Candidatura al Consiglio Nazionale UICI, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Chi sono e perché ho deciso di candidarmi.
Mi chiamo Silvana Piscopo, vivo a Napoli, sono una dirigente scolastica in pensione da 4 anni; da pochi mesi faccio parte del consiglio provinciale della sezione UICI di Napoli, ma si tratta di un ritorno a distanza di molti anni, perché ne feci già parte da giovane alla metà degli anni settanta con presidenza Castellucci; dopo l’esperienza di una consiliatura intera, durante la quale mi occupai di problemi legati alla cultura, all’emancipazione femminile, all’autonomia ed indipendenza delle persone cieche, mi distaccai dall’associazione per due ordini di motivi: un motivo di dissenso con la prevalente politica assistenzialistica che, a mio avviso, sanava piccole emergenze dei soci senza, però, curarne la crescita sociale, culturale e di partecipazione consapevole; un motivo personale legato alle mie responsabilità di dirigente dell’unione donne italiane a livello provinciale e nazionale. Inoltre erano anni di grandi utopie di trasformazione culturale ed io, che insegnavo filosofia e storia nei licei, volevo essere in medias-res curando in modo scrupoloso la mia preparazione culturale e metodologica. L’impegno sociale, però, verso le problematiche di cui mi occupavo nell’uici, continuava a far parte della mia vita pubblica, perché di quelle problematiche io non solo ero un esempio tangibile, ma diventavano parte integrante di tutti i miei interventi che facevo nelle scuole in cui insegnavo, nelle organizzazioni politiche in cui militavo. Negli anni novanta, con il superamento del concorso a preside nei licei, mi sono trasferita in toscana e, per la precisione, a Pistoia dove ho presieduto, con impegno, fatica, ma anche importanti soddisfazioni e risultati, un complesso e vastissimo liceo scientifico con molteplici problematiche;
contemporaneamente, accolta con grande cordialità dalla locale sezione UICI, mi sono resa disponibile nel dare un contributo sulle problematiche dell’istruzione cultura ed integrazione delle persone cieche ed ipovedenti del territorio pistoiese.
Ben presto, con il rinnovo delle cariche associative sono entrata a far parte del consiglio provinciale della sezione di Pistoia e, successivamente del consiglio regionale toscano a presidenza Carlo Monti di cui ho un ricordo forte e affettuoso perché mi è stato maestro ed amico; mi occupavo, naturalmente, delle tematiche a me più congeniali e cioè scuola, cultura, integrazione e partecipazione scolastica e sociale dei ciechi ed ipovedenti e, essendo stata designata quale membro dell’esecutivo regionale, potei fare esperienze importanti con tutti i rappresentanti delle varie province su tali problematiche; ho lavorato con impegno e passione e, soprattutto con il gruppo degli amici fiorentini, stabilii una forte sintonia costruendo insieme una vera circolarità nel metodo di lavoro e di proposte innovative. Sono stati, gli anni vissuti in toscana, molto arricchenti per me, considerando anche che ho ricoperto la carica di consigliera provinciale della provincia di Pistoia con responsabilità impegnative:(scuola, cultura, bilancio) e, in tale veste, con la locale sezione provinciale UICI, i fondi della cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, stanziamenti provinciali dal fondo cultura, coordinai una bella attività museale dal titolo “L’arte da toccare-Museo tattile città di Pistoia”, in collaborazione con Ancona, dove il prof. Aldo Grassini, con la sua sapienza, determinazione e passione, aveva già dato vita alle prime fasi del museo Omero, di cui oggi possiamo vantare la bellezza e il valore culturale. Contestualmente entrai a far parte della commissione nazionale per l’istruzione a guida Tioli e, anche con lui ed altre personalità facenti parte del gruppo, come il prof. Bizi, la giovane Annita Ventura, l’amico Paschetta, ho avuto modo di contribuire con impegno e piena libertà di opinione e proposte di attività;
ho, d’altra parte, anche avuto la delusione di sperimentare il costante divario tra le proposte delle commissioni e la scarsa consistenza operativa degli organi decisionali dell’associazione sia al livello centrale sia ai livelli territoriali di molte regioni e province che spesso non fornivano neppure i dati più elementari per permettere diagnosi statistiche, proposte funzionali per rendere esigibili i diritti di studenti e genitori; le commissioni potevano e potranno avere un senso solo se chi governa l’associazione fornirà materiale per lavorare, credibilità verso soci e dirigenti e se saranno dotate di autonomia di scelta sia nelle competenze di cui avvalersi, sia di possibilità di recarsi nei territori per agire da sostegno e formazione di quanti nelle sezioni si occuperanno dei vari settori strategici per la formazione, il lavoro, la crescita sociale e quant’altro abbia a che fare con la vita quotidiana di ciechi ed ipovedenti.
Sono, poi, ritornata a Napoli e, un po’ per ragioni di lavoro, un po’ per difficoltà di contatti con la sezione territoriale, ho vissuto con distacco le vicende sezionali e nazionali per alcuni anni.
Mi sono alquanto impegnata con l’U.N.I.Vo.C. napoletana contribuendo in vari progetti, nella promozione e nella comunicazione: di tale associazione sono la vicepresidente a livello provinciale.
Ciò che mi ha rimotivata alla collaborazione con l’UICI è stato il congresso 2010, soprattutto la sua conclusione che, allora, e ancora oggi a ripensarci, aveva il sapore di una vera e propria caporetto della democrazia interna, considerata la totale esclusione di una minoranza non minoritaria visto che non solo raggiungeva il trenta per cento dei delegati, ma era portatrice di un dibattito di spessore alternativo e non di un banale dossier di provocazioni. Dal 2011, dunque, mi sono inserita nel dibattito associativo ed ho collaborato dall’esterno con il movimento uicirinnovamento; con le ultime elezioni per le cariche associative, essendomi stata proposta la candidatura per la lista guidata da Mario Mirabile, che è l’attuale presidente della sezione napoletana, ho accettato proprio perché ho ritenuto che potessi e dovessi collaborare mettendo a disposizione le mie esperienze professionali, associative, politiche ed umane.
Ora, con questo stesso spirito di servizio, ritengo opportuno mettermi in gioco candidandomi al consiglio nazionale. Ho fiducia nell’attuale presidente nazionale, perché, nonostante i limiti dovuti alle modalità con cui ha assunto questo ruolo, le difficoltà di contesto politico e sociale in cui l’UICI deve operare per la difesa dei diritti acquisiti, sta dimostrando di saper reggere agli impatti difficili e di voler apportare cambiamenti di metodo e di merito. Questa mia candidatura, perciò, vuole essere una testimonianza di disponibilità verso un auspicabile nuovo corso, ma, ci tengo a precisare che, in qualsiasi caso, tale disponibilità rimane intatta indipendentemente dal risultato della competizione elettorale, relativa al consiglio nazionale. Tutti coloro che, come me, hanno avuto l’opportunità di studiare, costruirsi una soddisfacente carriera professionale, una decorosa indipendenza materiale, culturale, economica, sia pure con fatica, sormontando muri fatti di pregiudizi che amplificavano i problemi, devono, a mio avviso, testimoniare con l’impegno attivo la capacità di essere ancora utili alle generazioni nuove, per le quali non si profila un futuro lineare; dobbiamo trovare modalità efficaci a dimostrare, magari attraverso una opportuna terapia di umiltà, che l’UICI non è solo un palazzo cui si viene a chiedere protezione e tutele, ma una grande officina di idee ed azioni in cui ciascuno può trovare uno spazio per costruire il proprio tratto di strada con l’aiuto di tanti, che la crescita di ciascuno coinvolge la crescita anche di altri, che la libertà di ognuno si fonda e si misura sulla e con la libertà di tutti.

