Centro di Documentazione Giuridica – La Cassazione Civile sez. lavoro nuovamente dichiara l’annullabilità del recesso esercitato nei riguardi del lavoratore disabile Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-02-2015, n. 3931, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

La Corte di Cassazione Civile Sez. lavoro con sentenza n.3931 è nuovamente intervenuta sul tema del licenziamento del lavoratore disabile.
In tale sentenza ha precisato che l’art. 10, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68 – prevedendo l’annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente “qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva” prevista dal precedente art. 3 della legge – riguarda soltanto il “recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo” e non anche gli altri tipi di recesso datoriale.
Tale decisione è conforme alla precedente sentenza (cfr. Cass. civ. Sez. lavoro, 26/06/2009, n. 15080 ) che relativamente allo stesso tema e alla stessa normativa sopra richiamata aveva previsto che il recesso, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo “esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva” – si applica espressamente e in maniera esclusiva ai lavoratori assunti in forza della disciplina dettata in materia di assunzione obbligatoria, senza che, ove la quota di riserva aziendale risulti scoperta, sia computabile nella stessa il personale invalido non assunto obbligatoriamente.
Ne consegue dunque che la norma non si applica al licenziamento disciplinare, nelle sue diverse configurazioni, in conformità con l’idea ispiratrice di tutta la legge n. 68 del 1999 di coniugare la valorizzazione delle capacità professionali dei disabili (o equiparati) con la funzionalità economica delle imprese che li assumono.
Considerata l’importanza del tema trattato, segue il testo integrale della sentenza commentata.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-02-2015, n. 3931
Fatto Diritto P.Q.M.
LAVORO (RAPPORTO DI)
Assunzione (diritto alla)
Licenziamento per giustificato motivo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 29641-2011 proposto da:
G.M. C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato OLDRINI ALESSIO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ AGRICOLA CORTE GRANDE S.A.S. DI ANDREA PEDRINI & C, (già AZIENDA AGRICOLA CORTE GRANDE S.A.S. DI ALBERTO PEDRINI E C.) C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio dell’avvocato VESCI GERARDO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CAGGESE MARGHERITA, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 534/2010 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 23/11/2010 r.g.n. 244/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/12/2014 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;
udito l’Avvocato VESCI GERARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23 novembre 2010 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Cremona con la quale era stata rigettata la domanda di G.M., collocato obbligatoriamente presso l’Azienda Agricola Corte Grande s.a s. di Andrea Grande & C, volta ad accertare l’illegittimità del licenziamento comminatogli il 4/1/2006 per superamento del periodo di comporto.
La Corte d’appello ha rilevato che il lavoratore lamentava la violazione della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 4, secondo cui era annullabile il licenziamento di lavoratore occupato obbligatoriamente per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo quando al momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente fosse inferiore alla quota di riserva. Secondo la Corte il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituiva un’ipotesi speciale di licenziamento che trovava una sua specifica disciplina prevalente sia sulla disciplina della risoluzione per impossibilità parziale sopravvenuta, sia su quella limitativa dei licenziamenti di cui alle L. n. 604 del 1966 e L. n. 300 del 1970 con la conseguenza che il superamento del termine determinato dalla disciplina collettiva o dagli usi o in difetto dal giudice, costituiva condizione sufficiente di legittimità del recesso.
La Corte ha poi sottolineato che il licenziamento per superamento del comporto era distinto dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo; che l’art. 10, comma 4, citato era di stretta interpretazione e che, pertanto, non era applicabile alla fattispecie in esame. Infine la Corte ha escluso che la malattia del ricorrente fosse riconducibile all’attività svolta non avendo mai esercitato mansioni incompatibili.
Avverso la sentenza ricorre il G. formulando 4 motivi.
Resiste l’Azienda Agricola che deposita controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo denuncia violazione della L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 4, e con il secondo vizio di motivazione.
Deduce che il licenziamento per superamento del comporto è licenziamento per giustificato motivo oggettivo seppure speciale e che la Corte non si era pronunciata sulla natura del recesso citando soltanto sentenze che sottolineavano la specialità del recesso. Il motivo è infondato.
Deve, in primo luogo, rilevarsi che le previsioni dell’art. 10 citato sono tassative e non possono estendersi al licenziamento per superamento del comporto o al licenziamento disciplinare. Questa Corte ha affermato che (v Cass. 15873/2012) “In tema di licenziamento del lavoratore disabile, la L. n. 68 del 1999, art. 10, comma 4, – che prevede l’annullabilità del recesso esercitato nei confronti del lavoratore disabile (o di categoria equiparata) occupato obbligatoriamente qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista dal precedente art. 3 della legge – riguarda soltanto il recesso di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo e non anche gli altri tipi di recesso datoriale”.
La Corte d’appello, facendo corretta applicazione di tali principi, ha escluso che al licenziamento per superamento del comporto fosse applicabile l’art. 10 citato.
Contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, nel rilevare la specialità della figura di detto licenziamento richiamando anche la giurisprudenza di questa Corte sul punto (cfr Cass. n 5413/2003, 7730/2004 sulla riconducibilità alle regole dettate dall’art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti), la Corte di merito ha inteso proprio sottolineare che il licenziamento per superamento del comporto non è riconducibile alle altre ipotesi previste dall’art. 10 citato atteso che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al quale si riferisce tale disposizione, non può che essere quello per soppressione del posto (ossia il c.d. licenziamento economico) in simmetria con il licenziamento collettivo per riduzione di personale.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2110 c.c., dell’art. 115 c.p.c. nonchè vizio di motivazione.
Lamenta che nè il tribunale nè la Corte d’appello hanno accolto l’istanza di consulenza tecnica al fine di provare l’affidamento al lavoratore di mansioni incompatibili che avevano determinato molte delle sue assenza dal lavoro.
La censura è infondata. Il dipendente che sostenga la dipendenza dell’infermità da una causa di servizio ha l’onere di dedurre e provare i fatti costitutivi del diritto, dimostrando la riconducibilità dell’affezione denunciata alle modalità concrete di svolgimento delle mansioni inerenti la qualifica rivestita. Il nesso causale tra attività lavorativa ed evento, non può essere oggetto di presunzioni di carattere astratto ed ipotetico, ma esige una dimostrazione, quanto meno in termini di probabilità, ancorata a concrete e specifiche situazioni di fatto, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata e intensità dell’esposizione a rischio (v Cass 21825/2014, n 15269/2012).
Nè può avere valore esclusivo e determinante la consulenza tecnica – considerato che essa non costituisce un mezzo sostitutivo dell’onere della prova, ma solo uno strumento istruttorio finalizzato ad integrare l’attività del giudice per mezzo di cognizioni tecniche con riguardo a fatti già acquisiti (Cass. n. 16778 del 17/07/2009).
Nella specie i giudici di merito hanno ritenuto che le risultanze della prova testimoniale svolta con l’accertamento delle mansioni assegnate al ricorrente consentisse di escludere già da tali elementi la loro incompatibilità con le assenze per malattia, nè risultano dedotte specifiche circostanze idonee a pervenire a diverse conclusioni. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare alla contro ricorrente le spese processuali liquidate in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e 15% per spese generali.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2015

