“Scuola: cosa abbiamo fatto, stiamo facendo, possiamo fare”: discutiamone!, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Oggi, mentre passeggiavo con il mio cane guida,(la dolcissima candy), ho incontrato Linda P, mia ex alunna, poi docente di matematica e, successivamente, insegnante di sostegno presso uno dei più noti licei polifunzionali di Napoli; con lei ci eravamo ritrovate, dopo parecchi anni, nell’occasione della stesura del piano educativo individualizzato di 2 allievi ciechi assoluti, seguiti, come tanti altri, dal centro di consulenza tiflodidattico di Napoli ed io svolgevo una funzione di raccordo con la sezione.

Più volte ci siamo trovate su posizioni differenti circa le strategie più efficaci da adottare per  sviluppare capacità di organizzazione degli apprendimenti e incremento delle relazioni con i compagni sia in classe, che oltre la classe.

Abbiamo ripercorso, con ironia,le tappe accidentate, ma con soddisfazione per i risultati conseguiti dai due allievi, attualmente universitari; nel salutarci, la prof. Linda P. nel salutarci, ha ringraziato l’intera sezione di napoli, attraverso di me, perché, invece di adottare una, ormai diffusa pratica fondata sul pregiudizio contro la scuola che non funziona, che discrimina ed abbandona, ha offerto collaborazione con pazienza, costanza e competenza.   

Queste parole mi hanno prodotto un gran sollievo in un  tempo così pesante e carico di confusione, incertezze nelle scelte da fare, nelle attività da offrire a bambini e adolescenti, nelle opzioni di percorsi da indicare a tanti docenti che ci contattano, nel dare risposte a genitori in difficoltà nel seguire figli che non potevano essere, tecnologicamente attrezzati e psicologicamente così solidi per affrontare limiti e specificità del fare scuola a distanza.

E, tuttavia, ho realizzato che la prof. Linda P. ha ragione:

la pazienza nell’ascolto delle ragioni dell’altro, la costanza nel perseguire obiettivi semplici, ma significativi, la competenza nell’indicare percorsi in grado di potenziare capacità individuali e favorire relazioni affettive e di reciprocità tra coetanei, ci hanno consentito di essere punti di riferimento sia come sezione territoriale sia come persone individuali.

Sia come supporto specialistico per quanto riguarda le consulenze tiflodidattiche fornite dall’apposito centro di Napoli. Abbiamo lavorato con continuità dalla metà di marzoin stretta collaborazione tra sezione e centro tiflodidattico e, dopo aver analizzato i bisogni dei ragazzi e bambini attraverso contatti telefonici e risposte a domande semplici, ma mirate, abbiamo orientato insegnanti e genitori, abbiamo coinvolto i responsabili della commissione tecnologie, il gruppo di esperti organizzato presso il Cavazza e tutti hanno contribuito alla soluzione di problemi di gestione delle piattaforme, di carenza di ausili adeguati a poter seguire le lezioni a distanza, a rimodulare programmazione didattica personalizzata.

Allo stato attuale, ormai vicino alla conclusione dell’anno scolastico, ci stiamo preparando ad essere vicini a famiglie e ragazzi su due versanti: quello della proposta di attività ludiche-relazionali e di promozione di abilità in materia di autonomia e mobilità, quello di preparazione ad affrontare la ripresa della scuola che, auspichiamo, si svolga in presenza, ma che, comunque dobbiamo affrontare mettendo i nostri giovani e bambini in condizione di poter gestire al meglio tutto ciò che le tecnologie assistive permettono di realizzare per la crescita dell’indipendenza.

C’è molto cammino da fare, risorse umane e materiali da impegnare, ma anche molto tessuto da ricostruire tra famiglie, docenti, personale scolastico specializzato e non: per quella che è stata la mia esperienza di docente e, poi, di dirigente scolastica non vedente e per questa esperienza che sto conducendo da 5 anni nell’impegno associativo, posso testimoniare che alimentando le conflittualità ad ogni passo di strada tra famiglia e scuola,procedere per generalizzazioni con sfiducia e continue accuse di discriminazioni,si rischia di allontanarci dai traguardi che ci prefigiamo, perché apparire come i perseguitati, non ci rende giustizia e non corrisponde, almeno credo, al grado di integrazione sociale di cui  siamo protagonisti.

Ci serve valorizzare le buone prassi che, nonostante tutto, sono tante e, se utilmente aggregate, possono costituire fonte di merito per chi le attiva e spinta propulsiva per chi le apprende. E, allora? Mettiamocela tutta per costruire ponti ed evitare i muri che separano!

Silvana Piscopo, componente della commissione istruzione nazionale, responsabile istruzione   sezione territoriale di Napoli.

Tv di oggi e problemi di ieri, Ma non troppo

Autore: Vincenzo La Francesca

(n.d.r.) Anche in questo modo ricordiamo il nostro caro amico Vincenzo che ci ha lasciati molto prematuramente. Ho trovato tra le mie cose un suo articolo che non avevo ancora pubblicato e mi accingo a farlo con tanto piacere, perché sono certo che, come lo sto ricordando io, lo ricorderete anche voi, almeno per chi lo conosceva.

Nunziante Esposito.

***

La tv negli ultimi decenni ha subito una vera e propria evoluzione del suo consueto modo di essere intesa

Qualcuno aggancia i suoi ricordi ad uno scatolone disposto in varie stanze della casa, magari a colori, generalmente corredato di un telecomando, sempre oggetto di diatribe circa il suo posizionamento.

Qualcun altro, facendo un ulteriore passo indietro, ricorda scatole ancor più ingombranti, con qualche tasto o rotella che erano necessari al funzionamento, rigorosamente lontani dal proprio divano, per cui alzarsi era fondamentale per padroneggiarli.

Vi era un certo numero di canali, dichiarati in alcuni casi 99, che trasmettevano contenuti di vario ordine e grado, per i quali erano obbligatorie forme di equilibrio spaziale, umano e temporale, nel tentativo di non perdersi nulla.

I più fortunati possedevano un videoregistratore, quando proprio non si poteva fare a meno di conciliare i propri orari con quelli della trasmissione preferita. Altri dovevano scegliere: partita o cena, moglie o film.

Prima il digitale terrestre, poi internet e il satellite, a seconda dell’ordine che ciascuno vuole scegliere, hanno cambiato progressivamente e radicalmente il nostro modo di rapportarci con la tv.

È andato via prima di tutto lo scatolone, ora sempre più sostituito da un quadro da parete, e ai 99 canali dichiarati e mai trovati se ne sono sostituiti centinaia, da ricevere via digitale terrestre, magari 2.0, via satellite o via internet.

La trasmissione?

La si può scegliere in diretta, un’ora dopo, il giorno dopo o, a richiesta, per gli anglofoni on demand.