Programma

Premessa: nel momento in cui, accogliendo le sollecitazioni di alcuni amici a candidarmi, ho deciso di partecipare a questa competizione, mi sono anche chiesta: “cosa potrò e saprò fare nel caso che divenga parte del Consiglio nazionale?” in realtà io non credo che ciascuno possa scegliere cosa fare, perché in un’associazione come l’Uici, vengono affrontati quotidianamente problematiche molteplici e chi si assume responsabilità deve imparare ad ascoltare, dare risposte credibili, concrete ed utilizzare una forma diretta e semplice di comunicazione: dunque la prima cosa che dovrei fare sarebbe imparare a rapportarmi con le persone con una semplicità e sinteticità di linguaggio, che non sempre mi è propria, data l’abitudine ad intervenire in contesti lavorativi fatti di gruppi omogenei. In secondo luogo devo dire che, indipendentemente da come sarò votata, potrò dare il mio contributo all’Uici nelle forme e nei modi in cui mi sarà richiesto, perché sulle problematiche di istruzione, formazione, cultura e organizzazione scolastica, ritengo di disporre di competenze sufficienti per essere utile a tante sezioni territoriali che, magari, devono affrontare situazioni pratiche, difficili ed immediate per le quali non sempre ci sono persone con adeguate conoscenze a portata di telefono.
come collaborerò in caso di risultato positivo:
1) cercherei in tutti i modi di rendere centrali le sezioni territoriali che, secondo me, costituiscono le fondamenta dell’Uici e che non sempre vengono supportate e valorizzate come si conviene, soprattutto quelle dei territori più periferici, o quelle che non si sono passivamente adeguate al volere di questo o quel potentato di turno;
2) manterrei fermo e prioritario l’impegno assunto con la mia sezione di appartenenza(cioè Napoli) continuandomi ad occupare delle problematiche dell’istruzione e della cultura e ne rappresenterei sia le istanze, sia le esperienze che potrebbero risultare di utilità collettiva;
3) mi adopererei in tutte le occasioni possibili per far sì che il consiglio nazionale non si limiti alla sola funzione burocratica del deliberare tutto quanto propongono direzione e ufficio di presidenza, ma eserciti le prerogative attribuite dallo statuto in maniera efficace, propositiva, avvalendosi del sano diritto di critica che non è da confondersi con la polemica funzionale all’insano disfattismo;
4) mi renderei disponibile nel costruire un gruppo di lavoro forte, competente e continuativo in grado di affrontare tutte le problematiche attinenti l’istruzione, l’inclusione scolastica degli studenti, la formazione culturale e professionale degli stessi individuando anche percorsi non tradizionali per sviluppare alternative valide di inclusione lavorativa;
5) svilupperei, cercando collaborazione tra scuole, università, Irifor una capillare politica di formazione degli insegnanti, ma anche delle figure di supporto, frequentemente generiche, come assistenti alla comunicazione e assistenti per le attività post-scolastiche;
6) mi impegnerei affinché le commissioni di lavoro non siano organi di facciata, come frequentemente lo sono state, ma abbiano un ruolo propositivo e costruttivo come ad esempio: supportare gli insegnanti ciechi ed ipovedenti sia attraverso la consultazione online, sia sviluppando attività di aggiornamento mirato e adeguato alle trasformazioni in atto dal punto di vista tecnologico, didattico e metodologico, sia con l’istituzione di un ufficio legale trasversale a tutte le problematiche attinenti i diritti dei ciechi ed ipovedenti rispetto al lavoro, all’autonomia, alla vita indipendente; mi renderei disponibile nell’offrire consulenze a genitori ed alunni su questioni di carattere pratico che spesso non possono essere risolte da consiglieri e presidenti di sezioni perchè tanti aspetti delle legislazioni scolastiche non possono essere noti; predisporrei delle facili guide di cui potessero servirsi le nostre sezioni ma da offrire anche al personale delle scuole in cui siano frequentanti ragazzi e giovani non ed ipovedenti;
7) promuoverei, con l’aiuto di collaboratori competenti di comunicazione facilitante, attività di orientamento a conclusione del ciclo dell’obbligo per la scelta del tipo di scuola cercando, anche attraverso test di carattere attitudinale e motivazionale, di fornire utili supporti sia per la prosecuzione scolastica, sia per la scelta universitaria, sia per i percorsi specialistici;
8) mi impegnerei a sviluppare tutti i canali utili per permettere agli studenti delle scuole secondarie l’alternanza scuola-lavoro al fine di approcciare con sistematicità tutte le opportunità lavorative, maturare esperienze e competenze.
Forse queste proposte possono apparire eccessive o, forse, scontate; nell’uno e nell’altro caso può darsi che chi leggerà e giudicherà abbia ragione, fatto sta che queste attività costituiscono il punto di equilibrio fondamentale di cui dobbiamo garantire la realizzazione per aiutare famiglie e studenti ad essere concretamente protagonisti della propria crescita scolastica, formativa, culturale e sociale. Talvolta ho incontrato genitori che hanno ringraziato docenti perché hanno facilitato i compiti riducendo obiettivi formativi e culturali, mi è stato difficile far comprendere che questi regali offendono la dignità, riducono le capacità, ostacolano lo sviluppo culturale di un ragazzo e che l’unione dei ciechi e gli ipovedenti ha sempre rivendicato i diritti e non può, né deve barattare il diritto soggettivo delle persone con qualche nocivo regalo compassionevole: dunque io mi spenderò con tutto il bagaglio di volontà e competenze di cui sarò capace per portare in alto la bandiera dei diritti e delle libertà.
Silvana Piscopo

tel. 081-2462490, cel.342-8421201, e-mail silvanapiscopo@alice.it

Corbiolo e poi… più, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

Nei primi degli anni cinquanta, cioè da quando ho iniziato a… lambire il “mondo dei ciechi”, allora gli ipovedenti non esistevano, si proponevano con iniziative diverse e si definivano … subvedenti.
Da quegli anni la mia vita è cambiata, avevo iniziato a percepire l’affetto e la comprensione di coloro che erano come me o peggio, allora io ero ancora in possesso di un residuo visivo che la retinite pigmentosa mi permetteva di avere.
Frequentavo in quegli anni l’Istituto dei Ciechi di Milano, la sede dell’Unione era abbastanza decentrata; in quel tempo ho conosciuto persone eccezionali, mi hanno fatto superare innumerevoli complessi di inferiorità che mi affliggevano, mi hanno insegnato il braille, a vivere e ad assaporare la vita nella mia nuova situazione.
Erano le insegnanti della scuola elementare dell’Istituto dei Ciechi: Reggiori, Floris, Zenoni, Bombelli, ma soprattutto Eugenia Corno e ancora più Clelia De Gaudenzi (esperantista), particolarmente intelligente e buona.
Erano i tempi in cui era vivace l’attività di Angela Motta che aveva istituito un’iniziativa di fede e di operatività nella quale i ciechi con i vedenti avrebbero trovato una gioia di vivere e di operare nella fede.
Mi ricordo di aver partecipato a gite in pullman organizzate da Angela Motta e Clelia De Gaudenzi e altre insegnanti, nel corso delle quali: preghiere, rosari e allegrezza si fondevano con manifestazioni di solidarietà e affetto non comuni che in alcuni casi perdurano ancora oggi. Nei suoi primi anni di vita l’iniziativa di cui scrivo aveva un diverso acronimo, una diversa assonanza, ora, MAC Movimento apostolico ciechi suona benissimo e anche nell’acronimo non vi possono essere allusioni di sorta.
Erano gli anni cinquanta, frequentavo l’Istituto dei Ciechi di Milano, in segreteria vi era un’impiegata con la voce incantevole, il nome era difficile era la signorina Monpoil (impenitenti e incorreggibili la chiamavano …mio pelo).
Avevo saputo dalla mia insegnante di braille che attraverso Teresa Fusetti (i Fusetti erano allora un gruppo imprenditoriale di spessore) che si potevano ottenere dei biglietti gratuiti di andata e ritorno per il non vedente e il suo accompagnatore in pullman per Courmayer. Mi ricordo di quelle simpatiche gite, per me erano le prime.
Ecco ora che a distanza di anni l’iniziativa filantropica di Teresa Fusetti torna a coinvolgermi in prima persona da quando cioè ho pensato di trascorrere un periodo di vacanza a Corbiolo; anni addietro grazie a Rino Nazzari presidente del MAC di Milano avevo conosciuto quella struttura avendovi anche soggiornato per pochi giorni in diversi periodi. Quest’anno ho pensato di trascorrervi due settimane con Nara; ci siamo stati talmente bene che abbiamo chiesto e ottenuto di rimanervi per altri sette giorni.
La Casa di soggiorno dedicata a Teresa Fusetti è impeccabile nella sua struttura e organizzazione, le camere sono dotate di molti comfort, manca la televisione nelle singole camere ma vi sono due sale di intrattenimento dotate di due splendidi apparecchi televisivi.
I pranzi e le cene sono puntuali e cospicui, se qualche ospite ha difficoltà per qualche alimento gli viene modificato; le portate oltre ad essere abbondanti hanno una proposta di bis (chiamato ripasso).
Sempre oltre il contorno vi è verdura in abbondanza, frutta, dolce e gelato concludono sempre gli incontri a tavola.
L’Organizzazione del Movimento Apostolico Ciechi e l’assiduo impegno del Direttore Sergio Zanini, del quale non si può che dire un gran bene, hanno creato intorno alla struttura la disponibilità di accompagnatori, in gran parte studenti che per pochi euro accompagnano i non vedenti ovunque desiderino.
Tutto il comprensorio ha in gran considerazione sia del MAC che dei ciechi poiché è chiaro che, noi siamo un particolare incentivo per tutto l’indotto. Ho potuto constatare che tali considerazioni coinvolgono pure i centri vicini, Boscochiesanuova e Cerro.
Il fluire tranquillo di uno zampillo di una fontanella indica al non vedente l’ingresso della struttura.
Un ampio giardino, un gazebo, delle panche, sedie e tavoli completano l’arredo per l’accoglienza esterna alla struttura.
Il chiacchiericcio degli ospiti concorre a creare l’atmosfera di ospitalità gaia e serena.
Quando lascio la Casa a vacanze finite, ritrovo intorno a me non vedenti e ipovedenti, non importa sono persone con le quali si sono condivisi giorni di serenità con il gioco delle carte con canti estemporanei e ricordi di simpatiche sere trascorse ad ascoltare complessi musicali e corali che il Direttore, ascoltatissimo nella lessinia ha organizzato nel centro soggiorno Teresa Fusetti Via delle Fontane 5 Corbiolo di Boscochiesanuova telefono 045 705 05 12.
Per chi volesse saperne di più e apprezzare maggiormente tutto il comprensorio: www.montilessini.com