Fish – Comunicato stampa. Segregazione delle persone con disabilità: si muove l’Europarlamento

“In tutta l’Unione europea vi sono centinaia di migliaia di minori, disabili, persone affette da problemi di salute mentale, anziani e persone senza fissa dimora che vivono segregati all’interno di istituti e subiscono per tutta la vita le conseguenze dell’istituzionalizzazione.”
“Gli Stati membri dell’UE dovrebbero essere incoraggiati ad abbandonare l’assistenza istituzionale a favore di un sistema di assistenza e sostegno basato sulla famiglia e sulla comunità.”
È lo stralcio di una Dichiarazione scritta su cui 13 europarlamentari (nemmeno uno italiano) chiedono la sottoscrizione da parte dell’Europarlamento. Se la dichiarazione raccoglierà l’adesione della maggioranza diventerà un atto di indirizzo di storica rilevanza culturale e politica: no alla segregazione delle persone con disabilità.
“Siamo molto soddisfatti che FISH sia esattamente nel solco di quelle che sono le riflessioni più avanzate in tema di diritti umani. Le persone con disabilità devono poter scegliere dove vivere e con chi vivere. Le politiche sociali devono favorire innanzitutto la domiciliarità e solo in casi particolari contribuire alla realizzazione di soluzioni alternative che comunque, per standard e organizzazione, devono riprodurre il contesto familiare.”
Così commenta Vincenzo Falabella, presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap. “La Convezione ONU sui diritti delle persone con disabilità, all’articolo 19, ribadisce il contrasto alla segregazione e all’isolamento. Su questo principio richiamiamo l’impegno politico del nostro Parlamento e quello culturale delle associazioni e delle organizzazioni dell’impegno civile. Ovviamente chiediamo a tutti gli europarlamentari di sottoscrivere la dichiarazione.”
L’impegno per la deistituzionalizzazione – e quindi l’inclusione – delle persone con disabilità è un tema centrale per FISH su cui ha approvato una specifica mozione all’ultimo congresso.

Centro di Documentazione Giuridica – La competenza giurisdizionale in tema di sostegno al minore disabile è del giudice ordinario, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

In tema di riparto di giurisdizione, il dibattito intorno al riconoscimento o meno di un diritto soggettivo (con conseguente pronuncia a favore della giurisdizione del giudice ordinario) oppure di un interesse legittimo del minore disabile in tema di sostegno scolastico (con giurisdizione affidata al giudice amministrativo) è sempre a ancora attuale.
In merito segnaliamo la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 25011/2014 del 25 novembre 2014 che, non è solo pregevole per la forma espositiva e la tecnica motivazionale, ma è molto importante e condivisibile nel merito, in quanto ha stabilito che spetta al giudice ordinario la giurisdizione sull’assistenza del minore disabile a scuola, perché il diritto all’istruzione è parte integrante del riconoscimento e della garanzia dei diritti dei disabili, per il conseguimento di quella pari dignità sociale che consente il pieno sviluppo e l’inclusione della persona umana con disabilità.
La sentenza arriva dopo che un genitore ha presentato ricorso contro le amministrazioni statali e comunali, che avevano assegnato al figlio minore, affetto da handicap grave certificato dalle competenti commissioni mediche ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992, 15 ore di Aec, non garantendo il rapporto di 1 a 1, un numero di ore non equivalenti all’intero orario di frequenza.
La Corte regolatrice della giurisdizione, dopo un excursus sulla normativa vigente nazionale e internazionale in materia, argomenta partendo dalla legge 1° marzo 2006, n. 67 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), che nel promuovere la piena attuazione del principio di parità di trattamento e delle pari opportunità nei confronti delle persone con disabilità al fine di garantire alle stesse il pieno godimento dei loro diritti civili, politici, economici e sociali, traccia all’articolo 2 una rilevante distinzione tra due possibili forme di violazione di tale parità (la discriminazione diretta e la discriminazione indiretta), e, all’articolo 3, affida al giudice ordinario la competenza giurisdizionale avverso gli atti e i comportamenti discriminatori, richiamando le nuove norme sulla tutela antidiscriminatoria previste dall’articolo 28 del Dlgs n. 150/2011.
La stessa Corte ha altresì richiamato quanto già disposto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 215 del 1987, in cui è chiarito che la frequenza scolastica è, «insieme alle pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella famiglia», «un essenziale fattore di recupero del portatore di handicap e di superamento della sua emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull’altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità».
Pertanto, una volta che l’istituto scolastico abbia adottato un piano educativo individualizzato o uno strumento equipollente,  non c’è alcuna discrezionalità da parte dell’amministrazione nell’assegnare le ore di sostegno, che debbono essere comunque assicurate in misura pari al piano educativo già deliberato.
La Corte di Cassazione (Sentenza n. 25011/2014 del 25 novembre 2014, delle Sezioni Riunite) ha chiarito che questa materia non attiene alla mera erogazione di un servizio pubblico (riservata al giudice amministrativo) ma è parte integrante del riconoscimento dei diritti della persona, e della garanzia che ai disabili sia garantita l’inclusione sociale.
L’Amministrazione dunque non ha margini di discrezionalità nel modificare l’attribuzione delle ore di Sostegno scolastico quale è stabilita, dal “Gruppo di lavoro per l’integrazione degli handicappati”, con il Piano Educativo Individualizzato. Dunque in tale materia, non esiste la giurisdizione esclusiva (in materia di servizi pubblici) del giudice amministrativo.
Il piano educativo individualizzato per il sostegno scolastico dell’alunno in situazione di handicap, una volta elaborato con il concorso degli insegnanti e degli operatori della sanità pubblica, comporta l’obbligo dell’amministrazione scolastica – priva di potere discrezione a rimodulare la misura del supporto integrativo in ragione della scarsità di risorse disponibili per il servizio – di apprestare gli interventi corrispondenti alle esigenze rilevate.
Le problematiche economiche, quindi, non possono legittimare l’omissione o l’insufficienza della misura del supporto integrativo che è lesiva del diritto dell’alunno disabile ad avere pari opportunità nella fruizione del servizio scolastico, determinando – in assenza di una corrispondente contrazione dell’offerta formativa per gli altri allievi – una discriminazione indiretta, per la cui repressione è comunque competente il giudice ordinario.
Paolo Colombo

