Guardare al futuro ma quello dell’unione

Autore: Massimo Vita

Cari amici, se avete tempo e voglia, leggete l’articolo che il vice presidente nazionale ha inviato al giornale online dell’Unione.

Non oso discutere le opinioni ma segnalo che mentre si preoccupa di disegnare un quadro generale in riferimento ai fenomeni politici e istituzionali del paese, nulla dice sull’assetto interno della nostra organizzazione.

Io credo e spero che i presidenti regionali e i consiglieri nazionali vorranno far sentire la loro voce e iniziare a pensare a una convocazione del consiglio nazionale nel malaugurato caso che Daniele non possa riprendere il suo posto.

Siamo ormai in vista del congresso e non possiamo immaginare che si proceda con una situazione così disordinata e senza alcuna garanzia per i futuri candidati alla direzione della nostra organizzazione.

Per garantire la democrazia, dobbiamo rispettare le regole che ci siamo dati anche se le riteniamo insufficienti.

Temo gli assordanti silenzi che noto in questo dibattito .

L’UNIONE CHE VORREI .2015: l’ANNO DEL CAMBIAMENTO SPUNTI DI RIFLESSIONE PER IL XXIII CONGRESSO NAZIONALE DELL’U.I.C.I.

Autore: Nicola Stilla

Nel 2015 celebreremo il XXIII Congresso Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti: si tratta di un appuntamento che oltre all’indispensabile aggiornamento dei contenuti e delle strategie di politica associativa, segnerà con il rinnovo della leadership, un passaggio decisivo che caratterizzerà  in prospettiva il futuro della nostra organizzazione non solo per quanto riguarda gli aspetti più propriamente politici, ma anche quelli amministrativi, gestionali e della comunicazione.

 In tale ottica, occorrerà gettare le basi per un ricambio del Gruppo Dirigente ed elaborare linee programmatiche capaci di rilanciare l’attività dell’U.I.C.I. in modo da avvicinare un maggior numero di Soci e riuscire ad incidere maggiormente sulle scelte delle organizzazioni delle persone con disabilità, e conseguentemente su quelle del Governo e del Parlamento del nostro Paese.

 Com’è noto ormai a tutti, viviamo, infatti, in un’epoca nella quale, a causa della crisi economica planetaria, la finanza ha preso il sopravvento sulla politica e ne detta le regole; la conseguenza è che i valori sociali, e spesso anche quelli morali, vengono messi in discussione. In questo clima socio-culturale e politico, lo spazio per le persone con disabilità si riduce progressivamente.

Si parla spesso di sussidiarietà e di welfare, ma i servizi a favore delle fasce “deboli” vengono sempre più frequentemente demandati al no profit, e si riducono a causa delle poche risorse messe a disposizione degli Enti Locali, degli stessi interessati o delle organizzazioni di promozione sociale o di volontariato. Molti dei diritti acquisiti negli anni scorsi a favore delle persone con disabilità sono messi in discussione e, quotidianamente, le organizzazioni rappresentanti le istanze dei cittadini più esposti alla crisi, lottano per evitare che principi, un tempo definiti sacrosanti dai diversi organi costituzionali, sia in Italia che nel mondo, vengano disattesi.

 In questo quadro, per fronteggiare la situazione ed offrire una risposta concreta e puntuale ai bisogni delle persone non vedenti ed ipovedenti, avremo bisogno di una diversa organizzazione della nostra Unione e degli enti di propria emanazione o ad essa collegati; avremo bisogno di una maggiore incisività da parte nostra nelle scelte delle amministrazioni, del Governo e del Parlamento, e di una forte e competente presenza nei luoghi ove queste scelte vengono assunte , così da invertire l’attuale tendenza e garantire una maggiore integrazione scolastica, maggiori opportunità lavorative, maggiori garanzie sociali, maggiori garanzie per l’accessibilità alle informazioni e alla cultura, maggiore autonomia, affinchè tutte le persone con disabilità possano godere della stessa, piena libertà.

Per fare questo l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti dovrà essere in grado di darsi nuove regole: innanzitutto, un Gruppo Dirigente capace di operare nei diversi settori anche attraverso lo strumento della delega, all’insegna di una struttura meno centralistica dell’attuale; una struttura che scelga di erogare solo alcuni servizi selezionati e qualificati, e che torni ad essere un “soggetto di vigilanza” nei confronti di tutti gli Enti che erogano servizi a favore delle persone non vedenti o ipovedenti. Se da un lato, infatti, la co-gestione ha spesso consentito di incidere sulle scelte dei diversi Enti, dall’altro, rischia di ridurre l’efficacia dell’attività di “vigilanza”, facendo venir meno la funzione primaria dell’U.I.C.I.: assicurare alle persone cieche ed ipovedenti la piena esigibilità dei propri diritti.

In quest’ottica, riveste particolare importanza la questione delle risorse economiche: l’Unione dovrà rivedere le sue scelte in tal senso e, pur continuando a perseguire il finanziamento pubblico dei servizi che la stessa eroga direttamente o attraverso gli Enti collegati, dovrà individuare forme nuove di autofinanziamento, organizzando direttamente quelle iniziative ritenute più adeguate e rispondenti alle proprie esigenze amministrative.

 IL PASSAGGIO

 Nel 2015, quando terremo il XXIII congresso dell’Unione, saranno 30 anni che la nostra associazione ha lo stesso Presidente; probabilmente i 30 anni più lineari della sua storia. Tommaso Daniele, uomo dalla forte personalità e dal fine intuito, ha retto l’associazione con mano ferma, interpretando il suo ruolo istituzionale di figura emblematica, così come quello di primus inter pares con dedizione, equilibrio e intelligenza. Dei successi conseguiti dall’Unione durante i suoi sette mandati parlano i fatti e i documenti, parlano la stima e il rispetto che tutto il corpo associativo gli dimostra con un costante ampio consenso. Intorno a lui, conoscitore degli umani pregi e debolezze, si sono avvicendati numerosi dirigenti, che ne hanno condiviso e assecondato, salvo rare eccezioni, le scelte strategiche e operative. Tommaso Daniele ha saputo cogliere e adeguarsi con prudenza e lucidità ai radicali mutamenti della società, contrastando le spinte negative e stimolando il contesto associativo a livello sia regionale che provinciale, a rafforzare l’efficienza organizzativa e funzionale, al fine di svolgere un crescente ruolo di sensibilizzazione e di aggregazione della categoria.

