L’UICI: ieri, oggi e domani, di Carlo Carletti

Autore: Carlo Carletti

Il dibattito, che da più parti si svolge, sul ruolo delle sezioni e sulla preparazione dei loro dirigenti lo ritengo molto interessante e opportuno, anche per la prossimità del Congresso. A mio parere, per meglio programmare il futuro, sarebbe utile prendere in considerazione il fatto che negli ultimi 30 anni la potenziale base associativa delle Sezioni è fortemente cambiata. Il numero dei giovani ciechi e ipovedenti normo-dotati da 0 a 18 anni spesso non arriva al 2% del totale, mentre quelli ultra settantenni superano ormai il 70%; questi sono portatori di problematiche psicologiche, umane e sociali del tutto nuove rispetto a quelle che si dovevano affrontare negli anni precedenti.
L’invecchiamento della popolazione dei ciechi e degli ipovedenti, insieme al crescente numero dei giovani disabili visivi pluriminorati, richiede alle Sezioni attività nuove che si possono affrontare soltanto con operatori con specifiche competenze professionali. In molte Province, inoltre, spesso risulta carente anche il numero dei ciechi e degli ipovedenti che potrebbero impegnarsi nella costituzione dei consigli delle Sezioni e, anche quei pochi presenti, spesso vi rinunciano perché risiedono in comuni lontani  dal capoluogo con conseguenti problematiche di lavoro, di studio e familiari da assolvere. A tali comprensibili difficoltà, fa riscontro anche un ormai diminuito spirito di sacrificio, di impegno sociale e di solidarietà. Il senso di appartenenza all’Associazione non trova riscontro in coloro che hanno perso la vista recentemente e che hanno potuto usufruire delle conquiste economiche e sociali conseguite con tanti sacrifici e dure lotte dalle precedenti generazioni di ciechi. Inoltre, le Sezioni svolgono spesso servizi dei quali possono usufruire solo le persone con disabilità visiva che vivono nei pressi delle Sezioni stesse. Tali persone possono usufruire anche dei servizi che i Comuni capoluogo assicurano con più probabilità rispetto ai tanti piccoli Comuni, che spesso lasciano le persone non vedenti nel totale isolamento. Queste e altre situazioni hanno fatto si che, all’UICI attualmente aderisce solo circa il 25-30% dei cittadini con disabilità visiva assistiti dall’INPS e, di questi, soltanto circa il 15-20% partecipa alle assemblee, spesso solo perché sollecitati. Di queste situazioni sovente se ne addebitano ingiustamente le responsabilità ai soli dirigenti delle Sezioni; esistono sicuramente situazioni dove qualche dirigente ha fatto e continua a fare della Sezione un proprio feudo per soddisfare le proprie esigenze esistenziali, ma queste distorsioni non sono la maggioranza e sono facilmente individuabili, per essere modificate. L’unione, infatti, non ha dimezzato il numero dei soci per disaffezione degli stessi: qualcuno non avrà rinnovato la tessera per divergenze di opinioni con il gruppo dirigente, qualcun altro avrà avuto altre ragioni, ma tutto ciò non ha inciso in modo significativo sull’attuale realtà associativa. Credo che l’UICI non abbia saputo comprendere la necessità di dover adeguare, nei tempi giusti, le proprie strutture nazionali, regionali e periferiche per intercettare e governare la trasformazione che avveniva nella composizione del corpo sociale della disabilità visiva. Negli ultimi 30 anni i soci deceduti non sono stati sostituiti da altrettanti nuovi, che per la loro età e condizione non hanno trovato valide motivazioni per iscriversi all’Unione. Guardando in faccia la realtà dobbiamo, volenti o no, prendere atto che l’Unione è profondamente cambiata e non è più l’Associazione che svolge assemblee molto partecipate e dibattute. I valori della democrazia e della correttezza devono necessariamente caratterizzare il ruolo dei dirigenti, indipendentemente dal numero dei partecipanti alle assemblee stesse. Dovremo prendere atto, volenti o no, che il profondo cambiamento del corpo associativo dell’Unione impone a una piccola minoranza di ciechi e ipovedenti, un numero che a mio parere si aggira intorno alle 2.000 unità che ha avuto la fortuna di studiare, di conseguire un buon livello culturale e una certa sicurezza economica e sociale, di farsi carico di tutte le strutture dell’Unione e  di rappresentare anche la stragrande maggioranza di quei disabili visivi che non sono in grado di autorappresentarsi. Modificare lo statuto, rendere incompatibili le cariche associative, ridurre i mandati dei presidenti e dei consiglieri, dare un nuovo assetto alle Sezioni territoriali, semplificare la gestione dei loro bilanci, evitare l’anacronistica nomina dei Sindaci Revisori almeno nelle piccole Sezioni e dare un diverso potere ai Consigli Regionali, sono azioni che potranno dare una mano a risolvere alcune situazioni nell’immediato futuro, ma la realtà ci mostra ogni giorno che il tempo sembra sia trascorso invano, con tutti i problemi riguardanti la scuola, il lavoro e il sociale, che continuano a ripresentarsi nei modi più diversi e particolari, trovando, a mio parere, un’associazione trasformata e, per certi aspetti, più qualificata, ma ormai incapace di dare risposte forti e con il sostegno di una base associativa numerosa e consapevole. Personalmente, dopo 52 anni di vita associativa, iniziata nel 1963 con l’entusiasmo degli allora miei 20 anni, avendo avuto come guida e riferimento dirigenti quali Piero Bigini, Paolo Bentivoglio e Giuseppe Fucà, in un’Associazione diversa nella sua composizione,  nei suoi obiettivi e nelle sue lotte per la conquista di un posto dignitoso nella società, a volte mi ritrovo con il pensiero rivolto ai giovani ciechi e ipovedenti di oggi, che come quelli di ieri dovrebbero lottare, in una società comunque diversa da quel passato, con le unghie e con i denti per assicurarsi un dignitoso avvenire. Il numero di questi giovani è  fortunatamente in forte diminuzione, ma la loro  consapevolezza e  il loro interesse per autorappresentare le loro esigenze appaiono davvero insufficienti. Probabilmente quelli della mia generazione non sono riusciti a trasmettere loro quel necessario e forte “senso di appartenenza” al movimento dei ciechi. Con i tempi che corrono, i “vecchietti” dell’UICI potrebbero fare ancora qualcosa di molto utile per l’Associazione, occupando però solo ruoli che possano favorire la formazione e la crescita di eventuali nuovi e giovani dirigenti.