Un week-end di atletica leggera, nuoto e showdown

Dal 3 al 4 marzo si svolgerà, a Brescia, il XII Campionato Italiano Assoluto Invernale di Nuoto Paralimpico (vasca 50 m).
Tra i presenti anche la nostra giovane nuotatrice Martina Rabbolini (categoria S11 – non vedenti) che si cimenterà nelle seguenti gare:
– 100 dorso
– 100 rana
IMPIANTO GARA:
Centro Natatorio Palasystema:
Via Rodi–
25100 Brescia
Nel week-end si svolgerà inoltre, a Silvi Marina (TE) dal 2 al 4 marzo, la seconda tappa del campionato di serie A di Showdown.
Parteciperanno i nostri soci Sonia Tranchina e Giuseppe Cesena accompagnati dal tecnico Pietro Rossetti.
Sabato 3 marzo, a Padova, si terrà un Meeting di atletica leggera paralimpica.
La nostra socia Gaia Rizzi, con la guida Marco Cambianica, parteciperà ai 60 e ai 200 metri.

 

Gruppo Sportivo Dilettantistico Non Vedenti Milano ONLUS
Via Vivaio, 7
20122 Milano
tel/fax: +390276004839
Email: info@gsdnonvedentimilano.org
Web: www.gsdnonvedentimilano.org
twitter: https://twitter.com/Gsdnvmilano
Facebook: https://www.facebook.com/GSDNONVEDENTIMILANO

 

Assunzioni nel settore pubblico (GU 15 – Serie Speciale – Concorsi ed Esami)

 

Tipologia di richiesta: Bando di concorso per la copertura di N. 2 posti a tempo indeterminato, categoria C, posizione economica C1, area amministrativa, riservato esclusivamente ai disabili di cui all’art. 1, comma 1 della legge 68/1999.
(rif. GU n. 15 del 20-2-2018)
Sede di lavoro: Università Ca’ Foscari di Venezia
Requisiti richiesti:
iscrizione nelle liste della legge n. 68/1999;
titolo di studio diploma di istruzione secondaria di secondo grado.
Il bando è consultabile alla pagina www.unive.it/concorsi
Modalità di partecipazione: per esami. La domanda di partecipazione potrà essere presentata alternativamente:
a mano presso l’Ufficio Personale Tecnico Amministrativo – Settore Concorsi – Dorsoduro n. 3246 – Venezia.
per mezzo raccomandata con avviso di ricevimento indirizzata all’Università Ca’ Foscari Venezia – Area Risorse Umane (ARU) Ufficio Personale Tecnico Amministrativo-Settore Concorsi- Dorsoduro n. 3246 – 30123 Venezia
a mezzo PEC al seguente indirizzo: protocollo@pec.unive.it.
La domanda di partecipazione dovrà essere inviata da una casella elettronica PEC appartenente esclusivamente al candidato. L’invio dovrà contenere la domanda e i relativi allegati sottoscritti in originale e scansionati in formato PDF.
Scadenza: 22 marzo 2018
Informazioni utili: per ulteriori chiarimenti è possibile contattare il Settore Concorsi ai numeri telefonici: 041/2348208 – 8207.

 

Varese – Resoconto “Diritti in Gioco”

In occasione dell’annuale manifestazione “Diritti in Gioco”, organizzata dall’Ufficio Cultura del Comune di Saronno, sono stati proposti nel mese di novembre alcuni laboratori sulla disabilità sensoriale all’interno delle scuole di Saronno e presso la Sala Nevera attigua alla biblioteca cittadina, rivolti ai bambini delle classi terze, quarte e quinte della Scuola Primaria.
La rassegna, coordinata dalla Dr.ssa Ercolino (psicologa e tiflologa), ha visto la partecipazione di 17 classi, per un totale di circa 400 bambini.
In due classi terze si è svolto il laboratorio di costruzione di un libro tattile, un Alfabetiere, scoprendo le tecniche e i materiali necessari. In altre classi è stato invece affrontato il tema della disabilità uditiva e i bambini hanno potuto conoscere più da vicino la Lingua dei Segni (LIS), grazie al contributo della Dr.ssa Carta, psicologa ed esperta della disabilità uditiva.
In Sala Nevera è stato proposto un percorso attraverso il quale i partecipanti si sono ‘divertirti senza senso’, quello della vista. I bambini hanno potuto giocare a Domino-tattile, memory uditivo, utilizzare il bastone bianco, scoprire con il tatto il contenuto di una scatola segreta ed affrontare un percorso al buio ricco di odori, suoni, delizie da gustare e oggetti piacevoli da toccare.
Anche le insegnanti hanno avuto il piacere di mettersi in gioco ed unirsi ai bambini in questa esperienza extrasensoriale.
All’interno della manifestazione si è tenuta anche una dimostrazione con i cani guida dell’associazione Lions.

Inoltre, nel mese di gennaio si sono tenuti due incontri rivolti agli studenti di un liceo sportivo della città con Simone Morelli, istruttore di orientamento e mobilità. Nel primo incontro hanno potuto sperimentare alcuni sport praticati da atleti con disabilità visiva, mentre il secondo ha visto la partecipazione di Daniele Cassioli, che ha portato agli studenti la sua testimonianza di atleta e campione paraolimpico.