 Tommaso Daniele ha saputo coniugare l’ottimismo della speranza con la valutazione critica dei problemi e delle circostanze, sempre guidato da un chiaro senso dell’opportunità e della concretezza.

 La struttura centralistica dell’Unione, che è stata ed è tuttora punto di forza e fattore di coesione, ha favorito l’assunzione da parte del Presidente di una responsabilità univoca, incentrata sulla sua persona quale garante dell’unità, della stabilità  e della solidità dell’associazione. Ora che norme statutarie da lui stesso condivise segnano la conclusione del suo lungo impegno, tutta la compagine associativa gli deve fraterna gratitudine e riconoscenza.

 Colui che avrà l’onore e l’onere di succedergli dovrà condurre l’associazione con altrettanta fermezza e competenza nel momento in cui essa affronta probabilmente una delle sfide più impegnative e decisive di tutta la sua lunga storia.

Infatti, la realtà in cui l’Unione operererà nel futuro prossimo, e per un tempo indefinito, sarà una realtà segnata da un ordine sociale  assai complicato:

l’Italia è minacciata dal crescente divario sociale che sta producendo povertà diffusa, esclusione sociale e disoccupazione, soprattutto tra i giovani. Le persone con disabilità sono tra le più duramente colpite dalle conseguenze della crisi economica e sociale che sta mietendo vittime nel nostro Paese cosìì come in gran parte degli stati maggiormente sviluppati dell’occidente.

 La struttura sociale al cui interno si è sviluppata l’azione di promozione e di tutela degli interessi delle persone cieche e ipovedenti appartiene al passato. La deregolamentazione dei rapporti di lavoro, lo smantellamento del sistema pensionistico, i tagli dei servizi sociali di pubblico interesse, in particolare nella sanità e nel sistema educativo, hanno messo in ginocchio la maggior parte della popolazione, indebolendo in buona parte il senso di solidarietà e di condivisione, così come le regole della convivenza civile e della stessa vita democratica.

Le politiche e i servizi sociali non sono percepiti come un investimento, ma come un costo: nel nostro Paese, come in altri dell’Unione Europea, sono state decise misure di austerità che non hanno prodotto crescita e coesione, ma degrado e disuguaglianza. Trasmettere il messaggio di una dignitosa inclusione sociale delle persone con disabilità è sempre più difficile, a causa della competizione per la conquista delle scarse risorse disponibili.

Questa nuova realtà obbligherà l’Unione  Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti a un drastico ripensamento e a una revisione delle proprie strategie, sia rispetto alla gestione delle risorse umane ed economiche, sia alle modalità di finanziamento delle sue articolate attività.

 Un palese limite dell’attuale gestione è stata la pervicace indisponibilità a trasferire il baricentro del finanziamento dal settore pubblico a quello privato, confidando nella buona volontà delle Istituzioni.

  In tutta l’Unione Europea la scure dei tagli si è abbattuta sui lavoratori, togliendo loro la sicurezza del futuro e su chi non lavora togliendogli, del futuro, la speranza. Questa situazione è ancora più critica per i cittadini più vulnerabili, prime tra i quali le persone con disabilità i cui interessi non sono più adeguatamente tutelati dalle istituzioni competenti. Le persone cieche e quelle ipovedenti sono state talora presi di mira dall’opinione pubblica disinformata, in quanto ritenuti dei privilegiati o dei millantatori. Questo ha contribuito a indebolire il senso di solidarietà nei nostri confronti ed a screditare inevitabilmente in modo qualunquistico anche l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

La nuova dirigenza che sarà eletta dal XXIII Congresso e in primis il nuovo Presidente, saranno chiamati ad affrontare questa nuova situazione economica e sociale, alimentando in se stessi, nei Soci e nell’opinione pubblica la fiduciosa consapevolezza che l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, potrà continuarea svolgere un ruolo essenziale e insostituibile per l’emancipazione, l’inclusione e la partecipazione delle persone cieche e ipovedenti nella società.

 Fortunatamente, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti non ha risentito in misura macroscopica come i partiti, i sindacati e altre realtà associative della diaspora dei propri iscritti, tuttavia un significativo calo del numero dei Soci si è verificato, e solo grazie agli sforzi profusi da tutta la dirigenza i danni sono stati limitati.

Anche il dissenso interno, a parte qualche caduta di stile, non ha prodotto conseguenze traumatiche. lo spirito di appartenenza all’Unione è forte e diffuso. Vi sono quindi le condizioni favorevoli per sviluppare programmi e raggiungere obiettivi ambiziosi.

Il nuovo Presidente dovrà essere una persona dinamica, energica, profondamente radicata nell’esperienza personale e collettiva della cecità, aperta al dialogo con tutte le componenti associative, ma anche con tutte le diverse entità del movimento della disabilità, del mondo del lavoro, della società civile e soprattutto della politica e sull’eredità di Tommaso Daniele, dovrà saper costruire nell’arido suolo di una comunità umana divisa, delusa e stanca di parole vuote e di abusati luoghi comuni, la concreta possibilità di dare ganbe e voce alla battaglia per le pari opportunità.

Non di meno, il futuro Presidente, dovrà mobilitare tutte le energie e le forze positive dell’associazione e su questa base operare nella trasparenza per l’unità, la responsabilità, la collegialità e il rinnovamento.

 Partendo da queste fondamentali premesse ed in vista quindi del XXIII Congresso Nazionale della nostra Associazione che necessita, come già detto, di un cambiamento forte e forse radicale dopo trent’anni di Presidenza Daniele, dopo una lunga riflessione, condivisa con alcuni amici che da sempre mi sono vicini nell’attività associativa che mi ha visto impegnato in qualità di Consigliere e Presidente della Sezione di Pavia e, dal 2005, dopo due mandati da Consigliere Regionale, da Presidente del Consiglio Regionale della Lombardia, ho deciso di presentare la mia candidatura alla carica  di Presidente Nazionale.

 Avendo ben chiari i molti successi conseguiti dei decenni scorsi e le criticità che tutti noi abbiamo riscontrato nella gestione della nostra organizzazione, uno dei primi obiettivi da perseguire con forza è sicuramente quello di mantenere l’unità dell’associazione e nello stesso tempo misurarci con il bisogno di cambiamento ed è proprio per tale ragione che in questo periodo con Mario Barbuto, abbiamo deciso di costituire un gruppo di lavoro congiunto che sta provando ad elaborare un progetto comune per poi, attraverso una consultazione tra tutti coloro che lo condivideranno, venga individuato la persona che dovrà, con il consenso più ampio e rappresentativo da parte del Congresso, nel rispetto delle eventuali minoranze, portare avanti il progetto in maniera collegiale.

