Rinasce il Coordinamento degli Enti, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Venerdì 20 Febbraio alle ore 15, presso la sala Conferenze dell’Istituto Rittmeyer di Trieste s’è riunito il Comitato di coordinamento dei nostri Enti.
L’incontro è stato fortemente voluto dal nostro Presidente Nazionale Dott. Mario Barbuto e dal Presidente della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi Cav. Rodolfo Masto, allo scopo di fare il punto della situazione, rilanciare le attività del Coordinamento per trasformarlo sempre più in un concreto “strumento” operativo al servizio dei minorati della vista italiani.
Oltre a Barbuto e Masto, hanno partecipato alla riunione il Presidente della Biblioteca Italiana per i Ciechi Prof. Pietro Piscitelli, il componente la Direzione Nazionale della Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità, Dott. Ferdinando Ceccato, il Presidente dell’Istituto “Cavazza” di Bologna, Prof. Michele Borra, il Presidente del Museo Tattile Statale “Omero” di Ancona, Dott. Aldo Grassini ed il Presidente del Centro Regionale “Helen Keller” di Messina, Avv. Giuseppe Terranova. Erano pure presenti il “padrone di casa” Huber Perfler, Presidente dell’Istituto Rittmeyer di Trieste, la Dott.ssa Daniela Bottegoni, Consigliere d’amministrazione del Museo ”Omero” ed il Prof Gianluca Rapisarda, delegato ai progetti in seno al c.d.a della Federazione Pro Ciechi.
Il Presidente Barbuto, introducendo i lavori, ha tenuto subito a sottolineare come il “ricorso” al Coordinamento degli Enti, lungi dall’essere una “pratica” sterile e fine a se stessa, non dovrà più, come nel passato, rispondere soltanto ad una mera logica dell’”adempimento formale”. “Anzi, rincarando la dose, Mario Barbuto ha aggiunto che, forse fino a questo momento, i nostri Enti si sono ricordati utilitaristicamente del Coordinamento solo in caso di difficoltà economiche, come ultima spiaggia per non fare naufragio”.
“Bisogna invece fare un salto di qualità, ha concluso il Dott. Barbuto, perché esistono al nostro interno le condizioni favorevoli per lo sviluppo di collaborazioni e sinergie durature ed utili a fare del Coordinamento una sorta di ”catalizzatore”, capace cioè di attrarre stabilmente attorno ai nostri Enti forze e risorse economiche esterne per finanziare i loro progetti”.
Pienamente consapevoli di ciò, anche i Prof. Borra e Piscitelli, i Dott. Grassini e Ceccato e l’Avv. Terranova hanno insistito sulla necessità indifferibile di superare i “particolarismi” del passato e di lavorare in team perché il Coordinamento possa promuovere finalmente esperienze condivise di “qualità”, indispensabili per intercettare contributi non solo nazionali, ma anche e soprattutto, in questi tempi di “vacche magre”, comunitari e perché no privati.
Prendendo successivamente la parola, il Cav. Rodolfo Masto ha affermato che l’auspicio è quello di creare una rete di rapporti stabili al fine di scambiarsi informazioni in merito alla realizzazione di iniziative prevalentemente “culturali”.
Il Presidente Masto ha proseguito sostenendo che c’è innanzitutto la necessità urgente di un riordino della figura del tiflologo da un punto di vista delle caratteristiche professionali. Al di là infatti dei compiti che il Ministero dell’Istruzione ha affidato ad alcuni atenei relativamente all’organizzazione di corsi specifici per insegnanti curriculari e di sostegno, rimane insoluto il problema di un vero e proprio riconoscimento giuridico della professione di tiflologo.
Una riorganizzazione che, a detta del Cav. Rodolfo Masto, dovrebbe chiamare assolutamente in causa tutti quegli Enti che oggi a vario titolo si occupano di ciechi e ai quali dovrebbero essere richieste delle competenze specifiche e ben definite. In Italia, ad esempio, non esiste un albo dei tiflologi e sarebbe opportuno che il Coordinamento s’adoperasse per farlo istituire al più presto dal MIUR.
A tal proposito, il Prof. Gianluca Rapisarda, intervenendo, ha comunicato ai presenti che, in attesa di tale “miracolo” da parte della politica, grazie alla sensibilità e lungimiranza del nostro Presidente Nazionale Mario Barbuto e del Presidente della Federazione Rodolfo Masto, l’Irifor, la Federazione Pro ciechi e la BIC hanno recentemente stipulato una convenzione che impegna i tre Enti a costituire un Comitato didattico scientifico con funzione consultiva e di proposta su eventuali iniziative da intraprendere nel campo della Tiflologia e della Formazione a distanza degli operatori del sostegno dei ragazzi ciechi ed ipovedenti.
Tale Comitato sarà composto dal Prof. Paschetta per conto dell’Irifor, dal Presidente della Biblioteca Prof. Piscitelli e dal Prof. Rapisarda della Federazione Pro Ciechi.
Il Prof. Rapisarda ha inoltre chiosato che, nell’ambito della Convenzione in questione, l’I.RI.FO.R. si impegnerà a condividere con la B.I.C. e la Federazione lo sviluppo della piattaforma FAD di formazione a distanza, ad accesso oneroso, “ICOLORI DEL BUIO” da esso realizzata e gestita, senza oneri di spesa per i due enti , rendendo “visibile” l’intesa anche con l’indicazione nella “on page” della piattaforma suddetta dei rispettivi loghi e marchi.
Dal canto loro, la B.I.C. e la Federazione si faranno carico di realizzare , senza costi a carico dell’I.RI.FO.R., con il proprio personale e/o con propri consulenti, attraverso le proprie strutture o attraverso strutture ad esse associate (Centri di consulenza tiflodidattica , istituti per ciechi, ecc.), almeno 50 unità didattiche l’anno ciascuna, da inserire nelle diverse SEZIONI DELLA piattaforma di formazione, secondo quanto concordato dal coordinamento didattico scientifico di cui sopra.
La B.I.C. e la Federazione collaboreranno alla diffusione e alla promozione della piattaforma “I COLORI DEL BUIO” :
– inserendo il link nei rispettivi siti e, nel caso della Federazione, chiedendone l’inserimento nei link dei siti degli istituti federati;
– trasmettendo all’I.RI.FO.R. gli indirizzi di posta elettronica dei loro utenti potenzialmente interessati all’invio del materiale informativo;
promuovendo la piattaforma sui social network (facebook, twitter,ecc.
A questo punto, il Presidente Barbuto, riprendendo la parola, ha chiesto espressamente al Prof. Rapisarda ed al Presidente Masto di lavorare in sinergia con gli altri Enti per mettere in comune con loro i contenuti e le attività realizzate con la piattaforma Tiflopedia”.
Il Cav. Masto ed il Prof. Rapisarda, rispondendo al Presidente Nazionale Barbuto hanno spiegato ai partecipanti all’incontro del Comitato che Tiflopedia, allo stato attuale, si prefigge prioritariamente di mantenere vivo ed approfondire il dibattito sulla Tiflodidattica, sulla Tiflopedagogia, sulla Tifloinformatica e sulla pluridisabilità. Ma Masto e Rapisarda non hanno escluso che, proprio per la sua configurazione di “enciclopedia” multimediale vera e propria, il progetto Tiflopedia, se sviluppato in sinergia con gli altri Enti, ben si può candidare a diventare un “deposito “ on line in continua espansione di informazioni, immagini, notizie e filmati sulle più disparate tematiche relative al “mondo” della cecità, sul modello di quello che oggi è Wikipedia.
Il Presidente UICI Mario Barbuto, congratulandosi con la Federazione per l’ottimo lavoro fin qui compiuto con tale piattaforma multimediale, ha invitato infine tutti i “soggetti” del Coordinamento a nominare un loro rappresentante da affiancare allo staff della Pro Ciechi di Tiflopedia, perché tale “strumento” costituisca il primo e significativo esempio di reale e leale collaborazione tra i nostri Enti.
So perfettamente che tale “gruppo di lavoro” su Tiflopedia non rappresenta la panacea dei “mali dei ciechi ed ipovedenti italiani, ma in attesa di tanti altri progetti ed esperienze da condividere e realizzare insieme, come si dice, “chi ben comincia è a metà dell’opera!

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Torino: Abili per l’Arte, di Lorenzo Montanaro

Autore: Lorenzo Montanaro

PALAZZO MADAMA PER TUTTI

 

Un’esperienza multisensoriale

attraverso immagini in rilievo, fruizione sonora

e lingua visiva in LIS – Lingua italiana dei segni.

 

Palazzo Madama

Piazza Castello – Torino

 

Da domenica 22 febbraio

 

Palazzo Madama, grazie al sostegno del Rotary Club Torino Nord Ovest, rende accessibile i capolavori della pittura del Gotico e del Rinascimento.

 

Giacomo Jaquerio, Antoine de Lonhy, Antonello da Messina, Defendente Ferrari e Agnolo di Cosimo detto il Bronzino potranno essere fruiti da persone prive della vista grazie alla riproduzione in rilievo delle immagini e alla possibilità di scaricare la descrizione audio. Le persone ipovedenti potranno godere di una visione ravvicinata dell’immagine, mentre i sordi potranno usufruire di una traduzione in lingua LIS – lingua italiana dei segni con sottotitolazione. Come altri progetti promossi da Palazzo Madama, l’esperienza ideata per facilitare l’accesso e la visita in autonomia di determinate categorie di persone è in realtà aperta a tutti i visitatori interessati a poter godere di una visione ravvicinata con l’opera o una descrizione audio dei contenuti.

 

Come funziona

All’inizio della sala Acaia, il visitatore ha a sua disposizione un contenitore con un kit composto da cinque schede, leggere e di grande formato, che possono essere prese in prestito durante la visita al piano Terra; la serie è completata da una mappa della sala, utile per orientarsi nello spazio e trovare la collocazione delle singole opere.

Ogni scheda riproduce il dipinto a colori e in rilievo trasparente: la tecnica di stampa messa a punto da Tactile Vision Onlus permette di delineare tramite uno speciale inchiostro trasparente alcuni elementi salienti dell’immagine caratterizzati da diversi gradi di rilievo e da differenti motivi grafici. La trasparenza dei dettagli in resina non interferisce con la leggibilità del dipinto da parte di tutto il pubblico e favorisce anzi la fruizione congiunta.

Sul retro di ciascuna scheda è presente una descrizione dell’opera sia in carattere grafico ad alta leggibilità sia a rilievo nel sistema Braille: quest’ultimo testo è realizzato sempre in resina trasparente e coesiste quindi con la descrizione a inchiostro.

Sulla scheda, nella parte inferiore, sono presenti un codice QR e un codice NFC (Near Field Communication o Comunicazione in
prossimità) che permettono al visitatore in possesso di uno smartphone abilitato e con connessione internet di usufruire del testo descrittivo nella versione di lettura audio e traduzione in lingua visiva in LIS – Lingua italiana dei segni.

 

I partner di progetto

 Il progetto implementa i servizi di esperienza tattile già presenti in museo (audioguide, percorsi guidati, Torre Panoramica e Giardino Medievale) ed è stato realizzato in collaborazione con le associazioni e i professionisti che da anni operano a Torino per favorire l’accessibilità ai luoghi della cultura e non solo: Tactile Vision onlus, che opera sul tema della disabilità visiva e della ricerca tecnologica fornendo materiali per i principali musei europei (Louvre, British Museum, Musei Capitolini, Museo Nazionale del Cinema), ha progettato e realizzato i pannelli visivo-tattili, la registrazione audio e ha coordinato i diversi interventi; l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Torino ha collaborato al progetto attraverso la consulenza di Francesco Fratta, coordinatore della commissione cultura.

 

L’Associazione Interpreti LIS – di Torino ha fornito la redazione, la traduzione e la registrazione video dei testi nella lingua italiana dei segni.

Il carattere tipografico ad alta leggibilità EasyReading™ è stato messo a disposizione a titolo gratuito da EasyReading Multimedia, Torino che ha progettato questo font per favorire la leggibilità e la comprensione dei testi, con particolare attenzione alle esigenze delle persone dislessiche.