Grande successo stanno avendo anche le cene al buio, organizzate grazie al contributo dell’Unione Ciechi ed Ipovedenti di Varese, presso il Circolo Strafossato di Saronno, partite a novembre e ancora in programma vista la grande richiesta.

Un ringraziamento speciale all’infaticabile e sempre entusiasta Giuseppe Rosafio, motore e sostenitore di ciascuna delle iniziative menzionate.

 

Balliamo alla cieca!, di Antonella Improta

 

Molti credono erroneamente che i ciechi non possano ballare… forse questa tesi, è rafforzata dal fatto che si associano spesso al ballo complicate coreografie che in effetti, un non vedente non potrebbe mai riprodurre!! In realtà, nel ballo come in qualsiasi altra attività in cui il vedere non è indispensabile, basta metterci passione e forza di volontà. Sono stati questi, gli elementi che hanno spinto Rosaria de Angelis, socia della sezione UICI di Napoli e componente della commissione Pari Opportunità, a cercare un istruttore disposto ad insegnare i balli latino-americani ai ciechi. “mi è sempre piaciuto ballare” ci racconta Rosaria “lo facevo già da ipovedente, ma avendo la possibilità di seguire i movimenti dell’insegnante non avevo grossi problemi. Una volta persa totalmente la vista, ho deciso di non voler rinunciare alla mia passione!” È così che nasce la collaborazione con la Palestra Work in Progress di Ercolano e con Maria Cascone, che da ottobre insegna i passi della musica latina ad un gruppo di 8 non vedenti, soci della nostra sezione. “quando Rosaria mi ha proposto di far partire un corso di ballo per non vedenti, ho accettato subito!… senza preoccuparmi delle eventuali difficoltà che avrei incontrato” dichiara la nostra Maria, “ho scoperto un mondo dove il vedere non è indispensabile!”; entusiasta di questa nuova iniziativa, Maria afferma che questo corso non sarà una piccola parentesi, ma diventerà un’attività effettiva della palestra in cui lavora. La decisione della prof, sicuramente è stata determinata anche dal vedere i suoi allievi ciechi che con ironia e tanta voglia di fare hanno deciso di sperimentarsi, trascinati dall’entusiasmo e la dinamicità di Rosaria! all’inizio l’idea di ballare mi faceva sentire a disagio, non avendo la possibilità di vedere i movimenti da apprendere, ma grazie all’impegno di Maria e l’Incoraggiamento degli altri adesso per me non è più un problema!” Il ballo rappresenta un momento di evasione dal quotidiano uno spazio che dedico totalmente a me stessa!” “finalmente la prossima estate anch’io potrò inserirmi al villaggio quando faranno i balli di gruppo! ”Queste, le dichiarazioni degli allievi del corso. Il ballo, in questo caso è in primis un’attività che riunisce un gruppo di persone con la voglia di stare insieme e divertirsi, rappresenta anche una modalità che aiuta i ciechi e gli ipovedenti a sciogliersi nei movimenti, che talvolta sono rigidi e impacciati; assumere un portamento corretto e riprendere o cominciare un’attività, che in molti ritenevano di non riuscire a svolgere. Senza contare, che il fine ultimo di questa, come di altre iniziative, è sempre quello di inserirsi ed integrarsi al meglio nel contesto sociale di appartenenza, che spesso considera i disabili in generale persone diverse al massimo da assistere in determinate situazioni con cui si ha difficoltà a relazionarsi e coinvolgere anche in attività banali! Persone fragili, che se magari gli si chiede qualcosa nel modo sbagliato si possono offendere! Ovviamente la società non si può condannare, perché essa stessa è vittima delle dicerie e delle legende metropolitane, ma le attività di sensibilizzazione che vengono svolte nei diversi territori, anche se lentamente e con un po’ di fatica, possono aiutare tutti noi a crescere, indipendentemente dalla nostra storia di vita o dalla presenza di una eventuale disabilità.

Sommario rivista “Il Progresso” n. 4 16-28 febbraio 2018

Sommario
Società- L’ossessione per la felicità ci rende infelici (di Annamaria Testa)
Scienze- Arriva il «super legno»
Religione- Per non rassegnarsi all’amore freddo (di Pierangelo Sequeri)
Lavoro- Le 28 ore in Germania? Nel resto d’Europa se ne fanno meno che in Italia (di Luisiana Gaita)
Esteri- Turchia crocevia del metano il grande risiko per aggirare la nuova egemonia di Ankara (di Andrea Greco)
Storia- Il 1968 «pungolo del Novecento» visto dal cardinale Martini (di Vincenzo Rosito)
Iniziativa a sostegno del Programma Esplora

Per informazioni sulle riviste è possibile visionare il Listino abbonamenti 2018 al link http://www.uiciechi.it/servizi/somm_stampaassoc.asp

 