La scelta di questo percorso è frutto di un serio ed importante confronto che parte da due presupposti condivisi:

1. la volontà mia e di Mario di porre entrambi la candidatura a Presidente Nazionale nel 2015;

2. l’interesse comune di non dividere l’associazione e tentare di raggiungere l’obiettivo di una unica candidatura.

Un progetto quindi che parte da un confronto unitario per capire se vi sono le condizioni per arrivare alla definizione di un percorso condiviso e solo alla fine di esso, in caso di una convergenza di fondo, si passerà al passo successivo: l’individuazione del leader, i ruoli e le funzioni.

 Scrivere oggi un progetto di rilancio dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti consentirà al nuovo Presidente ed alla sua squadra, a partire dal giorno successivo della celebrazione  del Congresso, di riorganizzare l’associazione e proseguire il proprio  impegnativo lavoro a favore delle persone non vedenti ed ipovedenti.

 Tutto questo, dovrà completarsi entro il prossimo mese di aprile e dovrà portare a definire:

– la definizione di regole per la scelta del leader;

– la bozza di un programma da sottoporre al contributo di tutti i Dirigenti e tutti i Soci per la sua definizione.

Il progetto dovrà svilupparsi su tre perni fondamentali per il rilancio dell’attività e dell’associazione: la conduzione collegiale dell’organizzazione, la valorizzazione ed il rispetto delle strutture territoriali e dei loro Dirigenti e la riorganizzazione della Sede Centrale e degli Enti Collegati fermo restando che, la struttura dell’associazione deve rimanere una struttura di carattere nazionale con gli aggiustamenti del caso affinchè tutte le strutture possano iscriversi nei diversi registri regionali e, fino a quando esisteranno, provinciali e nelle diverse anagrafi.

Su questa base, a mio avviso per definire il progetto, andranno approfonditi i seguenti punti fondamentali:

– l’unità associativa,

– l’ampliamento della base associativa,

– l’inclusione reale nella società delle persone ipovedenti,

– il ruolo delle struttureterritoriali,

– il ruolo ed il funzionamento degli Organi collegiali Centrali,

– l’unità delle persone con disabilità,

– l’importanza della funzione di rappresentanza,

– una corretta vigilanza sui servizi (anche quando erogati dai nostri Enti)

– la questione delle risorse e dell’autofinanziamento.

– e, non ultimo, i rapporti con l’Europa (E.B.U. e E.D.F.) e con l’Unione Mondiale dei Ciechi,

Insomma, un gioco di squadra che, “Con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto sul futuro”, riesca a tenere i rapporti quotidiani con le strutture del territorio, con le altre associazioni di e per persone cieche, con le altre associazioni di e per persone con disabilità, con il mondo politico e sindacale, con quello Istituzionale mettendo al centro la persona e la collegialità nel rispetto di tutte le strutture interne, dalla più piccola a quella più rilevante.

Solo in questo modo, ne sono convinto, la nostra Unione potrà ritornare ad assumere quella funzione di traino che ha sempre guidato le scelte politiche non unicamente nel nostro Paese ma anche in Europa ed ha saputo portare avanti i grossi concetti e principi della solidariettà nel mondo.

Per chi volesse contattarmi o dare il proprio contributo, nicola@stilla.it

Dalla pelle al cuore. affettività, sessualità e amore: parlarne si può!, di Massimiliano Penna

Autore: Massimiliano Penna

Si è svolto sabato 16 e domenica 17 novembre presso il Novo Hotel Brescia Due a Brescia il seminario dal titolo “Dalla pelle al cuore. Cecità ed ipovisione: sessualità, affettività, diritti e amore. Come passare dagli stereotipi e tabù ad una cultura di condivisione?”, organizzato dalla Presidenza Nazionale dell’U.I.C.I. (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) ONLUS su proposta della Commissione Nazionale per le Pari Opportunità uomo-donna della stessa U.I.C.I. e dall’I.RI.FO.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) ONLUS in collaborazione con il Consiglio Regionale Lombardo dell’U.I.C.I., la Sezione Provinciale U.I.C.I. di Brescia e l’I.Ri.Fo.R. della Lombardia.
Il seminario, che già nel titolo lascia intravvedere gli obiettivi prefissati e lo spirito con cui è stato concepito, è stato fortemente voluto con uno scopo ben preciso: accostare 2 tematiche (la disabilità e l’affettività/sessualità) che spessissimo vengono visti come 2 mondi a se stanti, quasi antitetici e per loro natura inaccostabili.
Le tematiche proposte non sono state affrontate in modo astratto proponendo una serie di teoremi sganciati dalla realtà, poiché i diversi relatori hanno proposto argomenti inserendoli nella realtà di tutti i giorni.
Grazie ad un percorso ben preciso tracciato da figure altamente qualificate, le relazioni presentate hanno fornito ai presenti svariati spunti per il dibattito che ne è seguito, nel quale si è potuto discutere con estrema naturalezza di argomenti come affettività, sessualità e amore che, spiace sottolinearlo, spessissimo sono considerati come “preclusi” alle persone affette da deficit visivo per via del loro handicap.
Dal confronto è invece emersa una forte volontà di confrontarsi su dette tematiche, smentendo tutti quei preconcetti che inducono a considerare la persona non vedente o ipovedente priva di aspirazioni affettive.
Partendo da una presentazione di quella che è la situazione attuale dal punto di vista delle discriminazioni verso le donne con disabilità, sono state poi affrontati diversi argomenti fra i quali il femminicidio, il dolore nella donna nelle sue varie sfaccettature, per arrivare al tema “sessualità e disabilità”.
Quanto alle discriminazioni verso le donne con disabilità, emerge una situazione non propriamente positiva. Sovente infatti la donna con disabilità viene vista come “sexless”, ovvero priva di una propria femminilità, o addirittura priva di una precisa identità sessuale dal punto di vista dell’affettività. La donna con disabilità viene addirittura ritenuta incapace di intraprendere una eventuale vita matrimoniale in quanto non in grado di prendersi cura della propria famiglia per via del proprio handicap. Da ciò discende un notevole svilimento della figura femminile che, al contrario, si è sempre rivelata punto di riferimento nell’ambito famigliare, nonché parte estremamente attiva in quanto ricca di risorse interiori in quel mondo sconfinato e variegato come quello dei rapporti interpersonali in generale.
I motivi che inducono ad una concezione così intrisa di pregiudizi non sono di facile comprensione. Essi hanno profonde radici culturali che risalgono all’antichità. La loro identificazione non è impresa facile, ma si può affermare che alla radice vi sia la difficoltà di confronto, unita ad una mancanza di dialogo per paura di confrontarsi col “diverso” che in questo caso è rappresentato dalla disabilità visiva. Al confronto si sostituisce la commiserazione e la compassione verso la persona non vedente o ipolvedente, che viene identificata col deficit stesso ancor prima di conoscerne i modi di fare, le aspirazioni e  e i diversi lati del carattere.
In una società pervasa dalla “corporeità”, si è portati a credere che la persona affetta da deficit visivo non possa esprimersi pienamente nella sfera affettiva proprio perché, a causa del deficit visivo stesso, non ha la percezione del mondo circostante. Secondo tale concezione il “non vedere” impedirebbe di provare sensazioni, di provare attrazione, e di esprimere appieno la propria affettività nell’ambito di un rapporto a 2, quasi che la mancanza della vista comporti una percezione limitata anche di se stessi. Al contrario, come chiaramente confermato dalle varie relazioni svolte, in particolare dal dott. Marco Rossi, l’unico vero ostacolo è costituito dalla sottovalutazione di se stessi. L’affettività va oltre la semplice attrazione fisica, e il vero motore che possa davvero alimentare un rapporto è rappresentato dalla “fantasia” intesa come curiosità verso l’altro che stimola a conoscerne tutti gli aspetti.
Non v’è dubbio che il percorso che porti ad un vero cambiamento culturale sarà lungo e tortuoso. Sarebbe pura utopia pensare di sconfiggere dall’oggi al domani i pregiudizi riguardanti le persone affette da deficit visivo e la loro affettività, ma occasioni come questa non possono che far da stimolo ad un costante dialogo, linfa vitale per giungere a quella “cultura condivisa” come auspicato dagli organizzatori e lasciarsi alle spalle quel modo di pensare che induce a considerare la sessualità e l’affettività come argomenti tabù se riferiti alle persone disabili.