Come se ciò non bastasse, la larga banda di internet ha portato la televisione su qualunque dispositivo, non necessariamente più tv, intanto divenuta smart e slim, ma anche smartphone, tablet, per non perdere neanche un passaggio della squadra del cuore, magari seduto comodamente a letto, o mentre ci si trova in contemplazione dei propri arredi in ceramica, alla stregua di Carlo, famoso chef stellato.

Le emittenti, pubbliche e private, si sono adeguate al corso dei tempi. Un po’, facendo finta, hanno battagliato tra loro, un po’ si sono scannati per accaparrarsi clienti; resta il fatto che hanno provato a stare realmente al passo con l’innovazione, ed hanno iniziato ad offrire secondo le loro strategie e le loro risorse servizi sempre più su misura.

Quali vantaggi concreti per chi ogni giorno fa i conti con la minorazione visiva?

Per rispondere a questa domanda, analizziamo cosa offre il mercato, necessariamente costretti a fare nomi. Ci limiteremo ai grandi colossi, senza che nessuno dei broadcaster minori ce ne voglia, ma fiduciosi che se ciò che scriviamo è inesatto, potremo essere sicuramente corretti.

Distinguiamo due momenti nell’ambito dell’attività televisiva: la diretta e quello che viene chiamando on demand, cioè trasmissione a richiesta.

Sulla diretta tra la nostra Rai, emittente pubblica, Mediaset, nella sua versione in chiaro o a pagamento, e Sky le novità essenzialmente riguardano la qualità audio e video. Dopo l’alta definizione, hd, è arrivato il 4k, che promette una visione tale da permettere di distinguere anche i fili d’erba di un terreno da gioco, ammesso che il proprio televisore sia predisposto.

C’è stato un periodo in verità in cui la tecnologia tridimensionale sembrava volersi imporre, ma al momento sembra che essa sia stata confinata nelle sale del grande schermo, probabilmente visti anche i costi maggiori necessari alla produzione e alla visione.

Ma mentre il 3d è irrilevante per chi non può fruirne, altri esperimenti polisensoriali hanno visto la luce e poi le tenebre, come ad esempio il cinema a 4 o 5 dimensioni, ove le scene dell’audiovisivo erano accompagnati con spostamenti della poltrona o con immissione nell’aria di odori attinenti la scena o addirittura di sostanze come l’acqua, per enfatizzare gli schizzi dell’andare in canoa.

Ritornando sulla trasmissione in diretta, ci sono notizie positive. È finita l’epoca dei dispositivi usb da collegare al computer per avere un software che ci leggesse la guida dei programmi o che ci informasse sul nome del canale selezionato e il contenuto trasmesso al momento.

Potrebbe essere finita anche l’epoca della tv dedicata alle specifiche disabilità, da gustarsi da soli tra la folla, magari con comandi vocali ed altri computer che fungono da tramite.

Le nuove smart scatole, che è meglio chiamare smartbox o smart-tv, che oltre a fare la tv fanno altre cose, consentono facilitazioni anche per alcuni tipi di disabilità. In questo la guida vocale, o comunque la si voglia chiamare, finalmente consente la gestione in autonomia del menu, dei canali, della guida tv e tutte le funzioni principali.

Questi nuovi quadri da parete permettono anche di scaricare applicazioni di ogni ordine e grado. Per queste ultime in verità l’accessibilità è ancora molto da discutere, ma sinceramente un gran passo avanti è stato compiuto.

Problemi si incontrano, sempre rimanendo in diretta, quando si vuol usare un decoder, ad esempio quello di Sky. L’accessibilità, almeno su quelli tradizionali, non esiste, e si torna al vecchio sistema dell’uso senza alcun tipo di riscontro.

È pur vero che le app sugli smartphone ora consentono di conoscere la guida programmi in tempo reale, e di poter quindi scegliere diciamo così alla cieca solo il numero del canale.

Molte le funzioni interessanti del decoder Sky, alcune delle quali in qualche modo si gestiscono, ma non quelle avanzate.

Così si riesce a mettere in pausa e riprendere un programma, riavviare un film dall’inizio, cambiare la lingua audio del programma, esempio utilizzando le audio descrizioni. Poi… ci fermiamo qui.

E molto spesso ci fermiamo proprio all’accensione, quando premiamo il tasto dedicato e… come Michelangelo tocca chiederci: “Perché non parli?”, possibilmente evitando poi di usare il martello nel tentativo di emulare l’artista. Per fortuna è ancora valido il meccanismo di togliere selvaggiamente corrente all’arnese e far ripartire dall’inizio il tutto: per ora funziona!

Di contro dall’app possiamo far partire la registrazione di una trasmissione, ma se non c’è un occhio che dal decoder la mandi in play, resterà smarrita dei meandri del disco.

La Rai ha realizzato app per smartphone e tablet di ogni ordine e grado, e i risultati sono tutto sommato soddisfacenti, almeno per ciò che concerne tablet e smartphone.

Ogni tanto nelle varie release dell’app l’accessibilità si perde per strada, ma tutto sommato la gestione dei canali in diretta è ora possibile sul tv smart vocalizzato, e tutte le altre funzioni tramite smartphone, tablet o apple tv, con risultati interessanti.

Per quanto riguarda Mediaset, solo diretta sulla tv smart. La guida tv la rimediamo dal televisore vocalizzato o da qualche app, ma niente altro. Le app sono praticamente inaccessibili, e nemmeno usabili, a patto che non si intenda impazzire.

Una parola a parte merita la gestione via web, cioè via computer senza app, dei tre gestori analizzati sin qui.

Buona la gestione Sky, sia della diretta che dei programmi a richiesta, anche se la diretta si limita a canali selezionati da loro.

Gestibile anche la Rai, con qualche problema, ma superabile.

Disastrosa Mediaset, in tutte le sue forme.

A titolo di informazione va detto che la gestione via app o via web prevede tutta una serie di restrizioni, come numero di dispositivi registrabili, contemporaneità dei dispositivi stessi ed altro ancora, che sinceramente qui evitiamo di approfondire.

La trasmissione su richiesta necessita di un discorso un attimo approfondito.

Intanto, come abbiamo visto, i principali competitors sono entrati a loro modo nel settore, ma vi sono provider che offrono solo tv a richiesta.

Online tv, mediaset online e netflix sono quelli più in voga al momento, ma altri si stanno affacciando, come Amazon, Youtube, Apple.

Online tv o nowtv è una sezione distaccata di Sky, rivolta a quegli utenti che vogliono avvicinarsi a Sky, ma senza investire troppo danaro. È come dire, se ti piace, pensa cosa ti aspetta se sottoscrivi un abbonamento via satellite!

Premium Online è la stessa prospettiva applicata a Mediaset.

