Autore: Tommaso Daniele
L'Assemblea dei Quadri Dirigenti del prossimo maggio non è soltanto un adempimento statutario, un appuntamento di ordinaria politica associativa, anche se importante e qualificante, bensì un evento che può rivestire carattere e significato del tutto speciali perché coincide con la metà del mandato congressuale.
Vorrei, dunque, che questo evento fosse vissuto come un di più di impegno e di partecipazione e che ciascuno di noi, responsabilmente, si facesse carico di compiere una riflessione sul lavoro svolto dall'intera dirigenza a livello nazionale, regionale e provinciale per stabilire se le strategie poste in essere hanno costituito la risposta giusta alla complessità e alla molteplicità dei problemi che la storia e la vita si sono fatte carico di frapporre sul nostro cammino verso la piena integrazione sociale.
Vorrei, anche, che ciascuno di noi mettesse in moto la propria fantasia per immaginare il futuro e disegnare con la matita rossa sul foglio bianco della nostra storia di domani i cambiamenti strutturali che la nostra associazione deve realizzare da subito se vuole svolgere il delicato compito di tutela e di rappresentanza dei ciechi e degli ipovedenti e se vuole continuare ad essere il capofila nella lotta per la conquista dei diritti dei disabili e dei cittadini più deboli.
Evento speciale, dunque, che richiede una discussione speciale, iniziative speciali, capaci di far compiere alla nostra associazione quel salto di qualità necessaria per farla salire sul treno del cambiamento e impedirle di innalzare bandiera bianca di fronte ad uno Stato sociale che di sociale ha ormai soltanto il nome a causa di una classe politica asserragliata nei palazzi del potere, incapace di percepire il dramma della gente che arriva attraverso le finestre chiuse dalle piazze di Roma.
Ci sono voluti gli spari di un disperato davanti a Palazzo Chigi per scuotere Governo e Parlamento da una colpevole e irresponsabile apatia. Mentre scrivo il Presidente incaricato di costituire un nuovo Governo sta tenendo il suo discorso di investitura nell'aula di Montecitorio. Sento parole illuminanti che aprono il cuore alla speranza: "Governo di servizio, di cambiamento". Peccato però che il nuovo Presidente del Consiglio nel suo intervento, durato quarantacinque minuti, non abbia ritenuto di dovere almeno accennare al tema della disabilità. Governo di servizio e di cambiamento: parole sempre presenti nel lessico della nostra Unione, che non si è fatta mai sorprendere dai mutamenti economici, politici, sociali e culturali. Sarà così anche questa volta.
La prossima Assemblea dei Quadri Dirigenti è un'occasione da non perdere. Confortato dall'intera Direzione Nazionale, mi sono assunto la responsabilità di predisporre un ordine del giorno ricco di stimoli che, dopo aver compiuto un'analisi delle cose fatte nei primi due anni e mezzo di mandato, muove verso obiettivi innovativi, che arricchiscono la prospettiva di un'associazione che ambisce a rappresentare tutti i ciechi e gli ipovedenti italiani e gettare un ponte verso l'intero mondo della disabilità, dei più deboli e della società civile.
Il dibattito politico di questi giorni ha evidenziato la eccezionalità del momento che viviamo, caratterizzato da una profonda crisi economica, morale, sociale, culturale e politica, che ha richiesto la costituzione di un Governo di larghe intese, tra forze politiche tradizionalmente e storicamente antitetiche. La crisi, che in quest'ultimo periodo si è soltanto accentuata, è presente da tempo nel Paese e ha provocato il progressivo disimpegno dello Stato nei confronti dei più deboli.
La nostra Unione, come tutte le altre organizzazioni sociali e forse più delle altre, ha dovuto operare in un contesto estremamente negativo. Ci piacerebbe sapere se, nonostante tutto, i bisogni dei ciechi siano stati sufficientemente tutelati rispetto ai valori fondanti della nostra organizzazione: l'istruzione, la formazione professionale, il lavoro, la riabilitazione, la prevenzione, l'accesso alla cultura, all'informazione, all'autonomia, alla fruizione dei beni culturali e del tempo libero; se abbiamo fatto ulteriori passi avanti rispetto ai temi della partecipazione, della democrazia, della trasparenza, del rapporto con le altre associazioni di disabili, del volontariato, dei lavoratori, dei datori di lavoro, dei consumatori e della società civile nel suo complesso. Ci piacerebbe che su tutto questo si discutesse costruttivamente e si gettassero le basi per fare ulteriori passi nella direzione di una maggiore cultura della solidarietà, della partecipazione, della pari dignità.