Al Museo Omero gli splendori del Rinascimento, di Aldo Grassini

Autore: Aldo Grassini

Suoni e profumi del Rinascimento; l’incontro impossibile con alcuni dei grandi maestri che hanno fatto la storia dell’arte! Un’occasione che non si può perdere.
Avete mai provato l’emozione di toccare una scultura di Donatello o del Verrocchio? Il Museo Omero vi offre questa possibilità dal 4 luglio al 4 ottobre.
“Il Rinascimento oltre l’immagine – Donatello, Verrocchio, i Della Robbia, il Giambologna, Paolo Veronese e molti altri – I tesori della Collezione Bellini come non si sono mai visti”.
Il titolo è un po’ lungo, ma l’occasione è ghiotta! 25 opere tutte originali in marmo, bronzo, Terracotta, legno policromo per la delizia delle nostre dita che potranno toccarle o, meglio, accarezzarle con cura ed amore nella consapevolezza che abbiamo tra le mani un pezzo della grande storia dell’arte italiana.
Una Madonna in Trono con Bambino è opera giovanile di Donatello, datata intorno al 1410, quando l’Artista aveva 24 anni, ma era già in grado di rivelare tutta la sua perfezione stilistica.
E il maestro dei maestri, il Verrocchio, con una Testa del Cristo ci conduce in un ambiente che formò perfino Michelangelo.
Tre terracotte invetriate ci propongono altrettanti esponenti di una straordinaria famiglia di artisti con luca Della Robbia, il più importante di tutti, Giovanni e Marco.
Se poi amiamo le ricercatezze espressive d’un forte dinamismo, ecco qua due opere di un campione del Manierismo cinquecentesco quale fu il Giambologna.
E a far corona a tanto splendore la mostra può offrire due putti marmorei di Baccio Bandinelli: sì, lo stesso che ha scolpito l’Ercole e Caco che adorna Piazza della Signoria, Ma anche due opere del Valdambrino, allievo di Jacopo della Quercia operante a cavallo tra il Trecento e il Quattrocento. Se poi vogliamo deliziarci con qualche oggettino di “design” cinquecentesco, abbiamo a disposizione tre sculturine (una lucerna e due calamai) di Andrea Briosco detto il Riccio.
La lista è lunga e non posso qui citarli tutti. Diciamo: non solo Rinascimento e aggiungiamo un Cristo Benedicente in legno policromo del XII Secolo. Sì, avete capito bene! Sto parlando di arte gotica che riesce a farci fare un salto indietro di circa 900 anni!
Ci sono perfino quattro tele di pittori del Cinquecento, Seicento e Settecento tra cui una Trasfigurazione di Paolo Veronese che cercheremo di tradurre in bassorilievo per la gioia dei non vedenti più appassionati.
Si tratterà di una mostra multisensoriale: il piacere dell’esplorazione tattile, la suggestione dei profumi rinascimentali, lo sfondo delle musiche di quel tempo e lo scenario dell’architettura del Vanvitelli.
Ma come è possibile questo miracolo? Beh, le vie del Museo Omero sono infinite e nel suo peregrinare esso è arrivato a Firenze nel palazzo quattrocentesco di Lungarno Soderini dove risiede il Museo Bellini.
Luigi Bellini è l’ultimo epigono d’un’antica dinastia di antiquari, uno dei più importanti in campo europeo. E che cosa c’è in quel museo e in quella casa!… Il sottoscritto che ha avuto la ventura di visitarli un paio di volte, ha rischiato fortemente la sindrome di Stendhal!
E il prof. Luigi Bellini è un personaggio unico: generoso, colto, aperto. Un personaggio abituato a vivere in mezzo a tanti capolavori che per lui sonooggetti della vita quotidiana, uno che può tenere sul tavolinetto del salottino un Cardinale di Mazù e il bozzetto in alabastro del Battistero di Giotto, e sulla scrivania un cavallino di Marino Marini e nella camera da letto un tondo di Luca Della Robbia!
Ma quello che più conta è il fatto che Luigi Bellini è un fan del Museo Omero che lui considera – bontà sua” – una delle cose più intelligenti che si sono fatte in Italia.
Capite che in fondo ci è voluto poco per convincerlo a prestarci una “manciata” dei suoi tesori per mettere in piedi nella cornice della Mole Vanviteliana di Ancona, di cui egli è innamorato, una bella mostra tattile.
E a questo punto non vi resta che fare un viaggetto fino in Ancona, approfittando della lunga estate calda, per aggiungere, magari, un tuffo nel Mare Adriatico ed una bella mangiata di pesce!
Dunque, amici, pronti e via: il verde mare di Ancona, il saporoso pesce dell’Adriatico e gli splendori del Rinascimento vi attendono numerosi!
Aldo Grassini

Iapb Toscana – Missione Burkina Faso

Quando l’Altro da noi è uno di noi.
Quando l’uomo guarda all’altro diverso da se come se fosse se stesso vengono realizzate grandi cose.
Quello che Giorgio Ricci con la IAPB Italia della Toscana e i vari sostenitori realizzano, è un esempio di programmazione di qualità e di inclusione.
Amici, il mondo ci guarda e queste azioni ci qualificano e ci fanno voler bene.
Più che le mie parole vale quanto qui di seguito riportato nelle parole di Giorgio ma ancora di più nell’articolo.
Massimo Vita

Cari tutti, ieri 8 maggio è rientrata la missione tecnica che Iapb Toscana ha organizzato in Burkina Faso.
La missione è stata breve ma intensa, non solo per i quasi 45 gradi di alcuni giorni
Gli accordi siglati, le nuove attrezzature, la nuova sala operatoria dell’Hopital Saint Camille a Ouagadougou e il rafforzamento dei rapporti con il Ministero della sanità, hanno dato un impulso decisivo al progetto….che a regime potrebbe permettere al Burkina Faso di essere il paese dove si curano e prevengono meglio le malattie dell’occhio in tutta l immensa regione dell’Africa sub Sahariana

Sotto trovate il link dove leggere l’articolo pubblicato sul giornale on line FIRENZE POST questa notte alle ore 2, con allegato una parte di video girato in questi giorni e foto significative
nell articolo, compreso il titolo, viene molto evidenziato il ruolo della iapb toscana
Giorgio Ricci

http://www.firenzepost.it/2015/05/09/burkina-faso-emergenza-cecita-la-toscana-risponde-video-foto/

Museo Omero – 16 e 17 Maggio 2015 Grand Tour Musei 2015 un week end felice!

Lo scultore Felice Tagliaferri al Museo Omero

Un’occasione per conoscere l’uomo, le opere, i film di cui è protagonista lo scultore non vedente, direttore della scuola Chiesa dell’Arte.