Netflix è un provider internazionale, noto per le sue numerose offerte di serie e per i prezzi contenuti. Ottima l’usabilità e l’accessibilità, su qualunque dispositivo, sia come app che come web.

Interessante la pennetta di Amazon, che si collega alla propria tv, purché sia presente una porta hdmi, e l’accessibilità è garantita da un suo screen reader integrato.

Le app di Apple e Youtube sono gestibili, ma non è ancora chiaro quali contenuti intendano veicolare.

Netflix si utilizza ottimamente anche su appletv, per la quale la Rai ha risposto presente e in maniera soddisfacente, mentre gli altri nicchiano.

Praticamente nessuna utilizzabilità per Mediaset, ancora una volta, e per tvnow. Si riescono a fare poche cose, ma con tanto artificio che alla fine non vale la pena.

Per quei contenuti che si potrebbero gestire da app o pc, ma non da tv, una piccola accortezza consente di sopperire alla mancanza trasferendo il segnale dal proprio dispositivo fisso o mobile alla smart-tv, tramite apposite pennette o protocolli già incorporati nella tv connessa alla propria rete, sebbene alcuni provider impediscano per ragioni di diritti di autore e di chissà cos’altro questo tipo di mirroring, cioè riproduzione su audio e schermo secondario.

Anche Tim offre una sua tv, con qualche canale in diretta e il resto a richiesta. L’app si usa decentemente, ma solo perché spesso la regalano con l’abbonamento della rete fissa. Se dovessi sottoscrivere l’abbonamento a parte, non lo farei magari, perché non è poi tanto utilizzabile.

Meglio va se andiamo sul web da computer, dove ci si destreggia benino, non senza difficoltà.

Nel panorama appena descritto si è appena affacciato il nuovo decoder di Sky, detto Sky-q. Esso è una sintesi di ciò che il provider, cioè il fornitore del servizio, intende essere utile per i suoi utenti, frutto del dialogo con gli stessi.

Il nuovo dispositivo concilia la fruizione di contenuti in diretta e a richiesta, oltre a tutti i servizi pensabili e non per una tv.

Le funzioni in sintesi sono sempre le stesse, ma ampliate a tutta casa e a dispositivi di ogni ordine e grado. E siccome si amplia la tecnologia, anche i costi si adeguano.

Al momento nel nuovo decoder non è prevista accessibilità, ma le prospettive, a riferire le notizie di Sky, sono buone, a cominciare da un comando vocale: che cosa farà e se farà lo scopriremo in estate.

Qualche vantaggio in termini di uso c’è, perché l’app dal dispositivo mobile consente di gestire più cose, anche riportandole poi sul decoder, dove sempre alla cieca si può fare qualcosina in più.

È comoda la funzione che, premendo un tasto, finalmente fa suonare il telecomando, non più oggetto degli improperi quando lo si perde.

Ma a fronte di un contributo d’attivazione molto alto e di un canone mensile non trascurabile, secondo me al momento non vi sono vantaggi tali da giustificare una spesa importante come questa.

In definitiva, quindi, di strada se ne è fatta, e mettendo assieme un pezzo dagli smartphone, un pezzo dalla tv e uno dal computer, si fanno parecchie cose in autonomia, senza per forza distaccarsi da un contesto casalingo.

Ma quando si potrà fare tutto da una sola parte, e magari assieme agli altri, saremo tutti più contenti.

Nel frattempo continuiamo a sperare che il tempo, meteorologicamente parlando, non sia troppo avverso, altrimenti la diretta via digitale terrestre, anche se 2.0, e via parabola, potrebbe essere compromessa, con ricezione a singhiozzo o totalmente assente.

Vincenzo La Francesca

Tour virtuali e accessibilità. Un binomio impossibile?, di Luca Ciaffoni

Autore: Luca Ciaffoni

In tempi di Coronavirus le nuove tecnologie sono diventate prepotentemente parte integrante delle nostre vite, per lavoro e svago: smart working, lezioni on line, cloud computing, nonni e genitori che si ingegnano per fare videochiamate con nipoti e figli lontani, corsi on line di qualunque tipo, fitness, cucina e chi più ne ha più ne metta.

Non poteva mancare, per fortuna, in un Paese che vanta il 60% del patrimonio culturale mondiale, anche la possibilità di accedere virtualmente ai luoghi della nostra cultura e della nostra storia: i musei, almeno i più importanti che, purtroppo, come tante altre realtà sono, in questi giorni, chiusi al pubblico e quando riapriranno dovranno farlo con tutte le accortezze previste per i luoghi pubblici (igienizzazione, distanziamento, etc.), con tutte le difficoltà che questo comporta.

Ben venga quindi la possibilità di fare un giro virtuale al museo e ammirare i capolavori del nostro Rinascimento stando comodamente seduti sul proprio divano, visitare una mostra sull’archeologia e muoversi tra le sale dell’esposizione trascinando e cliccando col proprio mouse.

Al tradizionale sito web, con le schede e le foto delle opere si affianca, o sostituisce, la più eccitante ed immersiva visita virtuale in 3D a 360 gradi. Il colpo d’occhio abbraccia un corridoio o una sala con le opere esposte, proprio come se fossimo lì, possiamo girare lo sguardo verso un’opera, avvicinarci e leggere la didascalia, cliccando sul pallino che compare subito sotto. Straordinario.

Sono un informatico, ma lavoro da molti anni con persone disabili, in particolare ciechi e ipovedenti, cercando ogni giorno un modo per rendere accessibile e fruibile anche a loro quanto è disponibile per noi comuni “normodotati” e ogni volta che vedo un’applicazione delle nuove tecnologie, un sito, un’app per dispositivi mobili, un nuovo elettrodomestico, mi viene automatico chiedermi: “come fa un cieco ad utilizzarlo?”, “come può un daltonico vedere quel pulsante?”, etc. e ovviamente questa curiosità mi ha portato a fare un giro “bendato” anche in alcune di queste “sale virtuali”.

Accessibilità

Possiamo dire, semplificando, che realizzare un sistema accessibile vuol dire creare qualcosa che l’utente possa utilizzare indipendentemente dalla sua dotazione tecnologica e dalle sue abilità sensoriali. Un’informazione dev’essere veicolata in modo che possa essere percepita tramite più di un senso e l’attivazione di una funzione non dev’essere limitata ad un solo dispositivo di input.

Al giorno d’oggi, i linguaggi più diffusi, per la realizzazione di prodotti web, mobile, etc. dispongono di strumenti che consentono agli sviluppatori di prevedere il supporto per le tecnologie assistive utilizzate da persone disabili. Quando creiamo qualcosa, dobbiamo ricordarci che tra i destinatari del nostro prodotto vanno incluse anche queste persone e per fare ciò bisogna documentarsi e utilizzare gli accorgimenti suggeriti da linee guida ormai internazionalmente riconosciute.

