Candidatura al Consiglio nazionale: 1- Quale Consiglio?, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

La mia decisione di presentare la candidatura al Consiglio nazionale ha origine da due decenni di attività a contatto con i soci, prima come volontario, poi come consigliere e presidente sezionale. Da questa esperienza quotidiana, fatta di successi, frustrazioni, situazioni individuali talora allucinanti, ho tratto la precisa conclusione che l’esistenza dell’intera nostra organizzazione a partire dai livelli nazionali deve avere al centro della propria attività il sostegno e l’operatività massima delle sezioni territoriali. Prioritariamente bisogna garantire che la sezione territoriale, sotto qualsiasi forma denominata ora o in futuro, sia messa nelle migliori condizioni di funzionalità, per essere a disposizione totale dei soci, senza dover perdere ore e ore di lavoro per bilanci bizantini, burocrazie barocche et similia. E’ altrettanto fondamentale si garantisca che i dirigenti sezionali siano sempre disponibili al rapporto diretto con i soci e non rinchiusi in fumose torri d’avorio che spesso servono solo a massaggiare l’ego di se stessi e a coprire una sostanziale incompetenza di fronte alle domande dei soci. Per fortuna le difficoltà economiche delle sezioni stanno spazzando via questi ultimi atteggiamenti, ma nel recente passato non era difficile dover affrontare un colloquio col presidente di sezione organizzato come se si dovesse incontrare il Vescovo o il Prefetto. La presentazione della candidatura ha avuto però anche l’effetto di farmi riflettere in via prioritaria sulla funzione e il funzionamento del Consiglio nazionale, ancor prima di parlare di programmi concreti da proporre a voi e ai delegati. “qui incomincian le dolenti note a farmisi sentire…”. Passatemi la quasi parafrasi e scusate se faccio un passo indietro. Lo statuto, sia il vecchio sia la bozza nuova, delinea precisamente ruoli e compiti della dirigenza nazionale: presidenza nazionale e direzione nazionale hanno in sostanza il potere esecutivo, il consiglio nazionale ha il potere programmatorio e propositivo. Ovviamente è banale affermare che questa divisione dei compiti non è così secca e cruda, in quanto è auspicabile che il presidente nazionale abbia una sua visione della funzione dell’associazione e delle sue esigenze, come pure i membri della direzione nazionale; quindi è del tutto accettabile e fruttuoso che anche da queste fonti vengano proposte e suggerimenti concreti. Resta il fatto che la funzione propositiva deve costituire la maggior parte del lavoro del consiglio. Ora, se questo prescrive la norma occorre dire che da quando sono presente in associazione la sensazione è stata ben altra. Infatti ho percepito nella realtà che la presidenza nazionale e la direzione assorbivano totalmente sia il potere esecutivo che quello propositivo, riducendo il consiglio a mero strumento di approvazione formale di decisioni che avevano luogo in ambienti del tutto diversi. Ripeto , che alcune proposte vengano dalla presidenza o dalla direzione nazionale è del tutto legittimo è opportuno , ma non è per nulla opportuno anche se vagamente legittimo far assurgere tale comportamento a sistema. Questo andazzo è a mio parere anche dimostrato da alcuni fatti, in particolare dal funzionamento delle varie commissioni tematiche nazionali, burocraticamente formalizzate ad ogni tornata congressuale ma ridotte , pur con rare e lodevoli eccezioni a simulacri inconcludenti. Ma come aspettarsi qualcosa di diverso se si sa da decenni che, di fatto, chi fa proposte è sempre e comunque la Presidenza nazionale o la Direzione? Quante sono state le proposte di commissioni portate in Consiglio nazionale fino al marzo 2014?Temo che la risposta possa essere deludente, ma sarei lietissimo di essere contraddetto da numeri e fatti, soli argomenti accettabili. Da vecchio medico non posso però fermarmi alla descrizione dei sintomi, ma devo anche avanzare una diagnosi sulla patologia che ne è responsabile. La diagnosi a mio parere è evidente: questo strisciante sovvertimento della norma di diritto e la prevalenza di una norma di fatto del tutto diversa è dovuta alla composizione attuale del consiglio. Anche qui ha preso piede una sorta di legislazione di fatto per la quale i consiglieri nazionali sono determinati non dalla libera candidatura di persone con i loro valori e le loro competenze, bensì da accordi extra statutari congressuali tra