16 maggio notte dei musei
Nel pomeriggio di sabato 16 Maggio alle ore 17.00 verrà proiettato il docu-film “Un albero indiano”, con la regia di Silvio Soldini e Giorgio Garini per CBM: un racconto intenso dell’esperienza vissuta dai bambini, con e senza disabilità, della scuola di Shillong (India) nel laboratorio d’arte tenuto da Felice. Dopo la visione del film sarà possibile ascoltare la diretta testimonianza dell’artista. Felice Tagliaferri guiderà i visitatori alla scoperta delle sue opere nelle sale del Museo.
La sera del 16 Maggio alle ore 21.00 per la Notte dei Musei, sarà possibile partecipare al laboratorio artistico: “La pianta della vita, le mani che creano” un momento per toccare, sentire e ancora plasmare, inventare insieme all’artista in una performance guidata.
Prenotazione obbligatoria. Per adulti. Massimo 30 persone.

Si prosegue fino alle 24.00 con visite bendate alla collezione del Museo.

17 maggio giornata dei musei
Domenica 17 Maggio alle ore 17.00, per la Giornata dei Musei, Tagliaferri presenta il docu-film “Non solo con gli occhi”, per la regia di Silvio Soldini e Giorgio Garini, un ritratto della vita quotidiana di alcune persone non vedenti. Dopo la visione del film sarà possibile ascoltare la diretta testimonianza dell’artista. Lo scultore guiderà i visitatori alla scoperta delle sue opere nelle sale del Museo.

Contest fotografico
In occasione di grand tour musei fotografa le opere d’arte dei musei marchigiani e condividele su Facebook, Twitter e Instagram utilizzando l’hashtag #grandtourmuseimarche. Potrai partecipare ad un contest fotografico che ti farà vincere cataloghi di mostre e ingressi ai luoghi della cultura delle Marche … facendoti diventare un testimonial dell’arte! Le foto vincitrici, selezionate da una giuria composta dal Social Media Team e Regione Marche, saranno postate sui social network e faranno parte di un post pubblicato dal blog di Destinazione Marche.

Info
Ingresso libero.
Orario apertura: 16 Maggio 16.00 — 19.00; 21.00 – 24.00. 17 Maggio 10.00 — 13.00; 16.00 — 19.00.
Solo per il laboratorio artistico: “La pianta della vita, le mani che creano” la prenotazione obbligatoria. Per adulti. Massimo 30 persone.
Tel. 071 28 11 935
Email: info@museoomero.it
sito: www.museoomero.it

Centro di Documentazione Giuridica – Licenziamento legittimo del figlio del disabile che in permesso ex legge 104 va in discoteca, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