Tornando al nostro tour virtuale, e semplificando un po’ le cose, facciamo un giro accompagnati da un cieco.

Sono due gli aspetti, a mio avviso, da tenere in considerazione per quanto concerne l’accessibilità:

1. L’accessibilità dell’interfaccia

2. L’accessibilità dei contenuti e dell’esperienza in generale.

Partiamo dal primo punto, ovvero dalla possibilità di utilizzare il sistema per poter fruire dei contenuti. 

Testi alternativi

Il cieco usa il computer, il tablet o il telefonino grazie ad uno screen reader, ovvero un programma con il quale esplora gli oggetti visibili a schermo, come farebbe se entrando in una stanza dovesse farsi un’idea di quello che c’è dentro, uno ad uno toccherebbe sedie, tavoli, maniglie e quant’altro sia presente all’interno dell’ambiente. Un’esplorazione sequenziale quindi, manca la visione d’insieme. Il programma salta da un elemento all’altro e, per ciascuno, informa l’utilizzatore sul tipo di controllo su cui si trova il focus in quel momento (pulsante, campo di testo, link, etc.) e sulla funzionalità che questo svolge se si tratta di un’azione, o sul un dettaglio dell’elemento se si tratta di altro, ad esempio un’immagine.

Qui entrano in gioco varie questioni. Cercando, ribadisco, di semplificare quanto più possibile e limitandoci solo alla nostra visita, scopriamo che gran parte dei pulsanti non hanno un’etichetta alternativa che lo screen reader può leggere al cieco, visto che quest’ultimo non vede la freccina per voltarsi a destra o la lente di ingrandimento per “zoommare”.

Questa etichetta, quando c’è, può non essere visibile a schermo, ma serve a questo software per informare il non vedente delle funzioni di ciascun pulsante. Se l’etichetta manca e l’oggetto non è riconosciuto correttamente, è come se il nostro cieco si muovesse nella stanza dell’esempio sopra per capire cosa ha intorno ma, ciascun oggetto (sedie, tavoli, etc.) fosse imballato in un involucro di plexiglass. So che c’è qualcosa, forse fa qualcosa, ma non so cos’è e cosa fa.

Spesso infatti gli oggetti a schermo non sono riconosciuti dallo screen reader per quello che graficamente sono e quindi potenzialmente fanno, ad esempio un pulsante può non essere visto come tale e questa informazione non viene fornita al non vedente che quindi non saprà mai che tramite quell’oggetto può svolgere un’azione. 

Cieco che usa il computer

Altro aspetto è quello dell’input. Spesso questi sistemi prevedono un uso intenso e più o meno esclusivo del mouse: click (es. clicca sul pallino per maggiori informazioni), hover (mantieni la freccia del mouse per qualche tempo su di un elemento perché compaia il popup), trascina per ruotare, zoommare, avvicinarti, etc., ma il cieco non usa il mouse! Non vede il puntatore, non sa dov’è, non sa dove clicca, se clicca e, quindi, semplicemente, non clicca anzi, stacca il mouse dal suo computer o disattiva il touchpad del suo portatile, per evitare di compiere, inavvertitamente, azioni di cui potrebbe pentirsi.

Il nostro tour, forse, non può neanche cominciare, visto che non clicchiamo.

In realtà qualcosa, usando la tastiera, si riesce a fare e quando, faticosamente, il focus del nostro screen reader entra “nella sala virtuale” vediamo che premendo le frecce direzionali otteniamo lo stesso effetto del trascinamento del mouse. Ci giriamo, avanziamo, guardiamo verso l’alto, etc…

Il cieco non lo saprà mai. Tutto è silenzio, tutto è uguale.

Qui entra in gioco l’aspetto contenuti ed esperienza. 

Ci saremmo potuti dilungare ulteriormente sul primo punto e introdurre altri elementi, ma un approfondimento ulteriore esula dalle finalità di questo articolo.

Fornire ad un non vedente un’esperienza simile o paragonabile a quella di una persona vedente che si muove all’interno di un ambiente, osservando le varie opere nel loro insieme ed andando nei dettagli di quelle a cui è interessata, comporta inevitabilmente l’utilizzo di suoni: suoni ambientali, passi, rumori di fondo, musiche e, ovviamente, audiodescrizioni delle opere, o quantomeno la possibilità di accedere alle didascalie testuali (opzione che ricade nel primo punto).

Creare quindi un’esperienza di visita virtuale veramente fruibile e arricchente per una persona disabile, non vedente nel caso specifico, richiede un’attenta progettazione, che non sia una mera riproduzione, visiva e non, degli ambienti della struttura, ma qualcosa che permetta di fruire in maniera alternativa, ma proficua, dei contenuti presenti nell’esposizione, probabilmente un investimento che non è limitato a rendere accessibile e fruibile l’applicativo utilizzato per somministrare l’esperienza, ma la produzione di contenuti idonei, accessibili e la loro disposizione negli spazi dell’allestimento virtuale.

Conclusioni

Dobbiamo quindi rinunciare ad offrire quest’esperienza anche alle persone con disabilità? Ovviamente no, ma è evidente che in un contesto del genere, il creare un’esperienza accessibile può avere un impatto molto importante in termini di costi e il risultato potrebbe non essere altrettanto soddisfacente ed efficace. La creazione di sistemi accessibili “paralleli” è sempre vivamente sconsigliata, ma in questo caso, più che in altri, viene naturale chiedersi se non sia da valutare un sistema alternativo, più immediato, accessibile e che consenta a chi ha difficoltà, di fruire appieno delle informazioni messe a disposizione e godere delle opere del nostro straordinario patrimonio culturale. 

Il nostro obiettivo dev’essere sempre la massima integrazione, per cui, se si opta per il tour 3D, occorre che l’applicazione sia utilizzabile con le tecnologie assistive e che, tramite la stessa, si possa accedere a descrizioni testuali, audio e/o video che descrivano le opere in una maniera accessibile e semplificata.

In medio stat virtus insomma. La virtù è nel mezzo dei due estremi, che sono egualmente da evitare.

Luca Ciaffoni

Luca Ciaffoni: Fin dall’inizio della sua carriera lavorativa, Luca Ciaffoni si è interessato allo sviluppo di soluzioni accessibili per non vedenti e ipovedenti. Lavora da molti anni per l’Istituto dei Ciechi “F.Cavazza” di Bologna, centro di eccellenza per quanto concerne la ricerca e la formazione sulla disabilità visiva e sulle tecnologie assistive. Ha collaborato a diversi progetti di interesse per l’accessibilità del web e di applicazioni software per dispositivi mobili, in particolare diverse app tra cui Ariadne GPS e ViaOpta Nav, pensate per facilitare la mobilità di persone non vedenti e ipovedenti che hanno ottenuto riconoscimenti a livello mondiale. E’ tra i fondatori della startup ITCares il cui core business è lo sviluppo di PharoSuite, suite di componenti per produrre app native ed accessibili per piattaforme iOS e Android, per musei e non solo.