Tolleranza, inclusione, cultura, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Il mese di febbraio, per i ciechi italiani, è un mese straordinario poiché, grazie al grandissimo lavoro dell’Unione Italiana Ciechi, dal 2007 è entrata in vigore la legge che decreta la celebrazione nazionale della giornata del Braille, al cadere del 21 febbraio di ogni anno. Per parlare di questo argomento ho deciso di utilizzare queste tre parole “tolleranza, inclusione, cultura” come ausilio in questa veloce riflessione. Iniziamo da tolleranza, ricordando insieme il significato della parola “Atteggiamento di rispetto o di indulgenza nei riguardi dei comportamenti, delle idee o delle convinzioni altrui, anche se in contrasto con le proprie”. Questo nuovo anno è iniziato con una scia pericolosa di fanatismo e radicalismo che mal si coniugano con la parola democrazia. Ciò non può essere tollerato da un ente come il nostro che crede in “una società di tutti e per tutti” e questa bandiera è diventata l’emblema e l’essenza delle politiche rivendicative, mai volte al pietismo ed all’assistenzialismo ma al riconoscimento del lavoro che svolge la nostra associazione e alle direttive che intende dare per lo sviluppo della vita sociale dei ciechi e degli ipovedenti italiani. In questi anni, perciò, abbiamo deciso di intraprendere un ulteriore percorso nel confronto con tutte le agenzie responsabili della crescita del paese, aprendo le porte della nostra associazione alle istituzioni affinché i nostri interlocutori possano conoscere e comprendere quanto l’UICI sia rispettosa delle idee, convinzioni e pensieri altrui ma, al contempo, determinata nel far capire che nessuno può decidere della vita dei ciechi senza i ciechi stessi. Per questo chiediamo tolleranza, perché il nostro obiettivo finale era e resta l’inclusione. Mi fermo ancora una volta ad aprire il vocabolario per ricordare il significato di “inserimento stabile e funzionale”. L’UICI sin dalla sua fondazione ha mirato ad arrivare ad una condivisione dei processi di costruzione di percorsi idonei all’istruzione, alla formazione, al lavoro, insomma ad una vita quotidiana che lasci ai ciechi e agli ipovedenti le sole difficoltà della vista senza permettere che si costruiscano muri mentali che frenino il sogno e l’aspirazione dei minorati della vista italiani. Alla vigilia delle celebrazioni del centenario della fondazione dell’Unione Italiana Ciechi vorremmo tanto festeggiare un mutamento sostanziale e concreto dell’assetto sociale dell’Italia. Vorremmo, finalmente, arrivare a quell’inserimento stabile e funzionale dei ciechi e degli ipovedenti all’interno della società e poter testimoniare che attraverso la tolleranza si è potuti arrivare ad un’inclusione che è divenuta acquisizione culturale.
Nelle pagine del giornale troverà ampio spazio la parola cultura, per cui vi risparmio il vocabolario ma non mi sottraggo ad un’ultima riflessione che accompagnerà, in maniera particolare, questo mese speciale e ricco d’impegno per il nostro sodalizio. Pur mantenendo un confronto dialettico forte ed acceso, l’UICI ha saputo far breccia nel cuore del legislatore italiano ottenendo alcuni riconoscimenti nei principi fondamentali della missione del nostro Ente. Vorrei per questo tornare al 3 agosto 2007 quando il Parlamento italiano riconosce dignità di lingua da proteggere e tutelare al Braille con l’approvazione della legge 126. L’articolo 2 della legge impegnava le amministrazioni pubbliche a poter promuovere ogni anno il 21 febbraio attività di sensibilizzazione e informazione sull’importanza del Braille per la vita dei non vedenti. Quel giorno è tanto lontano e dimenticato. Come d’incanto, invece, ti ritrovi in un paese dove chi ha il controllo dell’informazione continua a mistificare, con falsi scoop, i non vedenti mercificando la loro disabilità e facendola percepire quasi fosse un privilegio. Molta strada dobbiamo, purtroppo, fare per arrivare ad una rivoluzione culturale compiuta che tenga conto dell’identità e della specificità dei singoli. Per questo, come Unione, raddoppieremo le nostre energie per meglio rappresentare e far conoscere il nostro mondo, potendo contare su uno strumento straordinario ed insostituibile quale è il Braille. Per questo motivo, spero che possano essere più numerose le persone che vivano con tolleranza la diversità, operando quotidianamente per favorire una vera inclusione, frutto di un processo di trasformazione culturale. Noi siamo pronti a fare la nostra parte!

