“Serata in compagnia di un buon Maestro”, di Patrizia Onori

Autore: Patrizia Onori

Avere la gioia e la fortuna di leggere un libro è meraviglioso, ci arricchisce interiormente ed è particolarmente costruttivo.
Questo mio pensiero infatti, scaturisce proprio dalla lettura di un libro che mi ha particolarmente coinvolto.
Grazie alla registrazione audio prodotta dal Centro Nazionale del libro Parlato UICI “Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti”, ho potuto scaricare e leggere l’audiolibro intitolato “Il Maestro Dentro”, libro scritto dal Maestro Mario Tagliani.
Mario è un Maestro che da oltre trent’anni, insegna nel carcere minorile “Ferrante Aporti” collocato presso la città di Torino.
Andando avanti nella lettura, sono rimasta profondamente colpita, letteralmente entusiasta, assolutamente folgorata da quelle sue dettagliate descrizioni e dalle sue approfondite e non comuni attenzioni nel raccontare le storie dei minori detenuti del “Ferrante Aporti” ed in seguito del carcere per adulte e allo stesso modo, nel riuscire a non giudicare le persone ma nel valutare esclusivamente la loro dignità di esseri umani, riuscendo così a dare luogo ad un libro veramente straordinario e soprattutto vero.
Ho potuto inoltre verificare attraverso il libro la sensibilità del Maestro Tagliani, dato che tra le tante storie dei ragazzi ospiti del “Ferrante Aporti”, racconta di aver contribuito a dare luogo ad una partita di basket tra disabili in carrozzina e ragazzi del carcere minorile in modo da mettere a confronto due realtà assolutamente diverse ma uniche ed unite tra loro.
Amo le storie vere, così mi sono abbastanza ritrovata leggendo i racconti di quei ragazzi ed in seguito delle detenute presso il carcere per adulte, dato che a causa della mia cecità dalla nascita, per motivi di studio, ho vissuto per 12 anni in un istituto fino al conseguimento del diploma magistrale.
Certamente il collegio non può essere paragonato ad un carcere, però, leggendo il libro, ho sentito una specie di collegamento tra me e quelle persone.
Mentre ascoltavo con particolare attenzione la lettura professionale del lettore, pensavo che avrei potuto scrivere al Maestro Tagliani per esprimergli le mie opinioni in proposito, per fargli i miei complimenti, e perchè no, per condividere il tutto telefonicamente insieme ai miei amici attraverso una sala telefonica che da anni coordino con vera passione ed impegno.
Detto fatto!
Mi metto alla ricerca di un indirizzo mail del Maestro Tagliani che non trovo, così decido di scrivere direttamente all’indirizzo mail dell’istituto “Ferrante Aporti” ed ecco improvvisamente giungere lo squillo del cellulare durante una normale serata, è il Maestro Mario Tagliani!
Non credo alle mie orecchie, entrambi siamo emozionatissimi ed il Maestro accetta immediatamente l’invito a trascorrere una serata telefonica insieme a me e al mio gruppo di amici.
Mario Tagliani che prima d’ora non aveva mai avuto esperienze con persone non vedenti, è stato entusiasta di poter conoscere il nostro mondo dalla maggior parte della società sconosciuto ed ignorato.
Alla fine della nostra conversazione stabiliamo il giorno dell’incontro telefonico che avverrà regolarmente giovedì 16 giugno 2016 dalle 21 alle 23 circa.
A questo punto, vorrei chiarire a chi legge che esistono in Italia alcune sale telefoniche che vengono utilizzate comunemente per relazioni di affari o conferenze e che noi ciechi ed in particolare io ed un gruppo di amici, utilizziamo per incontrarci essendo per noi difficoltoso farlo di persona, scambiarci quattro chiacchiere e far intervenire delle persone con particolari tematiche da esporci e condividere.
Con noi al telefono nella nostra sala Mario Tagliani si è rivelato essere una persona straordinaria, assolutamente aperta a rispondere alle domande dei componenti del gruppo, molto entusiasta del proprio lavoro che svolge da oltre trent’anni, durante la serata inoltre sono stati letti dal Maestro stralci del libro che abbiamo precedentemente scelto insieme e dato che praticamente conosco bene il libro, attraverso la scrittura braille, ho voluto onorare il Maestro della lettura della Prefazione e della Recensione del libro scritte entrambe da Fabio Geda e questo ha ulteriormente emozionato Mario Tagliani.
Un altro particolare momento, l’abbiamo vissuto quando il Maestro ha voluto che raccontassi personalmente in presenza dei miei amici una delle storie contenute nel libro e mi ha fatto molto piacere, in quanto non era previsto e mi ha emozionato poichè il Maestro Mario mi ha resa partecipe di qualcosa di assolutamente suo, grazie.
Ringrazio il Maestro Mario per aver voluto essere telefonicamente con noi e per la professionalità con cui ha trattato determinati argomenti, ringrazio tutti i miei amici che in questo progetto hanno voluto sostenermi contribuendo a dare luogo ad una serata assolutamente singolare.
Vivo intensamente ogni giorno della mia vita e trovo anche forza e coraggio durante i momenti più difficili, dato che credo che la bellezza la si debba cercare soprattutto nelle situazioni che ci sembrano prive di sogni.
Ho vissuto una serata speciale incontrando telefonicamente una persona speciale e degli amici speciali, quindi ho sentito con il cuore di condividere un importante momento attraverso questo mio pensiero.
Patrizia Onori
“Commento del Maestro Mario Tagliani”.

“Un incontro inatteso”…

L’incontro con Patrizia è stato per me inatteso ed intenso. Sin dall’inizio, il suo linguaggio carico di energia ed entusiasmo mi ha coinvolto, suscitando grande simpatia. Nei nostri contatti, rileggendoli, ritornavano espressioni pregne di vitalità come “forza”, “coraggio”, “impegno” e “condivisione”; un biglietto da visita per presentare una persona che vive la propria esistenza in modo esemplare, senza cedere allo scoraggiamento dell’opaco sopravvivere.
Verrebbe scontato pensare che forse ne avrebbe motivo, insieme ai suoi amici che condividono questa privazione, la cecità, ma nulla ho sentito di più lontano da lei (e da loro) che sentirsi spenti o impotenti di fronte alla vita. E’ stato un incontro davvero fecondo, mi piace definirlo così.
Abbiamo incominciato a parlarci del libro, di me, di lei e proprio attraverso questo scambio sono riuscito ad intravvedere alcuni elementi che ci accomunavano, rendevano vicine due esperienze apparentemente lontane e distanti: l’esercizio della mia professione di maestro, quotidianamente a contatto con il dis-agio e la sua esistenza provata dalla dis-abilità.
Ci univa un DIS. L’agio ed il disagio; l’abilità e la disabilità.
E così pensai immediatamente al muro del Ferrante, “l’alto e lungo muro di cinta, alto e grigio, alto e sormontato da una rete metallica” che vorrebbe nascondere al mondo quella triste ma troppo vera realtà dei minori che lo abitano; una realtà scomoda e pesante perché ci interroga sulle nostre responsabilità sociali e civili. E’ un mondo sconosciuto ai più. Esattamente come quello della disabilità visiva che Patrizia mi ha fatto incontrare: un mondo sconosciuto e ignorato dalla maggior parte della società. Ora ci trovavamo vicini, impegnati entrambi ad abbattere quei muri, che privano la realtà della sua autentica essenza: la verità.
A questo punto Patrizia mi propone di condividere, con altri amici non vedenti, il nostro confronto sul libro e sulle tante tematiche che lei sa intercettare con grande sensibilità, decifrandole in profondità. Così accetto l’incontro in audio conferenza e sento per la prima volta parlare di “Sala telefonica”. Qui colgo il secondo contatto, la tecnologia. Attraversano la mia memoria i tempi dei Commodore 64: era stata una vera rivoluzione, tecnologica e didattica. “Le ore diventavano più leggere e stimolanti per i ragazzi, ci si dimenticava che la scuola era stata, in un altro periodo, un luogo di sofferenza e di punizione. Molti di loro scoprivano di avere doti impensate…”. La tecnologia veniva ad alleviare una incapacità ma soprattutto la sofferenza che ne derivava. E la sala telefonica mi pareva assolvere la stessa funzione di allegerire ciò che invece rappresenta oggettivamente un ostacolo spesso insormontabile: muoversi in autonomia e agevolmente.
Ancora una volta ci trovavamo sorprendentemente vicini.
L’incontro mi coinvolge lasciandomi entusiasta per tanti motivi. Intervengono tanti amici, carichi di energia e di voglia di vivere, come Patrizia. Incredibile!! Poi, scosso da tanta emozione, ritorno in me e mi vedo, insieme a lei, a condividere e a diffondere quotidianamente lo stesso forte messaggio (che quasi mi aveva spaventato per l’intensità). “La bellezza si nasconde soprattutto nelle situazioni che ci sembrano prive di sogni”.
Il disagio come la disabilità divengono allora una opportunità di impegno, di ricerca di senso e di bellezza, un esercizio di purificazione dello sguardo sul mondo, capace di vedere ciò che è invisibile agli occhi.
Grazie, Patrizia!
Mario Tagliani