Il Braille non è pezzo da museo, di Antonio Quatraro

IRIFOR, Biblioteca di Monza, IAPB, Federazione delle Istituzioni pro Ciechi, centro Helen Keller), ha fatto il punto sul lavoro degli ultimi 5 anni.

Grazie all’impegno dei soci fondatori e di molti dirigenti associativi, il Braille gode di ottima salute. Nella sua attività il Club ha cercato di mettere in pratica i sani principi che fin dalla fondazione della nostra Unione hanno ispirato i nostri padri: farsi conoscere fra il grosso pubblico, rivolgersi ai giovani in formazione, per far conoscere il nostro Braille come uno strumento per la libertà e per l’autonomia, e come una meravigliosa opera d’ingegno, che sa liberare anche chi non ha la vista dai ceppi dell’analfabetismo. Ma soprattutto il camminare insieme, tutti insieme ciascuno con il proprio passo, verso un obiettivo comune, ossia affermare la dignità della persona che non vede e la sua capacità di essere cittadino fra cittadini, se riceve l’aiuto giusto.

Il club ha cercato di inserire le proprie attività non come qualcosa di estraneo ai tempi, o come richiesta di attenzione perché così vuole la nostra Costituzione, ma collegandosi ai principali eventi nazionali, nell’ottica della inclusione sociale. Di qui la scelta di celebrare la giornata del Braille nelle città capitali europee della cultura (Pistoia, Matera), di qui la scelta di presentare il Braille nei luoghi di formazione, coinvolgendo i bambini ed i giovani (scuole, università).

Tutte le iniziative del club poi sono il frutto di un parto “plurigenitoriale”, si può dire? Nel senso che fin dal concepimento delle varie idee, sono state coinvolte tutte le istituzioni che hanno dato vita al club stesso.

Negli ultimi 5 anni infine è aumentato il consenso delle nostre sezioni, e questo non può che incoraggiarci. Ma la strada da fare è ancora lunga, perché ancora troppi sono coloro che vivono il Braille come una iattura, o come un inutile gingillo, retaggio dei tempi passati.

Perché faticare ad imparare il Braille se con la voce sintetica posso leggere di tutto? Perché imparare il Braille se posso leggere con caratteri ingranditi? Proporre il Braille ad un bambino ipovedente grave, per molte famiglie e molti insegnanti è come chiamare il pronto soccorso quando il bimbo ha solo 37 e mezzo di febbre.

La vera difficoltà è quella di comunicare correttamente l’utilità di questo meraviglioso congegno, che ci consente di fuggire dal labirinto, come fece Icaro, e tornare a riveder le stelle.

Come tutte le cose belle, anche il Braille è affascinante a prima vista, ma richiede grande fatica per impararlo bene. Ma anche fare musica è così: tutti più o meno sappiamo cantare o suonare qualche strumento, ma pochi lo sanno fare come si conviene.

Provate voi a leggere un prospetto statistico in forma di tabella solo con la voce.

Voi sapreste giocare a carte senza conoscere il Braille? E sapreste trovare il farmaco giusto senza conoscere il Braille? E ancora: scrivere correttamente è ancora un buon biglietto da visita. Se sbaglia un vedente, lo fa perché è distratto, ma se sbaglia un cieco, lo fa perché è un povero cieco. Si scrive 4 anni fà, o 4 anni fa?

E per dire che qualcuno ha un ruolo importante di mediazione, si scrive alla francese trait-d’union, oppure all’inglese “trade union”? La voce dice più o meno la stessa cosa, ma le due espressioni hanno un significato molto diverso.

Vivrà il Braille? Sì, se i nostri giovani, ciechi o ipovedenti gravi, lo impareranno, lo mostreranno senza pudori e lo ameranno.

Cara Sezione, che fai?, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

In questo periodo di emergenza ci siamo chiesti come si poteva cercare di non lasciare da soli i soci e gli amici dell’Unione.

Contatto con i soci

Dopo aver chiuso l’ufficio al pubblico con una decisione unanime del Consiglio, abbiamo predisposto i telefoni in modo da essere raggiunti in qualsiasi momento e il nostro personale UICI, I.Ri.Fo.R. e i volontari, sono rimasti a casa ma pronti a rispondere a ogni richiesta.

Abbiamo fissato un appuntamento quotidiano nella sala telefonica e sono stati contattati tutti i soci telefonicamente dando loro tutte le informazioni utili per vivere meglio questo momento.

Sono stati forniti loro numeri utili, consigli burocratici e appuntamenti su iniziative nostre o di altre realtà locali.

Nella stanza telefonica abbiamo trattato più argomenti:

regole da corona virus, regole associative, riferimenti dalla nostra sede regionale e nazionale, ascolto comune della radio web dell’Unione, storia dell’arte, storia popolare, salute, poesia, giochi e ogni altro argomento che i presenti hanno desiderato.

Ogni giorno partecipano una decina di soci in media e la maggioranza sono donne giovani e meno giovani.

Insieme abbiamo festeggiato e riflettuto sul 25 aprile incontrando un partigiano che è nostro socio e due suoi amici che si occupano di divulgazione storica.

Abbiamo programmato per il prossimo futuro alcuni temi come:

usura, medicina, diritto e diritti, incontro con giornalisti del territorio.

L’attività della sezione è proseguita anche nel contatto con le istituzioni locali, con le istituzioni religiose e con le altre associazioni.

Nella sala telefonica abbiamo potuto godere della benedizione del vescovo prima di Pasqua e incontrato il difensore civico regionale.

Ieri il consiglio ha deciso, all’unanimità di non riaprire la sezione al pubblico e di mantenere il personale a casa con lavoro a distanza ma mettendo in atto tutte le azioni di legge per prepararci alla prossima apertura se sarà possibile.