Unione. Il perché di una candidatura, di Peppino Re

Autore: Peppino Re

In occasione del XXIII Congresso nazionale dell’Unione, dopo una attenta riflessione, ho deciso di presentare la mia candidatura per il Consiglio Nazionale.
Ora, sì, proprio ora che, a questo evento, non ho nemmeno titolo per partecipare. Dal 1989 fino al 2010, sono stato eletto dalla Assemblea dei soci di Palermo delegato al Congresso. Invece, questa volta… Nemmeno candidato.
Mi presento a questa platea congressuale con una partecipazione alla vita associativa dal lontano 1986, ricco di bei momenti e di belle occasioni vissute, a livello provinciale, regionale e, anche a livello nazionale.
In questo trentennio, per Unione ho fatto di tutto. Una interminabile vita di sezione accanto ai ciechi palermitani, dove ti scontri quotidianamente con la problematica dei ragazzi, degli anziani, dei pluriminorati.
Per Unione ho girato tutte le scuole della provincia dove vi erano alunni minorati della vista, per consigliare, per esaminare, per proporre. Per Unione sono stato da dirigente presso l’Istituto per ciechi di Palermo, imbattendomi nella difficoltà dell’ente di riconvertirsi in qualcosa di importante per i ciechi.
Per Unione, in formato Irifor, mi sono inventato corsi e momenti di riqualificazione.
Per Unione mi sono armato di un registratore ho cercato di cogliere e diffondere il meglio che accadeva dalle mie parti. Ho scritto, detto e scritto, di ciechi, di identità, di storie, di fughe, di ritorni a casa.
E Per Unione, dal 2010 io che sono un moderato, mi sono inventato rivoluzionario. Con documenti di protesta, con programmi, con ripensamenti sull’essere dell’Unione, che mi hanno portato ad avere un ruolo di primo piano nella organizzazione dell’assemblea di Prato, autoconvocata. In quella assemblea finalmente cadeva la sudditanza alle gerarchie e nasceva quel movimento di massa che oggi con Mario Barbuto imposta un Congresso democratico contro quello bloccato di Chianciano del 2010.
Eppure, anche se con una storia infinita, che cercherò di dettagliare meglio in questi giorni, vi è netta la sensazione di… non aver potuto dare in maniera sistematica il meglio di me stesso, a causa di alcune avversità che io non sono stato in grado di superare. Se la vogliamo chiamare per nome, questa difficoltà si è presentata come una sfinge nella mia sezione di appartenenza, Palermo. Volendo chiamarla enfaticamente, si è trattato di “culto della personalità”, un evento che, purtroppo in Unione conosciamo bene e che ha troncato tante altre soggettività di valore. A Palermo questa personalità imprescindibile si è chiamata Tommaso Di Gesaro, e la squadra di sezione, beninteso la squadra della sezione più numerosa di Italia, ha puntato sempre e solo su di lui, inducendo gli altri a comportamenti subordinati per poter esistere. Ecco perché la mia candidatura, oggi non può che essere assolutamente personale, non concordata, e avviene allorché di fatto il sottoscritto, a seguito di un documento ampiamente diffuso e sottoscritto insieme a Maurizio Albanese, si è pubblicamente dissociato da alcune pratiche associative che a Palermo assicurano la continuità eterna della Classe dirigente.
Eppure per un miracolo difficile da raccontare, il percorso con gli amici della sezione è perfettamente confluito nel 2010, in occasione del XXII Congresso.
Finalmente abbiamo parlato e scritto all’unisono di rinnovamento e nella platea di quel Congresso abbiamo sostenuto l’idea di una nuova Unione… Solo che quelle idee sono state sostenute da essi fino al Congresso. Non hanno pagato e sono state abbandonate. Così, questa volta le nostre strade sono diventate incompatibili, e, nel 2015, dopo 29 anni di vita associativa la mia candidatura è il frutto del parere di tanti amici, e non di un gruppo ben organizzato.
Chi sono….
Peppino Re, residente a Cefalù, 58 anni, insegnante di storia e filosofia da 33 anni, in prevalenza al liceo classico di Cefalù…
Cieco assoluto dalla nascita, mi sono formato presso l’Ist. Per Ciechi di Palermo Florio e Salamone. In questo contesto era assolutamente naturale seguire la vita associativa palermitana, e frequentare gli esponenti di rilievo della sezione. In particolare il prof. Gioacchino Di Trapani, e il mio battesimo con la Argolimpia, che mescolava sport e informatica, turismo sociale, rapporti e commistioni di non vedenti con i propri amici. Tramite Argolimpia, dal 1986 sono entrato a far parte del Consiglio regionale siciliano eletto dall’assemblea di Palermo. Comincia così un percorso frastagliato di situazioni e personaggi difficile da descrivere. Quello che conta, dal mio punto di vista, sono alcuni momenti nei quali mi sono particolarmente impegnato.
Sul piano locale mi sono dedicato alla questione Istruzione. In quel momento anche da noi arrivava la temperie dell’integrazione scolastica e dello svuotamento dell’Istituto. L’ambiente associativo palermitano viveva come un trauma questa rottura e, dove poteva cercava di opporsi. Sapendo di non poterla spuntare sul piano ideologico, il sottoscritto ha operato perché si creassero i servizi a supporto dell’integrazione. In particolare i soggiorni estivi, per cercare di far passare competenze. Rimane emblematico il soggiorno del 2004 che ha coinvolto la Sicilia occidentale, con il supporto della Biblioteca di Monza.
Con un bel nucleo di volontari, fra il 1995/98 ho guidato la Univoc, e abbiamo organizzato due stagioni musicali, come concerti da offrire alla città. Lo slogan era quello di superare lo stereotipo del cieco che chiede, ma rilanciare l’immagine del cieco che offre alla città un momento di incontro e di scambio, proprio per stare insieme…
Sul piano nazionale dal 86 al 93 mi sono occupato di gruppo Giovani, insieme a Luisa e al mitico Barausse, del quale ho preso la eredità di coordinare il gruppo. È stata una scommessa, per inserire in Unione idee e personaggi nuovi, da far entrare dalla porta principale. Ho lavorato con la commissione Istruzione di Banchetti e Mazzeo, e ultimamente con il comitato docenti di Lucio Carassale e poi di Paolo Colombo e di Daniela Floriduz.
Nel periodo 2004/10, vicepresidente all’Istituto di Palermo, ho interagito positivamente con la Federazione Nazionale delle Istituzioni per ciechi di Silvano Pagura e Rodolfo Masto, portando l’Ist di Palermo ad avere un ruolo importante come interfaccia di sviluppo. A volerci pensare, in quel periodo abbiamo seriamente provato a dare una svolta all’Ist. Riuscendo ad avviare una potente ristrutturazione dei locali, modificando lo statuto fermo al 38, investendo come permuta il ricavato della vendita di un terreno nella costruzione di un centro per gravi, entrando nel gioco informatico nazionale rilanciando il laboratorio dell’ist e tramite un accordo con Asphi per presentarci nel mondo dell’ E.C.D.L. In quel momento abbiamo cercato di far essere l’Ist. La “casa dei Ciechi”, aperta a tutti, e avevamo pensato di proporre la costituzione del gruppo degli ex alunni.
Cosa vorrei….
In questi lunghi anni mi sono abituato a concepire l’Unione e a viverla come “un mondo a parte”, un mondo dove non sempre si ritrovavano le regole di una normale democrazia. Mi sono abituato a pensarla come lo specchio di un mondo di persone non vedenti, ipovedenti e pluriminorati con tanti bisogni, con tante frustrazioni, con tante emarginazioni; e mi è sembrato che se volevi lavorarci, dovevi accettare cose che nella società normale sono superate. Dico Presidenti che durano trenta o quarant’anni, unanimismi fittizi, contrasti sottobanco, emarginazione di dirigenti che venivano poi evitati come appestati dall’insieme dell’entourage. Mi capitava anche di ridere, allorché nella mia vita, ero diventato insegnante di Filosofia, ossia la controparte dei miei studenti, ma per Unione, a trenta anni diventavo coordinatore dei giovani. E mi facevano sorridere tante delle nostre assemblee, in cui, fra Presidenti, politici, e relazioni lette, non si trovava nemmeno spazio per fare intervenire i soci; troppo facile confrontarle con le assemblee sindacali, in cui, si scontravano davvero idee e personaggi e recuperare una sintesi era davvero una impresa.
Vedevo gli sforzi di Tommaso Daniele per creare dibattito, ma mi rendevo conto che non c’erano proprio gli strumenti culturali, perché i tanti non vedenti che li possedevano erano già scappati, e dovevi contentarti. Già, di cosa? Di quei luoghi comuni eternamente ripetuti che diventavano una retorica povera, anche se gli autori erano stati grandi. Quante volte ci siamo sentiti dire che il lavoro è “luce che ritorna”, che la nostra mappa era stata “dai gradini delle chiese alle cattedre universitarie”; eppure, se ci pensiamo, quanta bellezza c’era in queste espressioni, andata perduta nelle melenze e nelle continue ripetizioni. Ma il punto per me rimaneva sempre quello: accettare queste contraddizioni pur di dare quello che si poteva in termini di contributo, o fare gli intellettuali, chiudere la porta e ridere degli sforzi altrui. Io ho sempre scelto la prima strada e, tante volte gli intellettuali mi hanno chiesto “che ci fai all’Unione”? Ogni iniziativa che si riusciva a fare era la mia risposta, la mia gratificazione, per i tanti treni da pendolare che io non avrei mai dovuto prendere, se è vero come è vero che la mia casa dista dal mio lavoro 40 metri.
La risposta a questa contraddizione per me è stata la nascita del movimento nel 2010. Dentro di me vivevo quasi come un aiuto imprevisto il fatto che la mia sezione, in antitesi con Catania, intendeva sostenerlo e cavalcarlo. Sapevo che non sarebbe durata, ma da Palermo, dalla Liguria, e poi da Mario nasceva un movimento che delineava una “Unione democratica” che si confronta, che ritorna nel mondo dal quale si era isolata. Così la battaglia congressuale, e poi dopo la sconfitta numerica, la decisione con gli altri di tenere duro e di dar vita a un coordinamento per non disperdere le idee e le persone che le sostenevano. E mentre Palermo, a poco a poco faceva il passo indietro, io, Maurizio, Tornabene, Ciro Arnone e pochi altri tenevamo duro, finché da due anni a questa parte veniva fuori con decisione un’altra Sicilia, non allineata, pronta a sfidare e a cambiare.
In questa Unione, con Mario Presidente, si può rischiare, e il sottoscritto intende offrire la propria disponibilità a fare la propria parte, da cittadino, e non più da non vedente che sente di avere un preciso dovere di gratitudine da compiere, comunque, in favore di quella associazione che gli ha dato tanto in precedenza.
Cosa fare….
Intendo presentarmi a questa competizione elettorale, con la mia storia e con il mio passato. In un eventuale Consiglio Nazionale, con una presidenza Barbuto, ritengo di potermi impegnare sugli aspetti nei quali posso dare un reale contributo. La istruzione, la cultura, la presenza nel sociale, i rapporti con altre associazioni.
Ancora oggi, partecipando al Collegio dei Docenti della mia scuola notavo come ormai il mondo delle istituzioni scolastiche si sia allontanato dallo stereotipo formativo che ognuno ricorda ripensando al proprio vissuto scolastico. L’approccio verso il processo di autonomia ha seguito il suo corso, fin con l’ultima legge approvata dal Parlamento la n. 107/2015, così ogni scuola avrà il suo P.O.F. annuale con il quale si presenta al territorio e, da ora anche un P.O.F. triennale, con l’organico potenziato a seconda delle linee strategiche che la scuola vuole seguire e dei R.A.V. (rapporti di autovalutazione) dal quale sono emersi i punti di forza e di debolezza del sistema scolastico.
Pertanto il nostro obiettivo che rimane sempre quello della inclusione scolastica degli alunni minorati della vista, non potrà essere raggiunto con le politiche tradizionali finora seguite, ma, per avere successo, dovranno innestarsi in questo sistema. E il Consiglio Nazionale dovrà impegnarsi nella diffusione nel territorio di questo modello di lavoro.
Oggi e ieri, una dialettica che ricompare eternamente nei nostri discorsi.
Il sottoscritto, come tanti altri docenti non vedenti, negli anni ottanta ha accettato la sfida del trasferirsi da un posto all’altro del paese, imparare a muoversi da solo, a badare a se stesso, a cucinare, a lavare i piatti, a stendere i panni, e a fare il proprio lavoro con stile e tenacia. Queste stesse esigenze oggi si ripresentano per i tanti giovani che sono cresciuti nel mondo del sostegno. Per cui, includersi significa anche impegnarsi per l’autonomia.
Anche in questo ambito dalla nostra Unione dovranno venire politiche che, rifiutando gli anacronismi, si coniughino coni vissuti attuali, le fragilità e gli Apple del momento.
So bene che bisogna impegnarsi per la fruizione delle opere d’arte, per la accessibilità dei testi, perché il mondo della tecnologia non chiuda le strade, anzi scarichi per noi eventi di novità per fronteggiare e superare la nostra eterna minorazione.
Su questi piani so di poter lavorare con un organo che si dà queste priorità e che poi deve concretamente svilupparle.
Coerentemente con il mio passato, so e per quel che mi riguarda mi impegnerò a farlo, che è importante la trasparenza, che le nostre sezioni vanno rispettate finché servono alla base, ma vanno incalzate nella misura in cui si fanno scudo sulla base per gratificare i loro dirigenti e personaggi.
Sono perfettamente consapevole che le vere grandi scommesse che giustificano il valore dell’Unione rimangono l’istruzione, il lavoro e l’assistenza, come tante strade per l’integrazione. Con la crisi delle attività tradizionali, che ormai coinvolge anche la figura degli insegnanti il rischio di uscire dal mercato del lavoro per la gran massa dei giovani si è fatto concreto, e, se al lavoro si sostituisse l’assistenza verrebbe fortemente compromessa l’integrazione sociale. Dopo il convegno di Napoli bisognerà continuare la ricerca e insistere sul lavoro mirato.
Diventerebbe inutile, da candidato ad un organo di rappresentanza, proporsi altro. Spero che la fiducia in quanto ora ho sostenuto, possa derivare da una credibilità nel mio vivere nell’Unione e con l’Unione, nel mio continuare ad esserci malgrado tante difficoltà che, credo, avrebbero indotto tanti altri a rinunciare e a rifugiarsi comodamente nel proprio privato, ossia la scelta che io ho evitato di fare, malgrado le tante porte chiuse da chi, conoscendoti,ha preferito non correre rischi e, senza indugio, tagliarti la strada prima che potesse essere tardi.
“Il mito è la leggenda della religione l’Unione sia la leggenda dell’integrazione”.