In tema di licenziamento disciplinare, la Corte di Cassazione ha statuito la piena legittimità del provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente che usufruisce del permesso «104» non per assistere il genitore ma per andare a ballare, a nulla rilevando il tipo di assistenza da fornire al disabile.
Nello specifico la Suprema Corte, con la Sentenza n. 8784 del 30 aprile 2015, ha chiarito che tale comportamento implica un disvalore sociale.
La condotta del lavoratore implica un disvalore sociale giacché il lavoratore usufruisce di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sull’intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi.
Inoltre il comportamento del lavoratore compromette anche il vincolo fiduciario con il datore di lavoro che è costretto ad organizzare diversamente il lavoro in azienda e con i propri compagni di lavoro che lo devono sostituire, sostenendo una maggiore penosità della prestazione lavorativa.
Questa Sentenza è solo l’ultima, in quanto già in passato il Centro di Documentazione aveva posto l’attenzione sul severo orientamento dei Giudici di Cassazione nel dichiarare legittimo il licenziamento di un lavoratore che godendo impropriamente dei permessi per assistere un disabile era andato in vacanza (Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 4 marzo 2014, n. 4984), giustificando anche il controllo diretto del datore di lavoro al di fuori dell’azienda del lavoratore «furbetto».
È quindi opportuno ricordare nuovamente che il doveroso rigore della Suprema Corte di Cassazione in tema di permessi retribuiti ex art. 33 Legge 104 deve indurre anche i lavoratori disabili che beneficiano per se stessi di tali permessi a prestare maggiore attenzione e non utilizzarli impropriamente per compiere attività estranee a quelle di riposo e di cura che ne hanno giustificato la fruizione.
Di seguito la Sentenza n. 8784 del 30 aprile 2015.
Civile Sent. Sez. L num. 8784 Anno 2015
Presidente: Vidiri Guido
Relatore: Napoletano Giuseppe
Data pubblicazione: 30 aprile 2015
Sentenza sul ricorso 168-2014 proposto da:
A. E., elettivamente domiciliato in Roma, via degli Scipioni 268-A, presso lo studio dell’avvocato Beatrice Di Benedetto, rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Osvaldo Piccirilli, giusta delega in atti;
ricorrente contro
Sevel – Società Europea Veicoli Leggeri Spa P. I. 00297220691, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Cavour, 19, presso lo studio dell’avvocato Raffaele De Luca Tamajo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giacinto Favalli, giusta delega in atti;
controricorrente
avverso la sentenza n. 1189 del 2013 della Corte d’Appello di L’Aquila, depositata il 03 ottobre 2013 Rgn 962 del 2013; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 dicembre 2014 dal Consigliere dott. Giuseppe Napoletano; udito l’avvocato Piccirilli Giovanni Osvaldo; udito l’avvocato Cammarata Mario per delega verbale Favalli Giacinto; udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Carmelo Celentano che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del Processo
La Corte di Appello de L’Aquila, riformando la Sentenza del Tribunale di Lanciano, rigettava la domanda di A. E., proposta nei confronti della Sevel Spa, avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento intimatogli da detta società per aver durante la fruizione del permesso per assistere la madre disabile grave, partecipato ad una serata danzante. A base del «decisum» la Corte del merito poneva la considerazione fondante secondo la quale, nella specie, non rilevava il tipo di assistenza che l’A. doveva fornire alla propria madre handicappata, quanto piuttosto la circostanza che il lavoratore aveva chiesto un giorno di permesso retribuito – ex art. 33, terzo comma, della Legge n. 104 del 1992, come modificata dalle Leggi n. 53 del 2000 e n. 183 del 2010 – per «dedicarsi a qualcosa che nulla aveva a che vedere con l’assistenza».
Ciò che veniva in evidenza, precisava la Corte territoriale, è che «l’A. aveva usufruito di una parte di questo permesso per finalità diverse da quelle a cui il permesso mirava, giacché, essendo il permesso richiesto finalizzato all’assistenza di persona portatrice di handicap, egli non poteva chiedere il predetto permesso per altra finalità del tutto estranea all’assistenza». Questo comportamento, secondo la predetta Corte, implicava «un disvalore sociale giacché il lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare, ad ogni permesso, diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro, che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa».
Ne conseguiva, asseriva la Corte di Appello, che «proprio per gli interessi in gioco, l’abuso del diritto, nel caso di specie, era particolarmente odioso e grave ripercuotendosi senz’altro sull’elemento fiduciario trattandosi di condotta idonea a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti».
Avverso questa sentenza A. E. ricorre in Cassazione sulla base di sette motivi, specificati da memoria. La società intimata resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Con la prima censura parte ricorrente, deducendo violazione dell’art. 33 della Legge n. 104 del 1992, sostiene che la Corte del merito non ha fatto corretta applicazione della richiamata norma poiché non ha tenuto conto che la relativa disciplina, come modificata dalle successive leggi, non richiede il requisito della continuità ed esclusività dell’assistenza cui bisogna aver riguardo ai fini del legittimo esercizio dei permessi.
Con il secondo motivo l’Alberico, denunciando violazione dell’art. 112 cpc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, prospetta che la Corte del merito, nell’affermare che non vi è prova che il lavoratore dopo la festa danzante abbia utilizzato le ore di permesso per assistere la madre, si è posta fuori dal «tema decidendum» non essendo oggetto di contestazione disciplinare la circostanza concernente l’utilizzazione delle residue ore di permesso.
Con la terza critica il ricorrente, allegando violazione degli artt. 2697 cc e 5 della Legge n. 604 del 1966, assume che la Corte del merito ha erroneamente posto a suo carico la prova dell’avvenuta assistenza alla madre per il periodo successivo al suo ritorno a casa.
Con la quarta censura l’A., deducendo violazione degli artt. 112 e 132 cpc nonché 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, prospetta che la Corte del merito, non tenendo conto che era stata richiesta una specifica prova da esso ricorrente sull’avvenuta assistenza alla madre per il periodo successivo al suo ritorno a casa, non fornisce una motivazione congrua e logica ai sensi dell’art. 132 cpc.
Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 132 e 112 cpc in relazione all’art. 360 n. 4 cpc e violazione ed omessa applicazione del Ccnl specifico di primo livello del 3 dicembre 2011, prospetta che la Corte del merito erroneamente non ha esaminato la deduzione secondo la quale il fatto contestato era assimilabile all’assenza ingiustificata per la quale il richiamato Ccnl prevede solo una sanzione conservativa.
Con la sesta censura l’A., asserendo violazione degli artt. 132 e 112 cpc in relazione all’art. 360 n. 4 cpc e violazione dell’art. 7 della Legge n. 300 del 1970, prospetta che la Corte del merito erroneamente non ha esaminato l’eccezione della mancata affissione in azienda del codice disciplinare.
Con il settimo motivo il ricorrente, denunciando violazione dell’art. 2119 cc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, sostiene che la Corte del merito non ha tenuto conto ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e sanzione delle circostanze concernenti rispettivamente: l’assimilabilità del comportamento addebitato ad una ipotesi per la quale il Ccnl prevede una sanzione conservativa; la convinzione del lavoratore di aver agito legittimamente a mente dell’art. 33 della Legge 104 del 1992 e delle circolari Inps; la mancanza di precedenti disciplinari.
Le censure che, in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno tratte unitariamente, sono infondate. È opportuno premettere che la riformulazione, applicabile nel caso di specie «ratione temporis», dell’art. 360, primo comma, n. 5, cpc, disposta dall’art. 54 del Dl 22 giugno 2012 n. 83, conv. in Legge 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione e, conseguentemente, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della Sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. Su 7 aprile 2014 n. 8053 e Cass. Su 22 settembre 2014 n. 19881).
Tanto precisato va, altresì, rimarcato che il «decisum» della Sentenza impugnata si fonda, non sul tipo di assistenza ex art. 33, comma 3, Legge n. 104 del 1992, così come modificato dalle successive leggi, che l’A. doveva fornire alla madre handicappata, quanto piuttosto sul rilievo della utilizzazione del permesso retribuito per finalità diverse da quelle per il quale il legislatore ha previsto il diritto al permesso retribuito. Sono, pertanto, del tutto estranee al tema «decidendum» tutte le critiche che vengono mosse all’impugnata Sentenza sotto il profilo appunto della interpretazione della normativa di cui al richiamato art. 33, comma 3o, della Legge n. 104 del 1992 e successive modifiche.
Analogamente non costituisce «ratio decidendi» autonoma e fondante il rilievo della Corte del merito secondo il quale non emerge la prova che le residue ore di permesso sarebbero state utilizzate per l’assistenza alla madre.
Tale asserzione, infatti, va letta in uno alla osservazione secondo la quale «il comportamento del lavoratore, infatti, non sarebbe meno grave per il fatto che per una parte si è divertito e per l’altra parte ha assistito la madre, ciò che rileva è che se anche così fossero andate le cose comunque l’A. ha usufruito di una parte di questo permesso per finalità diverse da quelle a cui il permesso mira».
È, quindi, evidente che nell’economia motivazionale della Sentenza impugnata la ragione fondante del «decisum» non è la mancata prova della avvenuta assistenza alla madre per le ore residue, ma, come detto, la utilizzazione, in conformità alla contestazione disciplinare (così come riprodotta dal ricorrente nel ricorso), di una parte oraria del permesso in esame per finalità diverse da quelle per il quale il permesso è stato riconosciuto.
Conseguentemente non hanno valenza decisiva le censure che riguardano la mancata dimostrazione della utilizzazione delle ore residue del permesso e, quindi, in particolare la deduzione della violazione dell’onere della prova e della mancata ammissione della prova per testi sul punto in esame.
L’accertato disvalore sociale del comportamento del lavoratore ed il ritenuto abuso del diritto danno conto delle ragioni per le quali la Corte del merito, sia pure implicitamente, ha ritenuto irrilevante la questione della mancata affissione del codice disciplinare.
Costituisce, invero, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità l’affermazione secondo la quale in materia di licenziamento disciplinare, il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto «minimo etico» (Cass. 3 ottobre 2013 n. 22626, V. anche Cass. 18 settembre 2009 n. 20270 secondo cui in tema di sanzioni disciplinari, la garanzia di pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica laddove il licenziamento faccia riferimento a situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro).
Tanto comporta, altresì, l’irrilevanza della deduzione concernente l’assimilabilità del fatto contestato all’ipotesi di assenza ingiustificata prevista dal Ccnl, atteso che la Corte del merito assegna al comportamento dell’A. una portata ben più ampia di quella dell’assenza ingiustificata che esclude di per sé la prospettata assimilabilità. Per analoghe ragioni è da escludersi la decisività delle circostanze concernenti la convinzione del lavoratore di aver agito legittimamente a mente dell’art. 33 della Legge 104 del 1992 e delle circolari Inps e della mancanza di precedenti disciplinari.
Invero a tali fini non può non venire in considerazione il rilievo della Corte del merito secondo il quale il comportamento tenuto dall’A. implica «un disvalore sociale giacché il lavoratore aveva usufruito di permessi per l’assistenza a portatori di handicap per soddisfare proprie esigenze personali scaricando il costo di tali esigenze sulla intera collettività, stante che i permessi sono retribuiti in via anticipata dal datore di lavoro, il quale poi viene sollevato dall’ente previdenziale del relativo onere anche ai fini contributivi e costringe il datore di lavoro ad organizzare, ad ogni permesso, diversamente il lavoro in azienda ed i propri compagni di lavoro che lo devono sostituire, ad una maggiore penosità della prestazione lavorativa». Ed è proprio questo accertato e ritenuto disvalore sociale che, in quanto proprio del comune sentire, rende irrilevante le deduzioni in esame. Del resto la Corte territoriale non manca di rimarcare che «proprio per gli interessi in gioco, l’abuso del diritto, nel caso di specie, è particolarmente odioso e grave ripercuotendosi senz’altro sull’elemento fiduciario trattandosi di condotta idonea a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento in quanto sintomatica di certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti».
Sulla base delle esposte considerazioni, nelle quali rimangono assorbite tutte le ulteriori critiche, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del Dpr n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1, comma 17, della Legge n. 228 del 2012 per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 100,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr n. 115 del 2002 introdotto dall’art. 1, comma 17, della Legge n. 228 del 2012 si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 17 dicembre 2014
Il Presidente