L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, di Mario Mirabile

Autore: Mario mirabile

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”; lo sancisce in maniera chiara ed esplicita l’articolo 1 della Costituzione Italiana; ovvero il primo articolo della legge fondamentale del nostro Stato a cui i nostri governanti, i rappresentanti delle istituzioni, coloro che a vario titolo sono impiegati nella pubblica amministrazione e, più in generale, tutta la cittadinanza dovrebbe attenersi scrupolosamente in maniera sia formale, ma soprattutto sostanziale. In ossequio all’articolo su citato, ma possiamo dire a tutta la nostra Carta Costituzionale, nel corso dei decenni il Parlamento ha scritto leggi importanti che hanno consentito anche ai disabili di inserirsi nel mondo del lavoro e così di realizzarsi come uomini e come cittadini, contribuendo in tal modo alla crescita del nostro paese. “Il lavoro per un cieco è luce che ritorna”; lo affermava molti decenni or sono Paolo Bentivoglio, uno dei Presidenti dell’Unione Italiana dei Ciechi, proprio a significare che i disabili visivi non devono essere oggetto della sola assistenza, bensì devono poter sviluppare le proprie attitudini ed esprimere le proprie potenzialità attraverso il lavoro, alla pari degli altri cittadini. Purtroppo da troppi anni ormai, le leggi in materia di collocamento mirato e obbligatorio vengono puntualmente disattese ed eluse da enti pubblici e aziende private con la complicità più o meno consapevole delle istituzioni preposte a vigilare sul rispetto delle norme in tali materie. La legge 113 del 1985 in materia di assunzione obbligatoria dei centralinisti telefonici privi della vista, pur se vigente a tutti gli effetti, viene disattesa da troppi enti con scuse più o meno banali: non serve il centralinista, abbiamo installato il voip, non possiamo assumere un disabile visivo per problemi logistici. Tutte giustificazioni, queste, che in una Nazione normale dovrebbero essere facilmente smontate con il solo disposto normativo: quando esiste un centralino dotato di posto operatore, il 51% degli addetti deve essere privo della vista. Per le aziende private, invece, l’obbligo c’è per i centralini con almeno 5 linee urbane. Dunque nulla di più chiaro e nulla di più facilmente verificabile, ma sempre se vivessimo in una Nazione Normale, in cui le leggi vengono scritte per essere applicate e non per essere ignorate, o peggio eluse.  Purtroppo nell’Area Metropolitana di Napoli, da molti, troppi anni ormai le aziende private non assumono più disabili visivi, tante amministrazioni pubbliche cercano in tutti i modi di ignorare il disposto di questa normativa e quel che è peggio è che gli enti preposti alla vigilanza se ne lavano le mani. E pure il Ministero del Lavoro, considerando l’evoluzione tecnologica, con decreto del 10 gennaio 2000  ha introdotto diverse figure equipollenti a quella del centralinista, quali l’operatore telefonico addetto alle pubbliche relazioni, alla gestione di banche dati, al telemarketing e al telesoccorso, tutte mansioni a cui un disabile visivo  adeguatamente formato può essere adibito e se ci fosse solo un po’ di buona volontà ed attenzione, forse tanti ciechi ed ipovedenti potrebbero essere occupati. Lo stesso si può dire per le mancate assunzioni dei fisioterapisti privi della vista, di cui le Aziende sanitarie pubbliche e i centri di riabilitazione privati  ritengono di poter fare a meno nonostante l’obbligo sancito dalla legge n. 29 del 1994, anch’essa vigente. Fin qui ho fatto riferimento soltanto alle professioni per cui esistono specifiche norme che ne disciplinano il collocamento obbligatorio e non ho esaminato le molteplici possibilità derivanti dalle disposizioni sul collocamento mirato, per intenderci dalla legge n. 68 del 1999, né dalle possibilità offerte dallo sviluppo delle nuove tecnologie che, adeguatamente utilizzate, possono contribuire all’inserimento lavorativo dei ciechi e degli ipovedenti. Probabilmente di tutte queste possibilità i rappresentanti delle istituzioni non ne hanno contezza e in molti casi, purtroppo, ignorano un’altra disposizione fondamentale della nostra costituzione secondo cui: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge ed è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3 della Costituzione). Nelle prossime settimane saremo tutti concentrati ad affrontare la “fase 2” dell’emergenza da COVID 19, ma mi farebbe davvero piacere che quanto prima al centro dell’agenda politica possa esserci il tema dell’inserimento lavorativo, anzi il rispetto delle norme vigenti in materia di lavoro per i disabili.

Di necessità, virtù. Il nostro servizio di Intervento Precoce si reinventa in tempi di emergenza sanitaria, di Nicola Stilla

Autore: Nicola Stilla

Ormai da quasi quindici anni, l’I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) della Lombardia offre alle famiglie dei piccoli con disabilità visiva un servizio riabilitativo e formativo di Intervento Precoce, attivo presso le sedi di Brescia e Milano: un equipe di operatori formata da neuro-psicomotricisti, psicomotricisti, logopedisti, musicoterapisti, osteopati, fisioterapisti, esperti della stimolazione visiva e basale e istruttori di orientamento, mobilità e autonomia personale accompagna i piccoli e i loro genitori in un percorso riabilitativo su misura, secondo un calendario di incontri a cadenza mediamente settimanale. Eccezion fatta per la pausa estiva, in tutti questi anni, il servizio non ha mai visto interruzioni, ma nelle scorse settimane l’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 ha reso impossibile attuare gli incontri nelle loro consuete modalità: con rammarico, ci siamo trovati costretti a sospendere il servizio fino a data da definirsi.

Per sua natura, l’intervento precoce non è solo un servizio a sportello al quale le famiglie accedono: è anche un momento di dialogo e confronto, una presenza che conforta i genitori, una certezza che conferisce fiducia e spinta motivazionale. Ha un risvolto umano ed emotivo che è imponderabile: la sua assenza, la distanza che si creerà – ci siamo detti – determineranno nel tempo ricadute psicologiche negative per le quasi ottanta famiglie che si trovano nel bel mezzo di un percorso. Abbiamo quindi deciso che, in un modo o nell’altro, avremmo dovuto porre rimedio alla situazione.

“La tecnologia ci è venuta incontro – dice Simona Roca, la coordinatrice dell’equipe del servizio di Brescia – così le consulenze fisioterapiche, logopediche, psicomotorie, neuropsicomotorie, della stimolazione basale e visiva, nonché l’attività di orientamento, mobilità e autonomia personale sono arrivate a domicilio, nelle case delle famiglie, con la simpatia, la fiducia e la professionalità che ci lega da tanti anni. Ognuno dei professionisti si è messo a disposizione come poteva, con strategie, obiettivi e mezzi che più si addicono alla propria disciplina: commenti condivisi ai video realizzati dai genitori, giochi guidati a distanza in videochiamata, registrazioni audio, etc. etc.…”.

La necessità è stata quella di reinventare il servizio a distanza, puntando su quegli strumenti che tutti utilizziamo in maniera informale e che sono entrati a far parte della nostra quotidianità senza che ci accorgessimo pienamente della loro potenzialità e versatilità: Whatsapp, Facebook, Facetime le infinite app per le conference call e le video chiamate etc…

In tutto questo abbiamo trovato collaboratori d’eccezione: le famiglie. “Grazie alla loro voglia di riprendere l’attività – continua Simona Roca – i genitori si sono rivelati ascoltatori attenti e riflessivi anche sui consigli a distanza; è prezioso il tempo trascorso con loro, anche solo per fare quattro chiacchiere e risentirci vicini; grazie al loro pronto rimboccarsi le maniche, sono “prolungamenti” delle nostre mani e, tutto ciò che hanno appreso ed osservato durante gli anni di viva presenza nelle varie attività, ora lo mettono in pratica”.