Ei fu, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

Non era il 5 maggio, era il 5 giugno 2016 quando la Presidenza Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ha comunicato che Filippo Dragotto non era più.
Si era nel 1988 quando la fantasia di Tommaso Daniele, aveva ipotizzato che una qualche manifestazione insolita, inusuale, poteva servire ad attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle realtà e le attività dei non vedenti, così è nato il primo raid ciclistico in tandem, una sorta di carovana viaggiante che in tandem regione per regione intendeva portare sulle strade, fra l’altro, il binomio cieco accompagnatore.
Io ho partecipato al primo raid – sponsorizzato Bottecchia ma in verità mi ero pagato tutto da solo, che ha percorso le strade dell’Emilia da Forlì a Pescara.
Patron e Mister era Filippo Dragotto,  un “signore” già maturo, che sporgendosi dalla Ammiraglia, dava ordini e organizzazione a tutta la carovana attraverso un megafono che non poteva non sentirsi: la sua voce era forte, potente e chiara, anche i più riottosi dovevano obbedirgli, così ogni situazione, anche la più imprevedibile si è sempre risolta al meglio.
Grazie Mister, non dimenticherò, non dimenticheremo mai la tua voce tonante, il tuo piglio, la tua autorità, che si imponevano attraverso un gran buonsenso e molta umanità, con i tuoi sermoni, le tue rampogne.
Quei raid hanno potuto essere soprattutto perché tu ne sei stato “la voce”; per diversi anni poi mi hai telefonato ricordandomi in particolari ricorrenze.
Non appena ho appreso che Filippo Dragotto non era più fra noi, ho telefonato ad Aldo Fracas che di tandem se ne intende e che ha partecipato a diversi edizioni, per ricordare l’Uomo, aneddoti e storie che non possono disperdersi nell’oblio delle umane cose: le quotidiane conferenze stampa, i musici, il menestrello che giorno per giorno ci intratteneva con quartine che sapevano anche di antiche tradizioni, le cene innaffiate con vini imperdibili. Quando più avanti i “girini” sono stati ricevuti dal Papa, la gerarchia dell’Unione ha imposto che in Piazza San Pietro dovesse sfilare per primo l’atleta che portava la maglia numero 1.
L’ammiraglia, quel pomeriggio aveva spento i motori, in Piazza San Pietro non poteva entrare.
I rapporti fra Filippo Dragotto e Aldo Fracas non hanno mai avuto soluzione di continuità: il 26 maggio, sempre, anche quest’anno, perché era il giorno in cui Dragotto festeggiava San Filippo Neri.

Toccare l’arte per apprendere e comunicare, di Angelina Pimpinella

Autore: Angelina Pimpinella

“Toccare l’arte per apprendere e comunicare” è questo il tema del convegno a cui ho partecipato come relatrice, convegno tenutosi il 24 Maggio 2016 a Roma presso l’Aula Volpi dell’ Università Roma Tre (Dipartimento Scienze della formazione), realizzato in collaborazione con il Museo Tattile Statale Omero di Ancona e la casa editrice Armando e promosso dall’insegnamento di Pedagogia Speciale (Prof.ssa Bruna Grasselli) e Educazione degli adulti (Prof.ssa Gabriella Aleandri). Si è iniziato con i saluti della Prof.ssa Lucia Cajola – Direttrice del Dipartimento di Scienze della Formazione, Università Roma TRE e della Prof.ssa Anna Maria Favorini – Delegata del Rettore per il disagio, Università Roma TRE. Erano presenti molti ed illustri relatori del mondo delle scienze dalla pedagogia e formazione, della didattica museale e dell’arte.
In generale, durante tutto il convegno, l’attenzione è stata rivolta alle tematiche relative all’arte e alla sua fruibilità e accessibilità in particolar modo per non vedenti.
Il mio intervento invece è stato più mirato a illustrare la mia esperienza come pedagogista nell’utilizzo dell’arte nel processo di apprendimento e comunicazione per persone sordocieche. Tramite il racconto della mia esperienza lavorativa ho voluto evidenziare che poter accedere all’arte da parte delle persone sordocieche è stata una possibilità non solo di conoscere l’opera stessa, ma di avvicinarsi alla storia, alla cultura in senso lato. Inoltre in alcuni percorsi progettuali da me coordinati, i laboratori sono stati per le persone sordocieche la possibilità di essere protagonisti di un processo creativo artistico, hanno potuto ad esempio realizzare opere d’arte istruiti dal maestro Felice Tagliaferri anch’egli intervenuto a questo convegno arricchendone i contenuti raccontando della sua esperienza come artista cieco. Numerosi sono stati poi gli interventi al convegno che si è infine concluso con la presentazione del volume “Per un’estetica della tattilità. Ma esistono davvero arti visive?” Roma, Armando Editore, da parte del Prof. Aldo Grassini, Presidente del Museo tattile statale Omero di Ancona.

Tour music camp: immersione nella magia della musica senza barriere, di Samantha De Rosa

Lo staff del festival internazionale della musica emergente (tmf), ha organizzato in aprile un camp presso la tenuta del maestro Mogol. La tenuta si trova ad Avigliano Umbro ed è completamente immersa nel verde! Qui ho vissuto una delle esperienze più significative nella mia vita canora e personale! Il corso comprendeva varie discipline tra cui: tecnica vocale, ensamble vocale, presenza scenica, interpretazione, registrazione di un brano alla presenza di un produttore, alcune masterclass: scrittura creativa, canto in lingua inglese e life coaching.
A tutti è stata data la possibilità di esibirsi nel teatro della tenuta con una canzone della durata massima di 2 minuti. Alle esibizioni era presente il direttore artistico del tmf produttore della casa discografica sony music.
I partecipanti al camp venivano divisi in gruppi e, come nei campus americani, al termine di ogni lezione venivano accompagnati dal personale alla lezione successiva. Ogni artista indossava un cartellino con il nome e il gruppo di appartenenza, così, terminato in check in, iniziava la ricerca dei propri membri del gruppo nello splendido parco della tenuta. Naturalmente poi, ogni docente voleva conoscere ognuno di noi. Nel mio gruppo si è subito creato un buon affiatamento tra noi allievi e i docenti. Il materiale didattico e il programma delle lezioni mi è stato fornito dallo staff prima della mia partenza da Udine, in modo che potessi fruirne con il display braille in mio possesso. Tutte le lezioni erano accessibili anche se venivano utilizzate slide, perché i docenti si prodigavano a descriverne il contenuto senza che nulla venisse chiesto!
Le lezioni erano ricche di spunti, ma ognuno doveva essere disposto a mettersi in gioco! La gioia, la voglia di sperimentare, la disponibilità dei docenti e dello staff sono stati indispensabili per dare un tocco magico all’esperienza trascorsa!
Ho avuto anche l’opportunità di incontrare il maestro Mogol. Anche lui ha tenuto una masterclass.
Non posso dire che sento nostalgia dei miei compagni di gruppo, perché, grazie alle nuove tecnologie, ci sentiamo ogni giorno e condividiamo un pezzo di strada assieme!
Grazie a tutto lo staff del tmf per questa piccola ma grande esperienza, ma soprattutto ai promotori di questa iniziativa: Nadia Stacchini e Gianluca Musso.
Samantha de Rosa