Peppino Re

L’UICI: ieri, oggi e domani, di Carlo Carletti

Autore: Carlo Carletti

Il dibattito, che da più parti si svolge, sul ruolo delle sezioni e sulla preparazione dei loro dirigenti lo ritengo molto interessante e opportuno, anche per la prossimità del Congresso. A mio parere, per meglio programmare il futuro, sarebbe utile prendere in considerazione il fatto che negli ultimi 30 anni la potenziale base associativa delle Sezioni è fortemente cambiata. Il numero dei giovani ciechi e ipovedenti normo-dotati da 0 a 18 anni spesso non arriva al 2% del totale, mentre quelli ultra settantenni superano ormai il 70%; questi sono portatori di problematiche psicologiche, umane e sociali del tutto nuove rispetto a quelle che si dovevano affrontare negli anni precedenti.
L’invecchiamento della popolazione dei ciechi e degli ipovedenti, insieme al crescente numero dei giovani disabili visivi pluriminorati, richiede alle Sezioni attività nuove che si possono affrontare soltanto con operatori con specifiche competenze professionali. In molte Province, inoltre, spesso risulta carente anche il numero dei ciechi e degli ipovedenti che potrebbero impegnarsi nella costituzione dei consigli delle Sezioni e, anche quei pochi presenti, spesso vi rinunciano perché risiedono in comuni lontani  dal capoluogo con conseguenti problematiche di lavoro, di studio e familiari da assolvere. A tali comprensibili difficoltà, fa riscontro anche un ormai diminuito spirito di sacrificio, di impegno sociale e di solidarietà. Il senso di appartenenza all’Associazione non trova riscontro in coloro che hanno perso la vista recentemente e che hanno potuto usufruire delle conquiste economiche e sociali conseguite con tanti sacrifici e dure lotte dalle precedenti generazioni di ciechi. Inoltre, le Sezioni svolgono spesso servizi dei quali possono usufruire solo le persone con disabilità visiva che vivono nei pressi delle Sezioni stesse. Tali persone possono usufruire anche dei servizi che i Comuni capoluogo assicurano con più probabilità rispetto ai tanti piccoli Comuni, che spesso lasciano le persone non vedenti nel totale isolamento. Queste e altre situazioni hanno fatto si che, all’UICI attualmente aderisce solo circa il 25-30% dei cittadini con disabilità visiva assistiti dall’INPS e, di questi, soltanto circa il 15-20% partecipa alle assemblee, spesso solo perché sollecitati. Di queste situazioni sovente se ne addebitano ingiustamente le responsabilità ai soli dirigenti delle Sezioni; esistono sicuramente situazioni dove qualche dirigente ha fatto e continua a fare della Sezione un proprio feudo per soddisfare le proprie esigenze esistenziali, ma queste distorsioni non sono la maggioranza e sono facilmente individuabili, per essere modificate. L’unione, infatti, non ha dimezzato il numero dei soci per disaffezione degli stessi: qualcuno non avrà rinnovato la tessera per divergenze di opinioni con il gruppo dirigente, qualcun altro avrà avuto altre ragioni, ma tutto ciò non ha inciso in modo significativo sull’attuale realtà associativa. Credo che l’UICI non abbia saputo comprendere la necessità di dover adeguare, nei tempi giusti, le proprie strutture nazionali, regionali e periferiche per intercettare e governare la trasformazione che avveniva nella composizione del corpo sociale della disabilità visiva. Negli ultimi 30 anni i soci deceduti non sono stati sostituiti da altrettanti nuovi, che per la loro età e condizione non hanno trovato valide motivazioni per iscriversi all’Unione. Guardando in faccia la realtà dobbiamo, volenti o no, prendere atto che l’Unione è profondamente cambiata e non è più l’Associazione che svolge assemblee molto partecipate e dibattute. I valori della democrazia e della correttezza devono necessariamente caratterizzare il ruolo dei dirigenti, indipendentemente dal numero dei partecipanti alle assemblee stesse. Dovremo prendere atto, volenti o no, che il profondo cambiamento del corpo associativo dell’Unione impone a una piccola minoranza di ciechi e ipovedenti, un numero che a mio parere si aggira intorno alle 2.000 unità che ha avuto la fortuna di studiare, di conseguire un buon livello culturale e una certa sicurezza economica e sociale, di farsi carico di tutte le strutture dell’Unione e  di rappresentare anche la stragrande maggioranza di quei disabili visivi che non sono in grado di autorappresentarsi. Modificare lo statuto, rendere incompatibili le cariche associative, ridurre i mandati dei presidenti e dei consiglieri, dare un nuovo assetto alle Sezioni territoriali, semplificare la gestione dei loro bilanci, evitare l’anacronistica nomina dei Sindaci Revisori almeno nelle piccole Sezioni e dare un diverso potere ai Consigli Regionali, sono azioni che potranno dare una mano a risolvere alcune situazioni nell’immediato futuro, ma la realtà ci mostra ogni giorno che il tempo sembra sia trascorso invano, con tutti i problemi riguardanti la scuola, il lavoro e il sociale, che continuano a ripresentarsi nei modi più diversi e particolari, trovando, a mio parere, un’associazione trasformata e, per certi aspetti, più qualificata, ma ormai incapace di dare risposte forti e con il sostegno di una base associativa numerosa e consapevole. Personalmente, dopo 52 anni di vita associativa, iniziata nel 1963 con l’entusiasmo degli allora miei 20 anni, avendo avuto come guida e riferimento dirigenti quali Piero Bigini, Paolo Bentivoglio e Giuseppe Fucà, in un’Associazione diversa nella sua composizione,  nei suoi obiettivi e nelle sue lotte per la conquista di un posto dignitoso nella società, a volte mi ritrovo con il pensiero rivolto ai giovani ciechi e ipovedenti di oggi, che come quelli di ieri dovrebbero lottare, in una società comunque diversa da quel passato, con le unghie e con i denti per assicurarsi un dignitoso avvenire. Il numero di questi giovani è  fortunatamente in forte diminuzione, ma la loro  consapevolezza e  il loro interesse per autorappresentare le loro esigenze appaiono davvero insufficienti. Probabilmente quelli della mia generazione non sono riusciti a trasmettere loro quel necessario e forte “senso di appartenenza” al movimento dei ciechi. Con i tempi che corrono, i “vecchietti” dell’UICI potrebbero fare ancora qualcosa di molto utile per l’Associazione, occupando però solo ruoli che possano favorire la formazione e la crescita di eventuali nuovi e giovani dirigenti.