Corte Costituzionale sentenza n.22/2015: riconoscimento delle provvidenze economiche agli stranieri «ciechi civili parziali» e «ciechi ventesimisti», di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

La Corte Costituzionale, il 27 gennaio u.s., ha emesso una sentenza che conferma l’orientamento favorevole alla concessione delle previdenze economiche ai non vedenti stranieri.
Nella sentenza 22/2015, precisa nuovamente la Suprema Corte che le provvidenze per indennità non sono condizionate al possedimento del permesso di soggiorno di lunga durata per le persone provenienti da Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Essa in particolare, si esprime sulla pensione per i «ciechi civili parziali» e sull’indennità speciale per i «ciechi ventesimisti» stranieri riconoscendo l’illegittimità costituzionale delle norme che prevedono il possesso del permesso di soggiorno di lunga durata per il riconoscimento della citate previdenze.
Nella sentenza di cui si riporta il testo integrale in allegato, la Corte Costituzionale, riprendendo i precedenti pronunciamenti in materia, chiarisce nuovamente che è illegittimo conferire tali provvidenze solo a chi è in possesso del permesso di soggiorno di lunga durata; infatti, anche alle persone che provengono da Paesi extra-europei soggiornanti in Italia e che hanno limitazioni alle funzioni visive (persone cieche parziali e cieche ventesimiste) spetta la «pensione ai ciechi parziali» e «l’indennità speciale ciechi ventesimisti», anche se non sono in possesso della carta di soggiorno.
Tale Sentenza segue l’indirizzo già adottato dalla Corte Costituzionale con i precedenti pronunciamenti sull’indennità mensile di frequenza, sull’indennità di accompagnamento per gli invalidi civili, sulla pensione per le persone con invalidità civile totale e sull’assegno mensile di assistenza per le persone con invalidità civile parziale.
Sentenza della Corte Costituzionale 27 gennaio 2015, n. 22
“Giudizio di legittimità costituzionale su Art. 80, c. 19° , della legge 23/12/2000, n. 388, in combinato disposto con l’art. 9, c. 1°, del decreto legislativo 25/07/1998, n. 286, come modificato dall’art. 9, c. 1°, della legge 30/07/2002, n. 189, poi sostituito dall’art. 1, c. 1°, lett. a), del decreto legislativo 08/01/2007, n.3. art. 80, c. 19° legge del 23/12/2000 n. 388”

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ? legge finanziaria 2001), in combinato disposto con l’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), poi sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), promosso dalla Corte d’appello di Bologna con ordinanza del 20 settembre 2012 e nel giudizio di legittimità costituzionale del predetto art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ? legge finanziaria 2001), promosso dalla Corte di cassazione con ordinanza del 20 maggio 2014, iscritte rispettivamente al n. 4 del registro ordinanze 2013 e al n. 148 del registro ordinanze 2014 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2013 e n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti gli atti di costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
udito nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;
udito l’avvocato Clementina Pulli per l’INPS.
Ritenuto in fatto
1.? Con ordinanza del 20 settembre 2012, la Corte d’appello di Bologna ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma, 32, 38 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e all’art. 1 del relativo Primo Protocollo addizionale, questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ? legge finanziaria 2001) e dell’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), poi sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), «in correlazione» con l’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e con l’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti).
Alla luce dei princìpi affermati nella giurisprudenza costituzionale, il giudice rimettente reputa manifestamente irragionevole subordinare «l’attribuzione di una prestazione assistenziale quale la indennità di accompagnamento riconosciuta al c.d. cieco civile ventesimista», al possesso di un titolo alla permanenza nel territorio dello Stato che richiede, tra l’altro, la titolarità di un reddito; con «incidenza negativa», anche, sul diritto alla salute (art. 32 Cost.), sui diritti riconosciuti dagli altri parametri evocati (artt. 2, 3 e 38 Cost.) nonché sui diritti inviolabili della persona tutelati dalle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute (art. 10, primo comma, Cost.), che vietano la discriminazione nei confronti degli stranieri legalmente soggiornanti; con violazione anche dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 14 della CEDU e all’art. 1 del relativo Primo Protocollo addizionale.
Tutti questi rilievi varrebbero «a maggiore ragione» anche per il diritto alla pensione; con la conseguenza che la subordinazione della attribuzione di tale prestazione al possesso di un titolo di soggiorno, a sua volta subordinato alla titolarità di un reddito, «rende ancora più evidente la intrinseca irragionevolezza del complesso normativo in esame».

In punto di rilevanza, la questione appare pregiudiziale, posto che l’appellato possiederebbe tutti i requisiti per il riconoscimento delle prestazioni domandate, ad eccezione di quello richiesto dalla disposizione censurata.

