Torball maschile: Bergamo vince la Coppa Italia

Si sono giocate questa domenica 3 aprile le gare valide per la fase finale di Coppa Italia. Al termine di una maratona combattutissima, il successo è andato all’Asd Omero Bergamo che ha sconfitto nella finalissima il Gsd Colosimo: 2-1 nella prima sfida, 1-0 nella seconda. Entrambe le partite sono state molto equilibrate. L’Asd Omero Bergamo aveva battuto in semifinale l’Asd Augusta No.Ve. con il punteggio di 2-1, mentre il Gsd Colosimo aveva eliminato l’Asd Teramo Non Vedenti con il 3-2 il risultato. La Fispic si congratula con tutte le squadre che hanno partecipato alla fase finale dando vita a due giorni di sport intenso ed emozionante e fa i complimenti all’Asd Omero Bergamo che ha conquistato il prestigioso trofeo.

Risultati – Teramo, sabato 2 aprile 2016
1 TERAMO NON VEDENTI ASD-ASD CIECHI BRIANZA 7-4
2 ASD OMERO BERGAMO-GSD COLOSIMO 6-1
3 GSD NON E SEMIVEDENTI BOLZANO-ASD AUGUSTA NO.VE. 1-1
4 ASD OMERO BERGAMO-TERAMO NON VEDENTI ASD 3-4
5 GSD COLOSIMO-GSD NON E SEMIVEDENTI BOLZANO 5-1
6 ASD CIECHI BRIANZA-ASD AUGUSTA NO.VE. 4-9
7 TERAMO NON VEDENTI ASD-GSD NON E SEMIVEDENTI BOLZANO 9-3
8 ASD AUGUSTA NO.VE.-ASD OMERO BERGAMO 4-1
9 ASD CIECHI BRIANZA-GSD COLOSIMO 1-5
SEMIFINALI

1 Teramo- Colosimo 2-3
2 Augusta-Bergamo 1-2

FINALE

1 Colosimo-Bergamo 1-2
2 Colosimo-Bergamo 0-1

premiazione Asd Omero Bergamo

premiazione Asd Omero Bergamo

BXC: Lampi Milano e Patrini Malnate si dividono la posta

Domenica 3 aprile, presso il campo Gurian Di Malnate, i Patrini Malnate e Lampi Milano si sono affrontati in un doppio incontro valevole per il Girone Ovest del XX Campionato Italiano di baseball per ciechi.
Nel primo match i Lampi si sono imposti 10 a 3, mentre i Patrini hanno avuto la meglio, nella seconda partita, per 9 a 6.
Sempre questa mattina, a Firenze, la Fiorentina BXC ha conquistato un pareggio e una vittoria (17 a 17 e 18 a 13) contro il Bologna WSCvinta.
Classifiche
Girone Ovest
1. I Patrini Malnate punti 4 (2-0-2) – media 500
2. Lampi Milano 2 (1-0-1) – 500
3. Thunder’s Five Milano 2 (1-0-1) – 500
4. Tigers Cagliari 0 (0-0-0) – 000
Girone Est
1. Fiorentina BXC punti 3 (1-1-0) media 750
2. BolognaWSCvinta 5 (2-1-1-) – 625
3. Blue Fire Cus Brescia 0 (0-0-0) – 000
4. Allblinds Roma (0-0-2) – 000

Macerata – Servizio civile Nazionale – Avviso di selezione

L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, Sezione Provinciale di Macerata, pubblica il presente avviso di selezione per 1 posto di volontario del Servizio Civile Nazionale per l’accompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili.
Requisiti richiesti:
cittadini dell’Unione europea o cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti
non aver riportato condanne penali;
Età compresa tra 18 e 28 anni
Possesso di Diploma di Scuola Secondaria di Secondo grado
Conoscenze informatiche di base
Predisposizione al lavoro di gruppo
Possesso di patente B
Orario settimanale di servizio: 36 ore.
Retribuzione mensile: 433,80.
Le domande (allegato 2 e 3), possono essere presentate esclusivamente secondo una delle seguenti modalità:
1) con Posta Elettronica Certificata (PEC), avendo cura di allegare tutta la documentazione richiesta in formato pdf;
2) a mezzo “raccomandata A/R”;
3) consegnate a mano.
Le domande dovranno essere presentate entro le ore 14.00 del 20 aprile 2016, corredate unicamente da carta d’Identità in corso di validità (non è ammessa la patente), indirizzate a:
Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti
Sezione Provinciale di Macerata
Via Lauro Rossi, 59 – 62100 Macerata
I candidati, in possesso dei requisiti previsti dal bando, saranno convocati per il colloquio di selezione che si svolgerà in data da stabilire. I titoli presentati e il colloquio di selezione concorreranno all’attribuzione del punteggio finale.

Falsi ciechi: basta polveroni e mettiamoci mano – Comunicato Stampa

“L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti – afferma il presidente nazionale Mario Barbuto – è in prima linea per combattere il “fenomeno” dei falsi invalidi. Da sempre l’Unione si batte per far emergere i reali dati del problema e non i polveroni mediatici. Dietro a ogni falso cieco c’è una Commissione medica che ne ha certificato l’invalidità e ogni tot anni la verifica. Se è vero che da decenni le regioni meridionali hanno percentuali di pensioni di invalidità doppie, se non di più, rispetto alle regioni del nord Italia, ed è altrettanto vero che la spesa pro-capite per l’assistenza sociale è un decimo – e allora la pensione d’invalidità è una forma di ammortizzatore sociale? – certamente così non può e non deve essere. Chiediamo – prosegue Barbuto – un’azione condivisa da tutte le parti coinvolte affinché si metta mano una volta per tutte a questa situazione che, gestita solo giornalisticamente, danneggia i veri disabili senza incidere sul problema”.

