene, ero un po’ scettica all’inizio, ma è bastato qualche utilizzo per capire che la sua fama era costruita sul vero, perché è un’app che ad oggi, reputo davvero utile.

– Come ha cambiato la tua vita?

– Prima di conoscere l’app avevo alcune difficoltà nelle azioni quotidiane, come ad esempio riconoscere il colore di un vestito, poiché il mio problema visivo, non mi permette di distinguere colori similari, e quindi ero costretta a chiedere sempre aiuto a terzi. Grazie all’app riesco ad essere maggiormente indipendente, senza necessitare di un aiuto continuo da parte di altri.

– Per un cieco o un ipovedente, l’imbarazzo “dipendenza” viene superato grazie a quest’app?

– In gran parte sì, è come avere un accompagnatore che ti aiuta in ogni circostanza, sia in faccende casalinghe e pratiche, come ad esempio la lettura delle scadenze alimentari, e sia fuori casa come il riconoscimento ad esempio dei prodotti da acquistare. Per di più l’app ha una funzione che ti permette di contattare l’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti), in modo che se non puoi recarti fisicamente presso le associazioni, puoi utilizzare questa funzione per chiedere informazioni sia di tipo tecnologico che burocratico.

– Racconta una tua esperienza divertente durante l’utilizzo di quest’applicazione .

– Una delle esperienze più divertenti è stata senz’altro una: un giorno mi è scivolato il tappo della bottiglia dalle mani. Gli oggetti di piccole dimensioni sono difficili da vedere per me, in genere tramite il suono riesco a capire dove è caduto l’oggetto. Il problema viene nel momento in cui vai “verso il rumore” e non trovi l’oggetto, lì sei costretto a tastare, a mettere le mani ovunque. Per evitare di iniziare la ricerca al buio, ho deciso di utilizzare l’app.  Dall’altra parte c’era un uomo. Io e lui abbiamo iniziato la ricerca assurda di questo tappo, dopo un bel po’ l’abbiamo trovato insieme. E tutto questo strappa assolutamente un sorriso.

– Quando dall’altra parte risponde qualcun altro c’è imbarazzo o voglia di creare un legame?

– All’inizio, come un po’ tutte le cose, l’imbarazzo c’è, io ne ho avuto anche tanto, anche perché quando avvii una videochiamata, non sai chi può esserci dall’altra parte, quindi ti ritrovi con uno sconosciuto che ti dà una mano. D’altronde quando scarichi l’app, essa ti fa scegliere se partecipare come volontario o fruitore, quindi immagino che come me anche chi ha deciso di essere un volontario sia stato in imbarazzo. È tutta questione di prime volte, poi ci si prende la mano.

– Be my eyes potrebbe avere qualche altra funzione che a te serve?

– No, credo che l’app dia tutto l’aiuto e il sostegno possibile ai ciechi e agli ipovedenti, ovviamente in formato digitale.

– Come spieghi in parole povere l’ipovisione o la cecità ad un normovedente?

– Mi è capitato di incontrare persone che non conoscevano nemmeno il significato della parola ipovedente. Quindi, quando mi chiedono Rosa come vedi e cosa vedi? Io faccio sempre un esempio: è come vedere con i vari effetti delle app di editing immagine. Per quanto riguarda un cieco, è altrettanto difficile far capire alle persone cosa significhi vedere il nulla, quindi il tutto viene esemplificato con la parola buio, le persone cieche vedono letteralmente il buio.

– Il covid ti ha relegato in una maggiore solitudine?

– Anche se non riesco a stare fisicamente insieme ai miei amici, io come gli altri ragazzi, con l’ausilio della tecnologia e delle app di messaggistica istantanea, come WhatsApp, e le varie funzioni di accessibilità presenti sia sul telefono che sul computer, riesco ad essere sia in contatto con i miei amici e sia con i parenti che non riesco a vedere, detto con sarcasmo, si intende.