L’Unione che vorrei: la mia candidatura al Consiglio Nazionale, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Caro Presidente e carissimi amici,
il calendario segna Giovedì 27 Agosto 2015 e ciò significa che l’estate sta finendo ed insieme a lei pure le vacanze. Adesso è tempo di Congresso Nazionale!
Proprio per tale motivo, ho appena compilato il modulo on line di partecipazione al nostro grande appuntamento di Chianciano. Contestualmente ho letto nell’invito che tu c’hai inviato che, dal 1° Settembre p.v., chiunque vorrà candidarsi alle cariche associative nazionali potrà spedire all’indirizzo e-mail della tua Segreteria un proprio sintetico documento programmatico.
Ecco, io non mi voglio sottrarre dal farlo anche perché avevo già maturato la “pazza” idea di candidarmi al Consiglio Nazionale qualche mese fa, subito dopo la lettura sul nostro Giornale on line del bellissimo e toccante articolo del mio amico Stefano Tortini, con il quale Stefano fa un appello a tutti noi perché si sostenga con forza la tua elezione a Presidente Nazionale, che ovviamente condivido in toto.
Ricordo ancora come fosse ieri, quando circa una decina di anni fa, io, Stefano Tortini e Mario Mirabile, componenti lo scorso Comitato Giovani dell’UICI, nel nostro piccolo sognavamo in grande un’Unione finalmente più democratica, più moderna, più trasparente. Ed improvvisamente, tutto ciò con te oggi diventa “REALTA’.
Un’Unione più democratica significa che esprimere un’opinione diversa dai Vertici associativi e pensarla diversamente da loro non è un “peccato di Lesa maestà”, né un “attentato” terroristico od un tentativo di “golpe”, come certi vecchi (e fortunatamente pochi) dirigenti ritengono ancora.
La difesa dell’Unità associativa che anche per me è un “valore” assoluto, non può e deve però essere Unanimismo.
Fino a prova contraria, da che mondo è mondo, il dibattito è stato sempre fonte di crescita e sviluppo. Oggi, invece, nell’ambito dell’UICI accade ancora troppo spesso che il “dibattito associativo” non sia fondato su una diversa interpretazione del ruolo della nostra Unione nel nuovo Millennio, ma dettato solo da bisogni di “visibilità” personale, riducendo erroneamente gli scontri a semplici fatti personali e soffocando ed impoverendo il dialogo al nostro interno.
La scorsa primavera ha visto il corpo associativo impegnato nel rinnovo dei consigli regionali e provinciali, le cose non sono andate sempre proprio per il verso giusto, ed in alcune realtà la lotta per il potere, si fa per dire, ha avuto la meglio sullo spirito di servizio.
Ciò non deve più accadere! L’UICI che io sogno e voglio deve da subito valorizzare i giovani, favorire la candidatura delle donne, non lasciare fuori dalla porta interi gruppi di ciechi, anche cospicui, ed invece confrontarsi con loro.
Ora però che l’assetto organizzativo è stato definito, che le passioni si sono placate, ora che l’estate sta per finire, è tempo di dedicare mente e cuore alla causa del XXIII Congresso Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, alle sue strategie, alle linee portanti del suo progetto per il futuro dei ciechi di domani.
Di tutto ciò, d’altra parte, s’è già parlato all’inizio dell’estate nelle ben 6 assemblee precongressuali volute fortemente dal nostro Presidente Mario Barbuto.
Durante tali straordinarie occasioni di confronto democratico, il livello del dibattito è stato piuttosto alto, ed ha rivelato una classe dirigente orgogliosa della propria storia, recente e passata, ma nello stesso tempo consapevole del fatto che la marcia nel deserto del popolo dei ciechi continua e che a nessuno di noi è dato fermarsi sulla riva del fiume senza essere travolto dalla corrente.
A Chianciano dobbiamo necessariamente riprendere il filo conduttore del dibattito culturale avviato in quelle sedi sui grandi temi associativi, sulle idee portanti e sui “profondi” valori della nostra Unione quali l’inclusione scolastica, le pari opportunità, il lavoro, l’accessibilità, la riabilitazione dei ciechi pluriminorati, la prevenzione della cecità e forse, anzi certamente, lo stesso Nicola Stilla ritroverà con il Presidente Barbuto molti più punti in comune che elementi di disaccordo.
Un’Unione più moderna significa modificare lo Statuto non per “questioni di bottega” o per particolarismi, ma per semplificare la struttura organizzativa delle nostre sezioni, adeguandole ai tempi e soprattutto ai cambiamenti imminenti a cui stiamo assistendo a seguito dell’istituzione delle “città metropolitane”
Ancora oggi abbiamo troppi organi associativi che sono tra l’altro troppo burocratizzati. Bisogna renderli “a tutti i costi” più agili nella struttura e meno pletorici nel numero dei componenti, facendo si che non solo i nostri “consigli” ma anche i Presidenti e Vice Presidenti sezionali e regionali siano eletti direttamente dalla base e dalle Assemblee dei soci.
Una piccola ma significativa questione riguarda pure il tesseramento dei nostri iscritti. Facciamo sovente i “conti” con numeri incerti e discutibili, risultato e frutto solitamente della logica dei “bollini” facili solo in prossimità dei rinnovi delle varie cariche associative, piuttosto che di una “seria” campagna d’iscrizione soci che sia invece più costante nel tempo, più sistematica e trasparente.
Un’Unione più trasparente significa anche adottare criteri di merito nella selezione e nomina dei candidati più “competenti e preparati” ai “posti di comando” del nostro “glorioso” sodalizio.
Per tale motivo, saluto molto favorevolmente la novità già annunciata da Mario Barbuto di voler realizzare un’apposita sezione del nostro sito istituzionale dove, chiunque vorrà candidarsi al Consiglio Nazionale, potrà inserire il proprio curriculum ed il proprio programma (cosa che io sto facendo con la presente).
Grazie a Mario Barbuto forse si sono finalmente esauriti i tempi delle elezioni nazionali frutto solo di logiche di lottizzazione e spartizione da vecchio e becero ”manuale Cencelli” e dettate dai “diktat” dei vari capi area!
Il recente “trionfo” di Mario in occasione della Finanziaria e (specialmente per me in qualità di giovane Consigliere della Federazione) l’epilogo positivo del Centro polifunzionale di ricerca ed alta specializzazione per ciechi pluriminorati di Roma dimostrano e confermano che la sua passione, il suo impegno e la serietà del suo agire quotidiano hanno già iniziato a “contagiare” i nostri politici ed amministratori, e contribuiranno senz’altro a rendere più “facili” le loro decisioni su delicate materie di stretta attualità associativa come la “buona scuola, il nuovo Isee, il nuovo nomenclatore, il jobs act ecc…, proiettandoci verso sempre più rilevanti e prestigiose conquiste di civiltà.
Ma soprattutto, lo Tsunami Barbuto s’è abbattuto su di noi, avvincendoci e convincendoci che all’Unione non c’è un io od un tu, ma più semplicemente solo un NOI.
Questo è il “grande” insegnamento Barbutiano: soltanto lo spirito di gruppo, l’unità d’intenti e l’”idem sentire” potranno farci vincere le difficili sfide del nuovo millennio e dell’inclusione sociale. Uniti si vince, separati si perde inesorabilmente.
Io ritengo che la lezione che dobbiamo trarre dal successo del Centro per ciechi pluriminorati di Roma è che la cooperazione, la condivisione ed il lavoro di squadra tra l’UICI ed i suoi vari Enti collegati (Federazione, IAPB, BIC, IRIFOR ed UNIVOC) dovranno essere le “ricette” ed armi vincenti dell’Unione che verrà, sin dal prossimo Congresso di Chianciano. Non a caso, lo scorso 21 Febbraio, Mario Barbuto, ben consapevole di ciò, ha “riesumato” e fatto rinascere il famoso “Coordinamento degli Enti collegati all’Unione, scelta lungimirante sulla quale ovviamente occorre insistere anche per il futuro. Basta con le gelosie ed invidiucce del passato, ancora una volta la capacità di collaborare, nella chiara distinzione delle competenze e delle funzioni, senza sconfinamenti in campi altrui e nel solo primario interesse della nostra UICI, dovrà risultare preminente e fondamentale per il nostro riscatto sociale.
Diceva Lavelle : “Il bene più grande che puoi fare ad un’altra persona non è dargli la tua ricchezza, ma rivelargli la SUA”.
Ebbene, il grande “miracolo” Barbutiano sta proprio in questo e cioè nel farci riscoprire tutti un po’ più ricchi dentro, nel farci sentire tutti principali artefici e protagonisti del futuro destino dei ciechi e degli ipovedenti italiani indipendentemente dall’età, dalla classe sociale, dalla professione e dal nostro ruolo associativo. L’unica cosa che conta è l’UNIONE ITALIANA DEI CIECHI E DEGLI IPOVEDENTI!!!
Caro Presidente, per questo io sottopongo alla tua attenzione ed a quella di tutti i congressisti la mia candidatura al prossimo Consiglio Nazionale.
Mi candido, perché la tua “trascinante” capacità di accendere il nostro entusiasmo, di individuare bisogni e prospettare soluzioni m’ha letteralmente contagiato, persuadendomi che persino un “nanetto” come me possa contribuire positivamente alla causa della nostra Unione.
Una cosa è certa, con un timoniere “visionario” come te, capace di “vedere” oltre e di prospettare all’UICI scenari ed orizzonti fino a pochissimo tempo fa addirittura impensabili, noi minorati della vista italiani “toccheremo con mano” sempre più importanti traguardi e SUCCESSI!