 

“Semplici gioie quotidiane”, di Patrizia Onori

Autore: Patrizia Onori

E’ un giorno come tanti, sono in ufficio, mi occupo di far pervenire agli altri quello che di meglio so dare attraverso un pc ed un telefono ma, nonostante il dovere e nonostante stia lavorando, rifletto.
Sì: penso a quanto sono fortunata poiché tutti mi stimano, mi adorano, mi incoraggiano e mi diffondono la forza per andare avanti, mi stimolano a fare e a dare ogni giorno di più, mi rendono meriti i quali nonostante la mia enorme determinazione e la mia fatica nel portarli avanti, non avrei mai creduto potessero prendere valore e colpire la sensibilità di qualcuno.
Penso anche a quanta strada ho dovuto percorrere per poter raggiungere tanto, penso a quanta fatica ho dovuto fare per farmi valere, per far capire agli altri che nonostante le difficoltà fisiche si può produrre molto, forse realizzando realtà grandiose che pochi cosiddetti “normali” riescono a realizzare, rifletto e gioisco per aver ottenuto tanto dalla vita.
Tutto questo però, non possiamo assolutamente raggiungerlo da soli ed io, non l’ho assolutamente raggiunto da sola!
Infatti, tra una riflessione e l’altra, scrivo.
Scrivo questa lettera per ringraziare tutti coloro che mi sono vicini nel cammino così straordinario ma a volte anche tortuoso e faticoso della vita, a quelle persone che mi incoraggiano ogni giorno affinchè tutto proceda per il meglio, a chi apprezza il mio modo di essere semplice, spontaneo ma anche riflessivo e molto spesso un po’ troppo impulsivo ma così tanto tenace.
Ringrazio i miei genitori e tutte le persone che tutt’ora mi sono vicine e che mi sono state vicine quando ero ancora una bambina indicandomi la strada giusta da percorrere, poichè se oggi sono quella che sono, lo devo soprattutto a loro.
Un esempio meraviglioso me lo hanno reso e me lo rendono in ogni momento le persone più anziane della nostra unione poichè con la loro esperienza, con la loro saggezza e con la loro pazienza, mi hanno insegnato tanto ed ogni giorno, mi regalano nuove idee ma, in particolar modo, mi insegnano a vivere e a sorridere.
Gli anziani sono spesso dimenticati e messi da parte però, dato che sono nel mio cuore, non li dimentico ed oggi in particolare, mi sento di ringraziarli e di dedicare a tre persone tra loro, questo mio umile e semplice pensiero.
Gesuina M. Elia C. Sante C., siete per me tre persone veramente speciali e, nonostante abbiate qualche anno in più di me, sento che siete giovani dentro.
Oggi perciò, dedico a voi questa mia lettera.
Carissimi Gesuina, Elia, Sante,
siete persone speciali,
mi avete dato e mi donate ogni giorno la possibilità di essere quella che sono,
inondandomi in ogni momento del vostro affetto e delle vostre attenzioni;
ogni istante in cui penso a voi scopro qualcosa di nuovo, di ammirevole, di esemplare, di commovente e non mi stancherò mai di esservi vicina;
nei momenti più tristi, con la vostra vicinanza anche se virtuale, siete stati in grado di avvolgermi in un silenzio che è stato più forte di mille parole.
Grazie poiché mi aiutate in ogni momento ad essere me stessa, a dire sempre ciò che penso, a mettermi in gioco ogni volta che mi sembra di cadere e che la situazione non vorrebbe, perchè mi donate in ogni istante un sorriso ed una parola di conforto.
Avete per la mia vita un significato speciale;
quando a causa dei vostri impegni giornalieri e familiari non potete essermi vicini, cercate di farlo in qualunque modo dimostrandomi la vostra amicizia attraverso mail e telefonate che mi rivelano un grande affetto.
Grazie poichè guidandomi, siete sempre in grado di trasformare qualsiasi mio momento in un momento unico dato che credendo in me, riuscite a diffondermi coraggio,
 a rendermi la serenità di cui ho quotidianamente bisogno, a trasmettermi con la vostra forza interiore una tale completezza che mi fa sentire ogni giorno più forte.
Grazie cari angeli comparsi nel mio cammino, grazie per aver voluto immediatamente far parte della mia vita,
 grazie per la fortuna che ho avuto conoscendovi, poichè non tutti hanno l’eccezionale occasione di incontrare persone come voi.
Spero di non deludervi mai e, soprattutto, spero di poter un giorno essere in grado di insegnare ad altri, tutto ciò che da voi e che attraverso la vostra saggezza mi avete trasmesso e mi trasmettete continuamente, che dalla vostra esperienza di vita ho appreso e che quotidianamente apprendo.
Oggi voglio dirvi grazie amici miei, un umile ma sincero grazie, poichè mi avete regalato tanto facendomi in ogni istante sentire importante.
PATRIZIA ONORI

La rabbia di un non vedente: “Sono autonomo, non giudicatemi finto cieco” (da ForlìToday del 16 novembre 2013)

Autore: Redazionale

 Sempre più spesso i non vedenti sono vittime del pregiudizio di chi, di
 fronte ad un problema reale, quello dei falsi ciechi, guarda con sospetto
 anche chi cieco lo è davvero, ma nonostante tutto riesce ad avere una
 buona qualità della vita.