Braille Vs. Tecnologia: una partita da giocare?, di Franco Lisi

Autore: Franco Lisi

versione integrale
“Altri hanno piantato ciò che noi mangiamo. Noi piantiamo ciò che altri mangeranno.”
Da un antico proverbio persiano
Da diversi anni ormai, come per le festività più importanti, il 21 febbraio si celebra la ricorrenza della Giornata Nazionale del Braille, istituita con Legge n. 126 del 3 agosto 2007.
Il copione è collaudato e si replica in lungo e in largo in tutto il territorio nazionale: convegni, seminari, articoli, interviste, sono tra le iniziative più comuni promosse dalla nostra Associazione e dalle Amministrazioni locali. Lo scopo è chiaro: vivificare e mantenere accesa la memoria di un glorioso passato; informare, ribadire, persuadere che il braille continua a rappresentare una parte essenziale nel processo della formazione culturale in ciascuna fase della vita di una persona non vedente.
Molti (esperti, professori, dirigenti, esponenti politici), per la verità forse non tutti intimamente convinti, si prodigano a spendere fiumi di parole, tesi ed energie a sostegno di un codice di scrittura che vola verso il compimento dei suoi 200 anni di età.
Ma quali sono le vere ragioni che stanno alla base di una difesa in contumacia sostenuta da un numero così considerevole di “avvocati”? Da chi lo vogliamo proteggere? Perché riteniamo di doverlo promuovere? Chi è, se esiste, il suo nemico, il suo più diretto competitor? Da tempo si dice che il braille è alla resa dei conti, che deve vedersela con la tecnologia, intendendo per questa la sintesi vocale. Ma è proprio così? E’ quest’ultima l’avversario da combattere e da battere?
Sappiamo, e non possiamo far finta di nulla, che viviamo nella società dell’informazione, una società in cui la quantità sacrifica la qualità, in cui il possedere va a scapito del sapere. Orientarsi fra ciò che è utile e ciò che è spreco è spesso problematico e la tecnologia, in questo senso, per come oggi in molti la utilizziamo, compresi noi ciechi, ci conduce diritti verso questa trappola. Guardiamo allo schermo di un computer o di un palmare, di uno smartphone o di un tablet, pressoché indifferenti; ascoltiamo risuonare e scorrere veloci, parole, e-mail, documenti, comandi, pressoché distaccati, senza spesso porre la giusta attenzione agli effetti dei contenuti, ai concetti espressi. Diceva quel tale che ciò che è davvero importante, arricchente non è la quantità di libri che leggiamo, ma il modo, l’intelligenza con cui li leggiamo. A scuola, guai se non hai un pc o un cellulare, al lavoro, se non sei informatizzato, non hai speranza di successo. Sembra impossibile pensare alla quotidianità senza tecnologia: prenotare un servizio pubblico, accedere ad una cartella sanitaria, gestire un conto corrente bancario, fare la spesa on-line, sono solo alcune operazioni per le quali è richiesto il possesso di un pc connesso o di uno smartphone. I nostri figli (siamo rapidamente passati dagli adolescenti ai bambini) sono intestatari di un numero telefonico.
Eppure, dietro questa montagna di tecnicaglia che, da un lato mette tutti in fila, allinea, si insinua in tutte le sfere sociali, è alla portata di tutte le tasche, azzera le distanze, favorisce la velocità d’azione e la riduzione di margini d’errore, dall’altro richiede competenze relazionali elevate, seleziona, discrimina, emargina, crea il digital divide. Qui dentro, dentro questa cornice tratteggiata di opportunità e di esclusione, di impossibilità e di accessibilità, sta, o non sta, l’integrazione sociale dei ciechi.
Se dunque è vero, come per lo più si ritiene, che il mondo del digitale rappresenta una corsia preferenziale per perseguire l’obiettivo della piena inclusione sociale dei disabili, non possiamo farci trovare impreparati di fronte alle insidie che pur si celano nei labirinti dei miliardi di bytes e di bits disseminati lungo il cammino.
In questo panorama, nel quale la comunicazione tattile sembra perdere “punti”, affannarsi a cercare un capro espiatorio, nemici ed avversari, serve solo a spostare l’attenzione; di fatto, le cause del crescente disuso del codice braille risiedono più verosimilmente altrove. A mio avviso, piuttosto, se il braille vuole recuperare le posizioni cedute, deve guardarsi dentro, deve misurarsi con la propria pigrizia e autostima, con la propria sofisticazione e con le proprie potenzialità, con la propria indipendenza e con i nuovi compagni di viaggio con cui avvedutamente integrarsi: l’inesauribile trascorrere del tempo e l’impatto dell’ineludibile cambiamento sono le sentinelle alle quali presentare le referenze. Non esiste alcuna partita da giocare; deve solo credere in se stesso accantonando presunti timori reverenziali, fermare la corsa, girare la testa ed ammirare il passato. Da più parti si sostiene, un po’ beffardamente, che la lettura in braille sia lenta e comunque non paragonabile alla velocità della sintesi vocale. Affermazioni di questo tipo sono assolutamente vere, ma parziali, peraltro in qualche modo tecnicamente non corrette, dal momento che l’utilizzo della sintesi vocale pone il fruitore nella veste di ascoltatore e non di lettore. Per di più, non vi è ”braillista” al mondo che pensi di gareggiare con la velocità massima di un sintetizzatore! In occasione del suo anniversario, gli dovremmo invece essere grati proprio per il suo punto di forza: la lentezza. Nel racconto “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”, Luis Sepulveda scrive: “Una volta sistemata là sopra, dietro la testa della tartaruga, la lumaca le chiese dove stava andando, ma l’altra ribatté che non era la domanda giusta e che avrebbe dovuto chiederle invece da dove veniva. Così, mentre da lassù la lumaca vedeva passare le erbe del prato a una rapidità sconosciuta, la tartaruga le raccontò che veniva dall’oblio degli esseri umani…”