2.? Nel giudizio si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale, (d’ora in avanti «INPS»), chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
L’INPS osserva come, alla luce della stessa giurisprudenza costituzionale, debba considerarsi legittima l’introduzione di limitazioni all’attribuzione di prestazioni assistenziali e pensionistiche in relazione a taluni requisiti, come il reddito e la stabile permanenza nel territorio dello Stato.
Quanto, poi, alla CEDU, nel suo ambito «(peraltro, di evidente contenuto politico-programmatico)», non sarebbero «individuabili norme di rango costituzionale che impongano al legislatore di equiparare gli stranieri ai cittadini dell’Unione ai fini della concessione di provvidenze economiche di mera assistenza sociale», mentre la condizione giuridica dello straniero, regolata dalla legge, rispetterebbe il parametro di cui all’art. 10, primo comma, Cost., «in quanto le diverse prestazioni di assistenza sociale, riconosciute ai possessori di carta di soggiorno rispetto ai possessori di permesso di soggiorno, appaiono ispirate al principio di ragionevolezza e di rispetto della condizione dello straniero».
La norma censurata, d’altra parte, «inserita nella legge finanziaria», mirerebbe evidentemente anche a contemperare la concessione dei benefìci alle esigenze connesse alla limitatezza delle «risorse finanziarie disponibili»: da un lato, basandosi «sul presupposto della equiparazione del disabile straniero al disabile cittadino italiano ai fini dell’ottenimento delle provvidenze economiche di natura assistenziale» come quelle in discorso e, dall’altro, correlandosi al principio della non “esportabilità” delle provvidenze medesime in sede comunitaria, ai fini, anche, della prevenzione del fenomeno del cosiddetto “turismo assistenziale”.
3.? Con ordinanza depositata il 20 maggio 2014, la Corte di cassazione ha sollevato #questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della richiamata legge n. 388 del 2000, «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione e della indennità di accompagnamento per ciechi assoluti e dell’assegno sociale maggiorato».
Passati in rassegna i motivi di ricorso ed enunciata la rilevanza della questione, il giudice rimettente ne illustra anche le ragioni di non manifesta infondatezza, richiamando la giurisprudenza costituzionale più volte soffermatasi sulla disciplina di cui alla disposizione censurata, dichiarata costituzionalmente illegittima in riferimento ai diversi istituti assistenziali di volta in volta presi in considerazione.
Viene, in particolare, rammentata la sentenza n. 40 del 2013, i cui princìpi – enunciati in riferimento alla condizione di soggetti «portatori di handicap fortemente invalidanti» – si ritiene non possano «non valere anche con riferimento alle prestazioni assistenziali, richieste nel giudizio principale»: si tratterebbe, infatti, di prestazioni destinate a «fornire alla persona un minimo “sostentamento” idoneo ad assicurare la sopravvivenza», in relazione a «una condizione fisica gravemente menomata», e predisposte per «consentire il concreto soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblica promuovere e salvaguardare».

Si sottolinea, in particolare, la peculiarità propria dell’indennità di accompagnamento per ciechi rispetto all’omonima provvidenza prevista per altri invalidi e si osserva, quanto all’assegno sociale maggiorato, che nel giudizio principale risulta «inapplicabile “ratione temporis”» la disciplina di cui all’art. 20, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133.

Si esclude, infine, sia la possibilità di «una interpretazione costituzionalmente orientata» sia una disapplicazione della disposizione censurata per contrasto con l’art. 14 della CEDU, «“norma di principio”» priva, come tutte «le previsioni della Convenzione», di «efficacia diretta nel nostro ordinamento».

4.? Nel giudizio si è costituito l’INPS, che ha chiesto dichiararsi infondata la proposta questione.
Evidenziate le caratteristiche dell’assegno sociale, l’INPS osserva come, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 20, comma 10, del d.l. n. 112 del 2008, come convertito, questa provvidenza è corrisposta a condizione che gli aventi diritto abbiano soggiornato legalmente in via continuativa nel territorio nazionale per almeno dieci anni, così che il trattamento riservato allo straniero dalla norma denunciata risulta «sicuramente più favorevole rispetto a quello previsto per il cittadino italiano».
Effettivamente, peraltro, si sarebbero rimodulati «in senso restrittivo i requisiti costitutivi che consentono l’accesso alle provvidenze in questione», senza, tuttavia, che la risultante disciplina possa ritenersi illogica o irrazionale.
Quanto al profilo relativo alle norme CEDU come parametro interposto ed a quello concernente le esigenze di finanza pubblica alle quali riconnettere la norma censurata, l’INPS ripropone, in sostanza, gli argomenti già esposti.

5.? In una ulteriore memoria, depositata in prossimità dell’udienza, l’INPS ha insistito nella richiesta formulata, sottolineando, in particolare, «la differenza tra l’assegno sociale e le altre prestazioni assistenziali», anche in ragione della «disciplina differenziata prevista dal Legislatore per l’accesso» alle medesime.
Considerato in diritto
1.? La Corte è chiamata a giudicare della legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ? legge finanziaria 2001), denunciato dalla Corte d’appello di Bologna, con ordinanza del 20 settembre 2012, in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma, 32, 38 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e all’art. 1 del relativo Primo Protocollo addizionale – in «combinato disposto» con l’art. 9, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’art. 9, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), poi sostituito dall’art. 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3 (Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), e «in correlazione» con l’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e con l’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti) –; nonché dalla Corte di cassazione, con ordinanza depositata il 20 maggio 2014, «nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione e della indennità di accompagnamento per ciechi assoluti e dell’assegno sociale maggiorato».

2.? Avendo ad oggetto una medesima disposizione, i giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica pronuncia.
La questione prospettata dalla Corte d’appello di Bologna relativamente all’art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificato, «in combinato disposto» con il predetto art. 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000, appare priva di autonomia agli effetti del petitum perseguito, essendo quest’ultimo evidentemente diretto a rimuovere la preclusione prevista in linea generale per i cittadini extracomunitari e riferibile anche alle provvidenze in discorso.

3.? Va preliminarmente rilevato che l’ordinanza rimessa dalla Corte di cassazione presenta insuperabili carenze nella motivazione, tanto in ordine all’esatta e specifica individuazione dei parametri costituzionali che si assumono violati, quanto in merito alle ragioni della non manifesta infondatezza, ponendo, dunque, una questione che va dichiarata manifestamente inammissibile. Il giudice rimettente si limita, infatti, ad operare un semplice rinvio, per relationem, all’eccezione sollevata dalla parte ricorrente e ad una rievocazione, peraltro generica, dei princìpi posti a base di numerose pronunce di questa Corte relativamente alla stessa materia. Viene, in particolare, richiamata la sentenza n. 40 del 2013, con la quale fu dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione qui all’esame, nella parte in cui subordinava al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato dell’indennità di accompagnamento, di cui all’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili), e della pensione di inabilità, di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili).
Occorre ribadire, al riguardo, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che, ai fini del necessario scrutinio della rilevanza della questione sottoposta nonché dei profili della sua non manifesta infondatezza, il giudice rimettente non può esimersi dal fornire, nell’atto di promovimento, un’esauriente ed autonoma motivazione (ordinanza n. 33 del 2014): dovendosi, invece, escludere che il mero recepimento o la semplice prospettazione di argomenti sviluppati dalle parti o rinvenuti nella giurisprudenza, anche costituzionale, equivalgano a chiarire, per sé stessi, le ragioni per le quali “quel” giudice reputi che la norma applicabile in “quel” processo risulti in contrasto con il dettato costituzionale (nello stesso senso, sentenza n. 7 del 2014).
L’enunciata carenza, d’altra parte, non appare, nella specie, emendabile neppure attraverso una sorta di “interpretazione contenutistica” del provvedimento: se si esclude, infatti, un fugace accenno alla violazione del principio di solidarietà, non risultano additati, con autonomo apprezzamento, specifici “vizi” della normativa censurata, né risulta operata alcuna autonoma selezione di profili di illegittimità, in riferimento a specifici parametri, rispetto a quelli complessivamente rintracciati nelle “fonti” richiamate.
Nel dubitare della legittimità della norma denunciata, la Corte rimettente non sembra abbia, d’altra parte, considerato significativo, sotto alcun profilo, un eventuale problema di compatibilità – astrattamente riguardante i cittadini extracomunitari così come gli italiani – tra le varie misure assistenziali in discussione (e, in particolare, tra l’assegno sociale e la pensione di inabilità): le quali appaiono immotivatamente accomunate sul versante delle garanzie di “non discriminazione”, peraltro solo implicitamente evocate, nonostante le differenze nella ratio, nella disciplina positiva e nelle finalità – in ipotesi, appunto, perfino alternative – che le caratterizzano.