 “Ormai sono finiti i tempi in cui i portatori di handicap visivo (e i
 disabili in generale) se ne stavano chiusi in casa seduti sul divano
 accuditi in tutto e per tutto dalle loro famiglie. Ora siamo cittadini del
 mondo, lavoriamo, studiamo, viaggiamo, ci divertiamo e ci impegniamo a
 livello sociale con dignità”: è una presa d’atto con rabbia quella che
 viene da Marco Lijoi, centralinista della Provincia di Forlì-Cesena, non
 vedente quasi totalmente da un occhio e non vedente per niente dall’altro.
 “Di fatto di un oggetto vedo solo un ombra, un contorno sfumato“, spiega.

 Sempre più spesso i non vedenti sono vittime del pregiudizio di chi, di
 fronte ad un problema reale, quello dei falsi ciechi e dei relativi
 benefici fatti di pensioni e assegni di invalidità, guarda con sospetto
 anche chi cieco lo è davvero, ma nonostante tutto riesce ad avere una
 buona qualità della vita. Come dire, vittime dei falsi ciechi non sono
 solo le casse pubbliche e quindi tutta la collettività, ma anche i veri
 ciechi, quasi costretti a dover giustificare di fronte ad ogni sconosciuto
 il fatto che tutto sommato possono vivere felici pur nell’handicap.

 Come trova Forlì di fronte a questo nuovo e singolare pregiudizio?
 Spiega Lijoi che vive e lavora a Forlì: “Ormai spesso anche in questa
 città se ti vedono con un cane guida, però sei capace di bere un caffè da
 solo finisci nel mirino di chi è pronto sommariamente e senza appello a
 definirti ‘falso cieco’. Gli altri cittadini non hanno idea, e non sanno
 cosa possa significare oggi vivere con una disabilità come la mia. Grazie
 a Dio posso dire che, oggi, anche se con un problema molto importante,
 come non avere la vista, mi sono integrato in un mondo che ora è anche
 nostro: mandiamo sms, utilizziamo i mezzi pubblici, facciamo sport”.

 Vuole rivolgere un appello?
“Non si può pretendere che nel 2013 gli ipovedenti, o i ciechi, debbano
 rimanere chiusi in casa per paura di avere una vita sociale troppo aperta.
 E’ giusto perseguire i finti invalidi, ma senza discriminare quelli che
 invece lottano ogni giorno per dimostrare a sé stessi di essere disabili
 “normali”.

 Lei è giovane, anche lei pazzo per Facebook e smartphone?
 “Frequentemente la cronaca racconta di persone scoperte a compiere azioni
 ritenute impossibili per chi ha una disabilità visiva: mandare messaggi
 con il cellulare o lo smartphone, avere un profilo Facebook. In questi
 ultimi anni, fortunatamente la tecnologia ci è venuta in soccorso. Ormai
 su tutti i dispositivi mobili e fissi è possibile installare programmi
 vocali o ingrandenti che ci permettono di accedere al web, alla posta
 elettronica, agli sms e ai vari social network. Quindi non c’è da stupirsi
 se anche un disabile visivo gestisce autonomamente il suo profilo Facebook
 o Twitter.

 Lei si era rivolto a ForlìToday, all’interno della rubrica ‘La città che
 non va’ per protestare contro la mancata dotazione di strumentazione per
 gli invalidi sugli autobus. Come si trova sui mezzi pubblici?
 “Riesco a prendere, pur nelle difficoltà dovute alla mancanza delle
 apparecchiature previste per legge, ad attraversare la strada prestando
 attenzione alle auto e raggiungere la fermata. C’è chi si stupisce del
 fatto che individuiamo la nostra fermata di discesa, come se fossimo
 extraterrestri, ma siamo comuni mortali che semplicemente stanno più
 attenti di chi può basarsi sulla vista. E, se abbiamo delle incertezze
 rispetto ad un percorso che non conosciamo bene, chiediamo informazioni
 all’autista o ai passeggeri”.

 Insomma, è possibile avere una vita piuttosto autonoma…
 “Spesso, se siamo ipovedenti, per orgoglio o per vergogna tendiamo a
 mascherare i nostri limiti, quindi la gente non si accorge che abbiamo
 bisogno di una mano. Anzi, se viene a sapere che godiamo di indennità e
 pensioni si indigna e ci accusa di essere falsi invalidi solo per il fatto
 che vede abbastanza autonomi. Per fare un esempio, chi di noi ha un visus
 abbastanza buono, non è il mio caso, riesce a leggere il giornale,
 nonostante nel suo campo visivo rientrino solo un paio di parole alla
 volta. E’ una situazione per niente piacevole. Non possedere una visuale
 totale di ciò che ci circonda ci porta in molti casi ad avere incontri
 ravvicinati con pali, cartelloni pubblicitari, bidoni dell’immondizia”.
 Se uno ha un legittimo dubbio di ‘falso invalido’, però, potrà in qualche
 modo verificare senza correre il rischio di essere discriminatorio?
 “Certamente, sul territorio italiano, quasi in ogni città, esiste una
 sezione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti alla quale ci
 si può rivolgere per avere maggiori informazioni”.

“Non volevo vedere”

Autore: Redazionale

Dal 6 novembre, è disponibile: “Non volevo vedere” di Avalon (Fernanda Flamigni) e Tiziano Storai.

Prefazione di Susanna Camusso e presentazione di Lella Costa.

Da una storia vera, un romanzo che non giudica ma che fa riflettere. 

Un rapporto distorto fra un uomo e una donna e il dramma che ne è scaturito.