– Quali sono i principali problemi di accesso ad Internet per un ipovedente?

– I problemi cambiano in base al tipo di ipovisione. Non tutte le persone ipovedenti vedono nello stesso modo, quindi andrebbero create soluzioni ad hoc per ogni tipo di persona. Personalmente credo che ogni sito internet dovrebbe avere l’accessibilità adatta per i fruitori ipovedenti, come ad esempio contrasti di colore specifici, come l’apposizione di una scritta di colore bianco su sfondo nero, in modo tale da mettere in evidenza il testo.

– Per onore di cronaca, come è l’esperienza Instagram e TikTok per una ragazza ipovedente? Quali sono i limiti e quali invece le concrete possibilità che riescono ad offrire?

– Ovviamente qualsiasi cosa che riguarda il mondo dei fotogrammi video o quello delle foto per un ipovedente è un problema. Per fortuna Instagram ha aggiunto una funzione che permette anche ai ciechi e agli ipovedenti di riconoscere più facilmente le immagini. Quindi i limiti che prima si stagliavano per chi si accingeva ad usare una app come quelle citate, sono drasticamente diminuiti. Ovviamente tale funzione Instagram funziona solo se tutte le persone aggiungessero alle loro foto il cosiddetto “testo alternativo”, il quale è un testo atto a descrivere effettivamente cosa è presente in una data immagine: oggetti, persone, luoghi. Per quanto riguarda TikTok il discorso è diverso, poiché per quanto mi riguarda c’è meno accessibilità: se appaiono dei video prettamente “parlati” è facile per un ipovedente o cieco capire il senso del discorso, ma se il video non presenta parti audio significative per noi la comprensione è assolutamente ardua. Il fattore positivo dei social in generale, è che quando decidi di esporti e farti conoscere, appunto le persone ti conoscono, così come è successo a me, parlando della mia ipovisione, sono riuscita a fare amicizia con persone come me, le quali comprendevano i miei disagi e questo mi ha fatto capire una cosa importante che prima perdevo di vista: non siamo soli in questo mondo.

– Oltre Be My Eyes, esiste un’innovazione tecnologica che ti ha permesso di avere maggiore autonomia? Se si quale e in che modo?

– Oltre l’app Be My Eyes, utilizzo anche l’app Sullivan Plus, una app che riesce a leggere il testo in un’immagine e anche i file pdf. Ovviamente lo utilizzo quando i documenti sono piuttosto privati. Il telefono stesso è fondamentale, infatti, da quando sono ipovedente, è diventato il mio migliore amico, perché riesce a fare quello che i miei occhi non riescono più a fare, quindi lo porto sempre con me, in modo che possa aiutarmi in qualsiasi circostanza.

– C’è qualche sogno che coltivavi prima e che in seguito all’ipovisione hai dovuto mettere da parte?

– Sì, volevo diventare un’artista, una pittrice, volevo dipingere olio su tela, quadri realistici. Ovviamente perdendo la vista, non posso più farlo, e questo ovviamente mi rattrista molto. Il fatto è che pur essendoci oggetti che facilitano la visione, come il disegno digitale, non è quello che volevo fare. Io volevo essere una pittrice nel vero senso della parola.

– Quanto sono importanti le innovazioni tecnologiche nella vita di chi vive con una disabilità?

– Sono importantissime, perché quando sei disabile, e ti rendi conto di essere diverso dagli altri, si creano inevitabilmente delle distanze dovute da tanti fattori. Con questi mezzi tecnologici, tali distanze, si accorciano, e tutta la diversità sopracitata smetti di sentirla. Proprio come affermava Alexander Graham Bell “Arriverà un giorno in cui un uomo al telefono sarà in grado di vedere la persona distante con cui sta parlando” che sia per motivi tecnici come nel caso di Be My Eyes, o che sia solo per tenerci banalmente in contatto, come durante il lockdown, ad oggi la visione futuristica di Bell è una realtà fondamentale. Perché anche quando non riusciamo a stare insieme, riusciamo a vederci, e chi invece non vede, in questo modo ha la possibilità di prendere in prestito un paio di occhi.