La serenità una conquista possibile, di Cesare Barca

Autore: Cesare Barca

Potrebbe sembrare un’affermazione sventata sorretta esclusivamente dalla speranza di realizzare circostanze e situazioni che rendano possibili la convivenza, l’inclusione e l’interazione sociale. In realtà sappiamo perfettamente che la serenità è un po’ come l’araba fenice: “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
Nella nostra attualità tanto disomogenea e destrutturante in cui i “valori” hanno perso ogni importanza, la serenità diviene ancora più indispensabile anche se è certamente difficile scovare una piccola ma profumata margheritina all’interno di una giuncaglia.
Si potrebbe forse dire che la serenità sia la sorella minore della felicità. Sicuramente è stata motivo di ricerca interiore e sociale da sempre. Anche nell’antichità si hanno esempi di momenti storici particolarmente difficili in cui si è tentato di ritrovare la serenità perduta.
Da che mondo è mondo l’uomo e la donna hanno sempre cercato di riscoprire anzitutto in sé stessi quell’atteggiamento tranquillo dell’animo che consente di poter vedere con chiarezza le situazioni che ci stanno di fronte per poterle analizzare con atteggiamenti mentali particolarmente aperti e liberi.
Lo studio della filosofia se ne è occupato abbondantemente: i filosofi cercavano la patheia che non significa apatìa ma il lavoro interiore che ognuno si affannava di compiere per gestire o soffocare le passioni.
Oggi siamo nella situazione opposta: si sostiene di dover aderire e vivere le passioni nella loro totalità sempre e comunque. Ma l’una e l’altra soluzione non sono assolutamente utili e non rappresentano correttamente una vera apertura verso quella che viviamo come realtà.
Si cerca spesso di non lasciarsi eccessivamente coinvolgere sia dalle situazioni pregresse che dalle circostanze attuali. Si spera, in tal modo, di poter conquistare davvero la propria serenità interiore, ma anche questo tentativo non regge e tantomeno risolve.
Sappiamo quanta confusione, sia a livello sociale in genere e ancor più a livello politico, caratterizzino il momento che stiamo vivendo.
Da sempre, a ben osservare, noi tutti ci muoviamo in senso pendolare oscillando tra ragione e spirito e considerando questi due nostri atteggiamenti come separati l’uno dall’altro.
Stiamo vivendo un periodo di “post ideologia collettiva”, un periodo di confusione per il venir meno di tanti principi ritenuti fondamentali per recuperare, almeno singolarmente, la propria serenità.
Dimentichiamo spesso che il primo dei nostri amici siamo noi ma anche il primo dei nostri nemici siamo sempre noi. Verrebbe voglia di bandire gli specchi perché si cerca sempre meno di evidenziare anche a se stessi le proprie situazioni personali.
E’ ben vero che vi sono età distinte nell’uomo che transitano dal tumulto passionale dell’adolescenza e della giovinezza fino al momento in cui si è riusciti, sia pure in una situazione spesso caotica, a creare per se stessi un progetto di vita. Avere le idee chiare credo possa significare sostanzialmente saper dare un nome preciso alle nostre aspirazioni e ai comportamenti che ne conseguono.
Certamente col passare degli anni si raggiunge una prospettiva a più ampio raggio della nostra vita quotidiana e si comincia a darsi dei punti fermi. La serenità è un processo in continua costruzione che ha perciò assoluta necessità di avere delle certezze indispensabili per costruire l’attività quotidiana della propria proposta di vita.
Forse la ricerca della serenità appartiene quindi più significativamente alle persone avanti negli anni, quando si sono vissute molteplici esperienze e si sente un
grande bisogno di consapevolezza e di tranquillità.
Ma il concetto di verità, di libertà, di accoglienza e di apertura trovano ancora riscontro in questa nostra società tecnologicamente avanzata?
È un interrogativo a cui dobbiamo dare necessariamente una risposta per poter delineare le vie da percorrere, per raggiungere veramente momenti di incontro reale e non solo virtuale, per conseguire insomma traguardi di tappa utili per tutti.
La serenità non può esistere senza che ognuno di noi abbia chiari i valori fondamentali che formano la nostra stessa umanità e danno sostanza alle nostre azioni. Non possiamo ignorare alcuni punti fermi fondamentali quali l’onestà, la correttezza comportamentale, il rispetto del pensiero altrui, la lealtà del proprio agire.
Esiste oggi un’architettura di vita? La serenità parte da qui, questo è il suo fondamento, la sua radice che si sviluppa e propone i propri effetti attraverso il contatto con gli atri. Abbiamo insomma bisogno ancora, forse più che nel passato, di ricostruire la vera “comunità” non solo tecnologica ma soprattutto attraverso il contatto personale con gli altri, utile per l’interscambio di esperienze e di vissuti
Viviamo in un processo di costante rielaborazione degli ideali e delle realtà più pressanti per cui
La serenità, in conclusione, non si acquista con l’egocentrismo e neppure con il vittimismo: è il frutto benefico che matura con la fiducia in se stessi e negli altri improntando correttamente il nostro comportamento e la nostra quotidianità.
Riscopriamo, dunque, la gioia di una stretta di mano carica di accoglienza e di sincerità.