L'unità associativa è sempre stato il nostro fiore all'occhiello, la moneta in più da spendere nei momenti difficili della nostra storia, il fiore che ho sempre coltivato con grande passione e infinito amore. "Uniti si vince, divisi si perde": una frase che ho scritto e pronunciato almeno mille volte e che non mi stancherò mai di scrivere e pronunciare, perché certe verità non invecchiano mai.
Ho avuto la gioia di gestire l'Unione per tutti questi anni con il valore aggiunto di un consenso pressoché generale. Ho messo in sinergia le risorse dell'Unione, dell'I.Ri.Fo.R., della Biblioteca, dell'Agenzia, della Federazione, dell'U.N.I.Vo.C. raggiungendo livelli di collaborazione davvero sorprendenti e invidiabili. Ora, però, occorre fare di più. A situazioni eccezionali occorre dare risposte eccezionali, dobbiamo cioè puntare dritti all'obiettivo dell'unità di tutti i ciechi e ipovedenti italiani attraverso la costituzione di una federazione di tutte le associazioni di ciechi e di ipovedenti esistenti nel nostro Paese. Un obiettivo da perseguire con l'ostinazione che ha sempre caratterizzato le nostre azioni. Non sarà facile, ma è bello misurarsi anche con l'impossibile. L'importante è convincersi che l'unità dei ciechi e degli ipovedenti italiani è un valore assoluto a cui non possiamo rinunciare in tempi di "vacche magre". La federazione dovrà essere il primo anello di una più ampia rete di solidarietà che dovrà coinvolgere le associazioni di disabili, del volontariato e di ogni altra espressione della società civile; una grande barriera contro chi vuole abbattere lo stato sociale.
La prossima Assemblea dei Quadri Dirigenti è un'occasione da non perdere anche rispetto al tema delle modifiche statutarie. Non concordo con chi pensa che il nostro Statuto sia completamente da buttare via, da dare alle fiamme affinché dalle ceneri possa emergere l'araba fenice che da tempo aspettiamo. E' innegabile, però, che esiste la necessità di ritocchi, anche sostanziali, che non possono essere più rinviati: l'accentuazione dell'autonomia delle strutture periferiche nella logica dell'unità-distinzione (l'immagine da me usata qualche tempo fa dell'albero i cui rami sono saldamente uniti al tronco dovrebbe rendere l'idea); le modalità di elezione del Consiglio Nazionale, al quale si può estendere la normativa in vigore per l'elezione dei Consigli Provinciali; la eliminazione della norma che sospende il dirigente associativo eletto a cariche politiche; una interpretazione autentica del concetto di apartiticità della nostra Unione; la eliminazione del principio della espulsione come misura disciplinare. Sono solo alcune delle possibili modifiche statutarie.
Un'occasione da non perdere per affrontare il tema dell'impegno associativo, che come tutte le cose ha subito una naturale evoluzione. Quasi sempre nella nostra associazione ha giganteggiato il principio della delega: i soci che delegano il Consiglio Provinciale, il Consiglio che delega il Presidente Provinciale e così avanti nella scala gerarchica dell'impegno associativo… Consiglio Regionale, Presidente Regionale, Consiglio Nazionale, Direzione Nazionale, Presidente Nazionale. Il sistema ha funzionato fino a quando le rivendicazioni associative hanno riguardato i diritti fondamentali dei ciechi e degli ipovedenti: l'assistenza, l'istruzione, il lavoro. E', invece, entrato in crisi quando l'area dei servizi e dei diritti si è allargata notevolmente e quando la complessità ha preso il posto della semplicità. Allora, l'uomo solo al comando, ha sentito tutto il peso della propria solitudine e ha implorato aiuto: "aiutatemi a pensare, aiutatemi a progettare".