Fonte: https://www.kompeterejournal.it/

Matera – Terza giornata sulle tecnologie Assistive

Dopo le due giornate in cui si è discusso su integrazione scolastica, aspetti legati alla psicologia e Pedagogia delle diverse modalità del funzionamento della persona non vedente, la tecnologia applicata all’autonomia individuale attraverso il sistema LETIsmart, nella mattinata del 28 ottobre, dalle ore 09.30 alle ore 12.30, il Relatore dr. ing. Giuseppe ROSSINI, Esperto nelle tecnologie Assistive Ciechi e Pluridisabili ci parlerà di “Ausili per disabili visivi: tra autonomia ed integrazione”, racchiuderà le conoscenze tiflologiche che assicurano oggi i non vedenti e ipovedenti nel loro orientamento formativo, professionale e di vita.

Piattaforma Google Meet ai seguenti codici: ID riunione: meet.google.com/tjz-wfcf-qff

Numeri di telefono

(‪IT)‪+39 02 3046 1956

PIN: ‪415 631 349#

Smart Working parte seconda: la PA e i dipendenti non vedenti, di Carlo Sist

Autore: Carlo Sist

Notizie da Hardware Upgrade – Il Sito Italiano sulla Tecnologia, https://www.hwupgrade.it/

Smart working Seconda parte – P.A. e dipendenti non vedenti. Un’opportunità?

Faccio una piccola premessa per darvi il senso di questo mio articolo.

La volta scorsa sul numero 11 del 15 giugno 2020 della rivista “Uiciechi.it”, per chi non lo avesse letto, di seguito il link diretto: http://www.uiciechi.it/servizi/riviste/TestoRiv.asp?id_art=23742 , abbiamo letto come questa novità portata dalla pandemia, ha introdotto un cambiamento epocale. Capito un po’ come il settore privato lo ha interpretato.

Ora, passando alla P.A., per i non vedenti lavoratori pubblici, vi è una grande novità. Possono interagire in modo diretto con le scelte future su questa modalità di lavoro.

Il Ministro della Funzione Pubblica, intercettando la difficoltà per la P.A. ad adeguarsi, da la possibilità ai suoi dipendenti di interagire fattivamente con chi dovrà decidere la politica del lavoro nella P.A. negli anni a venire.

Posso solo suggerirvi, se me lo permettete, di leggere tutto quanto quì messo a disposizione e cogliere questa inaspettata occasione, quindi partecipare al sondaggio ministeriale pensando ai temi a noi più sensibili e utili, uno per tutti, l’accessibilità.

Di seguito:

– Comunicato Ministro Funzione Pubblica;

– Due autorevoli esempi;

– Aspetti pratici e normativi;

– ParteciPA.

Buona lettura.

Smart working: cosa succederà dopo la fase 2

4 Giugno 2020

Incrementare la percentuale minima del lavoro agile ad almeno la metà delle attività smartabili: è l’obiettivo a regime del ministro della Pa Fabiana Dadone. Il lavoro agile, o ‘smart working‘, si è rivelato uno strumento chiave nel periodo cruciale del lockdown: ha infatti consentito a molti lavoratori pubblici e privati di svolgere le proprie mansioni da casa e ha garantito la continuità di proseguimento delle attività amministrative di molti uffici, aziende e studi professionali.