Cesare Barca

Considerazioni inviate attraverso un messaggio, di Patrizia Onori

Salve a tutti, sono Patrizia Onori ed anch’io sono abbonata alla rivista mensile sonora UICI “Senior”.
Invio questo messaggio, poiché stimolata da diverse persone le quali attraverso alcuni numeri precedenti della rivista hanno ascoltato messaggi scritti ed audiomessaggi in cui esprimevo le mie considerazioni, queste sono risultate molto schiette, sincere e soprattutto molto chiare.
Ringrazio veramente di cuore tutte le persone che seguono ciò che faccio e che leggono costantemente ciò che scrivo seguendo dettagliatamente le mie attività stimolandomi sempre e comunque ad andare avanti, grazie infinite a tutti voi.
Chiarisco che finora, non ho inviato al mensile altri audiomessaggi e messaggi scritti dopo le considerazioni inviate nei numeri precedenti della rivista, poiché non avevo cose veramente importanti da rilevare e preciso che invio audiomessaggi o messaggi di testo solo quando ho qualcosa di veramente importante da esporre e, dato che questa volta a mio avviso ho trovato qualcosa di particolarmente rilevante, ve lo espongo.
Ho come sempre ascoltato con attenzione la rivista sonora Senior ed in questo caso l’ultimo numero del mese di aprile come spero abbiate fatto anche voi, e devo inviare i miei più sinceri complimenti al Professor Antonio Soligon per la sua esposizione su Venezia ed il ghetto ebraico.
Carissimo Professore, Lei ha esposto questa storia e ce l’ha raccontata in maniera egregia, eccellente, per questo Le invio i miei più sinceri complimenti.
Invio i complimenti al Professor Soligon attraverso questa rivista ma gli scriverò anche via mail per esprimergli i miei personali apprezzamenti a proposito della sua esposizione.
Purtroppo a causa di impegni pomeridiani lavorativi e soprattutto familiari, non ho avuto il piacere di ascoltare l’esposizione del Professor Soligon attraverso la sala telefonica “UIC-ANZIANI” ma dato che fortunatamente la stessa è stata inserita nella rivista sonora UICI “Senior”, ho avuto modo di ascoltarla e di apprezzarla particolarmente.
Qualcuno mi ha inoltre chiesto, di esporre anche ciò che non mi piace della rivista e chiarisco che questo non lo farò mai, poiché non c’è nella rivista ciò che non mi piace, c’è sicuramente ciò che mi piace meno e non mi sembra giusto evidenziarlo, dato che non ritengo sia il caso di sminuire qualcuno che dedica il proprio tempo per gli altri, che ci mette impegno per portare a termine ed inviare il proprio elaborato, anzi, ritengo che anche in ciò che ci piace meno, ci sia sempre qualcosa di nuovo e di bello da apprendere e soprattutto qualcosa di significativo da scoprire.
E’ assolutamente normale che anche nella rivista sonora “Senior” ci sia ciò che mi piace meno ma credo che anche ogni qualvolta ascoltiamo un audiolibro, leggiamo un libro un periodico o un quotidiano, ci imbattiamo in ciò che ci piace meno ma non ritengo che tali contenuti siano meno importanti di altri, per questo invito tutti ad ascoltare la rivista sonora UICI “Senior”, ad ascoltare gli audiolibri, a leggere libri, periodici e quotidiani poiché a mio avviso qualunque sia il contenuto cè sempre qualcosa da imparare.
Invio quindi i miei complimenti a tutti i collaboratori della rivista sonora UICI “Senior”, poiché ogni mese con tanto impegno ed attraverso tanta buona volontà, dedicano del tempo per portare a termine il loro lavoro e per preparare le varie rubriche.
I miei particolari elogi vanno a due eccellenze professionali, due collaboratori del mensile, poiché questi a mio avviso si distinguono per la loro particolare Professionalità, intelligenza e preparazione culturale e sto parlando dell’Avvocato Angelo De Gianni che abbiamo avuto il piacere di ascoltare anche attraverso il numero di “Senior” del mese di aprile e del Geriatra Professor Luigi Grezzana il quale purtroppo non abbiamo avuto modo di ascoltare nell’ultimo numero della rivista, complimenti Avvocato De Gianni e Professor Grezzana per il vostro particolare grado di preparazione culturale e per la vostra non comune intelligenza.
Una menzione speciale però, vorrei farla giungere alla signora Giulia Della Loggia che non conosco telefonicamente e che se lo vorrà gradirei tanto conoscere, poiché attraverso la sua voce che ascoltiamo nella graziosa e costruttiva rubrica del mensile intitolata “Impariamo l’inglese”, percepisco di avere a che fare con una bella persona e di prendere esempio da colei che identifico essere interiormente una grande persona.
Seguendo mensilmente la soave voce della signora Giulia, apprezzando il suo modo di essere e di presentarsi agli altri, mi sembra di sentire di nuovo la dolce voce delle mie due nonne le quali purtroppo non sono più con me, loro erano molto preparate, molto sagge, molto umili ed avevano un’estrema capacità di rivolgersi alle persone proprio come lei.
Spesso, non percepisco tutto questo nelle persone della nostra Unione, poiché non rilevo in loro l’umiltà di rivolgersi agli altri, rilevo tanta esperienza, assoluta preparazione culturale, altrettanta intelligenza però a mio parere, la nostra preparazione culturale, la nostra intelligenza dovrebbero essere messe in luce ma il tutto dovrebbe essere esposto con assoluta umiltà e semplicità e dovremmo trovare il modo di sentirci uguali agli altri riuscendo a collocarci al livello di tutti ed almeno nel momento delle nostre esposizioni, dovremmo riuscire a sentirci simili dato che non tutti abbiamo le stesse capacità intellettive, non tutti purtroppo hanno avuto la fortuna di poter avere una cultura, quindi dovremmo assolutamente immaginare un’uguaglianza che a mio avviso spesso non avviene, poiché tendiamo ad esporci e la nostra preparazione, la nostra cultura e la nostra intelligenza, ci servono esclusivamente per metterci in mostra, per farci notare e per metterci in primo piano.
Con grande gioia tutto questo non lo rilevo nella signora Giulia Della Loggia ed a mio parere è giusto, che quando trovo delle grandi persone ed allo stesso tempo quando mi imbatto in belle persone con qualità interiori così elevate, io lo esponga.
A mio avviso la nostra Unione e le nostre riviste associative si compongono di persone molto preparate ed intelligenti ma a volte purtroppo non si compongono di persone umili e belle interiormente, preciso che questo è solo un mio modesto pensiero e rinnovo i complimenti alla signora Giulia Della Loggia perché oltre ad essere una persona preparata, a mio parere interiormente è altresì una grande persona.
Non so se il messaggio verrà pubblicato, comunque se così non fosse, invierò un’e-mail contenente il testo del messaggio ed un allegato contenente l’audiomessaggio.
Grazie a tutti.
Patrizia Onori

I ricordi non possono essere sepolti, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

Edda Marini, ex moglie di Roberto Kervin si è spenta l’8 aprile 2016 a Trieste dopo una lunga e dolorosa malattia.
Molti di noi ricordano sicuramente il loro simpatico essere insieme: era una coppia che si notava; mi dicevano sembravano due divi, suscitavano simpatia e tenerezza.
Roberto Kervin è stato il quarto Presidente nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi; a lui si deve l’impegno inteso a superare le difficoltà che si frapponevano a che si creasse l’Unione europea dei ciechi e successivamente l’Unione mondiale dei ciechi e la creazione dell’Agenzia Italiana per la prevenzione della cecità ma soprattutto l’approvazione della legge 113 che tanta positività ha creato intorno all’attività dei centralinisti telefonici ciechi a tutela della loro professione.
A un certo momento è accaduto che Roberto Kervin si sia fatto distrarre da un nuovo sentimento, da qui la separazione dalla moglie Edda Marini e la decisione di dimettersi dalla carica di Presidente nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi.
Roberto Kervin non era certo un uomo da rassegnarsi a disperdersi nell’oblio della gente.
Qualcuno che allora contava e poteva, gli era stato anche suggerito, avrebbe potuto offrire all’avvocato Kervin, che aveva a Trieste un ben avviato studio legale, la responsabilità dell’ufficio legale dell’Unione; ma non è avvenuto, così Roberto Kervin con una iniziativa sbagliata ha dato forma e vigore all’Associazione nazionale privi della vista che qualche problema ha creato all’unitarietà dei ciechi italiani.
Ada De Crignis moglie di Hubert Perfler ha retto per diversi anni l’Unione Italiana dei Ciechi di Trieste con la fattiva e determinante collaborazione di Edda Marini che era la sua segretaria e brillante collaboratrice.
Ciao Edda, molti non ti dimenticheranno. Vivissime condoglianze a Tancredi che ha curato Edda con tanto amore.
Mario Censabella