Gianluca Rapisarda

Un’occasione per provare a restituire quanto ho ricevuto dall’Unione di Elena Ferroni

Autore: Elena Ferroni

Le righe che seguono sono rivolte in modo particolare ai partecipanti al prossimo Congresso U.I.C.I. che si terrà ad inizio novembre a Chianciano Terme, in senso stretto, ma vogliono parlare di me a tutti i soci dell’Unione.
Sono Elena Ferroni, vivo in provincia di Siena, ho 32 anni e sono iscritta all’Unione Italiana dei Ciechi ed degli Ipovedenti dal 1989. Sono stata sempre lontana e disinteressata delle attività dell’associazione, fino a che otto anni fa ha fatto irruzione nella mia vita la perdita inaspettata e totale della vista. Questo evento mi ha costretta a confrontarmi con tante nuove difficoltà che da ipovedente non esistevano neppure e a cercare supporto e informazioni alla sezione U.I.C.I. di Siena. Insieme all’elaborazione di questa mia nuova vita “con quattro sensi”, ho iniziato ad avvicinarmi all’Unione, a conoscere le sue azioni e i suoi scopi e a contribuirvi in prima persona. Dopo 5 anni trascorsi nel Consiglio regionale U.I.C.I. della Toscana, incarico che si è rinnovato lo scorso marzo e 2 anni di presenza intensa presso la sezione di Siena, desidero condividere con voi tutti la mia intenzione di candidarmi al Consiglio Nazionale della nostra Unione in occasione del prossimo Congresso di novembre.
Sono ormai diversi mesi che ci sto pensando e una riflessione estiva più approfondita, dopo l’assemblea precongressuale che si è tenuta lo scorso maggio a Roma, mi ha portato a decidere di candidarmi davvero.
Con i miei dirigenti toscani ho condiviso gli ultimi 5 anni di vita associativa a livello regionale e ho potuto fare esperienze e attività in particolare nella commissione ausili e nel settore dei cani guida. Quest’ultimo argomento mi appassiona e mi porta a nuove riflessioni ogni giorno, visto che mi trovo a condividere la vita e il passo con Vanda, la mia splendida femmina di labrador che ha l’ingrato compito di guidarmi dal 12 maggio del 2009. Incontrare ed affrontare insieme a lei le varie difficoltà che la cecità porta con sé ogni giorno, nella quotidianità delle attività e del tempo libero, rappresenta forse per me la scuola più formativa ed efficace.
In questi anni nell’Unione ho imparato che l’associazione è fatta di incontri, attività che a volte riescono e a volte purtroppo no. Ho potuto gioire per alcuni risultati raggiunti e imparato quanto sia importante avere pazienza nelle difficoltà e cercare collaborazione per conseguire i vari obiettivi.
Ho imparato soprattutto che dire sì all’Unione è mettere a disposizione tempo ed energia, specialmente fuori dagli appuntamenti fissi delle nostre riunioni, perché le cose da fare arrivano nei momenti più inaspettati e l’ascolto ai soci spesso non ha orari. Questo l’ho sperimentato soprattutto nel contatto con i soci in sezione a Siena, nel lavoro diretto con i bambini e i genitori a scuola, nelle loro tante piccole e grandi emergenze, nei mesi in cui ho coordinato i servizi di accompagnamento ai soci, giocandomi in prima persona nella gestione dei volontari.
Se ripenso a questi anni di vita associativa, mi rendo conto che è stato prezioso e continua ad esserlo l’esempio e il confronto in primis con il mio presidente Massimo Vita, che è il mio maestro più diretto e con cui ovviamente ho maggiore contatto quotidiano. E poi a cascata c’è il rapporto con molti dirigenti della mia Toscana, che sono fonte di consigli e rassicurazioni su cui so sempre di poter contare quando devo prendere qualche decisione o fare delle scelte.
Sono consapevole che la mia esperienza all’interno dell’Unione non è temporalmente lunga e che sicuramente ho ancora tanto tanto da imparare. Però posso assicurarvi che questa mia intenzione di candidarmi nasce con molta buona volontà di impegnarmi e fare per quel che sono capace, di acquisire nuove competenze e di essere utile a chi non vuole o non può mettersi in gioco in prima persona per i più svariati motivi.
Le risorse che porto con me sono l’esperienza personale della vita di bambina e ragazza ipovedente prima e non vedente poi, che ha vissuto le difficoltà dell’istruzione fino al conseguimento della laurea specialistica in psicologia e che inizia ad affacciarsi al mondo del lavoro, insieme alla voglia di esserci e fare con la conoscenza delle attività dell’associazione acquisita negli anni.
Spero che tutti voi delegati potrete sostenere questa mia candidatura al Consiglio nazionale nel prossimo Congresso e mi auguro che, nei cinque anni che seguiranno, indipendentemente dalle cariche più o meno formali, grazie anche agli stimoli di voi tutti, potremo fare azioni significative e durature per migliorare la qualità della vita delle persone non vedenti e ipovedenti come noi.

Schermi a tocco ed evoluzioni degli apparecchi mobili, di Nunziante Esposito

Autore: Nunziante Esposito

Ormai sono diversi anni che i disabili visivi, con l’avvento dei telefonini con sistema operativo tale da consentire di installare uno screen-reader con sintesi vocale incorporata ed ingranditore schermo, software appositamente creati per rendere parlante qualsiasi operazione e ingrandire tutto su questi apparecchi, utilizzano questi ed altri apparecchi mobili, come ad esempio i palmari.

Fino a quando questi apparecchi hanno avuto la tastiera, quella tradizionale dei telefonini o quella QUERTY dei palmari, con la possibilità di installare un software di sintesi vocale come qualsiasi altro software al loro interno, problemi non ce ne sono mai stati.

Però, quando sono cominciati ad apparire sul mercato apparecchiature con schermi grandi , ma senza tastiera, con funzionamento a tocco e con la possibilità di usare una tastiera numerica o una QUERTY che apparivano direttamente sullo schermo al momento che era necessario digitare qualcosa, sembrava che i costruttori avessero deciso di comune accordo l’esclusione dei disabili visivi dal mondo delle nuove tecnologie.

Al primo impatto con queste novità che andavano affermandosi velocemente sul mercato, novità che erano ritenute da tutti i “cosiddetti normodotati” un miglioramento da acclamare e non sottovalutare, per noi diventò immediatamente una frustrazione.

Infatti, molti disabili visivi, ritenendo immediato il pericolo di restare senza un telefono che consentisse di installare uno dei software con sintesi vocale ed ingranditore che lo rendessero un apparecchio parlante ed ingrandente, si sono precipitati ad acquistarne uno di riserva da tenere nel cassetto, per sostituire quello che stavano usando, qualora si fosse guastato irreparabilmente.

Fortunatamente, anche in seguito a vibrate proteste delle associazioni di categoria, le cose sono andate molto diversamente da quello che tutti ormai pensavano.

I costruttori, dopo i primi esemplari che non era possibile usare senza la vista, hanno pensato di darci una mano e di migliorare i sistemi operativi, in modo che da li a poco, sarebbe stato possibile implementare degli screen-reader con sintesi incorporata al loro interno.

La prima società che ha reso possibile usare uno di questi apparecchi mobili è stata Apple che ha implementato, all’interno degli apparecchi messi in commercio, uno screen-reader ed un ingranditore software. Se all’inizio non erano proprio perfetti, con il passare del tempo sono sempre migliorati, fino a raggiungere oggi una capacità tale da consentire la gestione delle risorse dell’apparecchio, consentendo praticamente di poter fare tutto quello che fanno i vedenti e senza essere molto penalizzati come tempo di utilizzo.

Si è accodata immediatamente anche la comunità di sviluppo di Android che ha reso disponibile uno screen-reader anche per questo sistema operativo. Anche se non ci consente la medesima e completa gestione degli apparecchi mobili, sta diventando sempre più performante e più completo ogni giorno che passa e man mano che vengono forniti sistemi operativi aggiornati, diventando sempre di più un fedele assistente per il disabile visivo.

Le differenze tra i due sistemi non sono molte, ma sono molto significative: mentre il sistema offerto da Apple è blindato e si può fare solo quello che la società ha deciso di offrire ai propri clienti, con il sistema Android si ha la possibilità di poter gestire quasi tutto, e addirittura si possono anche creare delle App da soli, ovviamente avendo le capacità di programmazione necessarie.

Altre cose che sono diverse sono quelle hardware: mentre con Apple è consentito solo utilizzare il Bluetooth o il Wireless, tutti gli apparecchi con sistema operativo Android, li possiamo collegare al computer con un cavo USB ed effettuare tutte quelle cose cui eravamo già abituati con i vecchi telefonini.