A nostra volta, ritengo utile gettare uno sguardo fugace all’indietro per accorgerci come questi puntini abbiano potuto “bucare” attraverso la notte dei tempi e presentarsi sotto le nostre dita più robusti che mai. Fino a 30-40 anni fa, i saperi arrivavano ai ciechi in prevalenza tramite il codice braille scritto su carta. A scuola e al lavoro, come nella vita privata, tutto il materiale veniva prodotto manualmente con il punteruolo e la tavoletta o con la dattilo-braille: i compiti di matematica, di latino, di greco, di lingua straniera, gli appunti, gli spartiti musicali, le brutte copie nei compiti in classe di Italiano… L’odore di quei fogli fatica a sparire dalla nostra memoria olfattiva, dai nostri ricordi. Quintali di carta riempivano le stanze dei nostri Istituti dedicate esclusivamente ad ospitare tomi enormi, ingombranti, posti in fila in lunghissimi e altissimi scaffali, per poi costituire un arredo che caratterizzava le nostre case. Per dare un’idea dello spazio necessario, prendiamo a mo’ di esempio la Divina Commedia: l’opera consiste di 96550 parole distribuite in 32 volumi braille; il singolo volume ha uno spessore approssimativo di 6-7 centimetri; posizionati uno accanto all’altro, occupano complessivamente una lunghezza di circa 2 metri.
Negli anni ‘80 e primi ’90, il sistema braille deve affrontare una prima grande prova di resistenza. E’ il tempo dei terminali 3270 (comunemente denominati terminali stupidi); si affacciano sul mercato dando bella mostra di sé i primi personal computer da tavolo, i sistemi operativi sono testuali e la lettura dello schermo è lineare e sequenziale: è tempo di tecnologia assistiva! Ascoltiamo, un poco indispettiti, la voce stridente dei primi sintetizzatori vocali e, curiosi, scorriamo le dita sui primi display braille a sollevamento meccanico; è il periodo dei display da 80 caratteri a 8 punti, di lunghezza pari a 1 metro con peso superiore ai 10 kg; si progettano addirittura scrivanie specifiche dotate di speciali alloggiamenti: una vera ed indescrivibile emozione “leggere” lo schermo con le mani! Si aprono inesplorati scenari nel mercato del lavoro e si sperimentano nuove professioni come quella del programmatore. Grazie alla tecnologia, dunque, il braille si evolve salvando i ciechi dall’emarginazione sociale.
Con il progressivo ridimensionamento dei personal computer (i primi pesavano 5 chili e montavano hard disk da 20-40 mega, ad esempio Compaq), si diffondono sempre più display braille da 20, 40 caratteri con tecnologia più sofisticata di tipo piezoelettrico. Parallelamente al miglioramento della qualità del braille, anche la sintesi vocale vive una costante evoluzione, elevando ampiamente le proprie performance. Quel che
più conta, in questo tempo, è l’inarrestabile sviluppo dello screen reader, sofisticatissimo programma in grado di stabilire, tra le innumerevoli funzioni, quale parte dello schermo debba essere riportata o evidenziata sulla barra braille o letta dalla sintesi vocale. La crescente complessità dei software di base e degli applicativi di uso più comune portano ai primi corsi di formazione, destinati a diffondersi velocemente su tutto il territorio. Gli elevati costi dei dispositivi braille, la breve durata dei corsi di alfabetizzazione, la fragile conoscenza del codice braille da parte degli istruttori, l’esigenza prioritaria di insegnare l’ABC dell’informatica, l’eterogeneità dei requisiti degli allievi, sono tra le principali cause che fanno generalmente preferire l’insegnamento mediante l’ascolto della sintesi in luogo della lettura tramite il display braille.
A metà degli anni ‘90, il signor Braille supera l’ennesima sfida che vede il passaggio dalle piattaforme testuali ai sistemi grafici: su tutti, dal sistema operativo DOS all’ambiente di lavoro WINDOWS. Sono momenti difficili e delicati, nei quali si assiste ad un generale disorientamento fra i produttori, i distributori e gli utenti. Vengono ripensate le modalità, le metodologie e le strategie di fare formazione. Si passa da una lettura lineare di righe e di caratteri statici (corrispondenza 1 a 1) a pulsanti, icone, finestre estremamente dinamici e di diversa ampiezza. Ci tuffiamo nell’universo della rete internet! Si incomincia a parlare del concetto di Accessibilità ai sistemi, agli applicativi, ai libri di testo digitali. Qui, non si spaventa il braille, ma chi il braille ha il dovere di insegnarlo. L’Accessibilità è un termine che sottintende un concetto ancora oggi di stretta attualità. Sfocerà con la Legge Stanca n. 4 del 9/1/2004, il cui articolo 1 recita: “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” e si basa sul principio costituzionale di uguaglianza, affermando che “la Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici”.
La progressiva miniaturizzazione dei prodotti tecnologici e della componentistica incoraggia le aziende del settore a disegnare display e tastiere braille dalle dimensioni sempre più ridotte. Due ulteriori campi di applicazione prevalgono e si profilano due distinte direttrici.
La prima consente, a chi sa scrivere in modalità braille, l’utilizzo di quella vasta gamma di notebook progettati appositamente per i ciechi; si tratta di veri e propri computer, muniti di display braille e tastiera braille, con memorie praticamente illimitate, su cui sono installati software proprietari e in quelli di ultima generazione sistemi operativi open-source. La consultazione di testi, la stesura di appunti o relazioni, la gestione di rubriche e agende, rendono queste “macchinette” amici fedeli e preziosi nella conduzione delle attività di tutti i giorni: a scuola, al lavoro, nella vita privata. Sono vere e proprie biblioteche portatili! La dotazione di funzioni quali la gestione della posta elettronica, la connessione ad internet e al satellitare le rende particolarmente appetibili e versatili.