Esperienze di vita associativa, di Carlo Carletti

Autore: Carlo Carletti

Avvertito dall’amico Prof. Piero Bigini, responsabile istruzione della Sede Centrale, partecipai ai funerali del Presidente dell’UIC Prof. Paolo Bentivoglio, deceduto a Roma il 22 Dicembre 1965. In quell’occasione di grande tristezza, i Dirigenti Nazionali più autorevoli, nel salutare ciascuno dei tanti partecipanti, dissero che da quel momento in poi, con il venir meno del nostro Presidente, avremmo dovuto raddoppiare il nostro impegno associativo. Dopo alcuni giorni, il Consiglio Nazionale elesse, nonostante qualche inopportuno e sgradevole tentativo di veto da parte di alcuni esponenti del Governo, sollecitati anche da alcuni personaggi ciechi, il nuovo Presidente Nazionale nella persona di Giuseppe Fucà, che lo stesso Prof. Bentivoglio si era premurato di indicare quale suo eventuale successore. Nell’Aprile del 1966, sollecitato a porre la mia candidatura per la elezione a Consigliere della Sezione Interprovinciale di Roma, risultai eletto insieme al Prof. Enrico Ceppi, nella veste di Presidente, al Prof. Remo Sallustri, Vice Presidente, all’ex Sindaco di Roma, Franco Rebecchini, Consigliere delegato, al cantante romano Giorgio Onorato, a Franco Politi e ad altri.
L’attività procedeva bene e i momenti di difficoltà e qualche diversità di opinione, che non mancava mai, veniva quasi sempre superata grazie ai consigli del Prof. Bigini, al quale spesso ricorrevo. Nel Dicembre dello stesso anno fui invitato a partecipare al mio primo Congresso Nazionale, in sostituzione di un rappresentante della mia Sezione che non poteva essere presente. Io allora ero ventitreenne e credo di essere stato uno dei più giovani partecipanti. Fu un’esperienza straordinaria. Ascoltando i tanti discorsi dei Dirigenti dell’Unione, dei Ministri e degli uomini politici molto importanti e influenti, che nel ricordo di Nicolodi e di Bentivoglio, formulavano a Fucà l’augurio per la continuazione del suo incarico di Presidente, non riuscivo a capacitarmi del perché alcuni ciechi e altri politici potessero tramare contro l’Unione e i suoi uomini migliori. Il Congresso si concluse, comunque, nel migliore dei modi, con l’elezione di un gruppo dirigente che confermò Fucà alla Presidenza Nazionale e da quel momento l’Unione ricominciò il cammino verso la conquista dei diritti che Bentivoglio soleva spesso proporre. In quel periodo il più caparbio oppositore dell’Unione e delle richieste pensionistiche in favore dei ciechi civili era il dott. Vincenzo Caracciolo, cieco egli stesso, nominato dal Governo di allora, quale Presidente dell’Opera Nazionale Ciechi Civili. I lunghissimi tempi di attesa e le regole restrittive con le quali l’Opera concedeva le pensioni, cominciarono a suscitare un forte malcontento fra le persone cieche, che in quei tempi vivevano condizioni di assoluta indigenza. Condividevo le ragioni di queste persone e indirizzavo il loro malcontento verso la gestione dell’Opera Nazionale, ma il mio atteggiamento non era apprezzato e condiviso da alcuni benpensanti che ritenevano certe forme di lotta disdicevoli e controproducenti per l’immagine della Sezione. Altra ragione di poca comprensione con i dirigenti della Sezione, era la mia difesa dei diritti delle persone affette da patologie progressive e irreversibili, che ancora conservavano un residuo visivo, perché l’opinione di alcuni era quella di assistere solo i ciechi assoluti. I miei rapporti con la Sezione si fecero gradualmente più rari, ma intensificai quelli con il Prof. Bigini e con il Presidente Fucà, con i quali il mio pensiero era certamente più affine. I Dirigenti Nazionali dell’Unione ed in particolare il Prof. Bigini, in quel periodo, erano impegnati per l’approvazione di una proposta di legge in favore del collocamento degli insegnanti ciechi, il cui firmatario era il Sen. Baldini. Avendo fatto la conoscenza di una ragazza che in seguito divenne mia moglie, che abitava a Cisterna di Latina, ebbi la possibilità di conoscere i fratelli del Senatore Baldini, che originari di Modena, a Cisterna gestivano un allevamento di polli. Tramite loro ebbi modo di istaurare buoni rapporti con lo stesso Senatore, che facilitarono gli opportuni incontri con i Dirigenti Nazionali dell’Unione. Ebbi anche l’occasione di accompagnare a Modena il Prof. Bigini, dove insieme ad Angela Lugli, Piani ed il Prof. Gianfale, incontrammo il Senatore, nella Sezione dell’UIC. La legge fu rapidamente approvata con il sostegno determinante dello stesso Sen. Baldini e del Senatore Elkan, allora Dirigente dell’Istituto Cavazza. In quell’occasione, non mancarono da parte di alcuni illuminati Prof. atteggiamenti sarcastici, per il fatto   che un centralinista come me, privo di un adeguato titolo di studio, potesse occuparsi di una legge che riguardava insegnanti e laureati. Anche Giuseppe Fucà non fu esente da valutazioni negative, infatti dagli stessi professori sopra citati nonché da alcuni avvocati, veniva considerato inadeguato all’assolvere il suo ruolo di Presidente, in quanto non in possesso di una Laurea, ma solo di titoli di scuola professionale. La mia particolare attenzione per la situazione pensionistica dei ciechi, mi aveva portato da qualche tempo a fare la conoscenza del dott. Giorgio Morelli, funzionario dell’Opera Nazionale Ciechi Civili, che condivideva pienamente l’attività che svolgevo nell’ambito dell’Unione. Non potendosi esporre più di tanto, in virtù del ruolo che ricopriva, mi forniva ottimi consigli per meglio tutelare il diritto alla pensione delle persone cieche. Con Giorgio Morelli, un cieco civile già Presidente della Sezione di Ascoli Piceno, molto introdotto negli ambienti del PCI e della CGIL, strinsi tali rapporti di amicizia che fu testimone al mio matrimonio e battezzò il mio primo figlio. Più volte ci incontrammo con il Presidente Fucà e fummo anche suoi ospiti nella sua abitazione, in via delle Coppelle, per concordare le azioni volte a portare avanti una legge che migliorasse gli importi delle pensioni, che dovevano essere erogate sulla base del reddito della sola persona cieca, che migliorasse l’indennità di accompagnamento e che prevedesse anche la soppressione dell’Opera Nazionale Ciechi Civili. Fra i soci intanto cresceva il dissenso verso l’Opera e verso il Consiglio della Sezione Interprovinciale di Roma, che non assumeva alcuna posizione in difesa dei loro diritti.  Nel mese di Febbraio 1968, il Consiglio della Sezione venne sciolto e fu nominato quale Commissario il Prof. Cesare Colamarino, un galantuomo che mi volle al suo fianco nella veste di Vice Commissario, con il compito di organizzare le Sezioni nelle Provincie di Frosinone, di Latina, di Rieti e di Viterbo, dove l’UIC era fino allora assente. Potei assolvere questo compito con l’encomiabile aiuto e la totale disponibilità di Vittorio Caccioppola a Latina, di Giampiero Notari a Rieti e di Leucio Fortini a Viterbo. Per la Provincia di Frosinone l’incarico fu affidato a me, che lo svolsi con la collaborazione di Raffaele Faina. Nel frattempo la battaglia per la conquista di una miglior legge sulle pensioni era iniziata. Mi fu affidato il compito di costituire un Comitato pro-pensioni, del quale fecero parte anche Leucio Fortini, Gianpiero Notari, Vittorio Caccioppola, Raffaele Faina e Paolo Recce, per coordinare le manifestazioni di piazza che iniziarono nel mese di maggio 1968. Alle prime manifestazioni parteciparono i soci di Roma che venivano coinvolti da  un gruppo di centralinisti molto attivi. Le costituende Sezioni del Lazio fecero affluire i ciechi e i loro familiari, con numerosi pullman nei luoghi concordati, in particolare presso il Ministero dell’Interno e del Tesoro. A questi manifestanti si unirono, fornendo un grande contributo, anche i soci della Sezione di Pisa guidati da Paolo Recce. Nel corso del1968, furono organizzate ben tre manifestazioni. Nel 1969, a partire dal mese di Febbraio, furono organizzate altre quattro manifestazioni, di cui due anche con l’istallazione di tende davanti a Montecitorio e di fronte a Palazzo Chigi. Quei clamorosi gesti, che  colsero di sorpresa anche le forze dell’ordine e che    ebbero molto risalto sulla stampa ci consentirono di interloquire con molti esponenti politici. Particolarmente attivi furono i soci di Rieti nel montare le tende, guidati da Notari e da Mario Posciente, una persona vedente ora purtroppo scomparsa. Nei primi giorni di giugno, mentre mi trovavo insieme a mia moglie e il bambino di pochi mesi, in casa dei miei suoceri a Cisterna di Latina, arrivò Giuseppe Fucà accompagnato da Benedetto, suo fedelissimo autista. Sorpresi dall’inaspettata visita, chiedemmo cosa mai fosse accaduto per averlo fatto giungere fin lì e Fucà, abbracciando mia moglie Giovanna, gli chiese di fagli un grandissimo regalo, quello di lasciarmi libero per un mese, perché quel mese di giugno sarebbe stato decisivo per la sorte della legge sulle pensioni. Aggiunse che non si doveva preoccupare perché sarei stato ospitato a casa sua in via Valmelaina oppure in casa di Giorgio Morelli. Giovanna con il pianto nel cuore non seppe dire di no ed io partii quindi subito alla volta di Roma. Le manifestazioni di protesta, che coordinavo insieme al Comitato Pro-Pensioni dei ciechi, erano dirette contro il Governo ma, nel gioco delle parti, si coglieva ogni occasione per esprimere il dissenso anche contro i dirigenti dell’Unione