In pratica, gli apparecchi con sistema operativo Android si possono gestire con esplora risorse di Windows, quindi, è possibile usare la memoria del telefono per copiare, modificare, cancellare e spostare, tutto quello che vogliamo.

Molti, per la sicurezza che i dispositivi Apple fino ad oggi dimostrano, preferiscono tali apparecchi, ma secondo me è solo questione di numeri.

Personalmente penso che il giorno che gli apparecchi Apple avranno una diffusione maggiore, maggiori saranno anche i problemi, come sarà molto più diffusa la pratica di creare virus e malware per questi dispositivi.

Al momento, la superiorità dei dispositivi Apple, soprattutto per noi disabili della vista è indiscussa, ma con i nuovi sistemi operativi Android, di progressi se ne fanno tanti e molto velocemente. Secondo me, non passerà molto tempo ed avremo anche noi dei dispositivi con sistema operativo Android che possiamo utilizzare senza problemi come facciamo oggi con i dispositivi Apple.

Tra qualche giorno ci sarà un’altra novità che molto probabilmente rivoluzionerà il modo di usare i dispositivi da parte di tutti e questa volta la novità viene dalla Microsoft che, con tutti i difetti e le critiche, è stata sempre molto attenta ai nostri problemi di disabili.

A fine di questo mese di Luglio 2015, forse sta per aprirsi un’altra finestra e, anche in questo caso, molto probabilmente anch’essa sarà molto favorevole per tutti noi. Infatti, da quello che sto leggendo in giro su Windows 10, se non sono tutte fandonie quelle che stanno scrivendo ormai tutti su Internet, avremo tra poco un sistema operativo rivoluzionario. Ovviamente è tutto da provare e giudicare, ma non passerà molto e verificheremo se le promesse diventeranno realtà.

Questo sistema operativo per il quale la Microsoft sta inducendo tantissime aspettative, oltre ad avere uno screen-reader già installato e disponibile, senza avere il bisogno di installare software di terze parti, sarà un sistema operativo che, a quanto pare, si adatterà a qualsiasi dispositivo.

Per tutti e non solo per noi disabili visivi, una volta imparato come usare questo sistema operativo, su qualsiasi dispositivo metteremo le mani, non avremo da perdere la testa ad imparare la struttura del sistema ed i comandi per usarlo.

Immagino che potrà essere come avviene oggi quando, per esempio, chi riesce sufficientemente ad usare per se un computer con Windows 7 , si trova a mettere le mani su un computer di un amico, diverso da quello personale, ma con lo stesso sistema operativo e con gli stessi programmi di base.

Speriamo che lo screen-reader installato di default nel sistema, ci consentirà una gestione completa delle risorse e di tutti i programmi installati, perché, a quanto pare, purtroppo non potremo usare per il momento gli screen-reader utilizzati fino ad ora e che potremo continuare ad usare fino a quando non decideremo di cambiare sistema operativo.

Termino dicendo, e non certamente per chi smanetta e riesce a districarsi talvolta anche in situazioni difficili, che è meglio aspettare e non passare subito al nuovo sistema operativo della Microsoft.

La ragione è presto detta: per dare il tempo alle persone tra noi disabili della vista un po’ più smaliziate, per provare e fornire le indicazioni giuste per tutti coloro che sono costretti ad usare uno screen-reader o un ingranditore software per poter usare un computer o un altro dispositivo.
Allora, dicono i giocatori di biliardo: calma e gesso! Pensiamoci un attimo prima di aggiornare a Windows 10, tanto non ci vorrà molto a capire se i nostri problemi sono risolti o sono insormontabili e dobbiamo continuare ad usare i vecchi sistemi operativi.

Per ulteriori spiegazioni, scrivere a: Nunziante Esposito <nunziante.esposito@uiciechi.it>`

Perché tante critiche al Jobs Act?, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Clima teso ed atmosfera infuocata come non mai tra Nicola Stilla e Mario Barbuto: è un Agosto “caldo” per il nostro mondo della disabilità visiva, ormai chiaramente in piena e frenetica “campagna elettorale” prima di Chianciano.
Per il momento (ma credo che ce ne saranno ben presto anche altri) l’oggetto del contendere tra i nostri due principali “competitors” alla Presidenza Nazionale è lo schema di decreto legislativo (Atti del Governo, n. 176), attuativo della delega di cui alla legge 183/2014: in parole povere, si tratta dei decreti delegati del Jobs Act, che sono attualmente sottoposti al parere della Conferenza Stato-Regioni e delle competenti Commissioni di Senato e Camera.
A chiedere accoratamente modifiche a tali Decreti attuativi, ci sono in prima fila tre sindacati – la Cgil, la Uil e l’Ugl – insieme all’Anmic (associazione nazionale mutilati invalidi civili) e all’Ens (ente nazionale sordi).
Sull’altro fronte, s’è schierato il nostro Presidente Nazionale Mario Barbuto, a nome ovviamente dell’UICI, insieme alla Cisl ed alla Fish, una delle due grandi federazioni di associazioni di disabili. La Fand, l’altra ”storica” organizzazione di persone con disabilità, invece, pare spaccata su tale questione, divenuta pertanto davvero rovente.
Quella che fino a questo momento è stata una semplice (e secondo me poco evidente) diversità di lettura sulla nostra Unione da parte di Stilla e Barbuto, improvvisamente a causa del Jobs Act, è diventato quasi uno scontro verbale nei giorni scorsi, quando Nicola, palesemente contrario alle nuove norme, ha duramente criticato la controparte con toni che non si registravano da tempo nei rapporti fra i due. In particolare Stilla non ha digerito il riferimento che Cisl, Fish e UICI (e dunque anche il nostro Presidente Barbuto) hanno fatto, nell’argomentare la loro posizione favorevole, ai lavori dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità: “È davvero scorretto – ha scritto Stilla – il comportamento di Mario Barbuto che arbitrariamente si è arrogato il diritto di parlare a nome di tutte le persone con minorazione visiva, esprimendo il plauso incondizionato ai decreti attuativi del Jobs Act”.
Una reazione veemente e certamente inconsueta, che al di là dei toni mi stupisce perché, poco tempo fa, s’è tenuta un’adunanza del nostro Consiglio Nazionale, durante la quale, Nicola avrebbe potuto senz’altro affrontare l’argomento in oggetto e sollevare il caso! Vicenda che tra l’altro nessun altro Consigliere Nazionale ha contestato, dimostrando quindi di condividere in toto le opinioni del Presidente Barbuto sul Jobs Act.
Ad essere messa sotto accusa, dunque, è la “pretesa” di Mario di rappresentare tutto il mondo della disabilità visiva o comunque di poter parlare in rappresentanza di tutti i ciechi ed ipovedenti italiani.
Ma che cosa dovrebbe fare allora il nostro Presidente Nazionale, indipendentemente dal fatto che attualmente tale incarico sia ricoperto da Mario Barbuto?
Nel merito del Jobs Act del Governo, il principale punto di frizione riguarda il rafforzamento dell’istituto della “chiamata nominativa”, che assume un ruolo preminente.
Fish, Cisl e Barbuto fanno notare come il rafforzamento di questa tipologia di chiamata consente esattamente di selezionare la “persona giusta” e collocarla nel “posto giusto”: un vero e proprio collocamento mirato, quindi, che consentirebbe di realizzare inserimenti lavorativi proficui e di superare le discriminazioni che tutt’oggi colpiscono soprattutto le persone con disabilità più grave, in particolare sensoriali, intellettive e relazionali.
Ed io, francamente, la penso come il nostro Presidente Barbuto. Ma ho come la sensazione che siamo solo all’inizio e che la torrida ”canicola” estiva di questi giorni infiammerà ulteriormente una campagna elettorale che già promette scintille!
Nel mio piccolo, mi permetto di sottolineare come i personalismi ed il bisogno di visibilità hanno in passato troppo spesso impoverito e soffocato il dialogo al nostro interno.
Riprendiamo, invece, il dibattito sulle diverse interpretazioni del ruolo centrale che la nostra “gloriosa” Associazione deve avere anche nel nuovo millennio e sui valori “portanti” della nostra Unione. Solo così facendo, infatti, sono assolutamente convinto che Nicola Stilla ritroverà con il Presidente Mario Barbuto molti più punti in comune che elementi di disaccordo.