 

 

Il Rotary Club Torino Nord Ovest è stato fondato nel 1976 da un gruppo di amici che condividevano gli ideali di Paul Harris, fondatore del Rotary International. Oggi il Club conta 45 soci, fra i quali dirigenti, imprenditori, professionisti, professori, medici e, da alcuni anni è aperto anche alle donne. Le riunioni prevedono la partecipazione di relatori esterni su argomenti di cultura e attualità, con particolare attenzione a quanto di più importante avviene in Piemonte anche nel campo industriale.

L’attività principale del Club è quello di realizzare attività di “service” in favore della collettività, sia in Italia che all’estero.

 

 

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Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica

Piazza Castello, Torino

 

Fondato nel 1860, il museo è oggi ospitato in uno dei più antichi e affascinanti palazzi della città, con testimonianze architettoniche e di storia dall’età romana al Barocco di Filippo Juvarra. Le raccolte contano oltre 60.000 opere di pittura, scultura e arti decorative dal periodo bizantino all’Ottocento.

 

orari: martedì – sabato 10.00 – 18.00 domenica 10.00 – 19.00. La biglietteria chiude un’ora prima chiuso il lunedì

intero € 10, ridotto € 8, gratuito ragazzi fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte

In presenza di mostre temporanee le tariffe potranno subire variazioni.

info: t. 011 4433501 | www.palazzomadamatorino.it

 

 

 

 

 

ufficio stampa

Fondazione Torino Musei

Daniela Matteu – Tanja Gentilini

  1. 011 4429523 ufficio.stampa@fondazionetorinomusei.it

con la collaborazione di

adicorbetta

  1. 02 89053149 press@adicorbetta.org

 

Addetto stampa Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Torino

Lorenzo Montanaro

cell. 3334479948

lorenzo.montanaro@gmail.com

 

Tripletta di sentenze del Tar Lazio boccia il nuovo Isee 2015, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha accolto, in parte tre ricorsi presentati contro il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 159/13 e cioè il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) appena entrato in ore ( lo è dal 1 gennaio u.s.).
Le tre Sentenze (Sezione Prima del TAR del Lazio, n. 2454/15, 2458/15 e n. 2459/15) hanno di fatto modificato parzialmente l’impianto per il calcolo dell’Indicatore della Situazione Reddituale (ISR).
Il TAR, nello specifico, ha accolto soltanto il ricorso sull’illegittimità del regolamento dell’ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità (pensione e accompagnamento con la sentenza 2458). E nella sentenza 2459 ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità.
Riguardo al ricorso conclusosi con la sentenza 2458, la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Tar) ha accolto infatti solo il sesto dei nove motivi formulati dai ricorrenti.
Il Tar, richiamando i fondamentali principi della Costituzione enunciati negli artt. 3, 32 e 38, dichiara che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non devono essere inseriti tra i redditi disponibili. Il loro inserimento, costituirebbe infatti una penalizzazione nei confronti delle fasce sociali più deboli.
Per questo motivo, il nuovo Isee, adottato dopo interminabili lavori parlamentari ed entrato in vigore solo lo scorso 1° gennaio, è stato giudicato illegittimo dal Giudice Amministrativo nelle parti dove è previsto che nel reddito complessivo venga conteggiata anche la pensione e l’indennità ricevuta dal soggetto, accertato disabile.
Come già detto l’accoglimento del Tar è limitato solo una delle istanze presentate, nelle quali si lamentava la vaghezza e indeterminatezza dell’intero provvedimento, la sua approvazione fuori tempo massimo, la presenza di criteri “alternativi” su base regionale, il conteggio sull’intero nucleo familiare anche in caso di ricovero del disabile in strutture residenziali diurne o continuative, l’impossibilità di limitare al nucleo ai soli figli conviventi, l’utilizzo del valore catastale Imu per valutare il patrimonio immobiliare, la mancata previsione di una revisione e un aggiornamento delle franchigie e delle detrazioni.
Il giudice amministrativo ha decretato illegittimo invece solo in parte l’indicatore della situazione economica equivalente e limitatamente a ciò che concerne la valutazione delle condizioni di chi fa richiesta di servizi di pubblica utilità o di prestazioni agevolate.
Infatti, la richiesta è stata accolta nell’ottica di respingere l’errore di includere, come reddito disponibile, l’indennità e la pensione ricevuta dal soggetto che, tuttavia, si trova in una situazione di svantaggio, pure economico, che si allarga impropriamente anche alla sua famiglia.
Segue la motivazione con cui il Tar ha accolto il sesto motivo del ricorso integralmente stralciata dalla sentenza appena commentata.
“Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli. Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie. Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit. L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.”
I tre dispositivi del Tar Lazio vanno comunque letti in modo combinato per quel che concerne gli effetti di illegittimità che produrranno sull’ISEE.
Innanzitutto le sentenze determinano l’esclusione dal computo dell’Indicatore della Situazione Reddituale i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche» (articolo 4, comma 2 lettera f); ossia tutte le pensioni, assegni, indennità per minorazioni civili, assegni sociali, indennità per invalidità sul lavoro, assegni di cura, contributi vita indipendente ecc.;
e annullano il DPCM 159/13 nella parte in cui prevede un incremento delle franchigie per i soli minorenni (articolo 4, lettera d, nn. 1, 2, 3).
Riguardo il regime delle franchigie va ricordato che il DPCM 159/13 prevede una franchigia forfettaria così differenziata:
1. persone con disabilità media: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 4.000 euro, incrementati a 5.500 se minorenni;

2. persone con disabilità grave: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 5.500 euro, incrementati a 7.500 se minorenni;

3. persone non autosufficienti: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 7.000 euro, incrementati a 9.500 se minorenni.
Poiché il G.A. non è stato esplicito non si può ritenere che le stesse franchigie previste per i minori siano ora da applicare anche ai maggiorenni.
Inoltre nella sentenza 2459 poiché nelle motivazioni, ma non nel dispositivo, si censura la disposizione che prevede che l’opportunità di ricorrere all’ISEE ridotto (personale o proprio e del coniuge) sia riservata ai soli disabili maggiorenni e non invece anche ai minorenni, si crea una evidente disparità di trattamento che solo nuovi interventi potranno ovviare.
Si legge infatti «L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF».
Va inoltre evidenziato che nelle sentenze viene pure dichiarata la liceità di ricorrere al computo dei redditi dei familiari civilmente obbligati, nel caso di anziani ai fini del ricovero in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), istituti, case di riposo.