È vero: fin dall’inizio abbiamo puntato molto sul coinvolgimento delle famiglie nelle attività riabilitative, ed oggi – purtroppo in un frangente triste e inatteso – ne raccogliamo i frutti. “Ovviamente non è affatto facile, sicuramente non è la stessa cosa degli incontri in presenza, ma è la nostra risposta al nulla… e sta funzionando” conclude Simona.

Anche sul versante milanese la formula ha trovato proficua applicazione. La terapista Gloria Dal Zovo ci conferma che le famiglie hanno accolto l’iniziativa con spirito costruttivo: “È essenziale, soprattutto nel caso dei bambini più piccoli e con maggiore compromissione, che la famiglia collabori – dice Gloria – e nella stragrande maggioranza è stato così”. “In taluni casi, preliminarmente all’incontro virtuale, invio indicazioni e materiale via e-mail, che i genitori possono stampare, ad esempio; nel caso dei bambini più grandi possiamo utilizzare la condivisione dello schermo del computer tramite Skype; insomma, gli obiettivi restano gli stessi, semplicemente vengono utilizzati strumenti e materiali diversi”. “Il nostro è un lavoro che si basa sulla relazione: anche solo il fatto di non interrompere il contatto vocale con il bambino, soprattutto con i più piccoli, è importante”.

Insomma, non solo abbiamo tenuto vicine le famiglie, ma siamo riusciti a proseguire i percorsi terapeutici in maniera efficace. I riscontri pienamente positivi, sia da parte dell’equipe che dei genitori, ci suggeriscono una vera e propria progettualità in questa direzione, per dare una veste nuova ad un servizio che vuole, anzi deve stare al passo con i tempi: i tempi eccezionali che stiamo vivendo mentre scrivo queste righe, ma anche i tempi che abbiamo vissuto fino a pochi mesi fa, nell’auspicio che tornino presto.

Grazie Nouria, volontaria del Servizio civile

A Feltre, in provincia di Belluno, nota per l’elegante Castello di Alboino, per il palio locale e per il bellissimo santuario di San Vittore e Corona, patrono della città, troviamo Nouria Ismael, 29 anni. Nouria, è volontaria del #serviziocivileuniversale ed è impegnata a svolgere il suo anno di attività presso l’UICI (Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti) nel progetto “servizio di accompagnamento ciechi civili – Belluno 3.0”. Nouria si occupa del servizio di accompagnamento, supporto e sostegno alla sig.ra Simona Zanella, che purtroppo ha perduto totalmente le capacità visive. In questo momento difficile per tutto il Paese, Nouria ci racconta: “Ho deciso di non interrompere il servizio civile perché non mi sentivo di lasciarla sola in questo momento, perché Simona avrebbe trascorso la settimana senza avere la possibilità di ricevere aiuti da altre persone. Una delle principali altre attività che ho svolto dall’inizio del servizio civile, a metà novembre, è stata quella di recarmi presso vari istituti delle scuole superiori del feltrino, incontrando i giovani studenti e rispondendo alle loro curiosità. Tutto ciò con lo scopo di informare e sensibilizzare i ragazzi su questa tipologia di disabilità, a molti ignota, in modo che, con una migliore conoscenza, vengano a cadere pregiudizi e barriere psicologiche che spesso rendono difficile l’avvicinamento alle disabilità sensoriali. In questo ultimo periodo in cui, per evitare il diffondersi del COVID 19, gli spostamenti sono stati limitati ed il servizio civile è stato ridotto strettamente alle ore necessarie, ho svolto l’attività quasi totalmente da remoto, con ricerche e videochiamate o, quando necessario, con il recapito della spesa a domicilio. Ritengo che sia proprio in particolari situazioni come queste, che il servizio civile acquista tutta la sua importanza e dimostra la sua utilità”.

Grazie Nouria e grazie a tutti i giovani che si prendono cura delle persone più fragili.

Emergenza di oggi e quale possibile futuro per domani, di Giorgio Ricci

Autore: Giorgio Ricci

Care Amiche, Cari Amici,

mi aggancio all’ultima parte del messaggio inviato dal Presidente nazionale all’Assemblea della Federazione delle istituzioni pro ciechi e in particolare nel passaggio dove si fa riferimento al fatto che probabilmente stiamo vivendo un momento simile a quello post seconda guerra mondiale.

Vedremo se sarà così. Sicuramente la nostra generazione, le nostre generazioni post belliche, vivono per la prima volta una vera e al momento unica e unitaria emergenza globale. Il Virus, questo strano virus che si diverte a farsi chiamare COVID 19, ha unito per la prima volta il mondo. Dall’Alaska al sud Africa, dallo stretto di Bering alla Patagonia e magari ha unito meno la Val Camonica e il Salento. Ma sicuramente tutti, ma proprio tutte le popolazioni hanno oggi lo stesso comune nemico che le unifica nella paura di un domani incerto o molto ma molto più incerto per coloro che già oggi muoiono di diarrea o di una semplice e innocua infezione, se hai i farmaci.

La vera prima e prioritaria emergenza già di oggi, anche nel mondo ricco, è l’emergenza economica e sociale. Innumerevoli nuclei familiari, innumerevoli donne e uomini che si troveranno a combattere contro il dramma della disoccupazione e della non occupazione. La povertà estrema e con essa l’aumento della povertà educativa per i figli di oggi e forse per quelli di domani e dopodomani, imporranno un chiaro ed evidente cambiamento del nostro modo di pensare e di essere comunità, diventando consapevoli dei limiti che dovremo imporci per cercare di non lasciare nel limbo economico, sociale e umano, tutti coloro che non saranno in grado di ritrovare un barlume di luce in questo lungo tunnel di disperazione, cominciando dai più fragili in assoluto.

E come ha detto in questo messaggio il nostro presidente, questo è solo l inizio, poi verranno i veri problemi. E tra le righe vorrei leggere anche un appello a non solo restare uniti e coesi e a smetterla di pensare a quello che oggi appare non prioritario, compresa la data del congresso e ancora prima a cose ancora molto meno importanti se non ridicole e superflue, se viste con l’ottica dell’emergenza e della morte che in alcune regioni ha colpito, colpisce e colpirà molte ancora moltissime persone. Quasi ogni abitante di alcune province conosce o ha conosciuto qualcuno che oggi non c’è più. E allora volere pensare a queste cose, appunto non così fondamentali, oggi è come volessimo giocare a scacchi piuttosto che a briscola sotto un bombardamento del nemico. Ci sarebbe da domandarsi poi, chi mai sarà il vincitore.

Amici miei, adesso e forse dopo troppe parole in breve, vorrei arrivare al cuore o al centro di quello che vorrei esprimervi.