4.? È fondata, invece, la questione sollevata dalla Corte d’appello di Bologna e riferita alla previsione che subordina alla titolarità della carta di soggiorno la concessione, in favore dei ciechi extracomunitari, della pensione di cui all’art. 8 della legge n. 66 del 1962, a norma del quale «Tutti coloro che siano colpiti da cecità assoluta o abbiano un residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione, hanno diritto alla corresponsione della pensione a decorrere dal compimento del 18° anno di età» nonché della speciale indennità di cui all’art. 3, comma 1, della legge n. 508 del 1988, secondo cui «A decorrere dal 1° gennaio 1988, ai cittadini riconosciuti ciechi, con residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione, è concessa una speciale indennità non reversibile al solo titolo della minorazione di L. 50.000 mensili per dodici mensilità».
Al riguardo, appare utile, anzitutto, muovere dal precedente specifico costituito dalla già richiamata sentenza n. 40 del 2013.
In questa decisione, prendendo in esame l’identica condizione ostativa della necessaria titolarità della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, a norma del decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, recante «Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo»), ai fini del riconoscimento agli stranieri extracomunitari dell’indennità di accompagnamento (di cui all’art. 1 della legge n. 18 del 1980) e della pensione di inabilità (di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971) (provvidenze del tutto simili a quelle in esame), la Corte rilevò in particolare, sulla scia di proprie analoghe precedenti pronunce, come, nell’ipotesi in cui vengano in rilievo provvidenze destinate al sostentamento della persona nonché alla salvaguardia di condizioni di vita accettabili per il contesto familiare in cui il disabile si trova inserito, «qualsiasi discrimine fra cittadini e stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi da quelli previsti per la generalità dei soggetti, finisce per risultare in contrasto con il principio di non discriminazione di cui all’art. 14 della CEDU», per come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Questi princìpi dovevano trovare applicazione – si osservò – anche in riferimento alle misure assistenziali prese in considerazione nel frangente, in riferimento a benefìci rivolti a soggetti in gravi condizioni di salute, portatori di impedimenti fortemente invalidanti, la cui tutela implicava il coinvolgimento di una serie di valori di essenziale risalto e tutti di rilievo costituzionale, a cominciare da quello della solidarietà, enunciato all’art. 2 Cost. Del resto – si disse – anche le diverse convenzioni internazionali, che parimenti presidiano i corrispondenti valori, rendevano «priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo (ratione temporis, così come ratione census) nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico».
I rilievi appena richiamati debbono, a fortiori, essere riaffermati in riferimento allo stato delle persone non vedenti. La specificità, infatti, dei connotati invalidanti – resa evidente dalla particolare attenzione e dal favor che caratterizzano, da epoca ormai risalente, la normativa di settore, con la previsione di diverse provvidenze per le persone che risultino averne titolo – renderebbe ancora più arduo giustificare, nella dimensione costituzionale della convivenza solidale, una condizione ostativa – inevitabilmente discriminatoria – che subordini al possesso della carta di soggiorno la fruizione di benefìci intrinsecamente raccordati alla necessità di assicurare a ciascuna persona, nella più ampia e compatibile misura, condizioni minime di vita e di salute.
Ove così non fosse, d’altra parte, specifiche provvidenze di carattere assistenziale – inerenti alla sfera di protezione di situazioni di inabilità gravi e insuscettibili di efficace salvaguardia al di fuori degli interventi che la Repubblica prevede in adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà (art. 2 Cost.) – verrebbero fatte dipendere, nel caso degli stranieri extracomunitari, da requisiti di carattere meramente “temporale”, del tutto incompatibili con l’indifferibilità e la pregnanza dei relativi bisogni: i quali requisiti ineluttabilmente finirebbero per innestare nel tessuto normativo condizioni incoerenti e incompatibili con la natura stessa delle provvidenze, generando effetti irragionevolmente pregiudizievoli rispetto al valore fondamentale di ciascuna persona.
La disposizione denunciata, pertanto, risultando in contrasto con gli evocati parametri costituzionali e con i relativi princìpi – oltre che con quelli più volte affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo –, deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

per questi motivi

La Corte costituzionale
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ? legge finanziaria 2001), nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di cui all’art. 8 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 (Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili) e dell’indennità di cui all’art. 3, comma 1, della legge 21 novembre 1988, n. 508 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti);
2) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 2015.

F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2015.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella Paola MELATTI

Lampedusa, Screening oculistici gratuiti

Autore: Redazionale

Lampedusa 4, 5, 6 e 7 maggio 2015
Nell’ambito delle azioni finalizzate all’informazione e sensibilizzazione del contesto
territoriale sui temi concernenti la disabilità visiva l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti – ONLUS (Sezione prov.le di Agrigento) organizza, nei giorni 4, 5, 6 e 7 maggio 2015 sul territorio di LAMPEDUSA delle specifiche iniziative.
In particolare informiamo i cittadini isolani che in occasione dell’evento sosterà nei giorni sopra indicati, presso la Via Roma, dalle ore 16.00 alle ore 19.00, un camper attrezzato (U.M.O.D.– Unità Mobile Oftalmica Diagnostica) in cui un medico oculista e un’assistente in oftalmologia (ortottista) effettueranno esami gratuiti di prevenzione delle malattie oculari a tutta la cittadinanza interessata.
Analoga iniziativa sarà condotta, sempre negli stessi giorni in orari antimeridiani (dalle ore 9.00 alle ore 13.00) presso tutti gli istituti scolastici presenti nel territorio isolano, come d’intesa con il Dirigente Scolastico del locale Istituto Comprensivo Luigi Pirandello.