La seconda prospettiva ci riconsegna una piena e “totale” accessibilità al mondo dei tablet e degli smartphone. Viviamo un ulteriore passaggio che determina una rivoluzione radicale, sia dal punto di vista sociale (cambiano i canali di comunicazione e cambia il linguaggio di comunicazione, le relazioni aumentano in numero e diminuiscono in solidità, si azzerano le distanze), sia nelle modalità di utilizzo (sono dotati di tecnologia touch, non dispongono di tastiera fisica). Sono dispositivi potentissimi, destinati nel tempo a sostituire i tradizionali computer. Montano sofisticatissimi screen reader di alta qualità che permettono una buona interazione tramite il canale vocale e il sistema braille. Tuttavia, mancando di tasti in rilievo integrati, il loro pieno utilizzo da parte di noi ciechi richiede elevate abilità e specifiche competenze. Per queste ragioni, il loro utilizzo in campo scolastico e professionale è pregiudicato e circoscritto a esigue aree di applicazione. Connettere un display braille, magari munito di tastiera braille, ad uno smartphone è oggi, comunque, un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, dal momento che qualsiasi informazione da internet, la lettura di libri e giornali, la consultazione di dizionari, la fruizione di giochi, tutto è a portata di dita, tutto è immediatamente braille che scivola sotto le mani: abbiamo l’opportunità di leggere, di conoscere, di avere il mondo in braille, in una mano. Quell’opera che una volta “rubava” spazio nelle nostre case, oggi conserva le sue 96550 parole in 600 kb di memoria che corrispondono a 600.000 caratteri. Per rendere ancora una volta
l’idea più precisa del cambio di prospettiva, la dimensione media di una memory card è di 64 giga che equivale a 64 miliardi di caratteri. A dire che questo contenitore è capace di ospitare circa 106.000 (cento seimila) testi della Divina Commedia. Se dovessimo riprodurli in tradizionali volumi braille, ricopriremmo oltre 200 km, distanza tra Milano e Bologna.
Il tema della produzione del braille, volendo riferirsi in questo senso alla stampa su materiale cartaceo di testi, appunti, disegni, offre spunti di interessante dibattito tra i produttori di stampanti braille, esperti di tiflotecnica, di tiflopedagogia e tifloinformatica. E’ evidente che, con l’avvento del digitale, l’utilizzo diffuso di questo supporto non è più completamente giustificabile. Ragioni come quelle dell’ingombro, della conservazione del materiale, della tempistica nella realizzazione, dello scorrimento rapido del testo, fanno optare per la creazione di documenti informatici decisamente più “manipolabili”. Ciò non di meno, la varietà dei costi e la disponibilità di un’ampia gamma di modelli di stampanti aprono ad utili campi di applicazione. Poter ad esempio disporre con relativa facilità di una stampante braille, a casa o a scuola, rende possibile, in linea generale da chiunque, il trasferimento rapido su carta di parti di testo, di esercitazioni, di semplici matrici e di grafici accessibili. Si aggiunge che, oltre che per la velocità di stampa e per la possibilità di stampare ad interpunto, i modelli più evoluti sono in grado di riprodurre disegni in rilievo, in nero, a colori. E’ possibile ottenere scritte in braille, in nero o in entrambe le modalità sovrapposte. La facilità di avere in un “batter d’occhio” qualsiasi testo digitale stampato – si pensi che anche la trascrizione di un libro mediante scanner è un’operazione alla portata di tutti – pone il problema della qualità della segnografia e dell’osservanza delle regole di impaginazione braille. La duplice prospettiva di leggere in braille su carta o tramite display propone un altro motivo di riflessione: l’insegnamento del braille può avvenire indifferentemente attraverso entrambi i supporti? Unanimemente gli esperti sono del parere che, per ragioni che qui non tratteremo relative allo sviluppo della percezione tattile e dell’acquisizione del concetto di spazialità, soprattutto se il discente è un bambino, muovere i primi “passi” nella fase di prima alfabetizzazione del codice, scorrendo le dita su una pagina tradizionale, sia un processo indiscutibilmente insostituibile.
Al termine di questa, seppur veloce e incompleta panoramica, possiamo affermare che la tecnologia, almeno quella buona ed amichevole, non sembra avere, fino ai nostri giorni, penalizzato oltremodo il braille e le nostre velleità di integrazione sociale. Indubbiamente, non è concesso abbassare la guardia allentando la pressione sui produttori di tecnologia assistiva e rinunciando alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema dell’accessibilità digitale.
Le leve e gli ambiti, tuttavia, verso i quali sarebbe più proficuo indirizzare le nostre intelligenze più vivaci e i nostri sforzi, ritengo che riguardino, almeno in questa fase, i contesti di applicazione e le modalità di utilizzo dei software applicativi. In questo senso, dobbiamo provare a valutare con obiettività i vantaggi derivanti da un’ottima padronanza della letto – scrittura del codice e da un’ottima padronanza delle funzioni e delle potenzialità dei più moderni dispositivi elettronici braille, nonché gli svantaggi derivanti dal non esserne in possesso.
Se pensiamo, ad esempio, al tema dell’inclusione scolastica, sappiamo che il modo di fare scuola e la comunicazione didattica, diversamente dal passato, sono basati sulla velocità, sulla varietà delle fonti, sulla comunicazione non verbale, sulla trasmissione di immagini/video; ne consegue che la parola, scritta o parlata, perde di valore, diminuisce di importanza e di incisività, non costituendosi quale solo veicolo privilegiato nella trasmissione degli insegnamenti. Ciò inevitabilmente riduce per tutti in maniera drastica i tempi dedicati alle esercitazioni della lettura (ad alta voce) e della scrittura. A maggior ragione, il sistema braille, implicando e richiedendo fatiche ed energie ulteriori, non incoraggia certo gli studenti non vedenti e chi ha il compito di insegnarlo ad investimenti giudicati superficialmente inopportuni. In più, nei casi in cui, per buona sorte ve ne sono molti, si conviene di riservare spazio temporale all’insegnamento del codice braille, emerge largamente una gravissima lacuna metodologica che rischia di vanificare gli sforzi e di conseguenza compromettere la qualità dei risultati. E’ fuor di discussione che è di enorme importanza insegnare il braille in qualsiasi modo, purché si trasferiscano all’allievo le abilità anche minime nella decodifica e nella