Inoltre, con la diminuzione degli spostamenti e dei contatti interpersonali in presenza, ha aumentato la possibilità di protezione del contagio. Ora nella fase 2 avanzata, con la ripresa a regime di tutte le attività produttive, ci si interroga su cosa succederà a questa metodologia di lavoro agile, che il Decreto Rilancio ha configurato come un diritto per i genitori di figli minori di anni 14, anche per i lavoratori del settore privato. Oggi il ministro della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, è intervenuta al ‘question time’ al Senato e nell’Aula ha fornito le risposte a questi interrogativi sulla prossima evoluzione dello smart working, che ci vengono resocontate dall’agenzia stampa Adnkronos.

«A regime intendo incrementare il ricorso al lavoro agile non solo aumentando la percentuale minima del personale, che ricordo a norma vigente essere pari al 10%, ma soprattutto prevedendo che ciascuna amministrazione, individuate le attività c.d. smartabili, attivi la modalità agile ad almeno la metà di esse», ha affermato Dadone delineando gli obiettivi da raggiungere.

«Ad oltre un anno dall’ultima rilevazione sull’applicazione del lavoro agile nella Pa, ho ritenuto importante, già prima dell’emergenza epidemiologica, che fosse avviato il nuovo monitoraggio tuttora in corso, i cui primi risultati saranno resi disponibili entro il mese. A questo ho inteso affiancare due specifiche consultazioni rivolte rispettivamente ai dirigenti e al personale non dirigenziale, destinate a rilevare le opinioni, i giudizi e le valutazioni sulle esperienze applicative durante l’emergenza Covid-19 e, soprattutto, le loro aspettative e le eventuali indicazioni per accompagnare, sostenere e promuovere la diffusione della modalità agile», ha proseguito il ministro.

«I dirigenti pubblici, in particolare, sono i principali attori dell’organizzazione e della attuazione del lavoro agile, in qualità di promotori, gestori e valutatori dei risultati – ha aggiunto. Il mio obiettivo, dunque, non è solo quello di incrementare tout court il lavoro agile, ma di condurre la Pa verso una rivoluzione culturale, prima ancora che organizzativa, che ponga al centro dell’attività il prodotto e il conseguimento di risultati, in una cornice di accresciuta consapevolezza, soprattutto da parte della dirigenza pubblica, delle potenzialità del lavoro agile e delle rinnovate esigenze organizzative che ciascuna amministrazione è tenuta a compiere per realizzarlo pienamente».

«Per questo – ha affermato il ministro -ritengo altrettanto cruciale una formazione adeguata sia dei dirigenti che del personale non dirigenziale, e la verifica periodica della prestazione dei lavoratori in smart working, nel rispetto dei parametri temporali e del diritto alla disconnessione, onde scongiurare i rischi di una disponibilità illimitata».

Perciò, fino alla conclusione dell’attuale fase 2, «il ricorso allo smart working, così come la percentuale di applicazione, nel periodo in corso risulta, naturalmente, forzato da cause di necessità. Resta inteso, come già previsto dalle disposizioni del c.d. decreto Rilancio, e nel rispetto dei protocolli di sicurezza sanitaria, che le amministrazioni pubbliche adeguino la organizzazione degli uffici e del proprio personale alle esigenze delle imprese e dei cittadini dettate dal progressivo riavvio delle attività produttive e commerciali”, ha aggiunto Dadone.

«L’obiettivo primario del lavoro agile nell’immediato futuro è quello di migliorare l’organizzazione dell’amministrazione pubblica, al fine di raggiungere il punto di equilibrio tra la maggiore efficienza dei servizi resi alla collettività ed il benessere organizzativo interno,che, come già rilevato, può contribuire a maggiori risparmi da parte delle amministrazioni e ad una migliore sostenibilità in termini di impatto ambientale», ha concluso il ministro.

Fonte: comunicato stampa.

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Smart working  – Fattore culturale anche per la P.A.

Il virtual Desktop nella pubblica amministrazione: l’esperienza di Nutanix.

16 giugno 2020

Anche la pubblica amministrazione ha dovuto attivare le politiche di smart working durante l’emergenza COVID-19. Nutanix ha organizzato un incontro con due esponenti della PA italiana per analizzare cosa è stato fatto.