Sintesi dei lavori Commissione Nazionale Sport, Tempo Libero e Turismo – 8 marzo 2016

Il giorno 8 marzo 2016 , si è riunita in Roma la Commissione dello Sport, Tempo libero e Turismo sociale.

Dopo un breve saluto, il Coordinatore, Hubert Perfler ha delineato , seguendo le linee guida tracciate dalle mozioni dell’ultimo Congresso Nazionale, le tematiche su cui la Commissione è chiamata ad operare. A tal fine, per meglio agire , si conviene

– di dividere la Commissione in tre settori, Sport, Tempo libero e Turismo , in modo da assegnare ad ogni singolo componente una tematica specifica da approfondire.

– di organizzare delle “ Riunioni d’area” suddivise in tre macro regioni, Nord , Centro e Sud

per incontri con i referenti dello Sport e Tempo libero locali , utili ad incentivare , promuovere ed organizzare manifestazioni legate allo sport e al tempo libero.

– Realizzare, nel 2017, al fine di approfondire le tematiche dello Sport come mezzo di inclusione, un convegno dal titolo “ L’etica dell’inclusione”.

– Collaborare, in fatto di accessibilità, con i siti erogatori di servizi turistici, affinché vengano implementati con parametri universali utili per tutti i fruitori.

– di realizzare convenzioni e/o collaborazioni con associazioni (C.I.P , F.I.S.C.I.P, C.A.I. ecc.)

che si occupano di Sport e Turismo.

– di studiare la fattibilità, in occasione del centenario della nostra Associazione, di effettuare

la “Francigena per il Giubileo” da Assisi a Roma.

– Realizzare e promuovere convenzioni per la creazione di giochi accessibili per ciechi ed ipovedenti sul PC e Smartphone con software house, in collaborazione con la Commissione Ausili e Tecnologie.

Chiavari – Settimana verde nelle dolomiti sport e relax in val di fiemme 8 giorni dal 3 all’11 settembre 2016