Avremo mai la vera accessibilità?, di Mario Mirabile

Autore: Mario Mirabile

Le righe che seguono non vogliono essere una polemica sterile ed inutile, ma soltanto un piccolo contributo finalizzato a far comprendere per un cieco in cosa consiste la vera accessibilità di un luogo culturale, museale, artistico e più in generale cosa significa poter fruire di un bene o di un evento alla pari, o quasi alla pari dei normodotati. Solo per fare qualche esempio, si pensi a quando un cieco vuole assistere ad una partita di calcio, ad un concerto, o ad un qualsiasi altro evento: in questi casi, per poter eventualmente usufruire, ove previsto di qualche biglietto scontato, o che consenta la gratuità per l’accompagnatore, si è costretti ad assistere all’evento nei settori dedicati soltanto ai disabili, come se tutti questi dovessero stare in un ghetto con i loro simili. Ma perché un non vedente non può assistere ad una partita di calcio da una gradinata, o da una curva insieme ai suoi amici? Che cosa lo impedisce?
Ma andiamo ad analizzare l’evento sicuramente più significativo ed importante di questo periodo, ovvero Expo Milano 2015. Indubbiamente ci sono tanti accorgimenti per le persone disabili: ingressi dedicati, biglietterie esclusive, sconti che consentono l’ingresso gratuito per gli accompagnatori, chilometri di percorsi loges e decine di mappe tattili. Chi non conosce a fondo la disabilità non può che plaudire a tutti questi accorgimenti, ma un non vedente non può essere soddisfatto. All’interno dei padiglioni dei diversi paesi, infatti, non è previsto quasi nulla per i non vedenti e gli ipovedenti. I filmati, le scenografie, le mappe sono pressoché inaccessibili ai disabili visivi, i quali devono affidarsi alle descrizioni più o meno precise dei loro accompagnatori. Quasi sempre, vicino agli oggetti esposti, c’è il classico divieto di toccare e se solo ci si azzarda ad allungare una mano, c’è subito pronto l’addetto che richiama ad osservare il divieto; come se si trattasse di reperti storici o archeologici, non tenendo conto che questi padiglioni tra poco più di 3 mesi verranno completamente smantellati. Tutto ciò che è interattivo è praticamente of limits per i minorati della vista. E allora la domanda sorge spontanea: a cosa è servito spendere tanti soldi per installare percorsi pedotattili, se i non vedenti comunque sono costretti ad essere accompagnati? Non credo che i non vedenti si rechino all’interno dell’expo soltanto per mangiare qualcosa ai chioschetti adibiti per lo street food. E per completare il quadro della non accessibilità, le navette che consentono di muoversi all’interno del sito espositivo, pur essendo di ultima generazione, non sono dotate di sistemi di annuncio vocale delle fermate. Ma quello appena descritto è soltanto l’esempio più eclatante. Passiamo ora a alle visite guidate, “accessibili”, presso palazzo Zevallos Stigliano a Napoli, il Museo di Banca Intesa. E bene, a fronte di un lavoro che ha consentito la riproduzione in rilievo di diversi importanti quadri, il progetto è solo all’inizio, nulla è stato fatto perché si comprendesse davvero che cosa è l’accessibilità. Infatti, nella visita guidata organizzata per mostrare i capolavori presenti anche ai non vedenti, a questi ultimi è stato proibito di toccare le sculture presenti e addirittura dei mobili in legno. Ho chiesto alla guida se era davvero convinta che un tavolo in legno del XVII secolo potesse rovinarsi se un cieco a mani nude lo avesse toccato. La guida, al quanto imbarazzata, mi ha risposto che quelle erano le disposizioni della direzione. Dunque a questo punto viene da pensare che la conferenza stampa e le riproduzioni dei quadri è stata una idea soltanto per farsi un po’ di pubblicità, ma non perché si era davvero convinti che una persona cieca o ipovedente potesse fruire davvero dei capolavori artistici presenti. Purtroppo sono ancora troppi i tabù che non consentono al nostro paese di mettersi al pari delle Nazioni europee che, mi dispiace dirlo, sono molto più evoluti. Da noi la cultura assistenzialista non è stata ancora sostituita da una idea inclusiva della disabilità. Gli eventi ideati per consentire di visitare un museo, un luogo d’arte, un sito archeologico con guide formate e con specifici ausili sono ancora troppo sporadici ed estemporanei, spesso organizzati soltanto per consentire una passerella ai politici di questo o quel posto. Non è una questione di mancanza di soldi, come troppo spesso ci raccontano, ma il problema è culturale; fino a quando il disabile viene considerato meritevole della sola assistenza e del pietismo e non come una persona uguale alle altre, ma con esigenze speciali, ci ritroveremo sempre a dover assistere ad eventi sportivi nei settori ghetto, a non poter fruire a pieno di un evento come l’Expo, a poter visitare questo o quel sito archeologico e museale soltanto nei giorni individuati per gentile concessione da questa o quella sovrintendenza. Attenzione per la giornata del disabile – 3 dicembre – tutti gli enti museali sono pronti a far accedere i portatori di handicap! Quindi organizziamoci per un tour de force in quella giornata perché la prossima possibilità ce la daranno dopo un anno!

Un soggiorno memorabile, di Patrizia Onori

Autore: Patrizia Onori

Non appena ho ricevuto la notizia che anche quest’anno si sarebbe svolto il soggiorno organizzato dalla sezione provinciale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Frosinone, presa da un travolgente entusiasmo, per poter partecipare, ho immediatamente formulato la richiesta di ferie presso l’ufficio in cui lavoro.

La mia delusione è stata immensa quando inizialmente, ho avuto una risposta evasiva, però, dopo qualche giorno, ecco la certezza, ferie approvate, quindi si parte!
Insieme alla mia famiglia, siamo partiti da Latina per raggiungere la città di Frosinone, dove ci aspettava il pullman che conseguentemente ci ha condotto a Roseto degli Abruzzi presso l’hotel Liberty.
Dopo aver abbondantemente pranzato, abbiamo ricevuto le chiavi corrispondenti alle nostre stanze e, dopo aver sistemato i bagagli ed aver riposato, eccoci in spiaggia, io, mio marito Fabio, mia madre Ivana e mio figlio Gianluca.
Bellissimo l’incontro con tanti amici ma soprattutto, stupendo ritrovare volontari conosciuti lo scorso anno poichè con smisurato amore e dedizione, accompagnavano anche questa volta i soci che necessitavano di specifica assistenza.
Ho trovato particolarmente maturato e migliorato il percorso del volontario Marco Vecchiarino, con il quale abbiamo approfondito la conoscenza ed è rimasto veramente meravigliato quando ha appreso che mi ricordavo perfettamente tutto ciò che di lui mi aveva precisato lo scorso anno.
Non avrei mai potuto dimenticare persone straordinarie come i volontari che con tanta passione mettono a disposizione il loro tempo e soprattutto, dedicano parte della loro vita a favore di chi è meno fortunato.
Grazie!
Fondamentale importanza, ha avuto un momento particolarmente emozionante ed originale, dato che durante una mattinata in spiaggia, mio figlio Gianluca insieme a due dei suoi amici, Paolo e Gianmarco, hanno guidato il pedalò per circa due ore e trenta minuti accompagnando gruppi di persone disabili ed ogni venti minuti, provvedevano a far scendere un gruppo per poi aiutare altre persone a raggiungere il pedalò.
Sono stati tra l’altro organizzati dai volontari due divertenti minitornei comprendenti piccoli premi simbolici, di cui uno all’interno dell’hotel riguardante il gioco delle carte chiamato scopone scientifico e l’altro in spiaggia relativo al gioco del bowling.
La sera, dopo aver cenato, facevamo lunghe passeggiate o ci fermavamo a sedere all’esterno dell’hotel e, in questi momenti, abbiamo avuto concrete occasioni di confronto che hanno dato luogo a nuove amicizie.
I giorni proseguivano così, all’insegna della totale tranquillità e dell’assoluto rilassamento, tra ore in spiaggia ed ore in piscina.
Infatti, presso l’Hotel Bellavista che ospitava parte del gruppo e che si trova poco distante dall’Hotel che ci ospitava, avevamo in più la possibilità di poter usufruire della piscina così, due giorni prima del termine della vacanza, dopo cena, è stato organizzato dal volontario e capogruppo Giuliano Basilischi un piscina party con rinfresco e karaoke, dove hanno preso parte con giocosità particolare gli amici di famiglia Fulvio Diana, Paolo Perciballe e Gianmarco Patrizi, divertimento generale!
Il giorno prima di partire, abbiamo avuto un’inattesa sorpresa poiché è venuto a trovarci Giuseppe Tozzi, organizzatore del soggiorno marino il quale, a causa dei suoi numerosi impegni, quest’anno non ha potuto condividere con noi questa straordinaria esperienza, però ha comunque voluto renderci felici con la sua presenza anche se purtroppo solo per poche ore.
Assolutamente in fretta, è arrivato il giorno della partenza e, dopo aver pranzato, con rimpianto e nostalgia, abbiamo dovuto lasciare il luogo che ci ha trasmesso attimi di gioia dandoci la possibilità di trascorrere istanti indimenticabili, di sognare momenti felici, così ognuno di noi è tornato alla piena quotidianità, con la possibilità di vivere istanti magnifici ma con la consapevolezza di dover affrontare ogni giorno le difficoltà dell’essere disabili.
Un particolare ringraziamento lo rivolgo agli amici Leonardo Villani e sua moglie Teresa, poiché conoscendoli, ho avuto modo di accostarmi a due persone dotate di grande sensibilità, immensa disponibilità ed eccezionale gentilezza.
Grazie Giuliano Basilischi, poiché con la tua naturalezza, sei riuscito meravigliosamente ad esercitare le tue competenze umane riguardanti l’attività di volontariato e, contemporaneamente, a coordinare perfettamente il gruppo dei partecipanti al soggiorno.
Mi è doveroso inoltre rivolgere uno specifico ringraziamento a Giuseppe Tozzi, organizzatore di tale magnifico soggiorno, poiché, pur non avendo partecipato personalmente alla vacanza, è riuscito esattamente a predisporre il tutto con l’esclusiva precisione che lo contraddistingue.
Complimenti a Claudio Cola, neoeletto Presidente regionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti del Lazio, perché con le sue notevoli risorse intellettive e con la sua rilevante energia, ha apprezzabilmente contribuito alla realizzazione dell’intero soggiorno, addirittura portando con sé in questa vacanza sia la Presidente provinciale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Viterbo signora Elena Dominici, sia il Presidente provinciale dell’unione Italiana dei Ciechi e degli ipovedenti di Frosinone Eliseo Ferrante.
La vita è uno splendido film in cui ognuno di noi ne è l’assoluto protagonista, perciò, anche se costretti a guardare il mondo con occhi altrui, non lasciamoci sfuggire ciò che ci circonda perdendo occasioni splendide come quella descritta in questo resoconto.
Viviamo serenamente ogni istante!

Patrizia Onori