Durante i mesi di lockdown il mondo del lavoro non si è fermato del tutto e molte realtà hanno proseguito a fare business, anche se in maniera necessariamente differente. Non fanno eccezione le Pubbliche Amministrazioni, che in breve tempo sono riuscite a organizzarsi per continuare a offrire i servizi al cittadino, nonostante anche i dipendenti pubblici lavorassero da remoto.

Nutanix ha organizzato un incontro virtuale al quale hanno partecipato Luca De Pietro,  Direttore UO Strategie ICT e Agenda Digitale di  Regione  Veneto e  Daniele Lunetta, Dirigente dell’ufficio Digitalizzazione e innovazione tecnologica del  Ministero del lavoro  e delle politiche sociali.

Lo smart working e le PA

Spesso si parte dal presupposto che le Pubbliche Amministrazioni siano delle entità piuttosto arretrate, ma parlando con De Pietro e Lunetta, emerge un quadro differente: gli enti da loro curati, infatti, stavano già lavorando da tempo a dei progetti di lavoro agile, non ancora pienamente implementati, ma comunque in sviluppo. Quando è entrato in vigore il lockdown, il lavoro fatto in precedenza è stato fondamentale e ha permesso di potersi muovere in fretta e reagire efficacemente alla crisi. “Quando il governo ha iniziato a dire che era necessario lavorare da remoto avevano già un progetto di lavoro agile, esteso a un centinaio di persone che un giorno alla settimana lavoravano smart” – ha spiegato Luca de Pietro.

Purtroppo, solamente 600 dipendenti su 3.000 avevano un portatile, quindi l’istituto si è dovuto attivare per procurarli il più velocemente possibile, e nel frattempo molti hanno tamponato usando i loro dispositivi personali. “Eravamo più pronti sotto il profilo del data center che sulla capacità personale. Stiamo ancora riflettendo su questo elemento. Abbracciare il lavoro agile vuol dire anche mettere mano alle postazioni delle persone”. De Pietro durante l’intervento ha sottolineato l’importanza di ripensare non solo alle modalità (cioè, permettere ai dipendenti di lavorare fuori sede) ma anche i processi. “Lavoro agile non è lavoro remotizzato”, ha affermato, un concetto importante, sul quale si è soffermato anche Alberto Filisetti,  Country Manager di Nutanix. 

Anche  Daniele Lunetta condivide la della stessa opinione, e ha sottolineato come ormai il problema non sia più tecnologico, ma di mentalità e di infrastruttura. La mentalità di cui parla è quella dei dirigenti, degli amministratori, che solo in alcuni casi hanno compreso l’importanza di ripensare l’intero modello di lavoro delle PA, “sfruttare la tecnologia per ripensare un modello operativo”. A questo si aggiunge il limite delle infrastrutture, che in certe aree di Italia impediscono di remotizzare il lavoro: per poterlo fare, sono prima necessari importanti investimenti per portare la connettività dove manca, perché non dobbiamo dimenticare che le regioni non sono fatte solo di capoluoghi, ma anche di tanti paesi, spesso sparsi per il territorio, dove la fibra rimane un miraggio.

Per quanto riguarda le infrastrutture c’è un piano nazionale, ma prima del 2022 non si vedranno i risultati. Sotto il profilo delle competenze e della cultura, invece, secondo Daniele è la politica che deve darsi da fare, vincendo le tante resistenze che ancora oggi ci sono, anche da parte dei sindacati: “La cultura passa anche dalla governance politica, e se non leghi lo smart working con una cultura del lavoro, non puoi avere successo” – chiosa Daniele – “Bisogna togliere alibi politici. Realizzare strumenti efficaci, altrimenti si vede una strada che va verso le tutele e non verso la crescita”.