La Sezione di Chiavari dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Onlus della Liguria, con l’assistenza della Scuola Alpina di Polizia di Moena, organizza una settimana verde a Cavalese in Val di Fiemme, dal 3 settembre all’11 settembre 2016. . Il soggiorno dell’anno scorso a Cavalese ha avuto un grande consenso. Abbiamo fatto gite diverse da quelle degli anni precedenti, belle, interessanti e hanno soddisfatto appieno anche coloro che volevano camminare a lungo. Cambieremo però albergo, restando sempre a Cavalese e rimanendo nel centro storico, anzi proprio sulla piazza centrale, di fronte al Palazzo della Magnifica Comunità di Fiemme e alla Torre Civica. All’Hotel Excelsior, in un antico palazzo del 1500 ristrutturato e arredato con mobili in stile, troveremo una calda accoglienza e saremo coccolati dalla famiglia Gilmozzi, in un ambiente romantico e rilassante. La cucina ci farà concludere con gusto le giornate che passeremo all’aria aperta. quest’anno, per agevolare coloro che arrivano con il pullman di linea da Genova, ci fermeremo 8 giorni anziché 7. Avremo così modo di fare una gita in più sabato 10. Per i nuovi iscritti, un cenno sul borgo di Cavalese, che l’anno scorso è stato molto apprezzato. Posto su di una terrazza pendio che sovrasta la vallata. Il centro storico è gradevolissimo, facile da percorrere, lastricato con piccoli cubetti di porfido, ricco di storia, di bei palazzi antichi e di negozi di ogni genere dove sarà piacevole ed interessante fare shopping. Cavalese dispone anche di un bellissimo parco per rilassanti passeggiate e di una piscina coperta. Ed ora veniamo alla nostra settimana, che sarà come sempre imperniata sulle escursioni giornaliere con le nostre amatissime e professionali guide, i poliziotti della Scuola Alpina di Polizia di Moena. Come già avvenuto l’anno scorso, potremo ampliare ancor di più la nostra conoscenza dei bellissimi dintorni della Val di Fiemme. Tutte le gite sono state apprezzate, in particolar modo l’Alpe di Pampeago, con i suoi spazi grandiosi e gli interessanti cartelloni naturalistici lungo il percorso. Il bagno nel laghetto di Bombasel al Cermis è stato eccitante e tonificante. Anche la gita dell’ultimo giorno al Passo degli Oclini a 2 quasi 2000 metri, è stata un successo. Come all’Alpe di Pampeago, grande estensione di cime tutto intorno e prati immensi dove è stato bellissimo camminare. Al rifugio si è cantato tutti insieme ed è stato un magnifico momento di coesione e di nostalgia perché la settimana era finita. PROGRAMMA DELLA SETTIMANA Arrivo all’hotel sabato 3 settembre, ognuno con i propri mezzi. A tale riguardo, si prega di comunicare le modalità di arrivo, in modo da potervi aiutare nel trasferimento all’Hotel. Dopo la cena, primo incontro fra i partecipanti e gli organizzatori, per comunicazioni riguardanti l’organizzazione pratica della settimana. Dal 4 al 10 settembre: escursioni giornaliere con percorsi che verranno di giorno in giorno definiti dai nostri accompagnatori. Coloro che invece preferiranno restare a rilassarsi in albergo e dintorni, saranno liberi di farlo. Per costoro, con preventiva richiesta agli organizzatori, sarà possibile disporre del pullmino (che anche quest’anno porteremo al seguito della settimana), per fare eventuali gite turistiche nelle Dolomiti, oppure più semplicemente per raggiungerci al rifugio nel quale andremo a pranzare. Domenica 11 settembre: in mattinata, partenza per le proprie destinazioni. Non viene richiesto l’accompagnatore, ma in albergo ognuno dovrà essere autosufficiente negli spostamenti e nelle normali pratiche quotidiane. Essendo la stagione avanzata è indispensabile avere con sé una giacca a vento e abbigliamento da montagna, adeguato sia al caldo che al freddo. Inoltre è indispensabile per tutti coloro che camminano, avere scarponcini da montagna e zaino. I bastoncini da escursionismo potranno essere eventualmente acquistati in loco.. Per chi invece desidera restare a pranzo in albergo, ricordiamo che il costo dello stesso quest’anno è di 21 Euro, comprensivo delle bevande ed è prenotabile giornalmente. La quota della settimana verde con trattamento a mezza pensione per 8 giorni, è di € 480 per la camera doppia e di € 560 per la camera singola. Le bevande a cena sono incluse. La quota comprende anche l’uso gratuito del centro benessere. Sono invece a parte i massaggi in camera, peraltro a prezzi contenuti. Inoltre, è compresa anche la card dell’ospite, che offre la mobilità gratuita in tutto il trentino e l’accesso gratuito ai musei. La quota non comprende: il viaggio andata e ritorno e il pranzo di mezzogiorno Inoltre, occorrerà pagare il pranzo ai nostri accompagnatori. A tale riguardo e solo per coloro che faranno le escursioni, a inizio settimana verrà creato un fondo comune gestito dagli organizzatori, per rendere più agevoli questi pagamenti nei rifugi dove pranzeremo. Le iscrizioni sono da confermare con il versamento di una caparra di € 100,00, entro il 3 giugno sul conto corrente bancario intestato a Unione Italiana Ciechi sezione di Chiavari, banca CARIGE contrassegnato da iban: IT58B0617531950000001879980 con la causale “anticipo settimana cavalese”. Si precisa inoltre che in caso di rinuncia, la caparra versata non potrà essere restituita. Il saldo dovrà essere versato sullo stesso conto corrente bancario inderogabilmente, per motivi organizzativi, entro il31 luglio 2016, precisando nella causale “saldo settimana Cavalese”. Tutti i partecipanti sono coperti da polizza assicurativa contro gli infortuni. Per ulteriori informazioni o chiarimenti telefonare ai seguenti organizzatori: – Luciano Frasca cell. 389 071 0527 – ufficio 010 54 96 560 – casa ore serali 010 39 53 44. – Olivieri Maria Grazia cell. 329 43 19 147 – casa ore pasti 0185 30 79 00.

Presentazione del volume “Il Typhlology skilled educator e le scienze tiflologiche”, di Marco Condidorio: mercoledi’ 6 Aprile, ore 16.00 – Slashradio.

Mercoledi’ 6 Aprile, con inizio alle ore 16.00, andrà in onda su Slashradio una trasmissione dedicata alla presentazione del libro di Marco Condidorio: “Il Typhlology skilled educator e le scienze tiflologiche”.
La trasmissione sarà condotta da Luisa Bartolucci e vedrà la partecipazione in studio dell’autore. Gli ascoltatori potranno, come di consueto, scegliere diverse modalità di intervento: tramite telefono contattando durante la diretta i numeri 06-69988353, 06-6791758 o inviando e-mail, anche nei giorni precedenti la trasmissione, all’indirizzo diretta@uiciechi.it o ancora compilando l’apposito modulo di Slashradio.
Per ascoltare Slashradio sarà sufficiente digitare la seguente stringa: http://www.uiciechi.it/radio/radio.asp
Il contenuto delle trasmissioni verrà pubblicato sul sito dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti all’indirizzo http://www.uiciechi.it/ArchivioMultimediale
Vi aspettiamo numerosi!

Bergamo – Relazione tenuta dalla Dr.ssa Franchi Valentina, psicologa, al convegno organizzato dalla Sezione di Bergamo dell’Uici