Disponibile nelle librerie, nei book stores on line, sul sito dell’editore www.ediesseonline.it . Info anche su Facebook.

Giorno 200 – Iran, di Alessandro Bordini

Sono in treno, ho lasciato Ankara lo scorso mercoledì mattina e dovrei raggiungere Teheran stanotte, verso le 2, dopo quindi poco più di 60 ore di viaggio.
Oggi è venerdì 18 ottobre 2013 e scade il 200esimo giorno dalla mia partenza.
Considerando l’Italia, l’Iran è il 36esimo paese visitato, il secondo asiatico, dopo la Turchia.
Ad oggi ho completato un solo continente, quello che ha forse rappresentato il vero inizio del mio viaggio ed anche un ottimo banco di prova per il mio progetto: l’Africa.
Sto coprendo l’Europa a tratti e posso assolutamente affermare che muoversi attraverso il nostro continente, considerando la questione dei visti, della cultura, della lingua e degli ambienti, è relativamente semplice; ovviamente spirito di adattamento e voglia di avventura sono prerogative importanti.
Non ho la minima idea di come sarà attraversare l’Asia e, come fatto fino ad ora voglio affrontare ogni singolo giorno senza aspettative, in maniera da poter vivere tutte le esperienze come totali scoperte e senza essere influenzato da preconcetti che ne muterebbero il valore; l’unica certezza che mi accompagna è che vivrò un’esperienza fantastica, non posso che essere grato per questo.
La teoria formulata prima della mia partenza e che rappresenta il cuore del mio progetto si è rivelata esatta: le persone, se trattate come tali, sanno veramente dimostrare un’umanità sorprendente, parlando all’anima della gente si può risvegliare quella coscienza, talvolta assopita, che ci rivela tutti fratelli e figli della stessa madre, la terra.
Consci di ciò spetta a noi il primo passo verso gli altri, siamo noi a dover rispondere con un sorriso al primo che si incontra,anche se devo ammettere che, forse perché animato da ottimismo e positività, sono stato spesso battuto sul tempo da un’infinità di persone meravigliose che mi hanno rivolto fin da subito una calorosa disponibilità e, quando ho invece incontrato un’apparente diffidenza o semplice indifferenza, sono bastate poche semplici parole, sincere e dirette al cuore, per ottenere risposte eccezionali.
Sono stato protagonista e spettatore di un particolare fenomeno: quando mettevo al corrente le persone che incontravo e che mi stavano aiutando, riguardo al mio viaggio, secondo i loro occhi smettevo di essere un semplice disabile bisognoso di aiuto, lo stupore e la meraviglia, assieme ad una profonda gratitudine, erano tangibili e passavo dall’essere deficitario di qualcosa a dispensatore di energia; ogni volta ho provato una profonda gioia ed ho ricevuto la carica necessaria per andare avanti con maggiore determinazione ed entusiasmo.
La vita è nostra, signore e signori, e il mondo un bel giardino da passeggiare,
E la nota più positiva è che siamo sempre in tempo per convincercene.

FAND – rapporti con la periferia – Il mio pensiero espresso a voce alta, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

La circolare da cui nasce questa mia riflessione ad alta voce, 325 è un ottimo concentrato di cosa non dovrebbe essere una federazione o una associazione.
Provo a rispondere tra le righe della stessa.
Il nostro presidente nazionale scrive:
“durante l’ultima riunione del Comitato Esecutivo della FAND, svoltosi lo scorso 1ø ottobre, è emersa l’esigenza di un maggior coinvolgimento delle sedi periferiche della Federazione.”
Io dico, e come me anche le altre associazioni senesi, che la periferia dovrebbe essere coinvolta anche nella fase decisoria e non solo nella fase esecutiva per divulgare decisioni, non sempre condivise, prese in modo verticistico e oscuro.
La periferia dovrebbe essere maggiormente coinvolta anche nella scelta del vertice regionale e nazionale dando alla federazione, se davvero ci si crede, regole più democratiche.
La lettera del presidente Pagano poi, ci invita a far conoscere quanto facciamo noi in periferia. Io vorrei comprendere un meccanismo: come facciamo a lavorare senza risorse!
In particolare vorrei evidenziare la frase:
“quello di far conoscere le decisioni nazionali in periferia e quello di portare all’attenzione del Comitato Esecutivo nazionale le istanze, azioni da intraprendere, i rapporti  con le istituzioni locali, e tutto ciò che, in sede provinciale e regionale è ritenuto di primario interesse.”
Ribadisco che per attivare un circuito informativo virtuoso, la fase decisionale deve essere il più condivisa possibile.
Poi noi abbiamo saputo che nell’ultima conferenza dei presidenti regionali dell’Anmic, il vertice romano ha informato la base di un tentativo, ormai avanzato, di uscire dalla FAND e formare una federazione intorno a loro.
A Siena abbiamo parlato più volte di questa questione e io, che sono il presidente uscente, non riesco a trovare un collega disposto a farsi carico della FAND proprio per i motivi sopra riportati.
Inoltre, le associazioni senesi, lamentano uno scarso rapporto con la sede regionale.
Tutte le associazioni della FAND, nel nostro territorio, operano nella consulta provinciale dell’handicap e nel complesso delle associazioni del terzo settore e risulta difficile ma a volte anche inutile aggiungere un’altra sigla.
Per ritornare alla nostra relazione con il regionale, non ci pervengono comunicazioni, non siamo coinvolti nei loro progetti e non riceviamo aiuti di alcun genere; come si pretende di sviluppare attività comunicativa in queste condizioni?
In Toscana, FAND e FISH hanno rapporti con la regione ma mentre la FISH Comunica quasi in tempo reale quanto accade nei tavoli regionali, noi della FAND, non sappiamo nulla e io, so qualcosa quando Moreno Rafanelli, informa il nostro consiglio regionale.
In questi giorni, per esempio, ho saputo dalla FISH DI una riunione regionale convocata dalla regione Toscana per illustrare i benefici di una legge per le famiglie e per le famiglie con disabili a carico.
Nella riunione hanno spiegato come si sviluppa la fase concessoria dei contributi e hanno dato altre spiegazioni.
A noi della FAND non è arrivata alcuna comunicazione.
Ho scoperto poi, che la regione aveva convocato la nostra rappresentanza regionale ma che alla riunione non c’era nessuno.
Mi chiedo:
non poteva andare il presidente, ma neppure uno dei vice? Neppure uno di noi?
Se vogliamo vivere e avere un ruolo, abbiamo l’obbligo di essere presenti ma in modo concreto e soprattutto in modo continuativo e non episodico o per portare avanti le esigenze dell’associazione che di volta in volta presiede la FAND.
Concludo questa mia riflessione ribadendo la mia convinzione che il luogo dove riunire i disabili è il forum nazionale e che si debba cercare di superare gli steccati di FAND e FISH. Informerò comunque il presidente nazionale FAND e il nostro presidente dello stato dell’arte in provincia di Siena e poi loro prenderanno le loro determinazioni.