Cosa accadrà ora? Difficile da dire, le possibilità sono sostanzialmente due.
Il Governo dovrà correggere la norma per adeguare il sistema a quanto stabilito dal TAR, a meno che l’Esecutivo non decida di presentare ricorso contro le decisioni. Ma comunque, anche in questo caso, l’esecutività delle sentenze non verrà meno e nella pratica le problematiche maggiori le dovranno affrontare i Comuni e le Regioni. Saranno loro a dover risolvere, concretamente, i problemi che derivati dal mutato scenario in quanto Enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate.
In allegato testi integrali delle sentenze commentate.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
N. 02459/2015 REG.PROV.COLL.
N. 03683/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3683 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore -OMISSIS-, -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore della
minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella
qualità di tutore di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno
di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e
nella qualità di genitore e tutore di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di amministratore di sostegno del marito -OMISSIS-, in proprio e in qualità
di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e
nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di
genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in qualità di amministratore di sostegno del fratello
-OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di
genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, nonché, giusta procure speciali notarili, da -OMISSIS-, nella qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella
qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore
e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore
di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitori della figlia minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di
genitore e amministratore di sostegno del figlio -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e tutore di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno della figlia
-OMISSIS-, in qualità di presidente del consiglio direttivo e legale rappresentante dell’associazione
Strada Facendo Onlus, tutti rappresentati e difesi dall’avv. prof. Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere delle Navi, 30; contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12; per l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 5 dicembre 2013, recante il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 19 del 24 gennaio 2014, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe, tutti disabili medi o gravi o non autosufficienti o loro familiari conviventi -oltre ad Associazione con scopo statutario di tutela dei diritti e interessi delle persone disabili -che percepiscono trattamenti assistenziali, indennitari o assistenziali, ovvero appartengono a nuclei familiari del quale fanno parte disabili che usufruiscono di dette provvidenze, lamentavano le nuove modalità di determinazione dell’ISEE di cui al d.p.c.m. in epigrafe, recante, appunto, il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione di tale “indicatore”, ai sensi dell’art. 5 d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011.
In particolare i ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, con riferimento agli artt. 87 e 95 Cost.”.
Riproponendo il “nucleo” dell’art. 5 d.l. cit., i ricorrenti evidenziavano che il regolamento di attuazione ex art. 17, comma 1, l. n. 400/1988 in questione, se poteva derogare alle regole procedimentali di cui all’art. 17 cit., non poteva omettere la previsione della deliberazione del Consiglio dei Ministri né demandare l’emanazione del regolamento stesso ad altri che al Presidente della Repubblica, in quanto è l’art. 87 Cost. – e non l’art. 17 l. n. 400/1988 – ad attribuire solo a tale organo il potere di emanare i regolamenti, potere estraneo alle prerogative del Presidente del Consiglio ai sensi dell’art. 95 Cost.
Se pure si volesse ritenere il dpcm in questione alla stregua di un decreto ministeriale, esso era illegittimo perché non rientra nelle competenze amministrative del Presidente del Consiglio dei Ministri la materia dell’ISEE, propria del Ministro del Lavoro e del Ministro dell’Economia.
“II. Illegittimità dell’art. 4, comma 2, lettera f) del d.P.C.M. n. 159/2013. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta
ingiustizia. In via subordinata, illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214”
L’art. 5 d.l. cit., nel determinare che si sarebbe dovuta “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale”, doveva interpretarsi da parte dell’Autorità emanante nel senso di eliminare le lacune della precedente regolamentazione, ove era considerato privo di reddito chi, pur disponendo di cespiti anche cospicui, non era soggetto a relativa dichiarazione IRPEF (ad es: redditi tassati all’estero, pensioni estere non tassate in Italia, dipendenti stati esteri, quali Città del Vaticano, lavoratori frontalieri con franchigia IRPEF, coniugi divorziati percipienti assegno di mantenimento per i figli), come confermato dal contesto integrale dello stesso art. 5 che prevedeva una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale ed il rafforzamento del sistema dei controlli, anche al fine principale del risparmio di spesa mediante sostanziale “emersione” di situazioni di “povertà fittizia”.
In concreto, però, il dpcm in esame era andato oltre le intenzioni del legislatore, includendo tra i redditi tutti i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari a qualunque titolo percepiti, anche in ragione proprio della accertata invalidità.
Quest’ultima costituisce in realtà una oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, e i trattamenti assistenziali previdenziali e indennitari sono tutti volti ad attenuare tale svantaggio, tendendo all’attuazione del principio di uguaglianza, senza alcun intento “speculativo” proprio delle fonti di reddito “ordinario”.
La stessa giurisprudenza consolidata ha evidenziato la natura indennitaria del grave disagio economico ed esistenziale delle indennità di accompagnamento – pure ricomprese ai sensi della richiamata lett. f) – cui possono assimilarsi in tal senso i contributi erogati a titolo di rimborso (sia pure parziale) delle spese per le necessità quotidiane del disabile e del suo nucleo familiare, le pensioni e gli assegni erogati dall’INPS ai disabili in stato di bisogno economico, gli indennizzi INAIL del danno biologico subito nello svolgimento di attività lavorativa (di carattere risarcitorio), gli assegni mensili per indennizzo dei danni da vaccino, emotrasfusioni e da emoderivati.
In via subordinata, quindi, i ricorrenti evidenziavano una questione di costituzionalità per violazione degli artt. 3, commi 1 e 2, e 38 Cost. qualora fosse ritenuta condivisibile l’interpretazione dell’art. 5 cit. sotto il profilo dedotto, non potendo rilevare l’eccezionalità della situazione economica statale contingente ai fini di deroga del principio di uguaglianza.
“III. Illegittimità dell’art. 4, comma 3, lettera c, e comma 4, lettere b), c) e d) del d.P.C.M. n. 159/2013. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irragionevolezza e manifesta ingiustizia”.
Le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non erano comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile.
Il riferimento alla necessità di presenza di tali spese nella dichiarazione dei redditi IRPEF non considerava la possibilità di esenzione dalla dichiarazione in questione o di avvalimento di regimi fiscali agevolati che non consentono deduzioni o detrazioni di spese mediche e sanitarie.
Se è pure prevista la possibilità di presentare comunque tale dichiarazione, i ricorrenti evidenziavano che, per il primo anno di entrata in vigore del nuovo ISEE, era probabile la mancata conservazione della documentazione a comprova delle spese in tal senso sostenute e che, per gli anni successivi, si dava comunque luogo ad un adempimento fiscale vessatorio, cui il contribuente in linea generale non era tenuto.
Inoltre, il tetto massimo di euro 5.000,00 per le spese mediche e sanitarie era troppo basso in ipotesi di presenza di malattie gravi con necessità di terapie continue, spesso non rimborsate dal SSN, e/o di assistenza infermieristica a domicilio.
Irrazionale era poi la possibilità di sottrarre per i disabili gravi non autosufficienti le spese sostenute inclusive dei contributi INPS versati per collaboratori domestici e addetti all’assistenza personale solo fino all’ammontare dei trattamenti assistenziali, indennitari o previdenziali percepiti a qualsiasi titolo, al netto di una franchigia del 20% (max 1.000,00 euro), perché discriminatoria nei confronti dei disabili che ricevono minori sussidi pur avendo disabilità gravissime e che risiedono in regioni e comuni eroganti provvidenze minori rispetto ad alte realtà territoriali a parità di disabilità.
Analoga considerazione i ricorrenti proponevano per le franchigie introdotte, chiaramente insufficienti e non consideranti la realtà dei costi effettivi che i disabile e le loro famiglie devono sostenere.
Irrazionali erano infine, la differenziazione delle franchigie in esame, di cui alla lett. d), tra disabili minorenni e maggiorenni, come se al compimento della maggiore età si desse luogo ad una automatica diminuzione di spese connesse alla situazione di invalidità, nonché la mancata previsione di una indicizzazione delle spese e delle franchigie stesse.
“IV. Illegittimità dell’art. 6, comma 3, del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159”.
La normativa in questione presupponeva erroneamente l’esistenza di un obbligo generalizzato dei figli di integrare i redditi dei genitori versando loro una quota della loro ricchezza, obbligo che però non è previsto dall’ordinamento se non per i genitori in stato di bisogno e non in grado di provvedere al proprio mantenimento (obbligo alimentare) che espressamente lo richiedono.
Pure incoerente si palesava, infine, la previsione per la quale la norma ritiene che il figlio corrisponda al genitore non la somma ai sensi dell’art. 438 c.c. ma una quota del suo reddito determinata con le modalità previste dall’Allegato 2 al decreto, quota che può essere maggiore dello stesso assegno alimentare. Inoltre, mentre al reddito del disabile che intende usufruire delle prestazioni di cui all’art. 6 dpcm cit. viene aggiunta la quota qui contestata, relativa alla presenza di eventuali figli maggiorenni facenti parte di un diverso nucleo familiare, questi ultimi non possono giovarsi invece della corrispondente detrazione ai fini del calcolo del proprio ISEE.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, illustrando le proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in nota allegata. In successiva memoria per l’udienza pubblica le Amministrazioni costituite evidenziavano preliminarmente anche l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesione effettiva, in assenza di atto applicativo delle norme regolamentari contestate, e per carenza di interesse al ricorso al momento della proposizione in quanto il nuovo ISEE sarebbe diventato operativo entro trenta giorni dall’approvazione del modello DSU, a sua volta da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore dell’impugnato dpcm avvenuta in data 8 febbraio 2014.
In prossimità della pubblica udienza anche i ricorrenti depositavano un’ulteriore memoria illustrativa delle proprie ragioni.
In data 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, non rileva l’inammissibilità del ricorso sotto i profili dedotti dall’Amministrazione resistente, in quanto il d.p.c.m. impugnato, pur quale atto generale, contiene determinazioni precettive direttamente applicabili ai fini del lamentato innalzamento dell’ISEE sotto i profili dedotti dai ricorrenti e anche ai fini delle conseguenze indirette subito percepibili in campo sociale.
Passando all’esame del ricorso, il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo.
Sul punto concorda, infatti, con le tesi delle Amministrazioni resistenti, evidenziando la natura regolamentare del d.p.c.m. impugnato, come riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 297/12 che ha esaminato proprio l’art. 5 d.l. n. 201/77, conv. in l. n. 214/11, sia pure sotto diverso profilo.
Inoltre, si richiama anche la pronuncia della Sezione Consultiva Atti Normativi del Consiglio di Stato (n. 5486/12) su tale decreto, ove è evidenziata come legittima la scelta di adottare un unico regolamento con la forma del d.p.c.m., in virtù della previsione anche del sistema di rafforzamento dei controlli di cui all’art. 5 d.l. cit. da demandare a separato d.m. rispetto alla riforma dell’indicatore e dei suoi campi di applicazione. Il d.p.c.m. e il d.m. costituiscono fonti di rango “pari ordinato” e il primo si distingue, inoltre, per le maggiori garanzie date dall’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri oltre ai Ministri proponenti e/o concertanti, nel caso di specie coincidenti, evitando anche vuoti normativi connessi all’effetto abrogativo di precedente disciplina a anche di rango primario.
Il secondo motivo di ricorso si palesa invece fondato.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso prospettato dai ricorrenti. La volontà del legislatore
coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
Correttamente i ricorrenti richiamano i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa – come osservato criticamente dall’Amministrazione resistente secondo l’osservazione dei ricorrenti – il Collegio ritiene che tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legata all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali, le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità” è stato adottato.
Né può convenirsi sul punto con le difese delle Amministrazioni costituite, secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile”, di cui non si nega l’esistenza nel d.p.c.m., sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che “in gran parte dei casi” ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
In primo luogo, il riferimento alla “gran parte dei casi”, attesta che ciò non avviene in tutti i casi e tale conclusione, per un atto normativo di carattere generale, non appare razionale.
In secondo luogo, manca completamente il richiamo e l’approfondimento sull’effettiva volontà del legislatore, tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche
detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 dp.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per completezza espositiva e poiché gli ulteriori motivi riguardavano diverse determinazioni del d,p.c.m. in questione, il Collegio deve esaminare anche la restante parte del gravame.
Infondato solo in parte è il terzo motivo di ricorso.
il Collegio rileva che la disposizione di cui all’art. 4, comma 3, lett. c), d.p.c.m. cit. – sotto il primo profilo dedotto dai ricorrenti – non appare illegittima.
In primo luogo, l’affermazione per cui le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non sarebbero comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile appare generica e indimostrata per ciascuno dei ricorrenti.
Per quel che riguarda le detrazioni fiscali, il Collegio osserva che, come è noto, la dichiarazione dei redditi “forfetaria” non impedisce comunque la presentazione di una dichiarazione “integrale” e/o di allegare la documentazione di spesa sanitaria.
E’ una scelta del contribuente quella di provvedere alla prima forma, per cui ben può in futuro essere necessaria la dichiarazione nella seconda forma ai fini di ottenere le detrazioni previste.
Analogamente, la previsione di un tetto massimo di detrazione, se correlata alla rideterminazione del reddito secondo i parametri evidenziati nell’esaminare il secondo motivo di ricorso, non appare illogica o penalizzante nel senso prospettato dai ricorrenti, in quanto la stessa Amministrazione, nella nota allegata in atti, chiarisce che il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona del nucleo che detrae, quale sottrazione al suo reddito personale, mentre in precedenza nessuna detrazione di spesa per la “disabilità” era prevista, con la conseguenza che tale conformazione è coerente con la disposizione legislativa di cui all’art. 5 d.l. n. 201/11 cit., secondo cui con il d.p.c.m. sono individuate le agevolazioni fiscali che a partire dal 1 gennaio 2013 non possono più essere riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso.
Profili di fondatezza si rinvengono invece per la residua parte del motivo.
Non è dato comprendere, infatti, per quale ragione le detrazioni previste all’art. 4, comma 4, lett. d), nn. 1), 2) e 3), siano incrementate per i minorenni, non individuandosi una ragione per la quale
al compimento della maggiore età, una persona con disabilità, sostenga automaticamente minori spese ed essa correlate. Né è convincente sotto tale profilo la tesi della difesa erariale, secondo cui i minori con disabilità non possono costituire nucleo a sé, gravando l’obbligo del mantenimento in capo ai genitori, e per i maggiorenni è relativamente più facile ridurre sostanzialmente l’ISEE, se non azzerarlo, potendosi non considerare il reddito dei genitori.
Tale conclusione non appare sostenuta da elementi specifici, almeno statistici, che dimostrino il grado di incidenza sulla popolazione dei disabili dei maggiorenni costituenti “nucleo a sé” rispetto a quelli che non possono farlo mentre il decreto impugnato, per le sue caratteristiche di generalità e astrattezza, impone direttamente e indistintamente la detrazione considerata, senza legarla alla effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.
Sotto tale profilo, quindi, le norme di cui ai richiamati nn. 1), 2) e 3) devono essere annullate per la parte in cui introducono una indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest’ultimi, senza considerare l’effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare anche tale disposizione nel senso ora evidenziato.
Infondato è infine il quarto motivo di ricorso.
Il Collegio trova condivisibili le tesi dell’Amministrazione, secondo cui la previsione dell’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. tutela la necessità di differenziare la condizione economica del beneficiario che ha figli in grado di aiutarlo, se tenuti alla corresponsione di alimenti e secondo i propri carichi familiari diretti, rispetto a quella di coloro che non hanno alcun sostegno al fine delle spese di ricovero. Il limite alle sole prestazioni residenziali è poi coerente con i principi propri della giurisprudenza più recente (C. Cost. n. 296/12 e Cons. Stato, 14.1.14, n. 99), secondo cui in sostanza, la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
C’è da osservare, infine, che anche nel precedente regime non vi era una considerazione del reddito del solo “assistito” per tutte le spese ma solo per quelle per prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria e che la definizione di “prestazioni agevolate di natura sociosanitaria” di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), d.p.c.m. cit. può includere anche prestazioni strumentali e accessorie oltre che interventi economici.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), e comma 4, lett. d), n. 1), 2) e 3) -nella parte in cui prevedono indistintamente un incremento delle franchigie per i soli minorenni -del d.p.c.m. n. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti ricorrenti e dei soggetti di cui si dichiarano genitori, tutori o amministratori di sostegno o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

02454/2015 REG.PROV.COLL.