perché  mantenevano buoni rapporti con i rappresentanti del Governo, nonostante la scarsa attenzione verso i nostri problemi. Ricordo che un giorno, durante una manifestazione presso il Ministero dell’Interno, mentre eravamo in attesa di essere ricevuti dal Ministro Restivo, per fare un po’ di scena, chiesi di poter telefonare alla Sede Centrale dell’Unione dove sapevo essere presente il Vice Presidente Ammannato. Mi rispose la segretaria, sig.ra Millefiorini, che alle mie rimostranze contro Ammannato e gli altri dirigenti che non erano a manifestare con noi, piangendo disse che i Dirigenti dell’UIC non meritavano di essere offesi e non me lo volle passare al telefono. Il giorno successivo, il Presidente Fucà, recandosi al Ministero dell’Interno, fu informato che i ciechi contestavano anche lui e l’Unione. Fucà, che naturalmente era al corrente di tutto, si limitò a dire che se non fossero state accolte le proposte dell’Unione, il Governo avrebbe dovuto fare i conti con tanta gente disperata che non credeva più ad alcuno. Altra manifestazione con centinaia di ciechi si svolse, dopo solo quindici giorni, presso Palazzo Chigi verso la fine di giugno 1969. Occupammo l’incrocio stradale di Largo Chigi bloccando il traffico, ma intervennero quasi subito le forze dell’ordine. Mentre mi stavano prelevando perché con il megafono incitavo a continuare il blocco stradale, venne in mio soccorso il dott. Aldo Aiello, Capo della Segreteria del Vice Presidente del Consiglio, On . Francesco De Martino, il quale chiese al Commissario di Polizia di lasciarmi libero , perché ero atteso, con una delegazione di ciechi, per un colloquio dallo stesso On. De Martino. A quel punto invitai i manifestanti a liberare la strada. L’incontro con il Vice Presidente del Consiglio fu positivo, perché disse che avevamo ragione e che il Ministro del Tesoro in tempi brevi avrebbe trovato la copertura finanziaria alla proposta di legge. Ci disse anche che dovevamo stare tranquilli, perché l’on. Pieraccini, un amico storico dei ciechi, seguiva la vicenda per conto del Partito Socialista. Soddisfatti per le assicurazioni ricevute, la protesta ebbe termine. Per ogni manifestazione, di cui per la Polizia risultai responsabile, accumulai almeno cinque denunce riguardanti manifestazione non autorizzata, occupazione di suolo pubblico, blocco stradale, resistenza e offesa a pubblico ufficiale e non so più che altro, che mi procurarono non pochi disagi e conseguenti processi presso il Tribunale di Roma, che si conclusero favorevolmente. Qualche dirigente dell’UIC, pensando che fossi un incorreggibile ribelle , arrivò a proporre a Fucà la mia espulsione dall’Associazione. (Evidentemente ero un predestinato). In quel periodo ero libero dal lavoro, perché un abbassamento di vista non mi consentiva più di lavorare al vecchio centralino a spine del Credito Italiano, in quanto per passare le comunicazioni avrei dovuto infilare le spine negli appositi fori, che però non riuscivo più a vedere. Fui messo per qualche tempo a riposo in attesa che fosse sostituito quel Centralino con uno più moderno. Ebbi pertanto modo e tempo di assecondare il Presidente in tutte le azioni più utili per la causa. Con il Presidente Fucà ci si incontrava spesso anche a casa di Morelli, ubicata vicino a piazza Montecitorio, per fare il punto della situazione e ogni qualvolta che si doveva incontrare, in via riservata, un esponente politico o quei dirigenti dell’Opera, che come Morelli, condividevano l’azione dell’Unione. L’ostacolo più difficile da superare era sempre il Ministro del Tesoro Colombo, che il Presidente Fucà e gli altri Dirigenti Nazionali cercavano di incontrare inseguendolo in ogni parte d’Italia. Un giorno che si svolgeva un convegno della DC presso il Palazzo dei Congressi, inviato da Fucà, mi introdussi nella sala con l’aiuto di mio cognato, Sindaco democristiano di un paesino della provincia di Frosinone. Il Ministro Colombo fu inavvicinabile ma quando si liberò un posto accanto a quello dell’On. Andreotti, mi sedetti accanto a lui, dicendogli che il Ministro Colombo aveva negato al Presidente Fucà, per l’ennesima volta, la copertura economica della legge che portava anche la sua firma. L’On. Andreotti mi disse di riferire che il Ministro del Tesoro, al più presto, avrebbe trovato i soldi  per la legge che interessa i ciechi. Ritornai da Fucà con tale notizia e lui si sentì un po’ più sollevato. In quei giorni era particolarmente rattristato dal fatto che la moglie Milena era stata ricoverata in ospedale e che lui non poteva essere al suo fianco e non poteva assistere nemmeno alla discussione della tesi di laurea del figlio Gianni. Dopo una giornata particolarmente negativa, fatta di incontri andati a vuoto e con l’aggiunta della notizia del ricovero ospedaliero di Giorgio Morelli, che siamo andati a trovare prima di andare a casa di Fucà in Via Valmelainia, senza nemmeno cenare, ci siamo distesi sui lettini. Subito dopo Giuseppe si rialzò e si mise alla scrivania per scrivere le toccanti lettere inviate alla moglie Milena e al figlio Gianni, che successivamente ho trovato pubblicate nel libro “Un racconto per Chiara”. Considerate le condizioni di salute di Giorgio Morelli, Fucà volle che in quei giorni gli stessi particolarmente vicino anche per tenerlo informato dell’evolversi dell’iter della legge. Dopo l’ennesima delusione, procuratagli dal Ministro Colombo, Fucà accompagnato da Bigini e Benedetto, si avviò verso il Ministero del Tesoro dove era deciso a compiere il gesto clamoroso dello sciopero della fame a oltranza all’interno dello stesso Ministero. Soltanto alla sera di quel 2 luglio, verso le 22, riuscii a telefonare all’amico Merendino, Segretario della Sede Centrale, prezioso punto di riferimento e di collegamento tra noi contestatori e la Dirigenza Nazionale dell’Associazione, per conoscere cosa era accaduto e dove fossero Fucà e Bigini, dei quali non avevo notizie dal mattino. Il segretario, Merendino, mi informò che il Ministro del Tesoro aveva finalmente comunicato la copertura finanziaria della Legge e che, avendo lui parlato con il Presidente, mi disse che sarei dovuto andare ad attenderlo a casa sua dopo aver informato della buona notizia Giorgio Morelli. Fucà rientrò alle tre del mattino, era stanchissimo ma felice. Nel commentare quanto accaduto, non prendemmo nemmeno sonno. Poi, verso le sei del mattino, cominciarono le telefonate di dirigenti e soci da ogni parte d’Italia che, avendo ascoltato i comunicati della radio, volevano sincerarsi del risultato e per complimentarsi del lavoro svolto.
I giorni successivi furono più sereni per tutti perché l’ostacolo più importante era stato superato. Il Presidente Fucà mi chiese di accompagnarlo dall’On. Flavio Orlandi , allora presidente della Commissione Bilancio, che ben conoscevo, il quale fu felice di concordare la rapida approvazione della legge. Le cose ormai volgevano al meglio, tanto che il giorno dopo andammo a salutare Giorgio Morelli ritornato a casa. Successivamente, insieme a Benedetto, accompagnai Fucà alla stazione Termini a prendere il treno per Firenze. Rammento che volle passare, prima di partire, alla casa discografica Ricordi per acquistare la cassetta sonora di Modugno, contenente la canzone “La lontananza” da donare alla moglie Milena. Ci salutammo con un forte abbraccio e mi disse di raggiungerlo insieme a mia moglie Giovanna nella sua casa, vicino al mare, in mezzo alla pineta di Donoratico, non appena sua moglie Milena si fosse rimessa. Io, ormai disoccupato, non avendo altre ragioni per protestare, cominciai a preoccuparmi davvero per il mio posto di lavoro, perché la Banca non intendeva sostituire il centralino in tempi brevi e per me si prospettava un possibile trasferimento in altra città, cosa che non potevo accettare, avendo un bambino di pochi mesi e una moglie giovanissima che avrebbero sofferto la lontananza dai suoi familiari. Piero Bigini, sempre lui, conoscendo la mia difficile situazione, intervenne prontamente presso i dirigenti del Credito Italiano e con l’allora Direttore Rivosecchi mi fu trovata la soluzione di un posto di lavoro a Roma, presso la Banca d’Italia. Dopo poco tempo, mi fu comunicata l’assunzione a far data 1 Aprile 1970, ma l’amico Piero Bigini, non poté festeggiare con la mia famiglia , come programmato, il suo ennesimo risultato conseguito, perché scomparve in un tragico incidente nel mare dell’isola di Ponza, nel mese di marzo, proprio il giorno di Pasqua. Partecipammo numerosi al suo funerale, durante il quale Fucà, uomo dalle ineguagliabili doti umane, fece, credo, il suo più sentito, appassionato e commovente intervento per ricordare al figlio Fulvio e a tutti noi il valore immenso di Piero, le sue qualità morali, il suo alto senso del dovere, la sua ricchezza di ideali e il suo impareggiabile impegno solidaristico, che ha lasciato in eredità a tutti noi. Piero non potè gioire nemmeno per l’approvazione della Legge n. 382, avvenuta nel mese di maggio dello stesso anno, riguardante la riforma delle pensioni dei ciechi per la quale aveva dato il meglio di se stesso. Non rammento la data precisa di quel marzo 1970 quando scomparve Piero Bigini, ma ricordo perfettamente che era avvenuta proprio il giorno di Pasqua. Da allora, ogni Pasqua, si ripresenta con forza, puntualmente e malinconicamente nei miei pensieri la bella figura di quell’uomo speciale e amico carissimo.