Una riflessione mi giunge doobbligo, quanta verità in queste testimonianze. Tanti non vedenti che lavorano nelle P.A. lo sanno bene quanta difficoltà incontrano nel richiedere digitalizzazione, accessibilità ed innovazione, ma sopra tutto, approccio culturale innovativo da parte della classe dirigente del paese con cui spesso dobbiamo lottare per ottenere il lavoro agile. Un assurdo tutto italiano,  significa tra l’altro, applicare la normativa vigente emanata dal Governo con i Decreti “Cura Italia” e “Rilancio”, decreti nn. 30 e 34/2020, Atto che per la dirigenza di un paese, dovrebbe trovare immediata applicazione, essendo mero adempimento rispetto alla normativa emanata a livello centrale.

Chi scrive è uno di questi lavoratori non vedenti della P.A. che ha dovuto lottare per chieder l’applicazione della normativa l.a.e..

Speriamo che i nostri sforzi diano un futuro più favorevole con minori difficoltà culturali e tecnologiche.

Fonte: https://edge9.hwupgrade.it/news/innovazione/il-virtual-desktop-nella-pubblica-amministrazione-l-esperienza-di-nutanix_90102.html

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L’inattesa e improvvisa pandemia ha messo in risalto alcuni ritardi già noti nella pubbblica amministrazzione e ha reso più difficile per i lavoratori disabili tutti ed in particolare per chi è affetto da handicap di tipo visivo, muoversi e di conseguenza raggiungere il posto di lavoro ogni giorno. Il distanziamento sociale prevede che si possano vedere le persone che si hanno intorno, che sia possibile leggere i cartelli o notare eventuali segni tracciati sui pavimenti delle ffermate o delle pensiline di bus, treni e metropolitane, che sia possibile sapere quanti posti liberi ci sono su un autobus e così via; tutto ciò è impossibile per la persona non vedente o ipovedente grave che si muove in autonomia con bastone bianco o cane guida. Per chi invece sceglie di usufruire di un accompagnatore, è più complesso trovare persone disposte, anche a pagamento e con le dovute protezioni, ad annullare il distanziamento sociale, a meno che non si tratti di parenti che non sempre ci sono e che comunque non devono essere obbligati a svolgere questo servizio con continuità.

In un’ottica a lungo termine, con la minaccia di un possibile riaffacciarsi del virus, occorre:

1. Che siano rispettati pienamente gli articoli 18 e 19 della legge 22 maggio 2017 n. 81 che prevedono l’implementazione sempre più capillare del lavoro a distanza (smart working o lavoro agile) per tutti i lavoratori, in particolare per i disabili e a prescindere dalla mansione che svolgono.

2. Il ricorso al lavoro a distanza, in particolare nel caso di lavoratore disabile, rappresenterebbe anche per lo Stato, un notevole risparmio per i seguenti motivi:

A. Minor ricorso alla fruizione dell’art.33 commi 2 e 3 della legge 104/92, spesso richiesto dal lavoratore per ridurre lo stress dovuto al recarsi fisicamente in ufficio;

B.  Eventuale  azzeramento del ricorso ai buoni pasto;

C. Riduzione dei rischi di incidenti sul lavoro con conseguenti risarcimenti da parte dell’amministrazione;

D. Minor ricorso allo strumento della malattia nei periodi in cui eventuali accompagnatori non sono disponibili per portare il disabile al luogo di lavoro.

3. accessibilità completa e reale delle piattaforme utilizzate dalla pubblica amministrazione e dei documenti da essa emanati in base alla legge 09.01.2004 n.4 detta anche legge  Stanca; e Dpr n.75/2005.

4. formazione per i dirigenti sulle reali potenzialità dei dipendenti disabili visivi , stipulando anche convenzioni con enti di formazione e associazioni da anni impegnati in tali settori;

5. omogeneità delle strumentazioni presenti nei singoli uffici e consultazione degli enti preposti alla verifica dell’accessibilità ogni qualvolta si debbano effettuare modifiche alle tecnologie utilizzate dal lavoratore affetto da disabilità visiva.