La nascita di una perla è un evento davvero miracoloso. A differenza delle pietre o dei metalli preziosi, che devono essere estratti dalla terra, le perle sono prodotte dalle ostriche o meglio da “molluschi perliferi” che vivono nelle profondità marine. Le pietre preziose devono essere sottoposte al taglio e levigate per farne emergere la bellezza. Ma le perle non hanno bisogno di questo processo complementare. Nascono da questi molluschi con una naturale iridescenza, una lucentezza e una morbida luminosità intrinseca che nessun’altra gemma al mondo possiede.
Non è affatto scontato che un mollusco riesca  a produrre una perla. Solitamente questo avviene perché il mollusco reagisce ad uno stimolo come forma di difesa verso un’intrusione.
La formazione della perla avviene quando sui fondali marini elementi estranei al mollusco penetrano all’interno dell’epitelio, creando un’azione di forte disturbo. In breve, la perla si forma attorno ad un corpo estraneo (granello di sabbia, parassita, larva marina, frammento di conchiglia) entrato nel mollusco; questa intrusione produce una forte reazione nell’animale che, non riuscendo ad espellerla, inizia un processo d’isolamento secernendo una sostanza cristallina liscia e dura, definita sostanza madreperlacea. Fino a quando il corpo estraneo resta nel mantello (lembo cutaneo che si trova tra il guscio e il corpo dell’animale), l’ostrica perlifera continua a secernere intorno ad esso la sostanza madreperlacea, strato su strato. Dopo pochi anni, il risultato sarà quello di una bella e splendente gemma che chiameremo perla.

Resilienza: significato del concetto e sue origini

La resilienza può essere definita come il processo che permette la ripresa di uno sviluppo possibile dopo una lacerazione traumatica e nonostante la presenza di circostanze avverse.
È un termine che deriva dal latino resalio, iterativo di salio, che significa saltare, rimbalzare, per estensione danzare. Il termine è stato coniato in fisica per descrivere l’attitudine di un corpo a resistere a un urto, la capacità di un metallo di riprendere la propria forma dopo aver ricevuto un colpo non abbastanza forte da provocarne la rottura. La durezza, la resilienza, la resistenza alla fatica e alle sollecitazioni, in ingegneria, sono definite proprietà meccaniche di un corpo, ovvero i modi in cui si comporta un materiale quando è sottoposto a sollecitazioni esterne di tipo meccanico. In particolare, la resilienza è considerata la capacità che un materiale ha di sopportare sforzi applicati bruscamente, senza rompersi e senza che si propaghino fessure all’interno; il suo contrario è la fragilità. Nel linguaggio informatico, la resilienza concerne la qualità di un sistema che gli permette di continuare a funzionare a dispetto di anomalie legate ai difetti di uno o più dei suoi elementi costitutivi.
Negli anni ottanta il concetto iniziò a essere usato anche in senso figurato, venendo a indicare la nozione secondo cui dopo un trauma passibile di provocare “un’agonia psichica”, come è stata definita da un importante psicoanalista, la persona ferita nell’anima può ritornare alla vita. Il colpo è esistito nel reale, ma il soggetto riesce a riprendersi, ritornando non alla sua vita precedente – in quanto conserva la traccia del colpo nella sua memoria – ma a un’altra vita, appassionante quanto difficile.
Per ragionare secondo questo schema occorre abbandonare la causalità lineare (è stato gravemente ferito e quindi è spacciato per tutta la vita), abituandosi a considerare i problemi nel quadro di un sistema: se un elemento del sistema si rompe, come accade in seguito a un trauma, è l’insieme del sistema stesso che si modifica.

Una delle caratteristiche più interessanti che emerge dagli studi sulla resilienza è proprio la capacità di trasformare un’esperienza dolorosa in apprendimento, inteso come la capacità di acquisire delle competenze utili al miglioramento della qualità della vita e all’organizzazione di un percorso soddisfacente, in relazione al contesto di riferimento. L’evento traumatico, che in molti casi rischia di far richiudere la persona solo ed esclusivamente nella condizione di dolore, causa di azioni e comportamenti spesso nocivi, può divenire, al contrario, motore di cambiamento possibile.
È stata proposta, trattando il tema della guarigione di fronte ai traumi, oltre a quella dell’ostrica e della perla la metafora dell’albero: ferito da giovane, cresce intorno alla ferita. Durante la sua crescita la ferita diviene piccola in confronto alle sue dimensioni. I nodi e i rami, anche deformi, testimoniano gli ostacoli procurati nel tempo e superati. Il modo in cui l’albero cresce e si sviluppa esprime la sua originalità e la sua bellezza.
Vulnerabilità e risorse

Il processo di resilienza implica la possibilità di integrare i due volti – limite e capacità – nel corso del percorso di vita. L’incontro tra le risorse e i limiti, fra la parte forte e debole, non designa, da questo punto di vista, la separazione tra i due aspetti, ma al contrario la loro complementarietà e la possibile ricerca di integrazione.