N. 05119/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5119 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, in proprio e in qualità di presidente dell’Associazione Coordinamento Sociosanitario
per le Persone con Disabilità, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, quale amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, quale tutore di -OMISSIS-e in qualità di presidente di Arpa Associazione
Italiana Ricerca Psicosi e Autismo, -OMISSIS-, in qualità di tutore di -OMISSIS-, in qualità di
genitore del minore -OMISSIS-in qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-e di
presidente dell’Associazione “Il Vento Sulla Vela Onlus”, -OMISSIS-, in qualità di amministratore
di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di presidente dell’Associazione Co.Fa.As. Clelia,
-OMISSIS-, nella qualità di genitore di -OMISSIS-, nella qualità di madre di -OMISSIS-, nella
qualità di padre -OMISSIS-, nella qualità di madre di -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di
madre di -OMISSIS-, nella qualità di padre di -OMISSIS-, nella qualità di tutore di -OMISSISnonché
di presidente dell’Ente Morale Istituto -OMISSIS-, nella qualità di zio di -OMISSIS-, nella
qualità di madre di -OMISSIS-, nella qualità di padre di di -OMISSIS-, nella qualità di padre di
-OMISSIS-in qualità di presidente di ODV La Lampada dei Desideri, -OMISSIS-, nella qualità di
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di presidente di ODV -OMISSIS-, nella
qualità di tutore di -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Liliana -OMISSIS-, con
domicilio eletto presso i medesimi in Roma, Piazzale delle Belle Arti, 1;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero
dell’Economia e Finanze, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato,
presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del d.p.c.m. 05/12/2013 n. 159 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 19 del
24.01.2014 avente ad oggetto: “Regolamento concernente la revisione delle modalità di
determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente
(ISEE)” con particolare riferimento all’art. 4, comma 2, lett. f), all’art. 4, comma 3, lett. c); all’art.
5, comma 2; all’art. 6; all’art. 2, comma 1, all’art. 2, comma 2, all’art. 3 nonché di qualsiasi atro atto
presupposto connesso o comunque consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Economia, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe – tutti
associazioni specificamente costituite e operanti per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei
disabili nonchè persone fisiche con disabilità ovvero genitori o tutori o amministratori di persone
con disabilità ovvero ancora genitori conviventi di persone maggiorenni con disabilità evidenziavano
che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 (recante “Introduzione
dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei
relativi risparmi a favore delle famiglie), era emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una
nuova regolamentazione complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica
equivalente.
Soffermandosi sull’art. 4, comma 2, lett. f), e comma 3, lett. c), nonché sugli artt. 5, comma 2, 6, 2,
comma 1 e comma 2, e 3 del d.p.c.m. cit., i soggetti in epigrafe lamentavano che le nuove modalità
di calcolo dell’ISEE si traducevano in un ingiusto svantaggio ai danni dei disabili e delle famiglie in
cui era presente una persona con disabilità e quindi, in sintesi, deducevano quanto segue.
“I. Illegittimità dell’art. 4 comma 2 lett. f) (che include nel reddito disponibile le provvidenze
pubbliche per i disabili) per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 2 della legge
214/2012 nonchè dei principi costituzionali degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost. e della Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13.12.2006 ratificata con la legge 18/2009.
Eccesso di potere per illogicità manifesta, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia”.
Il d.p.c.m. in questione, nella disposizione in rubrica, prevedeva che dovevano essere considerate
componenti del reddito disponibile anche i “trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari,
incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non
siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lett. a) (reddito complessivo ai fini IRPEF).
Risultavano considerati a tali fini, quindi, anche tutte le provvidenze economiche per prestazioni
sociali e sociosanitarie agevolate concesse ai disabili al mero fine di recuperare lo svantaggio in cui
si trovano e per assicurare la realizzazione di diritti costituzionalmente riconosciuti. Ciò creava un
evidente ulteriore svantaggio per le famiglie già gravate dalla presenza di persone con disabilità e si
poneva in contraddizione con la natura di tali provvidenze, svolgenti funzione non di incremento
del reddito ma di contrappeso allo stato di bisogno e allo svantaggio sociale, senza tradursi in un
arricchimento del nucleo familiare ma avendo destinazione di ausilio e compensazione al fine di
ottenere prestazioni sociali o agevolazioni fiscali collegate.
Per i disabili e le loro famiglie, quindi, veder dipendere il proprio diritto all’accesso alle prestazioni
sociali o il livello di compartecipazione al costo delle indennità già concesse per la disabilità stessa
equivaleva a dare ingresso nell’ordinamento ad un ingiusto limite a tale accesso, con violazione dei
principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost.
Tale conclusione contrastava con la stessa legge n. 214/2012, che stabiliva di tenere conto dei
disabili a carico delle famiglie ma con l’intento di agevolarle e non di svantaggiarle, e con l’art. 4
della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
“II. Illegittimità dell’art. 4 comma 3 lett. c) del dpcm 159/2009 (che fissa un limite massimo di
detrazione delle spese sanitarie documentate per i disabili) per i medesimi vizi dedotti sub I”

La disposizione in esame era illegittima perché consentiva la detrazione dall’ammontare del reddito
utile ai fini ISEE delle specifiche spese indicate solo se evidenziate nella dichiarazione dei redditi,
senza considerare però che nelle dichiarazioni “forfetarie”non è prevista la specifica indicazione
delle spese detraibili.
In secondo luogo, essa era anche illegittima laddove fissava un tetto massimo (euro 5.000,00) per
tale tipologia di detrazione, non considerando che la quota ulteriore andava ad incrementare il
reddito pur se fondata su spese necessarie per assicurare i diritti fondamentali e incomprimibili a
tutela della disabilità.
“III. Illegittimità dell’art. 5 comma 2 del dpcm 159/2009 (che conteggia nel patrimonio
immobiliare anche la prima casa in base alla rendita catastale) per i medesimi profili dedotti sub I”
La norma in questione, richiamando il valore dei fabbricati definiti ai fini IMU, non teneva conto
della disomogeneità sul territorio nazionale, con conseguente incisione sull’accesso alle prestazioni
sociali e sul livello di contribuzione.
“IV, Illegittimità dell’art. 6 del dpcm 159/2009 (che ai fini delle prestazioni socio-assistenziali
considera solo il maggiorenne disabile non coniugato come nucleo familiare a se stante) per i
medesimi profili dedotti sub I”
Definendo il “nucleo familiare” come quello corrispondente alla famiglia anagrafica alla data di
presentazione della DSU, la norma in rubrica estendeva illogicamente la nozione a tutti coloro che
coabitano in quanto parenti, affini ovvero legati da vincoli di mutua assistenza, comprendendo
anche i coniugi non conviventi (salvo separazione giudiziale, esclusione di potestà sui figli,
domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio) ed i figli maggiorenni non conviventi ma
a carico dei genitori a fini IRPEF e sottraendo solo i disabili maggiorenni per le sole prestazioni
sociali agevolate di natura socio sanitaria.
Si creava così un indubbio svantaggio per il disabile coniugato con figli rispetto al disabile
maggiorenne convivente con i genitori e che non abbia famiglia propria.
Risultava così scoraggiato il diritto a formare una famiglia, tutelato dall’art. 23 della Convenzione
ONU, e si creava anche disparità tra soggetti con la medesima disabilità maggiorenni o minorenni
in quanto questi ultimi vedevano conteggiato ai fini ISEE anche il reddito dei genitori pur non
conviventi, rischiando di non accedere alle prestazioni di cui necessitano.
Sotto altro profilo, emergeva l’illegittimità dell’art. 6 cit. laddove sottraeva dal “nucleo familiare
allargato” i disabili maggiorenni esclusivamente per le prestazioni socio sanitarie agevolate e non
anche per le altre prestazioni sociali, laddove la precedente legislazione considerava il reddito del
solo assistito e non dell’intero nucleo familiare e tutelava il peso che gravava su quest’ultimo per
tutte le attività di assistenza alla disabilità.
La diversa valutazione di cui al d.p.c.m. impugnato, quindi, introducendo il principio per cui il
calcolo dell’ISEE si applica non più al reddito del solo beneficiario ma a quello dell’intero nucleo
familiare si pone in violazione degli artt. 2, 3 e 38 Cost.
“V. Illegittimità dell’art. 2 comma 1 del dpcm 159/2009 (che attribuisce agli enti erogatori la
facoltà di introdurre ulteriori criteri di concessione delle prestazioni sociali) per i medesimi profili
dedotti sub I”
La norma in rubrica era illegittima laddove prevedeva la possibilità per gli enti erogatori di
prevedere, accanto all’ISEE, ulteriori criteri di selezione volti ad identificare specifiche platee di
beneficiari, con potenziale rischio di disparità tra vari Comuni nonchè violazione della l. n. 214/11,
che prevede il solo ISEE come strumento di misurazione dell’accesso alle prestazioni sociali, e
dell’art. 117 Cost.
“VI. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 214/2011 di conversione del
decreto-legge 201/2011”.
I ricorrenti evidenziavano che la norma in rubrica aveva mancato di tenere nella dovuta
considerazione il diritto delle persone con disabilità non autosufficienti ad avere servizi
sociosanitari adeguati ad assicurare loro pari opportunità di vita, come sancito dagli artt. 2, 3, 32 e
38 Cost., violando anche gli obblighi assunti dall’Italia con l’adesione alla Convenzione ONU
ratificata con la l. n. 18/2009, con conseguente violazione anche dell’art. 10, comma 1, Cost. in
relazione alla mancata individuazione di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati, dato
che i diritti dei disabili sono ora considerati non più indipendentemente dal nucleo familiare di
appartenenza.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, illustrando le proprie tesi, orientate alla
reiezione del ricorso, in nota allegata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in cui era
evidenziata preliminarmente anche l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesione effettiva, in
assenza di atto applicativo delle norme regolamentari contestate, e per carenza di interesse al ricorso
al momento della proposizione, in quanto il nuovo ISEE sarebbe diventato operativo entro trenta
giorni dall’approvazione del modello DSU, a sua volta da adottare entro novanta giorni dall’entrata
in vigore dell’impugnato dpcm avvenuta in data 8 febbraio 2014.
In prossimità della pubblica udienza i ricorrenti depositavano memoria illustrativa delle proprie
ragioni.
In data 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, non rileva l’inammissibilità del ricorso sotto i profili dedotti
dall’Amministrazione resistente, in quanto il d.p.c.m. impugnato, pur quale atto generale, contiene
determinazioni precettive direttamente applicabili ai fini del lamentato innalzamento dell’ISEE
sotto i profili dedotti dai ricorrenti e anche ai fini delle conseguenze indirette subito percepibili in
campo sociale.
Il Collegio rileva la fondatezza del primo motivo di ricorso.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost.,
ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una
definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da
imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia
sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità
di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di
risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla
componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i
lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il
coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio
di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di
situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione
delle norme costituzionali sopra richiamate avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in
tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di
sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del
Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto
sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse
carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già
inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e
indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5

d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della
oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a
incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento,
sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o
risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le
pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da
danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn.
210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in
senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l.
cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito
disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m.
di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con
disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a
riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e
franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 dp.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere
considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali,
previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni
pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al
richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e
in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la
funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e
orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non
sottoposto a tassazione IRPEF.
Per completezza di esposizione e poiché gli ulteriori motivi riguardavano diverse determinazioni del
d,p.c.m. in questione, il Collegio deve esaminare anche la restante parte del gravame.
Per quel che riguarda il secondo motivo, il Collegio rileva che la disposizione di cui all’art. 4,
comma 3, lett. c), d.p.c.m. cit. – sotto il primo profilo dedotto dai ricorrenti – non appare illegittima.
Come è noto la dichiarazione dei redditi “forfetaria” non impedisce comunque la presentazione di
una dichiarazione “integrale” e/o di allegare la documentazione di spesa sanitaria.
E’ una scelta del contribuente quella di provvedere alla prima forma, per cui ben può in futuro
essere necessaria la dichiarazione nella seconda forma ai fini di ottenere le detrazioni previste.
Analogamente, la previsione di un tetto massimo di detrazione, se correlata alla rideterminazione
del reddito secondo i parametri evidenziati nell’esaminare il primo motivo di ricorso, non appare
illogica o penalizzante nel senso prospettato dai ricorrenti, in quanto la stessa Amministrazione,
nella nota allegata in atti chiarisce che il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona
del nucleo che detrae, quale sottrazione al suo reddito personale, mentre in precedenza nessuna
detrazione di spesa per la “disabilità” era prevista, con la conseguenza che tale conformazione è
coerente con la disposizione legislativa di cui all’art. 5 d.l. n. 201/11 cit., secondo cui con il d.p.c.m.
sono individuate le agevolazioni fiscali che a partire dal 1 gennaio 2013 non possono più essere
riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto
stesso.
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri non
ha potuto che tenere conto dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale
(quest’ultima in via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque delle
valutazioni “temperate”, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel
rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura maggiore” la
componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con l’attenuazione dovuta
dall’identificazione di agevolazioni fiscali.
Né può farsi una raffronto con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare su
base ICI, non essendo più in vigore e non più invocabile tale regime per la generalità dei cittadini.
Per quel che riguarda il quarto motivo di ricorso, il Collegio osserva che nel nuovo assetto sono
considerati i figli minorenni o maggiorenni a carico a fini IRPEF della persona disabile
maggiorenne e la loro inclusione nel nucleo familiare, in quanto privi di reddito sostanziale, riduce
l’ISEE, favorendo così il disabile con figli a carico rispetto al disabile senza prole, secondo la scala
di equivalenza di cui all’Allegato 1 al decreto richiamato dal relativo art. 1, comma 1, lett. c).
Analoghe osservazioni possono farsi in relazione all’inserimento del coniuge, che, se con reddito,
risponde a ragioni di equità sostanziale.
Altrettanto priva di illogicità e irrazionalità valutabili nella presente sede è la circostanza per la
quale i disabili minorenni non sono considerati “nucleo a sé” rispetto ai genitori, anche per
l’obbligo di solidarietà sociale familiare rimarcato dalla corte Costituzionale nella sentenza n.
297/12, ferma restando la previsione, all’uopo, di una specifica franchigia.
Per qual che riguarda, poi, la considerazione del reddito familiare e non del solo assistito il Collegio
pure richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 296/12) nonché del Consiglio di Stato
(Sex. III, 14.1.14, n. 99) secondo cui, in sostanza, la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi
ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte
costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una
compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può
costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il
nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla
collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
C’è da osservare, infine, che anche nel precedente regime non vi era una considerazione del reddito
del solo “assistito” per tutte le spese ma solo per quelle per prestazioni sociali agevolate assicurate
nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria e che la definizione di “prestazioni
agevolate di natura sociosanitaria” di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), d.p.c.m. cit. può includere
anche prestazioni strumentali e accessorie oltre che interventi economici, come riconosciuto nella
stessa nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali allegata in atti dall’Amministrazione
costituita.
Infondato è poi il quinto motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “…la competenza
statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione di livelli
essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce una
competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n. 203 del
2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 162 e n. 94 del
2007; n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte incidenza sull’esercizio
delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8 del 2011; n. 88 del
2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale collaborazione tra
Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010; n. 322 e n. 124 del 2009;