Fonte: normativa vigente.

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Il lavoro agile tra presente e futuro.

Consultazione rivolta ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni

Benvenuto! Questa consultazione è promossa dal Ministro per la pubblica amministrazione per raccogliere informazioni sulle esperienze di lavoro agile in corso nelle amministrazioni pubbliche  e, in particolare, giudizi, valutazioni e proposte di miglioramento di dirigenti e dipendenti pubblici  utili a definire lo sviluppo dei prossimi anni dello smart working e del lavoro pubblico.

La prima fase di raccolta dei contributi inizia l’8 giugno e termina il 31 luglio 2020.

Superata la fase emergenziale, il lavoro agile continuerà ad interessare stabilmente un numero significativo di dirigenti e dipendenti pubblici, costituendo un importante fattore di innovazione organizzativa e culturale, di miglioramento della performance, di sviluppo delle competenze individuali e di conciliazione delle esigenze vita-lavoro del personale della pubblica amministrazione.

Nessuna innovazione è effettivamente e correttamente implementata (solo) perché è prevista da una norma o perché la sua mancata attuazione è sanzionata; tanto meno una politica, quale quella inerente alla innovazione del lavoro pubblico, che ha riflessi sulla gestione dell’attività amministrativa, sulle modalità di erogazione dei servizi, sulla informatizzazione e reingegnerizzazione dei processi e sulla revisione dei sistemi di misurazione e valutazione della performance, individuale e organizzativa.

In questo quadro, la consultazione realizzata dal Dipartimento della funzione pubblica costituirà una fonte informativa importante per alimentare una base di conoscenza a supporto di politiche partecipate di innovazione del lavoro pubblico e per accompagnare, sostenere e promuovere la diffusione dello smart working partendo dall’ascolto di due categorie di destinatari distinti e prioritari:

• i dirigenti pubblici, che sono   direttamente coinvolti nell’attuazione dello smart working, in qualità di gestori di dipendenti che lavorano in modalità agile   e, più in generale, di promotori dei fattori abilitanti (revisione delle modalità organizzative, digitalizzazione dei processi, etc.;

• i dipendenti delle amministrazioni pubbliche, in qualità di “utilizzatori” del lavoro agile e, più in generale, di principali portatori di interesse rispetto ai processi di cambiamento che lo smart working introduce e, in particolare, alla configurazione del lavoro agile del futuro.

Obiettivo dell’attività di consultazione è quindi di rilevare:

• le opinioni e le valutazioni dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni in merito alle esperienze applicative del lavoro agile nella fase di sperimentazione e durante l’emergenza Covid-19 e, soprattutto, le loro eventuali indicazioni per accompagnare, sostenere e promuovere la diffusione dello smart working;

• le opinioni e le valutazioni dei dipendenti che hanno svolto le prestazioni lavorative in modalità agile prima e durante l’emergenza COVID-19, con particolare riferimento al grado di soddisfazione, alla rispondenza dell’esperienza realizzata rispetto alle proprie aspettative, ai punti di forza alle eventuali criticità e ai margini di miglioramento di cui tener conto ai fini di una ottimale applicazione dello smart working nelle amministrazioni pubbliche;

• le aspettative e le eventuali indicazioni di tutti riguardo al “lavoro agile del futuro” e quindi al “futuro del lavoro pubblico”.

Chi può partecipare

La consultazione è rivolta a tutti i dipendenti pubblici e ai dirigenti della pubblica amministrazione.

https://partecipa.gov.it/processes/lavoroagile

Accessibilità,oltre al questionario sopra indicato, è anche possibile  per qualunque segnalazione o suggerimento scrivere a: partecipa@governo.it

Per ulteriori spiegazioni, scrivere a: Carlo Sist, sist.carlo@gmail.com