La dimensione della vulnerabilità, assunta come componente complementare da associare alla dimensione risorsa, a volte non ancora compresa e conosciuta, può trasformarsi in opportunità di crescita.
L’etimologia della parola vulnerabilità deriva dal latino vulnus, che significa ferita e che può condurre ad altre parole quali lesione, strappo, bruciatura, o ancora a una ferita rimarginata che comporta sempre una cicatrice. La ferita deve essere protetta, disinfettata e fasciata: ha bisogno di tempo, spazio, cure e attenzioni particolari per potersi rimarginare in modo appropriato. L’animo umano, quando è ferito, funziona un po’ come la pelle: quando il sistema si rompe, si entra in una fase di confusione e di perdita della bussola interna che fino a quel momento aveva permesso l’orientamento, e si accede a una condizione di vulnerabilità in cui gli elementi di vulnerabilità predominano su quelli di forza. La crisi rappresenta anche una rottura: non si è più quelli di prima ma cosa si diventerà ancora non è dato saperlo.
In un primo momento la fuga può essere un percorso possibile, che ripara dalla disintegrazione totale e dalla crisi all’interno della quale ci si trova. È importante però che essa rappresenti una condizione momentanea e non di stabilità, poiché fa correre il rischio di voler interrompere il cammino per evitare di soffrire ancora.
La vulnerabilità sembra essere, in questo particolare momento storico e nella società occidentale, una condizione che spaventa, e sempre più spesso si tenta di allontanarla, negando la parte di fragilità che è in ogni uomo. Crediamo, forse troppo spesso, di essere individui invulnerabili, in grado di sopportare qualsiasi situazione, o forse i valori che sembrano caratterizzare il nostro mondo occidentale, quali il denaro, il successo, la competizione, la produttività, inducono a comportamenti di chiusura, e di negazione delle nostre stesse sofferenze quotidiane.
Un approccio resiliente alle difficoltà, viceversa, necessita di una disposizione ad abbandonare alcune delle certezze e dei propri assoluti per scoprire che ciò che non conosciamo può essere motivo di apprendimento di un qualche cosa di inaspettato; implica, inoltre, l’incontro tra l’esperienza acquisita nel corso dei tempi, che ha favorito la costruzione del percorso di vita e ha fatto assumere delle certezze e l’inatteso, il nuovo che può arrivare, la risorsa che può scaturire, nonostante le premesse e le aspettative di partenza. Necessita, inoltre, della possibilità di prendere le distanze da una modalità che giudica, interpreta, circoscrive senza lasciare vie di scampo, ancora prima di avere osservato e offerto un’occasione per il cambiamento.
Le crisi, in questo modo, possono essere assunte come elementi di ricchezza, generatrici di nuove esperienze. Esse sono da considerarsi, nonostante il dolore che possono generare e il desiderio di allontanarle, come passaggi e situazioni che immancabilmente si incontrano. Crescere implica anche entrare in crisi, ed è sinonimo della potenza creatrice che può scaturire da un momento di assoluta difficoltà.
Il benessere psichico, nei momenti di crisi, ha anche fare con la ricerca di strategie che permettano di riannodare i fili di una storia interrotta che non deve essere negata e nella quale l’evento traumatico non sarà eliminato, strategie che però contribuiranno al superare soglie di dolore che, diversamente, sarebbero molto più difficili da affrontare.
La sofferenza, infatti, può essere trasformata, elaborata, ma non negata o omessa. Il dolore può invadere e indurre a comportamenti di evitamento, di chiusura, di negazione a causa dell’impatto e delle condizioni all’interno delle quali ci si trova ad operare; a ciò si oppongono la possibilità di riannodare fili tra passato, presente e futuro e la dimensione della speranza.
La resilienza implica, dunque, la capacità di balzare fuori, di saltare, quindi è un po’ questa capacità di risposta interna di una persona ad affrontare situazioni difficili della vita, la cui assenza è definita sindrome di Charlie Brown, che indica il sentimento di impotenza tipico e naturale di colui che ha la percezione di non avere alcuna personale capacità di controllo sulla sua situazione, nessuna capacità di poterla modificare o di prevedere un aiuto, un rinforzo per riuscire a incidere su di essa.
La resilienza, quindi, non consiste in una riparazione, di un’eliminazione del danno, anzi, si parte da questo, dalla condizione di base che non può essere modificata. Uno studioso della resilienza, quando gli fu domandato: “Come posso agire per evitare di essere chiuso nella sindrome di Charlie Brown?”, rispose: “Quando un quadro rovinato dalle intemperie viene restaurato si verifica una rinascita, un abbellimento, una metamorfosi, poiché i colori tornati freschi e luminosi non sempre corrispondono a quelli originali”.
Alcuni studiosi sostengono che le persone resilienti sono felici, omettendo la dimensione del dolore e della fatica, mettendo in luce solo la dimensione della forza e della possibilità intrinseca ad ogni essere umano, rischiando di promuovere la cultura del più forte sul più debole. La resilienza, viceversa, pur essendo espressione di una via che apre le porte alla speranza e di una potenza che sorprende, ha un prezzo molto alto da pagare: affrontare le prove prima di superarle e uscirne rafforzati. La resilienza non coincide con il sogno americano in cui tutto è possibile, non corrisponde solo alla forza d’animo e nemmeno alla sola forza di volontà, e nemmeno alla felicità. Non si tratta, come abbiamo detto, di negare la dimensione del dolore ma di accoglierla, trasformarla, per non rimanere incastrati solo in essa.
Essere resilienti: la crisi come opportunità

Elemento principale della teorizzazione sulla resilienza è che le crisi, pur con tutto il carico di fatica e dolore che comportano, possono essere considerate anche come delle opportunità.
La crisi infatti ha una caratteristica particolare: porta scompiglio nel sistema di sicurezza e prevedibilità che ognuno di noi, nella sua vita, ricerca e persegue. Sentirsi sicuri e all’interno di un mondo prevedibile, infatti, è un bisogno fondamentale dell’essere umano, e un adeguato senso di sicurezza è condizione necessaria per l’equilibrio psichico. Un eccesso di tali componenti, tuttavia, se da un lato ci mette al riparo da sentimenti come ansia e paura, dall’altro impoverisce progressivamente la nostra vita, chiudendoci al nuovo, al diverso, all’imprevisto. Le crisi, in questo senso, riportano inevitabilmente nella vita delle persone queste dimensioni che, se adeguatamente affrontate, possono dare come esito non solo una buona risoluzione della crisi stessa, ma anche un arricchimento generale che forse non sarebbe stato possibile se la crisi stessa non fosse avvenuta.