Massimo Vita

Meno male che l’Europa c’è, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

Negli anni ’80 eravamo stati i pionieri dell’inserimento lavorativo dei disabili  nei contesti “normali”, nel 1992 la legge 104 sanciva in modo inequivocabile (almeno così avevamo pensato) il diritto al lavoro dei disabili e nel 1999 la legge 68 ne fissava  modalità e procedure.
Sarà la crisi, ma pare trascorso un secolo da allora: nel nostro paese a dare lavoro ai disabili  da alcuni anni non sembra più pensarci nessuno, le leggi restano lì semplici testimoni di un periodo felice, mentre attraverso provvedimenti “trasversali” l’obbligo di assunzione viene “bypassato” e nessuno sembra più preoccuparsi del problema.
Chi  si batte quotidianamente per trovare nuove possibilità occupazionali per i disabili visivi e per questo è attento a ciò che succede in parlamento, si sarà stupito, come me, di trovare in questi tempi di totale disinteresse a questo problema da parte della politica, nell’art. 9 del decreto lavoro (n. 76/2013) in corso di conversione  due misure a favore dell’occupazione dei disabili.
Con la prima, al comma 4-bis, si incrementa per due anni, rispettivamente di 10 mln  e di 20 mln di euro, la dotazione del fondo per il diritto al lavoro dei disabili, che sarà così elevato a 52 mln per il 2013 e a 62  mln  di euro  nel 2014.  Particolarmente importante mi è sembrata però  la disposizione, contenuta nel comma 4-ter,     che obbliga I datori di lavoro, pubblici e privati,  a procedere ad  “accomodamenti ragionevoli” nei luoghi di lavoro per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. La non osservanza del nuovo obbligo comporterà l’imposizione   ad agire da parte del giudice a cui potranno rivolgersi,  non solo il lavoratore con disabilità, ma anche i sindacati.
Questa rinnovata attenzione al lavoro delle persone con disabilità non è però dovuta ad una ritrovata sensibilità dei nostri politici al problema, ma molto più prosaicamente questi provvedimenti si sono resi obbligatori per risolvere la procedura di contenzioso attivata lo scorso 4 luglio dalla Corte Ue, con la quale la Corte condannava l’Italia per non aver recepito correttamente e completamente la direttiva n. 2000/78/Ce.
Di fronte ad un paese che sembra aver dimenticato che non i giudici, ma la politica deve occuparsi dei bisogni e della salvaguardia dei diritti dei cittadini,  mi consola pensare: “Meno male che l’Europa c’è”.

       Luciano Paschetta
      Direttore centrale I.RI.FO.R.

Accessibilità digitale : una battaglia di civiltà, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