“Vita familiare”, di Patrizia Onori

Autore: Patrizia Onori

Scrivo questo mio piccolo stralcio di vita familiare e soprattutto del rapporto madre-figlio, perché molte persone vedenti o non vedenti che leggono i miei scritti o che mi incontrano, mi hanno espressamente chiesto di esprimere per iscritto ciò che prova una madre non vedente nel rapporto con il proprio figlio.
Ho sempre pensato che nella vita bisogna vivere ogni attimo, ogni piccolo istante ed ho sempre creduto che dovremmo godere pienamente di ogni cosa che facciamo e che dobbiamo positivamente trasformare in gioia.
Così, quotidianamente, il vivere in famiglia, nel lavoro, quando telefonicamente sono in contatto con i miei amici, o quando durante la settimana vado in palestra per mantenermi fisicamente nel miglior modo possibile, trovo la gioia in me stessa.
Nel fare gli esercizi con la cyclette, il tapis roulant ed altri attrezzi, immagini del mio passato mi tornano nella mente provocando strepitose emozioni ma non posso mettere da parte il presente, dato che più volte racconto a chi mi è vicino che nonostante la mia disabilità visiva, la vita mi ha comunque riservato un’infinità di eventi positivi tra i quali la straordinaria gioia di divenire madre di un bellissimo figlio, Gianluca.
Le persone, incuriosite spesso mi chiedono nella mia situazione, di descrivere quale rapporto vivo con lui allora ho cercato di trovare le parole più giuste per raccontarlo ma, soprattutto, ho cercato il più possibile di descrivere le emozioni che provo in modo che chiunque legga possa in qualche maniera immedesimarsi e, seppur solo attraverso uno scritto, viva anche per un attimo tali emozioni.
Questo è il mio racconto premettendo che innanzitutto, il mio rapporto familiare con mio marito e con mio figlio è ugualea quello di tutte le buone e brave famiglie.
L’arrivo di Gianluca è stato un momento meraviglioso, dal giorno della sua nascita il mio cuore ha cominciato a battere sempre più forte facendomi provare sentimenti strepitosi mai provati prima.
Anche non potendolo vedere, il solo poterlo abbracciare, stringere al seno, il poterlo allattare, accudire, coccolare ed udire anche piangere, è stata la gioia più immensa che io abbia mai potuto provare.
Con l’aiuto dei miei genitori, ho sempre accudito mio figlio curandolo nei suoi bisogni essenziali come il vestire, il mangiare, la pulizia personale e della casa, ho seguito personalmente la crescita del piccolo Gianluca e man mano che cresceva, ho sempre personalmente avuto rapporti con gli insegnanti sia delle elementari sia delle medie per essere sicura che il bambino avesse un ottimo sviluppo sia intellettuale oltre che fisico.
Gianluca oggi ha sedici anni e frequenta con profitto il terzo liceo scientifico, è un ragazzo tranquillo, educato e riservato ma ogni qualvolta incontra i suoi migliori amici, diventa in loro compagnia espansivo ed estroverso.
Il giorno della sua nascita, avevo da poco compiuto 31 anni, devo confessare che interiormente mi sentivo poco più che una ragazzina ma è stato bellissimo poter crescere insieme a lui ed in particolar modo, oggi è meraviglioso poter apprezzare in lui un ragazzo eccezionale.
Gianluca sicuramente ogni giorno impara tanto da me ma anch’io in ogni minuto, attraverso le sue esperienze imparo molto da lui.
E’ tranquillo, a volte anche un po’ pigro, gli piacciono molto i videogiochi e con questi naturalmente dopo aver studiato, trascorre la maggior parte delle sue giornate.
E’ inoltre sensibile e molto attento a non ferire chi gli stà accanto, sa dare tanto senza chiedere nulla in cambio, la spontaneità fa parte di sé, quando noi genitori siamo insieme a Gianluca ci sentiamo accarezzare da una piacevole aria fresca, pulita e viviamo invasi da una tempesta di assoluta dolcezza.
Insieme ci divertiamo tanto a suonare il pianoforte, in quanto questo è uno strumento che ho studiato per diversi anni, ad ascoltare musica, a seguire su youtube i suoi video preferiti ecc.
Vorrei poter trovare una parola che possa descrivere tutto l’amore che provo per lui ma non esiste, bisognerebbe inventarne una nuova.
Cerco di proteggerlo ogni giorno da un mondo difficile, confuso, a volte purtroppo anche cattivo, cerco di insegnargli che siamo tutti uguali, che le diversità devono essere considerate un valore aggiunto dal quale imparare e, soprattutto, non devono essere considerate un difetto, che è sbagliato usare la violenza, che nessuno va discriminato ma apprezzato perché siamo tutti diversi ed unici, cerco di insegnargli il senso del dovere anche se questo per lui è spesso faticoso, gli insegno quindi che non tutto è dovuto, che se ci si impegna si ottengono i migliori risultati e che se crede fermamente nei suoi sogni è già un primo passo verso la loro realizzazione.
Quando insieme ci sediamo sul suo divano letto e parliamo, è per me un’emozione indescrivibile sentirgli raccontare la giornata trascorsa a scuola, le sue serate vissute con gli amici, le piccole marachelle compiute fra ragazzi, quindi spesso, lo ascolto commuovendomi e ringraziando la vita per avermi donato una così grande gioia.
Un rammarico però pervade costantemente la mia mente, poiché, anche se so che ciò non sarà mai possibile, vorrei avere la gioia di poter vedere almeno per un minuto il viso di mio figlio ma la felicità di averlo accanto e di accarezzarlo ogni giorno, mi fa comprendere che le emozioni interiori che quotidianamente viviamo ci portano a vivere straordinarie sensazioni che non saranno mai consumate dal tempo.
Da tutto questo, si potrebbe immaginare che io sia una madre molto possessiva ma questo non è, infatti pur volendolo proteggere come è giusto che una buona madre faccia, ho sempre cercato di dargli la maggiore autonomia possibile.
Non appena si è presentata a scuola l’occasione prospettatami dalla sua insegnante di inglese di fargli frequentare il quarto anno del liceo scientifico in America, non me lo sono fatto dire due volte ed ho stimolato mio figlio che era titubante ad accettare questa occasione che gli permetterà, oltre ad imparare bene la lingua, di vivere un’esperienza in una nuova famiglia e di relazionarsi in un mondo completamente diverso dal nostro e credo che tutto ciò lo arricchirà dandogli sicurezza e sprone per il futuro.
Gianluca è la cosa più bella che la vita mi ha regalato, ha quella meravigliosa magia di sapermi ripagare con un semplice sorriso per ogni dolore, è la parte di me che continuerà a vivere oltre me.
Patrizia Onori