Il primo passo per entrare in questo percorso e, quindi, per costruire resilienza, è conoscere di che cosa si tratta, ovvero scoprire in se stessi e negli altri gli elementi che hanno permesso di sopravvivere, resistere, trasformare e costruire.

Ma che cos’è dunque la resilienza? Può essere definita come la capacità o il processo di far fronte, resistere, integrare, costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante l’aver vissuto situazioni difficili che facevano pensare a un esito negativo.
La resilienza ha dunque due componenti:
la resistenza alla distruzione e la possibilità di preservare l’integrità nonostante circostanze difficili;
la capacità di costruire positivamente la propria vita nonostante le situazioni difficili.
Si tratta dunque non solo della resistenza ma anche del superamento della difficoltà. Comporta per la persona, quando è sottomessa a pressioni, la possibilità di proteggere la sua integrità, di costruirsi e aprirsi delle vie malgrado le circostanze difficili.
La resilienza propone di non ridurre mai una persona ai suoi problemi ma di dichiarare anche le sue potenzialità. Ciascuno deve poter trovare dentro di sè delle soluzioni, ovvero divenire responsabile del suo processo di cambiamento.

La resilienza, afferma uno dei suoi massimi studiosi, è più che resistere, è imparare a vivere. Secondo questa prospettiva, la resilienza non è mai posseduta o non posseduta in assoluto, totale, acquisita una volta per tutte, ma varia a seconda delle circostanze, della natura del trauma, del contesto e dello stadio di vita.

Queste considerazioni suscitano alcune domande: da dove viene questa forza? Quali sono i fattori e gli indicatori sottesi alla resilienza? Quali gli elementi che permettono a una persona di costruirsi un percorso capace di sviluppare resilienza di fronte a eventi critici? Quali le azioni per promuovere e costruire la resilienza? Che cosa accade tra la persona e i suoi limiti e le sue risorse, tra la sofferenza e la volontà di fuoriuscirne?

È corretto parlare di resilienza soltanto se un trauma è seguito da una certa ripresa evolutiva, da una ferita ricucita. L’esperienza traumatica però rimane iscritta nella memoria, le cicatrici rimangono come “lesioni nell’anima del vincitore battuto”. Lo sviluppo non può comunque proseguire il suo iter normale poiché il trauma è diventato parte integrante della storia della persona che, ferita, potrà proseguire uno sviluppo segnato inevitabilmente dalla ferita inferta alla sua personalità. Non sarà però solo una persona lesa, deficitaria, problematica, rinchiusa nel suo dolore. Potrà proseguire il suo sviluppo e trasformare in apprendimento la sua storia.

La resilienza si fonda dunque su un approccio multifattoriale che comprende i fattori di vulnerabilità e i fattori protettivi della persona e del gruppo (famiglia, comunità).
Gli studi sui fattori di protezione dimostrano che la protezione dipende da variabili genetiche e costituzionali, da disposizioni e caratteristiche di personalità, dal sostegno dell’ambiente (familiare ed extra-familiare) circostante e anche dal grado di comprensione, disponibilità e accessibilità sociale.
In generale, i fattori di protezione si possono dividere in fattori individuali (temperamento, capacità di riflessione e comprensione delle cose), familiari (calore umano, coesione e interesse dei familiari o di chi si prende cura), di sostegno (rete di sostegno sociale, organizzazione dei servizi sociosanitari ed educativi).
Non è detto, comunque, che se manca uno dei fattori indicati la resilienza non sia possibile; inoltre l’elenco dei fattori protettivi non deve essere considerato esaustivo e descrittore di un fenomeno in realtà molto più complesso. I fattori di protezione possono promuovere un processo di resilienza, ma non sono la resilienza, e viceversa.

Fatte queste necessarie premesse possiamo ora considerare alcune categorizzazioni proposte per i fattori protettivi.

Gli studi relativi al trauma hanno sottolineato come, in questi casi, la costruzione della resilienza fosse legata ad alcuni fattori:
la natura dell’evento (intensità, durata);
il contesto di vita (presenza o mancanza di una rete di sostegno, di una famiglia, di una comunità di appartenenza);
le caratteristiche individuali;
le competenze (capacità apprese, abilità necessarie ad affrontare una situazione traumatica e consapevolezza di essere in grado di affrontare tale situazione);
le risorse (possibilità di incontrare un contesto e persone – professionisti o meno – capaci di attivare le risorse anche latenti comunque presenti – tutori di resilienza –, e scoperta e riconoscimento di proprie risorse);
stima e fiducia in se stessi e negli altri;
l’avere un progetto e un compito da portare avanti;
la storia dei successi e dei fallimenti.