Il nostro paese, come è noto , è all’avanguardia  in Europa e nel mondo relativamente al processo di inclusione  delle persone con disabilità. Il   diritto di inclusione  è ormai un principio acquisito  da tutti :  nessuna organizzazione politica o sindacale  del nostro paese, da diversi anni,   non lo  ha più   messo in discussione. Tutto bene quindi: l’integrazione dei disabili  e l’attenzione ai loro problemi è   ormai un dato di fatto! Purtroppo non è così, anche  se, sul piano del diritto, la normativa garantisce  l’inclusione e questa sembra essere entrata a far parte dei diritti condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini, abbiamo piuttosto l’impressione che non si tratti di aver maturato, a livello di massa, una “cultura dell’integrazione”, ma piuttosto di essere di fronte ad un paese, non ostile, ma sempre più indifferente al problema. Di questo atteggiamento troviamo evidenza nella “disattenzione” con la quale in molte  scuole e P.A.  viene affrontato il processo di “dematerializzazione”, nonostante sin dal 2004 la legge 4 (legge Stanca, abbia fissato gli standard di accessibilità dei prodotti informatici e siano state pubblicate le relative linee guida.
In estrema sintesi, l’accessibilità” oggi dipende da due ordini di problemi: . Una prima “inaccessibilità” riguarda l’impossibilità di leggere un documento o un data base o una pagina su internet, dovuta al “formato” in cui  è stato redatto il documento o il data base, ossia al programma che si è utilizzato per scriverlo. Oggi si tende a servirsi di programmi “grafici” anche per elaborare testi, ma poiché gli screen reader ed i display braille possono leggere solo “formati testo”, questi documenti restano “invisibili” e ciò, non per motivi  o per necessità particolari, ma, mancando una “cultura dell’accessibilità” diffusa, unicamente per ignoranza del problema. Un tipico esempio è dato dai documenti redatti in pdf: spesso questi vengono salvati nel formato pdf-immagine , risultando così del tutto inaccessibili, mentre  il programma prevede anche il salvataggio in formato pdf-testo accessibile, del tutto sicuro e immodificabile dal destinatario allo stesso modo di quello immagine (è appena il caso di ricordare che in formato inaccessibile sono pubblicati la maggior parte dei testi scolastici digitali).
Vi è poi una seconda tipologia di problemi nell’utilizzo di un CD o di un DVD (impedendone l’accesso ai documenti che vi sono contenuti) o di un programma di gestione o di poter navigare in internet a chi non vede rendendogli di fatto impossibile l’uso del PC.
Come sappiamo un CD o un programma gestionale si utilizzano attraverso i comandi che l’operatore invia al PC; inizialmente questi comandi venivano dati da tastiera  senza creare problemi ai  disabili  visivi. Ora con l’evoluzione dei prodotti informatici  questi sono raffigurati sullo schermo con icone che  ne rendano intuitivo l’utilizzo  e sono attivabili “cliccando” su un link o un pulsante, con il mouse o, oggi più semplicemente, toccandoli direttamente sullo schermo. I link e i pulsanti, però, se non “etichettati” restano invisibili alle tecnologie assistive (screen reader o display braille), necessarie ai ciechi ed agli ipovedenti gravi, impedendo loro di operare: navigare in internet, accedere ad un programma, ad un sito o aprire un CD/DVD o un documento. A questo punto si potrebbe obiettare: “Non si può certo pensare di fermare l’evoluzione dei prodotti digitali per consentirne l’accesso ad alcune decine di migliaia di disabili visivi”. Al di là dello scarso senso di civiltà che avrebbe una simile affermazione e del fatto che nella società  globalizzata, i fenomeni vanno anch’essi affrontati a livello globale, (ed allora il numero dei disabili visivi gravi interessati al problema diventerà di circa 40 milioni),  una simile affermazione dimostra unicamente la mancanza di conoscenze ed una scarsa “cultura dell’inclusione”. Non si tratta infatti di “fermare” l’evoluzione dei sistemi informatici, ma unicamente nel progettare un prodotto digitale (un sito, un programma gestionale o un sistema operativo), o nel redigere un documento di tener presente che esso deve poter essere utilizzato da tutti, anche da chi ha problemi visivi. Questa attenzione non fa lievitare i costi, né rende meno belle e attraenti  le “home page”, né rende meno intuitivo l’utilizzo del prodotto, non si tratta infatti di progettare “per i ciechi”, ma per “tutti”. Un piccolo esempio: se al pulsante con il simbolo della “manina”, si affianca la scritta “apri” o a quello con l’icona del “lucchetto”,. la parola “chiudi”, il gioco è fatto. 
Viceversa se il prodotto è progettato senza tener conto delle regole di accessibilità, occorrerà poi spendere soldi  e a volte non pochi) per permetterne la fruizione ai disabili visivi. Questo è quello che succede tutti i giorni nelle nostre scuole, nei servizi e nella pubblica amministrazione: i libri di testo, oggi (anche quelli stampati su carta) sono redatti su file, questo però quasi mai è accessibile, e quindi perché il disabile visivo possa servirsene, occorrerà  prima di tutto,  o scansionarlo dal cartaceo con un OCR, o trasformare il file immagine in formato testo, con due conseguenze negative: nuovi costi e un ritardo nella disponibilità del libro. Tutte le Banche hanno ormai l’home banking, ma poche sono quelle che lo hanno progettato secondo i canoni dell’accessibilità e ancor meno sono gli sportelli bancomat accessibili. Regioni, province e comuni hanno siti sovente non o scarsamente accessibili e i documenti (delibere, regolamenti, direttive, bandi e ordinanze) spesso sono in formato immagine, stessa cosa si verifica sui siti di molti ministeri dove leggi e documenti sono in pdf inaccessibile.
Questa generale “sine cura” verso il problema si verificava mentre nel marzo 2009 il Parlamento italiano ratificava la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità approvata a New York il 13 dicembre 2006 (successivamente fatta propria anche dall’UE nel dicembre 2010), che individuava, nell’articolo 9 nel principio dell’accessibilità digitale uno degli elementi principali per garantire pari opportunità, e mentre il nostro Governo, dimostrando particolare attenzione al problema, nel DECRETO 169 (“Decreto crescita 2.0 “convertito in legge il 12.12. 2013) ribadiva all’articolo 9 l’obbligo di applicazione della normativa sull’accessibilità ne puntualizzava alcuni ulteriori aspetti. Inoltre, con la recente Circolare 61/2013, l’Agenzia per l’Italia Digitale, sulla base delle modifiche previste nel succitato D.L. 179,  dettava ulteriori indicazioni operative in tema di accessibilità, ribadendo in maniera puntuale l’importanza dei principi enunciati dalla legge Stanca e definendo le sanzioni per chi non vi ottempera.
La conoscenza delle tematiche sull’accessibilità informatica, per il ruolo che rivestono le nuove tecnologie nel nostro vivere e lavorare quotidiano,  è un aspetto importante di quella che chiamiamo “cultura dell’inclusione”, che dovrebbe avere nella scuola lo strumento naturale di diffusione e nella pubblica amministrazione un esempio di attenzione. Viceversa nelle  PA permane questa colpevole “non conoscenza” che si evidenzia nella verificata inaccessibilità dei siti di molte scuole  Enti locali. Ciò trova conferma anche nella non curanza dimostrata da troppi pubblici dirigenti che, nell’acquistare  i programmi  per   la gestione  dei registri scolastici  e controllo delle assenze  o quelli per i servizi di certificazione o di quelli gestionali, non si sono preoccupati di verificare se  questi fossero conformi alle prescrizioni che derivano dalla normativa  e dalle linee guida sull’accessibilità informatica e  fossero  accessibili a tutti, non solo trasgredendo alla norma, ma innalzando, in tal modo,  nuove barriere  e ostacoli all’inclusione dei disabili visivi nella società.
Questo è un ulteriore esempio  di come per concretizzare l’inclusione sociale e scolastica non siano sufficienti le norme: anche l’accessibilità digitale  passa attraverso l’impegno attivo di ciascuno a prenderne  consapevolezza ed a collaborare nello sviluppare una cultura basata sul rispetto  e l’attenzione all’altro,  alle diversità e sulla conoscenza dei suoi bisogni. Su questi principi,  che oltre ad essere indicatori di “civiltà”,  e che, lungi dall’essere “moralistici” sono quelli su cui si basano le moderne ricerche di mercato, devono  fondarsi lo sviluppo  e la diffusione della “cultura dell’inclusione”, di cui quella sull’accessibilità è oggi un aspetto essenziale, capace di offrire a ciascuno pari opportunità. Un bell’esempio positivo in  questa “battaglia di civiltà” ci viene dall’attenzione  al tema dimostrata dalla Apple, che prima nel creare il suo i-phone e il suo i-pad  e subito dopo adeguando i suoi PC, produce oggi strumenti completamente accessibili a tutti  rendendoli immediatamente  utilizzabili  anche  da coloro  che abbiano una grave disabilità visiva. Il successo di mercato avuto da questi  prodotti   sta costringendo gli altri costruttori ad adeguarsi il più velocemente possibile al nuovo standard,  dotando anche i loro apparecchi di  sistemi operativi  direttamente accessibili,  superando, per poterli usare, la necessità, finora imposta a coloro che avevano difficoltà visive, di dover acquistare degli specifici software aggiuntivi per poter accedere alle nuove teconologie, dando il via ad “una nuova stagione” dell’accessibilità digitale.
Questa  battaglia di civiltà vede l’U.I.C.I. impegnata quotidianamente nella diffusione dei principi dell’accessibilità e nel fornire consulenza a chiunque ne necessiti per rendere fruibili ai disabili visivi tutti i prodotti informatici.

       Luciano Paschetta