composizione dei caratteri: tramite tavoletta e punteruolo o tastiera braille, su carta o su display braille. Lodi a coloro che si adoperano su base volontaristica a tenere corsi di alfabetizzazione braille in prevalenza a favore degli adulti, promossi dalle nostre strutture associative e dai nostri circoli ricreativi. Se questo è apprezzabile nelle situazioni in cui si intende perseguire l’obiettivo del trasferimento della conoscenza del sistema in breve tempo, di contro, l’insegnamento della letto-scrittura in un contesto scolastico, quale strumento essenziale nel processo di crescita culturale del bambino/ragazzo non vedente, presuppone solide metodologie e strategie didattiche che vanno ben al di là del mero e pedissequo insegnamento mnemonico tabellare e della rappresentazione dei punti per ciascun carattere. Senza avere la pretesa di essere esaustivi in questa sede nella trattazione dell’argomento, penso che, in troppe circostanze, l’incertezza nel possesso di un metodo tiflo-didattico consolidato, sia la causa principale della sostanziale inefficacia di chi insegna e di un generale “impigrimento” di chi apprende. Nei corsi di insegnamento del braille rivolti agli insegnanti, ma ancor prima nei percorsi formativi nell’area tiflopedagogica, l’insegnamento di questo codice avviene, spesso, seguendo criteri privi di fondamento didattico e scientifico. E’ compito di chi disegna percorsi formativi di alto livello scongiurare questo rischio. Dobbiamo affidare a chi si occupa di scienze tiflologiche l’abilità di trasferire ad altri formatori la consapevolezza e la competenza didattica a sostegno dell’insegnamento del sistema braille. In caso contrario, i nostri ragazzi, ultimo anello della catena, mostreranno forti fragilità, incertezze e reticenze nell’utilizzo del sistema, trovandolo eccessivamente faticoso e praticamente inutile. Pena, nel tempo, il suo inevitabile progressivo abbandono. (Analfabetismo di ritorno)!
Il mondo delle aziende e l’inserimento nel mercato del lavoro sono un ulteriore contesto meritevole di attenta analisi. I nuovi scenari in questo campo presuppongono prerequisiti di ingresso selettivi, in assenza dei quali si è estromessi. I ciechi, se posseggono abilità accertate e consolidate nell’autonomia e nell’uso della tecnologia, se dimostrano elevate competenze linguistiche, hanno sicuramente frecce al loro arco per far bene. L’esperienza dell’Istituto dei Ciechi di Milano, che da quasi 15 anni investe risorse nell’area dei servizi al lavoro, fornisce molti elementi di valutazione. In sintesi, gli operatori che hanno il compito di condurre analisi dei contesti aziendali, verificare l’accessibilità delle procedure in dotazione, accertare i prerequisiti e attitudini di chi è in cerca di occupazione e progettare percorsi di formazione mirata, osservano generalmente notevoli possibilità di successo allorché si è in presenza di una buona conoscenza del braille da parte dei candidati. Incontrovertibilmente, il possesso di questo strumento favorisce l’autonomia nella manipolazione di documenti e nella gestione di complesse banche dati. Di inestimabile valore ed estremamente apprezzata è la partecipazione in forma del tutto autonoma del non vedente ai processi produttivi. Scrivere e leggere il braille consente l’uso versatile e discreto di qualsiasi dispositivo di facile trasporto: smartphone con display braille o notetaker. Tutto ciò a beneficio dell’inclusione e della proattività.
Personalmente, non so che cosa ne sarà dell’alfabetizzazione dei ciechi negli anni futuri. Se, parola di Albert Einstein, “tutto ciò che ha valore nella società umana, dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate a ciascun individuo”, si può ritenere, senza timore di essere smentiti, che il possesso del codice braille ci metta sulla retta via. Comunque sia, credo nell’immortalità del punto braille che consente ai ciechi di toccare il mistero delle bellezze sublimi e universali; di godere delle emozioni più genuine che costituiscono l’essenza del dono della vita. Leggere in braille versi poetici esalta la complicità tra il sig. Braille e il Poeta con la P maiuscola che si fa indissolubile dinnanzi a tre versi che desidero condividere con il lettore:
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense”.
Da ultimo, non avrei mai immaginato da studente che l’apprendimento del braille sarebbe stato motivo di un’immensa gioia interiore difficilmente descrivibile e che avrebbe ripagato tutte le fatiche della gioventù. Il braille, solo il braille, può e sa far sorgere nel nostro animo una struggente emozione che, forse, costituisce la vera ragione del nostro essere al mondo. Ritrovarsi nel ruolo di padre a leggere con le mani a voce sommessa la favola della buonanotte alla propria bimba è la fortuna più grande che abbia ricevuto dalla vita. Penso che “l’atto di leggere” per tuo figlio, per tua moglie o marito, semplicemente per te stesso, sia un gesto che ti fa sognare un futuro più facile, che ti illumina il viso di un sorriso coinvolgente, che ti ripaga di una malinconia che, forse, si è stratificata ed alberga nei labirinti più intimi e profondi dei nostri sentimenti. Anche per questa ragione, sono infinitamente grato al braille e mi inchino alla base dei suoi puntini.
A lui e a chi lo insegna con professionalità, auguro tanta salute e lunga vita
Franco Lisi – Direttore Scientifico dell’Istituto dei Ciechi di Milano