n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che ricorrano ipotesi eccezionali (nella
specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) «non
permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […] di protezione delle situazioni di estrema
debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo Stato a disporre in via diretta le prestazioni
assistenziali, senza adottare forme di leale collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a
proposito della social card, ricondotta ai LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo
comma, Cost.). Proprio in ragione di tale impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore
statale, nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha
spesso predisposto strumenti di coinvolgimento delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a
salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie, non è dubbio che la determinazione
dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie reddituali di accesso alle prestazioni
e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla competenza residuale regionale in materia
di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle finanze della Regione, che sopporta l’onere
economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la suddetta determinazione dell’ISEE richiede la
ricognizione delle situazioni locali e la valutazione di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione
di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale
collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto in cui è
inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve” le competenze
regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e sociosanitarie
e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a tale art. 2, poi, specifica con attenzione
che “…In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non
diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie
di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione
volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in
materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e sociosanitari.
E’ comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo
familiare attraverso l’ISEE.”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e identificato nella sua
sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della ricognizione delle “situazioni locali”
anche di ordine finanziario – solo la possibilità di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi –
di selezione unicamente della platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali
specificamente previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi” all’ISEE, come
ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la platea dei beneficiari mediante
criteri ulteriori, che non si sovrappongono o sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le
attribuzioni regionali specifiche e facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal
ricordato art. 2 – la “valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare
attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il nucleo
valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Per quel che riguarda, infine, la questione di costituzionalità posta con il sesto motivo di ricorso, il
Collegio, oltre che evidenziarne la sostanziale genericità, rileva che un’interpretazione
costituzionalmente orientata impone le conclusioni, favorevoli ai ricorrenti, di cui al primo motivo
di ricorso, per cui se ne deduce l’irrilevanza in questa sede.
Per quanto attiene alla Convenzione ONU, il Collegio richiama la circostanza per la quale il
Consiglio di Stato (n. 99/14 cit.), con argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha
precisato che tale Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una
piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574). Né ciò
comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito, giacché la di lui
situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per quanto sia possibile e secondo quanto
afferma la stessa Corte costituzionale, con il favorire la permanenza di questi presso il nucleo
familiare. In ogni caso ritiene il Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE
non si ponga in contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi valorizzano la
posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal proprio nucleo familiare. Al
riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà familiare costituisce una ulteriore
guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere di solidarietà sociale e che tale fondamentale e
primario dovere di solidarietà familiare si esprime anche nella considerazione, da parte
dell’ordinamento dei singoli Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota
assistenziale di compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura sociosanitaria.
Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale che, con l’art. 5 del d.l.
201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel fissare il nuovo indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), occorra adottare una definizione di reddito disponibile che includa
la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di
patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari,
in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando
sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per
l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. n. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori
determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento,
all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle

parti ricorrenti e dei soggetti di cui si dichiarano genitori, tutori o amministratori di sostegno o di
persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con l’intervento dei
magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

N. 02458/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04823/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4823 del 2014, proposto da:

U.T.I.M. -Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva e
Associazione “Promozione Sociale”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti

p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Annamaria Torrani Cerenzia e Mario Motta,
con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, Via Portuense, 104;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa per legge
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei
Portoghesi, 12;

per l’annullamento, previa sospensione,
del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013 n. 159
“Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi
di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.1.2014 n. 19;

nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, conseguente e comunque
connesso con gli atti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in
epigrafe evidenziavano che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011
(recante “Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici

assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie), era
emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una nuova regolamentazione

complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica equivalente e di
cui chiedevano l’annullamento in parte, previa sospensione.
Soffermandosi principalmente sulle prestazioni agevolate di cui all’art. 1, lett. f),
d.p.c.m. cit. (prestazioni agevolate di natura sociosanitaria rivolte a persone con
disabilità e limitazioni dell’autonomia) e sulla rispettiva legittimazione a ricorrere, in

quanto portatori di posizioni a tutela di interessi diffusi e del gruppo sociale da loro
rappresentato, i soggetti in epigrafe lamentavano, in sintesi, quanto segue.

“1) Eccezione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.
5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011”.

Risultava la violazione della Carta costituzionale (artt. 70, 76 e 77) in quanto la fonte

normativa di legge delegava alla PCM l’emanazione di un regolamento, senza però
stabilire “norme regolatrici della materia”, ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n.
400/1988, limitandosi l’art. 5 d.l. cit. a contenere generali e vaghe linee
programmatiche che si prestano alle più varie interpretazioni e concedendo in

sostanza una “delega in bianco” alla PCM per disciplinare una materia riservata alla
esclusiva competenza del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m),
Cost.

“2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011 sotto il profilo della violazione del termine stabilito per l’emanazione del Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Il d.p.c.m. impugnato risultava pubblicato il 24 gennaio 2014, ben oltre il termine

del 31 maggio 2012 previsto dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit., termine da considerare
perentorio in quanto legato all’emanazione di un regolamento attuativo e non
meramente esecutivo.
“3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 117 lettera m) della Costituzione”.
Ricordando il nuovo regime di competenze delineato dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit.
-anche ai sensi della pronuncia della Corte Costituzionale n. 297/2012 che lo
riguardava – per il quale le soglie di accesso alle agevolazioni vengono fissate dal
Presidente del Consiglio dei Ministri e non più da ciascun ente erogatore, risultava
illegittimo l’art. 2 del d.p.c.m. impugnato laddove prevedeva invece che gli enti
erogatori potevano individuare, accanto all’ISEE, altri criteri di ulteriore di selezione

volte ad identificare specifiche platee di beneficiari ed esercitando così una
competenza riservata allo Stato ai sensi del ricordato art. 117, lett. m), Cost.

“4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011, dell’art. 38 I comma della Costituzione, dell’art. 32 I comma della Costituzione
dell’art. 23 della Costituzione e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone

con disabilità stipulata a New York il 13.12.2006 e ratificata dalla Repubblica Italiana con la

legge 18/2009”.
Gli artt. 2, 3 e 6 d.p.c.m. cit. violavano la norma costituzionale, di cui al relativo art.
38, e la ricordata Convenzione di New York in quanto conteggiavano l’ISEE, anche
nel caso di disabili non autosufficienti, considerando l’intero nucleo familiare e

imponendo, in caso di ricovero in strutture assistenziali di disabili privi di ingenti

risorse proprie, il contributo economico all’intero nucleo in questione.

Ciò andava a ledere, nello specifico, il diritto e la dignità del disabile che si vedeva
ora costretto a chiedere aiuto alla famiglia di appartenenza, la quale doveva essere
invece oggetto di tutela da parte dello Stato secondo quanto impresso nella
Convenzione di New York.

Risultava, inoltre, la violazione dell’art. 32 Cost. in quanto risultava così precluso
l’effetto di garanzia di cure gratuite a persone in stato di indigenza, soprattutto se
colpite da patologie gravemente invalidanti e da non autosufficienza e destinatarie,
in quanto tali, del diritto di esigere direttamente prestazioni sanitarie e sociosanitarie,
ex art 3, comma 3, l..n. 833/1978 e art. 54 l. n. 289/2002, quali livello essenziale di
assistenza.
Tali disposizioni del d.p.c.m. impugnato non erano comunque coerenti con (o

autorizzate da)la delega di cui all’art. 5 d.l.n. 201/2011, in quanto il richiamo in tale

norma di rango legislativo alla necessità di tenere conto delle quote di patrimonio e
di reddito dei diversi componenti della famiglia non poteva che essere considerato
in contraddizione con la precedente normativa, con i principi costituzionali e la
Convenzione di New York sopra richiamati, che espressamente prevedono la

necessità di valutare il reddito del solo assistito, a meno di considerare l’art. 5 cit.

quale norma in contrasto con la Carta costituzionale per quanto sopra richiamato.

I soggetti ricorrenti lamentavano, infine, anche la violazione dell’art. 23 Cost.
laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza
autorizzazione legislativa.
3 Cost.
laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza
autorizzazione legislativa.

5) Ulteriore profilo del motivo di impugnazione sopra dedotto. Eccesso di potere sotto i profili della
irragionevolezza, della ingiustizia minifesta e dello sviamento dalla causa tipica”.

L’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. considerava che l’ISEE doveva tenere conto anche

dei figli non conviventi nel caso di prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria
erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo (salvi casi di estraneità accertati
in sede giurisdizionale e dalla pubblica autorità competente) ma tale fattispecie non

era in alcun modo autorizzata dall’art. 5 d.l. cit. e causava una abnorme estensione
della nozione di “nucleo familiare”.

Anche la su ricordata deroga appariva illogica, in quanto si escludevano dal carico
del naturale obbligo di solidarietà i figli di cui non è riconosciuto il rapporto affettivo

o la prestazione di aiuti economici, con relativa prova a carico degli interessati,
tramite autorità giurisdizionali o amministrative, ben difficile da individuare e
definire.
“6) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 18/1980 e dell’art. 1 della
legge 508/1998.”

L’art. 4, comma 2, lett. f) d.p.c.m. cit. risultava illegittimo laddove includeva nel

computo ISEE i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di
debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, ricomprendendo
quindi indebitamente anche indennità finalizzate a fornire al disabile risorse
occorrenti per sostenere le maggiori spese in ragione della propria disabilità. Tra i
trattamenti considerati rientrerebbe, quindi, anche l’indennità di accompagnamento
di cui all’art. 1 l. 18/1980, posta a carico di persone che hanno subito gravi patologie

invalidanti e che è necessaria per le attività continue di assistenza di cui hanno
bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale. bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale.

“7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011. Eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di trattamento”.

L’art. 5, comma 2, d.p.c.m. cit. si palesava illegittimo laddove utilizzava il valore
catastale ai fini IMU per determinare il valore reddituale dell’abitazione di proprietà.

La determinazione, in tal senso, appariva contraddittoria con il regime di detrazione,
pressoché integrale, del canone di locazione previsto invece nel precedente art. 4 e
comunque non sostenuta da alcuna disciplina nella fonte primaria.
In rapporto alla precedente regolamentazione, di cui al d.lgs. n. 109/1998, che
prevedeva il valore catastale ai fini ICI, l’attuale base di calcolo sul valore catastale

IMU si rilevava nettamente superiore, come da simulazione che i ricorrenti
illustravano in dettaglio.

“8) Violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 315 bis c.c.”