In questi giorni, grazie ad un osservatorio che ho la fortuna e forse sfortuna di vivere, decine, centinaia di singole persone, nuclei familiari, venditori ambulanti, migranti già residenti e in regola con figli piccoli, disperati senza fissa dimora, stanno vivendo in estrema sofferenza questo drammatico momento. Il numero di essi, alla pari dei funghi dopo la pioggia di settembre, appare infinito, incredibilmente e inaspettatamente infinito. Chiedono al momento solo buoni spesa. E per fortuna, in questo nostro paese ancora chi è malato viene curato.

Ci sono già evidenti e chiari segnali e riscontri che la povertà assoluta sarà il vero dramma globale dei prossimi mesi e anni, anche nei paesi più ricchi.

E allora cari amici proviamo con tutta l’onesta intellettuale che ci contraddistingue ed anche riconosciuta, proviamo a pensare questo; a pensare che per fortuna i disabili visivi italiani hanno da tempo acquisito una più che serena e molto più che soddisfacente sicurezza economica e questo grazie alle meravigliose e dure battaglie di chi ha combattuto in questi lunghi decenni.

Da molti anni la sicurezza economica acquisita dai disabili visivi italiani, ha permesso a tutti noi di vivere una vita più che dignitosa, sia dal punto di vista personale che collettivo. Sono convinto che nel nostro paese, difficilmente ci possa essere una persona con disabilità visiva in grave difficoltà economica. Forse, da qualche parte, alcuni non avranno ancora potuto usufruire dei benefici previsti. Ma nella generalità questa è la realtà, e lo sappiamo molto bene. Proviamo a fare mente locale e proviamo a capre se quante delle persone che conosciamo versano in grave situazione economica e bisognose di una urgente fornitura di alimenti o buoni spesa. Probabilmente avremo qualche difficoltà a ricordare.

Ritorno al messaggio di Mario Barbuto e mi permetto di aggiungere. Amici miei noi tutti, ma proprio tutti, dobbiamo veramente fare un passo culturale decisivo. Noi siamo la società che viviamo, ma noi siamo anche la società che dobbiamo aiutare ad uscire da questa nuova e incertissima emergenza globale. Perché solo se siamo soggetti attivi, possiamo continuare a lottare anche per noi stessi e soprattutto per i più fragili tra noi, anche di domani. Forse il primo vero atto d’amore verso gli altri è quello di pensare che moltissimi altri milioni di nostri concittadini, per parlare solo del nostro paese, cominciano ad avere problemi e inquietudini proprie di altre latitudini. Noi, quasi tutti noi, per fortuna non abbiamo bisogno di telefonare ai servizi sociali dei comuni , alla Caritas, alla croce rossa o alla san vincenzo, per avere un pacco viveri. Per fortuna noi siamo economicamente molto più forti. Noi abbiamo bisogno di altro, ma dovremo lavorarci sopra per averlo questo altro. Lavorarci molto e da subito. Perché saranno milioni di persone ad essere fragili e dovremo cominciare a pensare come noi possiamo e potremo aiutare questo popolo infinito e bisognoso a superare queste fragilità Perché noi se vogliamo possiamo fare molto anche per gli altri, ma cominciando dal non chiudersi in noi stessi e nei soli nostri bisogni e necessità.

Nulla è più scontato. Proprio nulla e forse neppure la dignità economica raggiunta con tanta fatica. Un abbraccio a tutte e tutti voi, soprattutto a coloro che più stanno soffrendo questo momento, e perdonatemi anche qualche passaggio provocatorio, ma fatto con il cuore e un po’ di preoccupazione per quello che forse ancora non abbiamo ben compreso.

Un’esperienza da condividere, di Mena Mascia

Autore: Mena Mascia

Vi racconto una storia che mi sta impegnando abbastanza, ma che mi gratifica molto.

Il tutto risale all’inizio della clausura forzata che ancora oggi, e davvero speriamo per poco, vede tutti noi relegati in casa.

In uno dei tanti pomeriggi che stavo trascorrendo immersa nella lettura, mi arrivò una telefonata da una persona della quale non mi sembrò di riconoscere il numero. Più per curiosità che per una reale voglia di comunicare con degli sconosciuti, decisi di rispondere, e feci bene, perché a contattarmi era una capo scout che aveva visto il mio nome sulla rete.

Nell’intento di non perdere il contatto con le ragazze della sua squadriglia, anche in tempo di isolamento, le era venuto in mente di proporre loro di imparare a lavorare a maglia e particolarmente ai ferri e si era messa a cercare su youtube, dove tanto tempo fa io avevo inviato a Giuseppe Digrande un video su cosa noi non vedenti potessimo e sapessimo fare.

Mi aveva rintracciata ed eccola lì a chiedermi se fossi disposta a darle una mano per rendere reale l’idea che da qualche giorno le attraversava la mente. Naturalmente l’avremmo concretizzata on line. Benché un po’ timorosa di non farcela, ma non pensandoci troppo, impulsiva come sono, decisi di provarci. Mi spaventava non poco l’impatto che avrei avuto con chi era dall’altra parte del computer, però, se avevo deciso di mettermi in gioco, l’avrei fatto, sfidando la mia autostima che non è molta.

L’esperimento che ancora oggi continua per due volte alla settimana, con la soddisfazione di tutte, ebbe inizio il 14 marzo e terminerà quando ognuna di noi potrà dedicarsi liberamente ad altro.

Gli incontri si concluderanno con l’avere imparato i punti base con cui la fantasia delle piccole apprendiste potrà sbizzarrirsi a creare disegni colorati e forse, chi può dirlo, indumenti da indossare, confezionati con le proprie mani. E’ l’augurio che mi sento di fare loro, perché ricordino positivamente questi mesi d’innegabile disagio, convivere col quale non è stato facile per nessuno.

Non ho mai visto personalmente le ragazze che seguono le mie spiegazioni, e non vi nascondo che la loro presenza fisica mi manca, ma mi risultano piacevoli le loro giovani voci che chiedono, rendendo sempre più gratificante per me ogni incontro con loro.

Se a qualcuna non viene facile un movimento, so che corre a chiedere delucidazioni alla nonna, logicamente se ha la possibilità di averla vicina, assaporando con lei una ritrovata complicità.

Non mi soffermo a commentare oltre un’esperienza bella che ha dato qualche momento di creatività a delle ragazzine, forse non abituate ad usare le mani, se non per digitare compulsivamente sulle icone dello smartphone, ma che ha reso maggiormente orgogliosa me per essere stata in qualche modo capace di trasmettere loro la voglia di cimentarsi con una di quelle belle arti antiche che oggi sono purtroppo scomparse, ma che pretendono calma e riflessione, consentendo alla coordinazione delle mani col cervello dei movimenti armoniosi.