Alcuni studiosi hanno identificato un insieme di elementi, che costituiscono risorse e forze interne alla persona e sono collegate alla resilienza:
assunzione di consapevolezza: capacità di identificare i problemi, le risorse e a ricercare soluzioni personali e per gli altri ponendo attenzione ai segnali ricevuti dal contesto;
indipendenza: capacità di stabilire dei confini tra se stessi e le persone vicine;
relazioni: sviluppo di relazioni soddisfacenti con gli altri;
iniziativa: permette di controllarsi e dominare il proprio ambiente e di trovare piacere nello svolgere attività costruttive;
creatività: favorisce la possibilità di rifugiarsi in un mondo immaginario che permette di prendere le distanze dalla sofferenza interiore e di esprimere positivamente le proprie emozioni;
humour: consente di diminuire la tensione interiore;
etica: guida l’azione nelle scelte positive e negative e favorisce la compassione e l’aiuto reciproco.

Secondo altri studi, possono aiutare la promozione della resilienza:
le caratteristiche della persona, l’ambiente che la circonda, la società/cultura in cui si situa;
la ricerca di un progetto coerente capace di dare nuovi significati alla propria vita;
il sostegno della comunità (gruppo/famiglia); una comunità che si fonda sui principi della solidarietà e della fratellanza favorisce lo sviluppo della resilienza; è auspicabile quindi la costruzione di una comunità capace di accogliere, senza il bisogno di esibire, le fragilità umane, per aiutare a potenziare gli elementi di forza. Quando si è colpiti da un evento, tragico e improvviso, quando ci si trova in condizioni e situazioni difficili, non è semplice trovare le parole per comunicare, sia per chi versa in questa condizione, sia per chi si trova ad aiutare. L’impatto con la realtà dolorosa rischia di prendere il sopravvento e di non lasciare spazio ad altro. A un luogo in cui abitare, in cui costruire un noi, dove sia possibile esperire, dialogare, incontrare per incontrarsi, attivare un processo di scambio reciproco, attraverso il quale costruire, insieme, un cambiamento possibile. In molte circostanze la persona non chiede aiuto, o non pensa di poterlo trovare, ha bisogno di silenzio, di rispetto e di trovare una mano a cui rivolgersi secondo i suoi tempi, le sue modalità.
La costruzione di un percorso di aiuto reciproco, l’attivazione di sostegni può favorire la costruzione di resilienza nella persona che si trova in situazione di difficoltà e nel contempo aiutare a scoprire e dialogare con le parti ferite, nascoste, insite in ognuno.

Emerge quindi come la resilienza sia l’esito di più elementi e di più livelli (personale, relazionale, sociale). Una possibile schematizzazione di questi livelli è quella che individua, per la costruzione della resilienza, tre fattori: io ho, io sono, io posso.
Io ho, ad esempio, persone che mi circondano di cui mi fido e a cui voglio bene, che mi aiutano quando sono in pericolo o sono malato.
Io sono una persona che può piacere ed essere amata, che ha rispetto di sè e degli altri, responsabile delle proprie azioni e contenta di fare le cose per gli altri.
Io posso trovare il modo per risolvere i problemi che incontro, parlare agli altri di cose che mi spaventano o mi preoccupano e trovare qualcuno che mi aiuti quando ne ho bisogno.

In sintesi, si possono individuare alcune componenti fondamentali della resilienza:
la ricerca e conoscenza dei bisogni e soprattutto delle risorse delle persone e del gruppo, e non solo la definizione di una diagnosi chiara dei problemi;
la possibilità di mobilizzare le risorse e di non focalizzare l’attenzione solo ed esclusivamente sulle difficoltà;
la presenza di interventi con il coinvolgimento attivo della persona, del gruppo e della comunità di appartenenza;
il percorso di cura, riabilitativo, da attuare in funzione di un’attenta analisi dei bisogni;
la relazione, lo stare con, l’essere consapevoli gustando ciò che si ha.

Secondo alcuni autori la resilienza e le tappe attraverso le quali può esse costruita può essere rappresentata come una casa.
Il suolo corrisponde alla soddisfazione dei bisogni primari (alimentazione, sonno, cure primarie, ecc.).
Le fondamenta sono costituite dalle risorse e competenze personali e dalla possibilità di usufruire di contatti informali, di creare una rete solidale.
Nel giardino si trova la capacità di scoprire una coerenza e un senso nel proprio percorso di vita.
Al primo piano della casa troviamo la stima di sè, le attitudini e le competenze, lo humour. Il primo piano corrisponde alla possibilità di costruire progetti concreti, di far assumere alla persona delle responsabilità e di partecipare attivamente. Ciò esige una grande attenzione alla quotidianità, poiché molto spesso si determina attraverso gesti quotidiani; richiede inoltre che vengano valorizzate le attitudini e le competenze della persona perchè questa non sia rinchiusa solo ed esclusivamente nel ruolo di vittima.
Nel granaio vengono collocate tutte le altre esperienze, a seconda del contesto e della situazione.

Mi sembra di poter affermare, per concludere, che la resilienza, alla luce di quanto detto su vulnerabilità, trauma, fattori di protezione, mostri come la persona consti di una natura originale, complessa e solo parzialmente circoscrivibile; la persona prova emozioni e sentimenti, possiede risorse e limiti, fragilità e punti di forza; vive in un contesto, risente ed è influenzata dalla situazione culturale a cui appartiene, esprime dei valori, è circondata da altre persone, situazioni e mondi da esplorare.
La comunità è un fattore di protezione importante per la promozione della resilienza. Pensarsi abitanti in una comunità significa riconoscersi parte di un tutto in cui ognuno e ciascuno possano riconoscersi e in cui sia possibile attivare reti solidali di aiuto, scambio e confronto.