Mi ricordai di una bella frase di John Kennedy, il Presidente degli Stati Uniti, rivolta agli americani: "prima di chiedervi che cosa l'America può fare per voi, chiedetevi che cosa voi potete fare per l'America". Fu così che scrissi la circolare 27 del 1999, che conteneva idee per un nuovo modello associativo, fondato sui concetti di collegialità, lavoro di gruppo, coinvolgimento del maggior numero possibile di dirigenti e soci, ampliamento del numero delle rappresentanze zonali, creazione della figura del Referente Comunale. Si chiedeva, in una parola, un di più di partecipazione da costruire attraverso nuove forme di informazione e di comunicazione: la segreteria telefonica, il foglio informativo, il telefono amico, le gite sociali, ed altro.
A distanza di tanto tempo il di più di partecipazione rimane ancora la strada maestra per fare ulteriori passi verso una democrazia mai abbastanza compiuta e verso la trasparenza mai abbastanza cristallina.
Ieri, abbiamo fallito per mancanza di risorse umane ed economiche. Oggi, abbiamo la speranza di riuscire perché le nuove tecnologie ci mettono a disposizione una comunicazione interna ed esterna veloce a costo quasi zero. Penso ad una rete di comunicazione in entrata e in uscita tra la Sede Centrale e i Dirigenti Regionali e Provinciali attraverso e-mail. Penso ad un'analoga rete tra le sezioni e la base associativa. Penso all'utilizzo dei social network per parlare all'opinione pubblica attraverso messaggi scritti e video. Penso che un'adeguata riflessione su questo progetto possa aiutarci a stare dentro la velocità di questo tempo.
Per ultimo, ma non ultimo, il problema più spinoso di questi giorni: il finanziamento associativo. "Senza soldi non si cantano messe", recita un vecchio adagio popolare.
La nostra Unione sta sperimentando sulla propria pelle la cruda verità della saggezza antica. La stragrande maggioranza delle nostre strutture periferiche è sull'orlo del collasso. La Sede Centrale ha ancora un po' di benzina nel motore, ma il rischio di non andare molto lontano è dietro l'angolo. Il risultato di tale stato di fatto sta nella difficoltà di esercitare il diritto/dovere di rappresentanza e di tutela degli interessi materiali e morali dei ciechi e degli ipovedenti italiani.
Abbiamo sempre vissuto di finanziamento pubblico e quando abbiamo tentato di integrarlo con una iniziativa di largo respiro – la vendita della solidarity card – la risposta dell'associazione è stata incerta, per non dire negativa. In fondo era più comodo bussare alla porta dello Stato e degli Enti locali. Ora, però, quelle porte tendono a chiudersi definitivamente. Questo significa che dovremo fare di necessità virtù e inventarci qualche iniziativa per sopravvivere.
Abbiamo effettuato un corso di formazione sulla raccolta fondi riservato ai Dirigenti Nazionali, ma non abbiamo abbastanza soldi da investire a lungo termine. Gli stessi consulenti ci dicono che i risultati potrebbero venire solo dopo il terzo anno di campagna. Non possiamo aspettare tutto questo tempo.
Ho pensato di realizzare un periodico riservato alla raccolta fondi, un trimestrale o un quadrimestrale sul quale pubblicare i progetti per i quali l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti chiede il finanziamento ai destinatari di detto periodico. L'indirizzario si può ottenere abbonandosi ad una delle tante licenze d'uso esistenti sul mercato. L'idea del periodico ha il vantaggio di risparmiare notevolmente sulla spedizione e di partecipare alla ripartizione del fondo sull'editoria speciale.
Ho definito questa Assemblea un evento speciale, che merita una discussione speciale e quindi un ordine del giorno speciale, breve, ma intenso, impegnativo, costituito di argomenti che, se fatti propri dall'intera dirigenza nazionale, possono rappresentare una svolta epocale per la nostra associazione, una svolta che ci consentirebbe di continuare la nostra marcia verso la terra promessa della pari dignità e delle pari opportunità, il sogno proibito di sempre di tutti i ciechi e gli ipovedenti italiani. "Un sogno rimane un sogno se a sognare è uno solo", ma noi siamo tanti e la nostra bandiera ha un'anima speciale, ci guiderà ancora una volta verso la conquista "del diritto ad avere dei diritti", come Stefano Rodotà titola il suo ultimo libro.