Il d.p.c.m. impugnato, nel non prevedere apposite detrazioni, non considerava che
il disabile grave, l’anziano malato cronico non autosufficiente e la persona colpita
da demenza senile richiedenti le prestazioni potevano dover far fronte talvolta

all’obbligo di mantenimento nei confronti del coniuge e dei figli sprovvisti di redditi

propri.

“9) Violazione dell’art. 38 I comma della Costituzione sotto il profilo della mancata previsione
dell’adeguamento delle franchigie al costo della vita. Eccesso di potere per irragionevolezza ed
ingiustizia manifesta”.
Le franchigie previste all’art 4 del d.p.c.m. cit., non considerando alcun
adeguamento al costo della vita, contrastavano con l’art. 38 Cost. e con il principio,

ormai generalizzato nel nostro ordinamento, della rivalutazione automatica delle
somme destinate ad assicurare l’effettiva realizzazione di esigenze sociali.

Si costitutiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, illustrando le
proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in note allegate da Uffici del M.E.F.
Alla camera di consiglio cautelare era disposto rinvio alla trattazione del merito.
In prossimità della pubblica udienza, le parti ricorrenti depositavano una memoria
ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi, con riferimento ai motivi n. 4, 5 e 7.
Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
L’art. 5 del d.l. n. 201/2011, nel testo derivante dalla legge di conversione n.
214/2011 e dal successivo d.l. n. 95/2012, conv. in l. n. 135/2012, recita
testualmente quanto segue: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio
2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della
situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile
che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle
quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi
familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la
capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita
sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle
imposte relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di
prestazioni. Con il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le
provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più
riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso.
A far data dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo
modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la

determinazione dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto

legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio
1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro 1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro

dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli
dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione
e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate,

condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel

rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.
Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio
dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di
politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale
rassegnazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del

lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare,

previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le

modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica

equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di
patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari,
in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità

selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in
Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte
relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni. Con

il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le provvidenze di
natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai

soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso. A far data
dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione
dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221.
dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione
dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221.

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE,

anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti
pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate,
condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel
rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.
Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio
dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di

politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale
riassegnazione”.
Ebbene, dall’articolato testo ora riportato non emerge la vaghezza e
l’indeterminatezza lamentate dai soggetti ricorrenti, atteso che il legislatore ha

chiaramente indirizzato il Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i
Ministri evidenziati, a rivedere le modalità di determinazione e i campi di

applicazione dell’ISEE fondandoli essenzialmente sulla (ri)definizione di “reddito
disponibile” tale da includere somme e quote patrimoniali e di reddito di soggetti
familiari determinati, valorizzando la componente patrimoniale anche estera,
considerando le tipologie diverse di prestazioni.

La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 297/2012, ha inoltre evidenziato
che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato,
come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con
proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o
assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla
generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto
decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori
debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b)
introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c)
fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie
tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori
differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma
diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica
determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa,
infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto
concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione»,
che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso,
sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008;
ziato
che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato,
come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con
proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o
assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla
generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto
decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori
debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b)
introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c)
fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie
tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori
differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma
diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica
determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa,
infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto
concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione»,
che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso,
sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008;

n. 383 e n. 285 del 2005).La norma impugnata, pertanto, costituisce espressione
dell’esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di LIVEAS,
ai sensi dell’art. 117, secondo comma lettera m), Cost.”.

Da tale ricostruzione appare evidente la completezza della struttura del testo
legislativo di delega e la conformità dell’operato del legislatore, sotto tale profilo,
all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Non si rileva infatti la perentorietà del termine del 31 maggio 2012 richiamato
nell’art. 5 cit.

Secondo i principi giurisprudenziali in argomento e sotto un profilo sostanziale, un

termine può definirsi “perentorio” quando dalla sua scadenza deriva l’impossibilità

di compiere, anche in epoca successiva, l’attività amministrativa correlata,
implicandosi così l’estinzione del potere alla scadenza del termine. Un termine,
viceversa, può dirsi “ordinatorio” allorché la sua scadenza non fa venir meno il

potere di agire, fermo restando che -salva la possibilità di proroga a mezzo della
stessa fonte che lo aveva stabilito e, altresì, prima della sua scadenza -il mancato
rispetto di detto genere di termine può esporre a responsabilità colui che, in difetto
di legittima proroga, non lo abbia rispettato, e consente ai soggetti interessati (e
quindi legittimati perchè portatori di un interesse legittimo al rispetto del termine) a
esperire in giudizio ogni azione idonea a costringere l’obbligato a svolgere l’attività
dovuta (C.G.R.S., 19.4.12, n. 396).
Nel caso di specie non vi era alcuna previsione di estinzione del potere né era
definito il termine stesso come perentorio né era prevista alcuna conseguenza
sostanziale sulla sua inosservanza, così che il medesimo può definirsi meramente

ordinatorio e il suo mancato rispetto non comporta l’illegittimità dell’intero d.p.c.m.

impugnato, come invece prospettato dai ricorrenti (Cons. Stato, Sez. VI, 27.2.12, n.
1084).
Al Collegio non appare fondato neanche il terzo motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “…la
competenza statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione
di livelli essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce
una competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n.
203 del 2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n.

162 e n. 94 del 2007; n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte
incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8
del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale
collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010;
incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8
del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale
collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010;

n. 322 e n. 124 del 2009; n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che
ricorrano ipotesi eccezionali (nella specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni (LEP) «non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […]
di protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo
Stato a disporre in via diretta le prestazioni assistenziali, senza adottare forme di leale
collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a proposito della social card, ricondotta ai
LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.). Proprio in ragione di tale
impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore statale, nel determinare i livelli essenziali
delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha spesso predisposto strumenti di coinvolgimento
delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie,
non è dubbio che la determinazione dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie
reddituali di accesso alle prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla
competenza residuale regionale in materia di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle
finanze della Regione, che sopporta l’onere economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la
suddetta determinazione dell’ISEE richiede la ricognizione delle situazioni locali e la valutazione
di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni
dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale

collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto
in cui è inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve”
le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle
politiche sociali e socio-sanitarie e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a

tale art. 2, poi, specifica con attenzione che “…In relazione a tipologie di prestazioni che
per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono
In relazione a tipologie di prestazioni che
per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono

prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di

beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali
specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari. E’ comunque fatta salva la
valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE.”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e
identificato nella sua sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della
ricognizione delle “situazioni locali” anche di ordine finanziario – solo la possibilità
di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi – di selezione unicamente della
platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali specificamente
previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi”
all’ISEE, come ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la

platea dei beneficiari mediante criteri ulteriori, che non si sovrappongono o
sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le attribuzioni regionali specifiche e
facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal ricordato art. 2 – la
“valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare
attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il

nucleo valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Né è provato, comunque, che tali ulteriori criteri – ancora da adottare da parte degli
enti erogatori -siano già ora lesivi per i disabili rappresentati dai soggetti ricorrenti,
per cui emerge anche un profilo di carenza di interesse alla proposizione del motivo.

Infondato si palesa anche il quarto motivo di ricorso sulla circostanza di conteggiare
l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile
in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa
l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile
in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa

di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di

solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del
nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha
sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una
compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei
familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la

permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un

dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui

prossimi congiunti”.

Ebbene, in tal senso non si individua alcuna discriminazione nei confronti dei
disabili in quanto non risulta impedita nei confronti di costoro, se non
autosufficienti, l’accesso alle cure sanitarie, ai sensi degli artt. 32 e 38 Cost., in quanto
la disciplina in materia di ISEE comprende la componente sociale che non può

essere né scissa né oscurata da quella sanitaria, facendo di quest’ultima l’esclusivo

parametro di riferimento al quale ancorare, anche sul piano costituzionale, la
valutazione della normativa in materia (Cons. Stato, Sez. III, n. 99/14 cit.).
Né può invocarsi la violazione della Convenzione di New York del 13 dicembre
2006.
Sempre nella medesima sentenza n. 99/14 cit. il Consiglio di Stato, con
argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha precisato che tale

Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una
piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574).
Né ciò comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito,

giacché la di lui situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per
quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il
favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il
Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in
contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi
valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal
proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà
familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere
di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà
familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli
Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di
quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il
favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il
Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in
contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi
valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal
proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà
familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere
di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà
familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli
Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di

compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura
sociosanitaria. Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale
che, con l’art. 5 del d.l. 201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel

fissare il nuovo indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), occorra
adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme,
anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio
e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi

familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Non si rileva, infine, la violazione dell’art. 23 Cost, in quanto non risulta imposta

alcuna prestazione ma solo una rideterminazione della distribuzione sociale di
obblighi di solidarietà.
Gli argomenti di cui alla precedente trattazione portano anche a ritenere infondato
il quinto motivo di ricorso, in quanto il dovere di solidarietà familiare sopra
richiamato non può essere limitato ragionevolmente ai soli figli conviventi né pare
impossibile fornire la prova della deroga per estraneità del figlio in termini di

rapporti affettivi ed economici, visto l’esplicito richiamo alla pubblica autorità

competente e alla sede giurisdizionale, soggetti che operano in maniera idonea a
fornire ogni documentazione necessaria.
Per mera linearità espositiva, il Collegio ritiene di passare ad esaminare gli ulteriori

motivi di ricorso di cui riconosce l’infondatezza.

In particolare, per quel che riguarda il settimo motivo di ricorso, il Collegio ritiene
legittimo l’art. 5, comma 2, del d.p.c.m. impugnato laddove utilizza il valore catastale
IMU per valutare il patrimonio immobiliare.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha potuto che tenere conto

dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale (quest’ultima in
via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque dei
temperamenti, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel
rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura
maggiore” la componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con
l’attenuazione dovuta dall’identificazione di agevolazioni fiscali.

La complessa simulazione contenuta nel ricorso, quindi, non può rilevare sotto il
profilo di cui al presente motivo, perché richiama l’intera situazione personale legata
all’applicazione del nuovo indice “ISEE” e non contiene una rivalutazione

proporzionale con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare
su base ICI, comunque non più in vigore e non più invocabile.
Parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso.
Il dovere di solidarietà familiare sopra richiamato non può che essere interpretato
unitariamente, così che la compartecipazione al calcolo reddituale per coniugi e figli
conviventi deve essere uniforme. Ciò nel rispetto dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit. che
impone di tenere conto dei pesi dei carichi familiari e ferma restando la facoltà, pure

sopra ricordata, di cui all’art. 2 d.p.c.m. cit. di consentire agli enti erogatori criteri
ulteriori di selezione accanto all’ISEE.

Infondato è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve
intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di
revisione e aggiornamento delle franchigie e detrazioni, sia su impulso della stessa
Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel
tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio
riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt.
3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale
è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve
intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di
revisione e aggiornamento delle franchigie e detrazioni, sia su impulso della stessa
Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel
tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio
riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt.
3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale

prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in
misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba
essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di
eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in
realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.

A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco
il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le

pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano),
i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che
percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a
rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art.
38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad

assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta
violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo
a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed

aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini elle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini

ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la
Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo

familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali

e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche,
laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel

reddito complessivo IRPEF.

Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali,
previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di
“reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che
l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche

economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che
dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla
componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti
riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle

situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS

alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi
da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da
indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono

costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di
“reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE
e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di
“reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata

dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero
l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova
’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero
l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova

disciplina.

Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente

orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad

introdurre specifiche detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito”

(impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m.
siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né

che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno
luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a
qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata

“disabilità”.

Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove

prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile”
eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l.

cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando
attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale,
previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di

reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della
fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi
di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. n.
159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con
l’intervento dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Federazione Nazionale Istituzioni pro Ciechi: 3° Concorso di editoria tattile “Tocca a te! 2015”, Redazionale

Autore: Redazionale

Il Concorso è organizzato da:

Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi Onlus

Fondazione Robert Hollman

Istituto Regionale per i Ciechi “G. Garibaldi” di Reggio Emilia 

 

e vede la collaborazione di:

Comune di Reggio Emilia

Biblioteca Comunale Panizzi

S’Ed (Centro per i Servizi educativi del  Museo e del Territorio)

Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale del MiBACT  

Gruppo Typhlo & Tactus.

 

Il concorso è aperto a tutti e la partecipazione è gratuita.

2 Differenti giurie

2 Premi e 3 Menzioni speciali

Selezione Italiana dei 5 partecipanti al concorso Internazionale Typhlo & Tactus, Cannero Riviera (ITA), 12-14 Novembre 2015

Primo premio 1.500 euro

 

Le opere dovranno pervenire entro il 31 Maggio 2015

 

Il Concorso è dedicato alla memoria di Mauro L. Evangelista

 

Regolamento completo su www.libritattili.prociechi.it

info: libritattili@prociechi.it

 

Fand: Comunicato, Redazionale

Autore: Redazionale

“A seguito dei contatti intercorsi con la Presidenza del Consiglio dei Ministri relativamente alla ridefinizione delle competenze sul supporto scolastico, fin ora in capo alle Province, la FAND ha richiesto di essere presente e rappresentata nel prosieguo dell’approfondimento.
Al riguardo abbiamo ricevuto assicurazioni circa la presenza della nostra Federazione che verrà coinvolta in ogni ulteriore fase del confronto.
Per formalizzare la situazione, comunque, la FAND ha inviato una lettera ufficiale al sottosegretario Bressa per avere la certezza e la conferma della partecipazione, quale legittima rappresentante degli utenti con disabilità e in particolare alunni e famiglie interessati al supporto scolastico.”

Concorso Nazionale Tocca a te! 2015, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Gentilissimi,
in qualità di Presidente della Giuria del Concorso in oggetto vi chiedo cortesemente di dare visibilità a questa nostra iniziativa.
Il Concorso Nazionale Tocca a te!, giunto quest’anno alla sua terza edizione, è stato ideato nel 2009 dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi per diffondere la cultura del libro tattile per la prima infanzia e della grafica accessibile. Come per le passate edizioni il Concorso premia i migliori 5 libri italiani e rappresenta la preselezione al concorso internazionale Tactus 2015.
Il Concorso è organizzato in collaborazione con la Fondazione Robert Hollman e l’Istituto Regionale per i ciechi “G. Garibaldi” di Reggio Emilia.

Le giurie da me presiedute si riuniranno nelle giornate dal 19 al 21 giugno 2015 presso la Biblioteca Comunale Panizzi di Reggio Emilia.

La partecipazione al Concorso è gratuita e il primo Premio è di 1.500 euro.

Ulteriori informazioni (Bando del concorso, Modulo di partecipazione e locandina manifesto) sono scaricabili dal sito www.libritattili.prociechi.it

Cordiali saluti

Professor Gianluca Rapisarda
(Presidente della Giuria Concorso Tocca a te! 2015)

Teatro dei Sensi, Redazionale

Autore: Redazionale

Espressioni di una natura impressionabile
Domenica 22 febbraio 2015
Museo Tattile Statale Omero – Mole Vanvitelliana

ANCONA – Domenica 22 febbraio va in scena al Museo Omero un percorso poetico sensoriale al buio dal titolo Espressioni di una natura impressionabile.

La compagnia teatrale “Punti di vista” di Roma, utilizzando gli strumenti evocativi del teatro dei sensi, sviluppati ed affinati in una drammaturgia del tocco, condurrà il pubblico, in gruppi di 30 persone lungo un sentiero, alla ricerca di una medicina, una pietra filosofale, una pozione, un incantesimo capace di guarire ogni malessere della mente e dello spirito.
Ogni grande impresa prevede, per definizione, un cammino insidioso, il raggiungimento di una meta remota sarà possibile solo se si avrà la forza di superare i burrascosi tumulti della natura, sopravvivendo alle tempeste emotive, continuando a lottare per non essere abbagliati da silenzi assordanti, sperando di non annegare nell’infinito contenuto nel nulla.
La materia scolpita da Paolo Annibali sarà la fonte energetica dalla quale sgorgheranno gocce di risposte alimentanti nuovi, massicci quesiti, incastonati in una profezia ineluttabile. L’unica sconfitta è la solitudine.

Un evento proposto dal Museo Omero anche in occasione della Giornata Nazionale del Braille (21 febbraio).

INFO
Orario: quattro turni da 40 minuti ciascuno; ogni turno vedrà la presenza di massimo 30 utenti: 11:00 / 12:00 – 16:00 / 17:00.
Prenotazione obbligatoria.
Ingresso libero.
Museo Tattile Statale Omero
Mole Vanvitelliana – Banchina Giovanni da Chio 28
tel. 0712811935
email: didattica@museoomero.it
sito: www.museoomero.it

Monica Bernacchia – Museo Tattile Statale Omero  tel. 0712811935 email monica.bernacchia@museoomero.it