presidenti regionali i quali , usando una specie di manuale Cencelli de noartri, badavano solo che i venti componenti fossero puntigliosamente ripartiti geograficamente in base al peso congressuale delle regioni che garantivano contemporaneamente la maggioranza per l’elezione del Presidente nazionale. Chi era dentro era dentro e chi era fuori restava fuori. Stesso meccanismo veniva usato anche per la nomina della Direzione nazionale , ovviamente. Lo Statuto non prevede nulla di tutto questo, ma per decenni esso è stato più o meno tacitamente, sostituito, con uno Statuto di fatto che ha ottenuto questi risultati. Il meccanismo è emerso chiarissimamente nel Congresso 2010 nel quale i risultati delle elezioni del Consiglio nazionale sono stati con evidenza figli di questo sistema per lo meno estroso di interpretare lo Statuto. Dal sistema elettorale di fatto emergeva però un Consiglio che non poteva essere composto da altri che da singoli individui, che rappresentavano se stessi o al massimo la regione di origine, senza alcuna modalità di valutazione da parte degli elettori sulle competenze di ciascuno di loro e senza alcun potere reale di proporre autonomamente atti od iniziative ritenute opportune per l’Associazione. D’altronde in queste condizioni di frantumazione dei componenti elettivi non si capisce come si sarebbe potuto ottenere una approvazione di una deliberazione proposta da un singolo consigliere senza che fosse stata prima vagliata da chi aveva fatto in modo che tale consigliere sedesse a quel posto. Attenzione! Conosco degnissime persone con eccellenti competenze che, malgrado questo pasticciaccio elettivo hanno fatto parte e fanno parte del Consiglio e della Direzione, ma alla luce di quanto descritto il fatto appare più frutto di fortuna per l’associazione e mi permetto di pensare cosa sarebbe potuto essere se anche poche persone di questo valore avessero potuto lavorare senza lacci e lacciuoli del genere descritto. Per verità devo riconoscere che l’elezione di Mario Barbuto nel marzo 2014 potrebbe rappresentare l’inizio di una maggior considerazione dei consiglieri circa le loro funzioni generali, ma occorre che questo episodio non resti una rara avis nella storia associativa. Per deformazione professionale, alla diagnosi segue la terapia. La mia proposta susciterà certamente le ire di qualcuno e probabilmente mi verrà rappresentata la necessità di salvaguardare l’unità associativa e dei suoi vertici, con aggiunta quasi certa della ulteriore considerazione che tutti i consiglieri nazionali sono lì “per il bene dell’Unione” e altre preziose massime filosofiche similari. Affermo che tutta questa serie di principi per me è scontata in chiunque assuma cariche associative, ma che oltre agli onorevoli principi di unitarietà e considerazione del bene associativo occorre anche permettere agli organi nazionali di lavorare al meglio delle condizioni previste dallo statuto. In primis il Consiglio deve recuperare le proprie funzioni propositive. Se fosse già attivo il nuovo Statuto la soluzione sarebbe semplice: si presenta una lista di candidati al Consiglio collegata alla candidatura di un Presidente nazionale, unitamente ad un programma condiviso che , in caso di vittoria, diverrà il programma di lavoro della maggioranza del Consiglio, senza escludere che anche la lista o le liste risultate minoritarie possano dare il loro contributo in Consiglio proponendo modifiche od aggiunte. Ma tutto questo può essere realizzato tra 5 anni se verrà approvato il nuovo Statuto. Dubito che la nostra Associazione possa permettersi questo lusso. Tra l’altro, la splendida iniziativa attuale della libertà di candidatura se da un lato permetterà di mettere in non cale il manuale Cencelli della divisione per territori, non dà però molte garanzie sulla possibile omogeneità di proposte da parte dei consiglieri. Non sto parlando di arrivare a tutti i costi in Congresso con una maggioranza consiliare già precostruita ma ritengo del tutto auspicabile, trasparente e legittimo che alcuni gruppi di candidati si possano riconoscere in alcuni temi programmatici da portare in Consiglio se eletti e portino a conoscenza di tutti sia il possibile programma sia i nomi di chi si impegna a sostenerlo Non . sarebbe certo una formula perfetta, ma almeno metterebbe in condizione i consiglieri eletti di non doversi presentare al Consiglio ciascuno con un programma diverso da tutti gli altri 40 e passa componenti.
Giovanni Taverna