Amarcord come mi accolse l’UIC oltre 50 anni fa, di Carlo Carletti

Autore: Carlo Carletti

All’età di 18 anni, nel 1961, un pallone di cuoio, inzuppato di acqua che cadeva in abbondanza sul campo di calcio, mi ha colpito violentemente sul viso, creandomi un forte intontimento, tanto da dover interrompere la partita. Successivamente, una nebbia offuscava la mia vista. Gli oculisti dell’Ospedale S. Orsola di Bologna, hanno accertato una forte emorragia retinica in entrambi gli occhi e un disastroso distacco di retina nell’occhio sinistro. Fin da bambino già mi era stata riscontrata una miopia piuttosto elevata, ma la correzione con le prime lenti a contatto sembravano avermi risolto il problema visivo, tanto da farmi dimenticare alcuni anni, trascorsi come ipovedente, presso l’Istituto G. Garibaldi di Reggio Emilia e di farmi illudere di poter consolidare il mio avvenire di calciatore, insieme al lavoro quale modellista per calzature, nel quale mi ero specializzato.. La dura realtà che mi hanno prospettato gli oculisti mi ha tolto ogni speranza per il futuro. Per un lungo periodo di tempo, ho voluto comunque tentare interventi e cure seguendo il detto che la speranza è l’ultima a morire, ma il susseguirsi degli insuccessi, mi ha portato lentamente e dolorosamente alla rassegnazione. La cecità nella mia famiglia, non rappresentava una novità, in quanto mio fratello di 6 anni più grande di me, era cieco a causa di un glaucoma . Dopo un ulteriore periodo di tempo, durante il quale ritenevo impossibile e inutile anche la mia esistenza, mio fratello e altri suoi amici non vedenti dell’UIC di Pesaro, mi hanno gradualmente aperto l’orizzonte per ricominciare una nuova vita. Per mia fortuna, ho recuperato un piccolo residuo visivo da un occhio, che ha ulteriormente favorito la mia rinascita. Seguendo la via intrapresa alcuni anni prima da mio fratello, ho più volte presentato domande per essere ammesso a frequentare un corso per Centralinisti telefonici, ma non venivo accolto a causa della mia giovane età e per l’alto numero degli aspiranti. Ho rappresentato all’On. Flavio Orlandi, parlamentare di riferimento della Federazione del PSDI di Pesaro, che frequentavo, la mia esclusione dai corsi per centralinisti, e che per tale ragione non potevo aspirare ad un posto di lavoro compatibile con la mia invalidità. Dopo pochi giorni, lo stesso On. Orlandi, mi ha invitato ad andare a Roma a presso il Ministero del Lavoro , dove ho potuto esporre i miei problemi all’On Anselmo Martoni Sottosegretario di quel Ministero, che autorizzava e finanziava lo svolgimento dei Corsi per Centralinisti in tutta Italia. Fui informato che un Corso si sarebbe svolto a Roma presso la sede dell’UIC, presso la quale avrei dovuto subito presentare domanda. Mi sono recato lo stesso giorno in via Quattro Fontane, dove aveva sede la Presidenza Nazionale dell’UIC. Ho avuto la grande fortuna di essere accolto dal prof. Piero Bigini, un uomo straordinario per la sua umanità e disponibilità. Il colloquio è durato oltre un ora e al termine siamo andati al Bar a prendere un caffè. Questo grande uomo era totalmente cieco ed io con il mio traballante residuo visivo l’ho accompagnato e Quando ci siamo lasciati mi ha chiesto di andarlo a trovare quando potevo. Mi ha anche  informato che la sede dove avrei dovuto presentare la domanda era la Sezione interprovinciale di Roma. Sicuramente la segnalazione del Sottosegretario fu determinante perché fossi ammesso al corso, che si svolgeva di pomeriggio. Tale orario mi permetteva di recarmi di mattino a trovare il prof. Bigini, con il quale ho potuto gradualmente instaurare un rapporto di reciproca stima e fiducia, tanto che più volte ha utilizzato il mio residuo visivo anche per essere accompagnato presso la Camera dei Deputati dove trattava e sollecitava i provvedimenti in favore dei ciechi. Un giorno mentre mi trovavo nell’ufficio del prof. Bigini, si affacciò sulla porta un signore alto e robusto che salutò in modo molto amichevole il prof. Bigini, il quale a sua volta ricambiò il saluto, dicendogli : ben arrivato Presidente, sono a colloquio con un giovane non vedente, ma sarò subito da te. Il Presidente, prof. Paolo Bentivoglio, mi volle conoscere facendomi molte domande e chiedendomi come ero capitato in Via Quattro Fontane. Si è seduto accanto a me, che emozionatissimo gli raccontavo la mia storia. Il prof. Bigini disse che mi aveva più volte sperimentato e che ero uno sul quale si poteva fare affidamento e che mi faceva onore il fatto che mettessi a disposizione di chi era cieco totale il mio residuo visivo. Il Presidente allungò una mano e mi strinse un braccio e costatata la mia magrezza, mi disse che avrei dovuto mangiare di più, perché in quelle condizioni nessuno mi avrebbe preso nella giusta considerazione. Ridendo e alzandosi in piedi, mi disse: guarda me, il solo mio volume incute rispetto nell’interlocutore. Nel salutare disse: gli amici di Piero sono anche miei, ma bada bene, è risaputo che io non ho il buon carattere di Piero. Successivamente ho avuto molti altri incontri con il prof. Bigini ed anche con il Presidente, spesso mi hanno reso partecipe delle problematiche che stavano affrontando, perché mi mostravo molto interessato ed ero abbastanza introdotto in alcuni ambienti politici. Ho avuto anche l’occasione di accompagnarli al Ministero del Lavoro, proprio dal Sottosegretario Martoni, per sollecitare l’approvazione della nuova legge sul collocamento dei centralinisti. Fummo subito ben accolti e rassicurati sull’evolversi positivo dell’iter della legge che fu approvata il 5 marzo 1965. Frequentando la Sede Centrale dell’UIC, ho potuto conoscere anche il Vice, Generale Aramis Ammannato, ma più spesso i fiorentini Fucà, Baragli e Borrani e il milanese Dario Formigoni con il suo inseparabile sigaro. Un pomeriggio mi sono recato con i dirigenti nazionali dell’Associazione presso il Parlamento per sollecitare un provvedimento in favore della categoria. Al termine della giornata , sono stato invitato a restare a cena con tutti loro, Presidente compreso. Per la prima volta entrai nella trattoria da Guerra in via dei Serpenti e sono risultato essere l’unico sconosciuto per il sig. Guerra, il quale mi mise subito a mio agio e tra un piatto e un bicchiere, mi ha raccontato i molti avvenimenti di cui sono stati protagonisti i dirigenti dell’UIC, ed in particolare ricordava le furenti telefonate che il Presidente aveva fatto ai membri del Governo e al Ministro dell’Interno, On. Scelba, in occasione della marcia del dolore avvenuta nel 1954, da quel telefono a muro, postato sulla colonna al centro della sala. Mi diceva, che dovevo sentirmi orgoglioso di poter stare in compagnia di persone così importanti e così per bene. Lui non finiva mai di ripetere che si sentiva onorato di avere quali clienti tali magnifiche persone. In silenzio, ascoltavo i discorsi che i presenti facevano in merito ai problemi associativi che stavano affrontando .Ogni tanto , i più scherzosi Baragli e Formigoni chiedevano anche la mia opinione in merito a quanto veniva discusso, mettendomi in un evidente e terribile imbarazzo, che secondo loro potevo superare solo con un altro bicchiere di vino. Oggi, ricordo con una certa emozione il fatto che appena ventenne, possa aver avuto la fortuna di essere avviato alla vita dell’organizzazione guidato e sostenuto da uomini come quelli che ho incontrato in quel periodo e con i quali ho continuato a collaborare sempre più attivamente. I rapporti si sono purtroppo interrotti con Il Presidente Bentivoglio. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato nel mese di ottobre del 1965 in Via Quattro Fontane, era in procinto di rientrare a Bologna, e nel salutarmi mi disse che aveva appreso con soddisfazione della mia recente assunzione presso il Credito Italiano e che per tale ragione mi sarei stabilito a Roma. Poi, stringendomi la mano, aggiunse, che anche se lontano da casa hai trovato, comunque nell’UIC una famiglia che non devi trascurare, nonostante il lavoro . Il Presidente Bentivoglio che aveva un carattere un po’ difficile e che spesso appariva scontroso e assai burbero, in quell’occasione mi sorprese per il modo semplice e umano con il quale mi aveva parlato. Ho molto sofferto in occasione della sua scomparsa avvenuta due mesi dopo. Ho vissuto portando dentro di me non solo il ricordo, ma credo qualcosa di molto più importante. Ho vissuto una esperienza che a condizionato positivamente la mia esistenza. Conservo intatto il senso della dignità che mi hanno fatto provare, per primi, il Presidente Bentivoglio e il prof. Bigini, nell’affrontare i momenti più difficili. La credibilità, la convinzione e la tenacia con la quale, questi UOMINI hanno combattuto il pregiudizio e la pietà per dare dignità e diritti alla vita di tutti i ciechi sono un valore del quale ognuno di noi ha tratto tutti i vantaggi anche attuali. La necessità di conservare, di alimentare e di far conoscere la storia dell’UICI, le motivazioni l’abnegazione e le qualità di coloro che l’hanno resa grande, è un doveroso impegno per la nuova dirigenza. Senza la conoscenza dell’ appassionante storia , della nostra Associazione ,i giovani non potranno affezionarsi e dare un futuro all’UICI. Si potrebbe iniziare con l’apertura dell’archivio, mettendo a disposizione apposite borse di studio per giovani che effettuino ricerche e ne illustrino i risultati anche in appositi seminari., aperti ai giovani , dirigenti e soci.