“Le interviste di Slashradio”: giovedì 7 Aprile, ore 16.00

Giovedì 7 Aprile, con inizio alle ore 16.00, andrà in onda su Slashradio una trasmissione dal titolo: “Le interviste di Slashradio”.
Ospiti del programma: alcuni volontari dell’Associazione Museum ONLUS, con i quali ci soffermeremo sull’arte accessibile e sulle diverse iniziative che questa associazione ha posto in essere nel passato ed ha in previsione di attuare nei prossimi mesi. Successivamente, insieme a Silvana Adami, che ne l’autrice e curatrice, presenteremo il volume “Per quelli come noi che amiamo i Pooh”, pubblicato da poco in concomitanza con i cinquanta anni di attività del gruppo.
La trasmissione sarà condotta da Luisa Bartolucci. Gli ascoltatori potranno, come di consueto, scegliere diverse modalità di intervento: tramite telefono contattando durante la diretta i numeri: 06-69988353, 06-6791758 o inviando e-mail, anche nei giorni precedenti la trasmissione, all’indirizzo diretta@uiciechi.it o ancora compilando l’apposito modulo di Slashradio.
Per ascoltare Slashradio sarà sufficiente digitare la seguente stringa: http://www.uiciechi.it/radio/radio.asp
Il contenuto delle trasmissioni verrà pubblicato sul sito dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti all’indirizzo http://www.uiciechi.it/ArchivioMultimediale
Vi aspettiamo numerosi!

Il Museo Omero orgoglio dell’Unione, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Grazie al tenace e prolungato impegno dell’Unione, siamo riusciti ad assicurare al museo Omero le risorse finanziarie pubbliche per continuare a svolgere la sua attività rivolta ai ciechi e agli ipovedenti.
Un luogo di cultura e di promozione che rischiava di fermarsi e che invece potrà proseguire nella sua attività di riproduzione tridimensionale delle più famose opere di scultura di ieri e di oggi.
La dirigenza nazionale dell’Unione, dopo aver tentato con ogni mezzo di assicurare le risorse finanziarie al museo tramite la legge di stabilità 2016, ottenuto il sostegno attivo e convinto delle principali forze politiche presenti in Parlamento, è riuscita a far votare gli opportuni emendamenti nell’ambito del decreto cosiddetto “MILLE PROROGHE”, assicurando un finanziamento statale adeguato per i prossimi anni.
Un ringraziamento di cuore va a tutti quei deputati e senatori che hanno voluto sostenere la nostra causa e la causa del museo Omero, concedendo all’Unione quella fiducia e quel credito che ci aiutano ad andare avanti tutti i giorni, pur tra tante difficoltà.
Non posso che ribadire la mia felicità e la soddisfazione dell’intero gruppo dirigente nazionale per il brillante risultato che abbiamo ottenuto grazie a un efficace lavoro di squadra che assicura al nostro museo Omero un futuro più sereno nello svolgimento delle attività di cultura e conoscenza rivolte non soltanto ai ciechi e agli ipovedenti in Italia e all’estero, ma tese anche a valorizzare un rapporto di scambio con il territorio e con la comune cittadinanza.
Come ha opportunamente sottolineato il presidente del Museo, il nostro è un lavoro di squadra e le donne e gli uomini scelti dal Congresso e dal Consiglio Nazionale dell’Unione per poterlo svolgere, stanno già offrendo prova di talento, impegno e tenacia, in un quadro di crescita personale e collettiva che lascia ben sperare per il futuro sia dell’Unione stessa, sia delle istituzioni a essa collegate.
Quanto è accaduto negli ultimi mesi in relazione al finanziamento del museo Omero rappresenta un esempio splendido di collaborazione e di fiducia reciproca che ha consentito il mantenimento delle risorse statali previste, senza tuttavia arrecare danno ad altri e principalmente all’Unione, mediante scriteriate ed egoistiche azioni e iniziative parlamentari di dubbia efficacia sostanziale e di pessima rappresentazione della nostra immagine globale.
Altri episodi, nello stesso periodo, purtroppo, hanno contemplato scenari differenti, con organizzazioni che vantano lo svolgimento di attività in favore dei ciechi e degli ipovedenti, protese tuttavia a sottrarre fondi direttamente all’Unione, attraverso un comportamento altamente censurabile che avrebbe potuto mettere in forse perfino la certezza stessa delle risorse che lo Stato ha inteso destinare alle nostre attività.
La Biblioteca per ciechi di Monza, il museo Omero, la Federazione Nazionale pro ciechi, hanno offerto ancora una volta un esempio della vera collaborazione solidale, in spirito di reciproca lealtà che desidero additare come la via maestra per il raggiungimento degli obiettivi comuni, innanzitutto nel rispetto dell’integrità e della dignità degli altri e comunque, sempre sotto la bandiera dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti.
Con orgoglio, oggi più di ieri, seguiamo dunque l’attività del museo Omero, intenzionati a contribuire alla sua valorizzazione in modo sempre maggiore ed efficace sia in Italia che all’estero, dando spazio alla professionalità e al talento dei suoi operatori e dei suoi dirigenti, lieti di sentirli parte attiva della comune famiglia dell’Unione.

Mario Barbuto – Presidente Nazionale