 

Annuncio, di Emilio Noris

Autore: Emilio Noris

Sono Noris Emilio una volta esisteva in braille un giornale dal titolo “Città nuova” dei Focolarini. Siccome io sono molto di fede chiedo vivamente se c’è qualcuno come me che può dare la sua adesione perché possa essere ristampato.

Sentitamente ringrazio.

Noris Emilio

Via Borgo Palaazzo, 167/c

24125 Bergamo

 

Guida al buio 8 e 9 marzo alla Fiera di Roma

Guida al Buio sarà presente alla fiera MotoDays che si terrà a Roma a marzo nelle giornate dell’8 e del 9 marzo per permettere a chiunque voglia, vedente e non vedente, di provare questa emozione della guida senza poter vedere e dovendoci affidare totalmente della voce guida dell’accompagnatore.

Nel 2015 abbiamo fatto fare un guinness world record a  Daniele Cassioli, cieco dalla nascita, alla guida di una vettura in pista per sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti della disabilità..da lì, dato il consenso da parte delle unioni ciechi e dei ciechi che ci hanno contattato personalmente, abbiamo deciso di creare la Guida al Buio.
Ci lavorano istruttori, psicologi, ricercatori sensibili a questo mondo.
Spiegare in cosa consiste veramente e cosa ci sta dietro ..non è semplice.
Ogni volta veniamo pervasi da emozioni nuove ed è bello regalare sorrisi a tutti, senza esclusivismi, dal nord al sud di questo nostro meraviglioso Paese.
Vi  invitiamo a PROVARLA DI PERSONA!

Meglio di tante parole può dar un’idea la visione del nostro  sito http://www.guidaalbuio.com/  dove ci sono anche le testimonianze di chi ha provato.
….

Rubrica di SlashRadio “Chiedi al presidente”, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Care amiche, cari amici, il prossimo appuntamento con questa nostra rubrica di dialogo diretto è fissato per Mercoledì 28 febbraio dalle 16.30 alle 17.30, su SlashRadio.

 

Durante la trasmissione, nel mio ruolo di Presidente Nazionale, risponderò in diretta a tutte le domande che gli ascoltatori vorranno rivolgermi, su tutti gli argomenti che riguardano la vita associativa.
Le domande, come al solito, saranno libere, dirette e senza filtri e potranno toccare tutti gli aspetti della nostra attività associativa e tutti i temi concernenti la vita dei ciechi e degli ipovedenti italiani.
Le modalità di contatto per indirizzare le domande o intervenire in trasmissione, sono:

– email, all’indirizzo
chiedialpresidente@uiciechi.it

– modulo web, all’indirizzo
http://www.uiciechi.it/radio/radio.asp

telefono, durante la diretta, ai numeri
06 6998-8353 / 06 6791-758

Vi attendo numerosi per continuare il nostro meraviglioso dialogo mensile.

Per ascoltare SlashRadio sarà sufficiente digitare la stringa:

http://www.uiciechi.it/radio/radio.asp