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Centro di Documentazione Giuridica: Ancora una volta muta l’orientamento della Cassazione sulla sottoposizione ad un tetto di reddito per la pensione non reversibile dei non vedenti, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione civile, sezione sesta, con la sentenza n. 24004 dell’11 Novembre 2014 di cui segue breve commento e riproduzione integrale del testo in calce.
La decisione della Suprema Corte si uniforma alla precedente sentenza n. 24192/2013 secondo cui “La pensione non reversibile per i ciechi civili assoluti di cui all’art. 7 legge 10 febbraio 1962, n. 66, è erogata a condizione della permanenza in capo al beneficiario dello stato di bisogno economico, trattandosi di prestazione assistenziale rientrante nell’ambito di cui all’art. 38, primo comma, Cost., con conseguente cessazione dell’erogazione al superamento del limite di reddito previsto per la pensione di inabilità di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 di conversione del d.l. del 30 gennaio 1971, n. 5, dovendosi ritenere inapplicabili a detta prestazione sia l’art. 68 della legge 30 aprile 1969, n 153, dettato per la pensione di invalidità erogata dall’INPS, sia l’art. 8, comma 1 bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni in legge 12 novembre 1983, n. 638, che consentono l’erogazione della pensione INPS in favore dei ciechi che abbiano recuperato la capacità lavorativa, trattandosi di norme di stretta interpretazione, il cui fondamento si rinviene nella diversa disposizione di cui all’art. 38, secondo comma, Cost., intese a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro senza che subisca la perdita della pensione e, dunque, insuscettibili di applicazione analogica.”
La Sezione Sesta della Suprema Corte ritorna su una vexata questio ribadendo che lo stato di bisogno va inteso quale requisito indispensabile per l’ottenimento e la conservazione della pensione per i ciechi civili totali o parziali di cui all’art. 7 della legge n. 62 del 1966.
Ribadisce la Corte tra l’altro che l’attribuzione di una pensione di previdenza o di assistenza sociale ha presupposti e finalità differenti, sebbene la categoria da tutelare sia la stessa (nel caso di specie, persone affette da cecità congenita o sopravvenuta).
Per tale motivo, la Suprema Corte, data la natura specifica ed eccezionale della normativa conferma come non sia possibile estendere per analogia la normativa inerente i trattamenti assistenziali a una situazione che prevede invece la revoca dei benefici di tipo previdenziale (come nel caso della ricorrente).
Distingue dunque la Corte la finalità propria della pensione assistenziale da quella della pensione previdenziale.
La prima, dunque, concorre ad integrare il reddito del soggetto colpito da cecità – c.d. mancato guadagno – il quale deve versare in stato di bisogno per poterne beneficiare. Precisando che la quantificazione del bisogno economico (calcolato sulla base del reddito ai fini IRPEF) e il non superamento della soglia determinata per legge, è dunque requisito indispensabile per ottenere tale forma di pensione integrativa.
La seconda al contrario, (la pensione previdenziale) prescinde dall’eventuale recupero del mancato guadagno da parte del soggetto interessato, essendo anzi la sua finalità ultima quella di favorire l’inserimento – o il reinserimento – del cieco nel mondo del lavoro, “evitando che al reperimento di un’attività lavorativa e di un connesso reddito consegua la perdita della pensione”.
Ancora una volta nonostante precise norme di legge, ossia gli artt.  68 l. 153/1969 e 8 del d.l. n. 463 del 1983, tuttora in vigore, prevedano espressamente che “le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 10 del regio decreto-legge 14 aprile 1939 n.636 (secondo cui la pensione di invalidità viene soppressa quando la capacità di guadagno del pensionato cessi di essere inferiore ai limiti previsti dalla legge), non si applicano nei confronti dei ciechi che esercitano un’attività lavorativa”, e sebbene la S.C., con pronuncia a Sezioni Unite n. 3814/2005, abbia espressamente confermato la piena vigenza di tale eccezionale previsione, chiarendone, poi, limiti e portata normativa con la pronuncia n. 15646 del 18 settembre 2012, l’orientamento della Corte di Cassazione muta.
A due anni da tale favorevole pronuncia, la Suprema Corte è nuovamente intervenuta in consapevole dissenso con il richiamato precedente ritenendo che “la pensione non reversibile per i ciechi civili (assoluti o parziali) di cui agli arti 7 e 8 della L. 10 febbraio 1962, n. 66, è erogata a condizione della permanenza in capo al beneficiano dello stato di bisogno economico, trattandosi di prestazione assistenziale rientrante nell’ambito di cui all’ari 38, primo comma, Cost., con conseguente cessazione dell’erogazione al superamento del limite di reddito previsto per la pensione di inabilità di cui all’ari 12 della L. 30 mano 1971, n. 118 di conversione del D.L. del 30 gennaio 1971, n. 5, dovendosi ritenere inapplicabili a detta prestazione sia l’ari 68 della L. 30 aprile 1969, n 153, dettato per la pensione di invalidità erogata dall’I.N.P.S., sia l’ari 8, comma 1 bis, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni in L. 11 novembre 1983, n. 638, che consentono l’erogazione della pensione I.N.P.S. in favore dei ciechi che abbiano recuperato la capacità lavorativa, trattandosi dì norme di stretta interpretazione, il cui fondamento si rinviene nella diversa disposizione di cui all’ari 38, secondo comma, Cost., intese a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro senza che subisca la perdita della pensione e, dunque, insuscettibili di applicazione analogica”.
Malgrado nella commentata sentenza la Corte abbia escluso la devoluzione della materia alle Sezioni Unite in quanto la decisione è in linea e non in contrasto con quella precedente (Cass. Sezioni Unite del n.3814 del 2005) si auspica che una nuova pronuncia a Sezioni Unite possa, al più presto, ribadire le statuizioni della sentenza del 2005 e creare una situazione di certezza interpretativa delle norme.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
ESENTE
SESTA SEZIONE CIVILE –
Composta dagli Ill.mi Sigg.n Magistrati:
Dott. PIETRO CURZIO – Presidente –
Dott. ROSA ARIENZO – Consigliere –
Dott. DANIEJ4A BLASUTTO – Consigliere –
Dott. FABRIZIA GARRI – Consigliere –
Dott. CATERINA MAROTI’A – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 174-2013 proposto da:
SD (X ), elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FILIPPO NICOLAI N. 70, presso lo studio dell’avvocato LUCA GABRIELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato PIERA SOMMOVIGO giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (X ), in persona dei legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE
BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 624/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA del 25/05/2012, depositata il 26/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’08/10/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MARO’ITA;
udito l’Avvocato PIERA SOMMOVIGO difensore della ricorrente che si riporta ai motivi;
udito l’Avvocato MAURO RICCI difensore del controricorrente che si riporta ai motivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello, giudice del lavoro di Genova, decidendo sull’appello proposto da DS nei confronti dell’I.N.P.S., confermava la decisione del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda della S diretta ad ottenere il ripristino della pensione di invalidità civile per i ciechi che era stata sospesa per il superamento dei limiti di reddito. Riteneva la Corre genovese che la L. n. 638 del 1983, art. 8, comma I bis, riguardante una prestazione previdenziale, non potesse essere applicata anche al caso di specie avente ad oggetto una diversa prestazione (assistenziale).
Per la cassazione di tale sentenza DS propone ricorso affidato ad un motivo.
L’I.N.P.S. resiste con controricorso illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 68 della L. n. 153 del 1969, dell’art 10 del RD. n. 636 del 1939 come novellato dall’art. 8 del D.L. n. 463 del 1983, convertito nella L. n. 638 del 1983”. Sostiene che, pur posta l’incompatibilità con i benefici di tipo assistenziale della disciplina derogatoria di cui all’art. 68 della legge n. 153/1969, la stessa si applicherebbe alle prestazioni di carattere sociale ovvero a quelle aventi per finalità il reinserimento dell’invalido cieco nella comunità. Invoca il precedente di questa Corte del 18 settembre 2012, n. 15646 che ha affermato il seguente principio di diritto: “La particolare disciplina prevista dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 68 – che, derogando alla generale normativa posta dal R.D.L 14 aprile 1939, n. 636, art. 10 (secondo cui la pensione di invalidità è soppressa quando la capacità di guadagno del pensionato non è più inferiore ai minimi di legge), persegue la finalità di favorire il reinserimento sociale dell’invalido, non distogliendolo dall’apprendimento e dall’esercizio di un’attività lavorativa – va letta in senso costituzionalmente orientato (arti. 2, 3, 4 c 38 Cost.), sicché la stessa esclude che la pensione di invalidità già riconosciuta all’assicurato in ragione della sua cecità possa essergli revocata qualora siano mutati i suoi redditi per effetto del conseguimento di una nuova occupazione”.
2. Il ricorso non è fondato.
Questa Corte valuta di conformarsi alla decisione n. 24192/2013 che, in consapevole dissenso con il precedente contrario costituito dalla citata sentenza n. 15646/2012 (che fa riferimento alla prestazione assistenziale di cui alla L. n. 66 del 1962, ma applica i principi relativi alla prestazione previdenziale di cui alla L. n. 153 del 1969 ed al D.L. n. 463 del 1993, art. 8, come si evince anche dal richiamo, contenuto nel principio di diritto, all’”assicurato” in luogo dell’assistito), ha ritenuto
che non sia possibile estendere analogicamente al trattamento assistenziale previsto dalla L. n. 66 del 1962 (e, dunque, tanto alla pensione per ciechi assoluti quanto a quella per ciechi parziali), il beneficio riconosciuto a favore di chi gode di trattamento previdenziale
– si veda anche in senso conforme Cass. n. 8752/2014-.
Come è noto, la pensione (non reversibile) per i ciechi (assoluti o parziali) è stata istituita dalla L. 10 febbraio 1962, n. 66 “Nuove disposizioni relative all’Opera nazionale per i ciechi civili”. L’art 7 di tale legge così prevede: “Ogni cittadino affetto da cecità congenita o contratta in seguito a cause che non siano di guerra, infortunio sul lavoro o in servizio, ha diritto, in considerazione delle specifiche esigenze derivanti dalla minorazione, ad una pensione non reversibile qualora versi in stato di bisogno”. I1 successivo art. 8 aggiunge: “Tutti coloro che siano colpiti da cecità assoluta o abbiano un residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione, hanno diritto alla corresponsione della pensione a decorrere dal compimento del 18” anno di età”. La misura della prestazione è stata modificata dalla L. 27 maggio 1970, n. 382, art. 1 (quest’ultima regolamenta la materia ancora oggi). Essa è, dunque, concessa ai maggiorenni ciechi assoluti o ai soggetti di ogni età ciechi parziali che si trovino in stato di bisogno economico. Tale stato di bisogno è stato inizialmente indicato con riferimento alla non iscrizione nei moli per l’imposta complementare sui redditi (L. n. 382 del 1970, art 5) e, dopo l’abrogazione di tale tipo di imposta, identificato nel possesso di redditi assoggettabili ad IRPEF dì un ammontare inferiore ad un certo limite (v. DL. n. 30 del 1974, art. 6, conv. in L. n 114 del 1974 e DL. n. 663
del 1979, art. 14 septies, conv. in L. 29 febbraio 1980, n. 33) – cfr. Cass. 5 agosto 2000, n. 10335; id. 21 giugno 1991, n. 6982; 12 aprile 1990, n 3110; 22 novembre 2001, n. 14811). I1 limite di reddito da tenere in considerazione è, dunque, il medesimo stabilito per la pensione di invalidità di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12, essendo unica la disciplina contenuta nel citato D.L. n. 663 delm 1979, ari 14 septies.
Nello specifico, la pensione di invalidità civile per i ciechi, già a suo tempo concessa, era stata poi revocata, per superamento da parte della beneficiaria dei limiti reddituali.
Orbene, la prestazione dì cui è richiesto il ripristino ha natura di prestazione assistenziale di invalidità civile, sicuramente integrativa del presunto mancato guadagno derivante dalla condizione di minorità dovuta alla patologia.
Non può, invero, ritenersi che la disposizione di cui alla citata L. n. 66 del 1962, ari 8, sia stata superata dalla previsione di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, ari 68, che stabilisce che “le disposizioni di cui al RD.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, comma 2, il quale, a sua volta, stabilisce che la pensione di invalidità è soppressa quando la capacità di guadagno del pensionato cessi di essere inferiore a determinati limiti, non si applicano nei confronti dei ciechi che esercitano un’attività lavorativa. Le pensioni revocate ai sensi della norma precitata sono ripristinate con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge”. La disposizione di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, ari 68 (come, del resto, quella di cui al RD.L. 14 aprile 1939, n. 636, ari 10, comma 2) è dettata per la pensione di invalidità erogata dall’I.N.P.S. ed a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, presupponente un rapporto contributivo (in particolare il R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, fa riferimento alla pensione riconosciuta all’invalido a qualsiasi età quando siano maturati determinati requisita contributivi).
La questione è innanzitutto se tali disposizioni, non espressamente dettate per le prestazioni assistenziali di invalidità civile, possano essere applicate anche a queste ultime, costituendo un principio generale di irrilevanza dei redditi per i ciechi che beneficiano di pensioni, o non si pongano piuttosto come nonne eccezionali.
Non può invero sostenersi (e sul punto pare concordare la stessa ricorrente) che tale applicabilità troverebbe fondamento nella sentenza 3814/2005 che questa Corte ha emanato a Sezioni Unite. In realtà alla L. ti. 153 del 1969, n. 68, ha fatto seguito il D.L. 12 settembre 1983, ti. 463, art. 8, comma i bis, conv. in L. 12 novembre 1983, ti. 638, secondo il quale “Resta ferma la disposizione di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 68, indipendentemente dal reddito percepito dal pensionato”. Tale norma, dunque, stabilisce che il riacquisto della capacità di guadagno nonché da un reddito da lavoro da parte del cieco non comporta la perdita della pensione. Secondo una prima interpretazione, fatta propria da Cass. 30 luglio 1999, ti. 8310; Id. 8 marzo 2001, n. 3359; 19 luglio 2002, n. 10609; 19 maggio 2003, ti. 7833 e da ultimo in qualche modo ripresa dalla sopra citata Cass. 2012/15646, la norma avrebbe sancito un principio generale di irrilevanza del reddito del beneficiano anche ai fini del riconoscimento dei trattamenti di assistenza in favore dei ciechi. Altro orientamento, cui questa Corte ritiene di aderire, – Cass. 26 settembre 1988, n. 5252; Id. 23 marzo 1998, n. 3027; Cass. Sez. Un. 24 febbraio 2005, n. 3814; Cass. 26 marzo 2009, n. 7308 oltre alla già citate Cass. n. 15646/2012 – sostiene, invece, la finalità limitata dell’art. 68, inteso solamente a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro evitando che al reperimento di un’attività lavorativa e di un connesso reddito consegua la perdita della pensione. Invero, nella predetta decisione a Sezioni unite è stato precisato: “la previsione, in favore dei ciechi, della conservazione del trattamento pensionistico nonostante la carenza sopravvenuta di uno dei presupposti, e in particolare del requisito reddituale, persegue la finalità di favorire il loro reinserimento sociale, non distogliendo l’invalido dall’apprendimento e dall’esercizio di un’attività lavorativa, senza che da tale finalità possa desumersi, in contrasto con il dato letterale delle richiamate disposizioni, l’espressione di un generale principio di irrilevanza totale del requisito reddituale nel regime della pensione di invalidità dei ciechi, con conseguente estensione a questi ultimi della integrazione al minimo della pensione” si veda anche Cass. n. 7308 del 26/03/2009 -. Va, peraltro, considerato che le pronunce da ultimo citate sono state emanate in una materia diversa da quella per cui è causa e cioè nella materia di integrazione al minimo dei trattamenti pensionistici riservati ai minorati della vista. Questa Corte ha in tale sede ritenuto che sia possibile la conservazione della pensione da parte di un soggetto cieco anche dopo l’inizio di una attività lavorativa, con connessa acquisizione di un reddito anche elevato, poiché tale trattamento economico risponde alla specifica finalità di inserire i soggetti non vedenti nelle attività produttive. Ha anche sottolineato che detto principio si basa sul disposto di due norme definite “specialissime e di stretta interpretazione”: il D.L. 12 settembre 1983, n. 4631, art. 8, comma I bis (convertito in L. 12 novembre 1983, n. 638) e la L. 30 aprile 1996, n. 1532, art. 68. Per effetto del combinato disposto delle norme suddette, l’acquisizione da parte del cieco di una capacità lavorativa e del reddito da essa derivante non comporta la perdita della pensione, che, se revocata per questo solo motivo, deve essere ripristinata interamente. E questo perché la finalità specifica della provvidenza economica è intesa a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro, evitando che al reperimento di un’attività lavorativa (e del reddito connesso) consegua la perdita della pensione. La deroga in favore dei ciechi al generale divieto di cumulare la pensione di invalidità con reddito da lavoro si spiega, come è stato precisato, anche con la necessità di tutelare “l’affidamento riposto dal cittadino cieco nell’ammontare del beneficio previdenziale su cui egli ha costruito il proprio tenore di vita e coltiva i propri progetti”. Tale indirizzo, dunque, espresso con riferimento ad una prestazione pensionistica conseguita nel regime dell’assicurazione obbligatoria I.N.P.S. (l’integrazione al minimo è istituto proprio del regime generale previdenziale), non è automaticamente estensibile, proprio in ragione della affermata specialità del D.L. 12 settembre 1983, n. 4631, art. 8, comma I bis (convertito in L. 12 novembre 1983, n. 638) e della L. 30 aprile 1996, art. 68, norme ritenute di “stretta interpretazione” e non è, perciò, invocabile con riguardo alle pensioni per cecità civile di cui alla ridetta L. 10 febbraio 1962, n. 66. Sebbene nella citata sentenza resa da questa Corte a Sezioni unite si faccia riferimento alla pensione di invalidità civile laddove invece la fattispecie esaminata concerneva una pensione di invalidità erogata dall’I.N.P.S. prima dell’attribuzione allo stesso delle competenze in materia di benefici assistenziali, e quindi una pensione certamente disciplinata dalla L. n. 153 del 1969, art. 68 e DL. n. 463 del 1983, art. 8, stame l’affermato carattere eccezionale delle disposizioni di cui alla L. n. 153 del 1969, art. 68 e D.L. n. 463 del 1983, aia. 8, non è possibile estendere analogicamente al trattamento assistenziale di cui alla L. n. 66 del 1962, il beneficio riconosciuto a favore di chi gode di trattamento previdenziale. Del resto l’attribuita rilevanza del reddito ai fini del riconoscimento della “integrazione al minimo” e cioè di quella maggiorazione che non trova corrispondenza nei contributi versati ma soccorre a garantire il minimo vitale (gravando sul bilancio dello Stato) è significativa del fatto che il principio della irrilevanza del reddito non potesse che essere stato riferito alla sola pensione maturata nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria e non anche a quella di invalidità civile (assistenziale). Se, infatti, il reddito rileva quando lo Stato partecipa al sostegno della previdenza (nei limiti di una maggiorazione integrativa), a maggior ragione deve ritenersi tale rilevanza quando è l’intero trattamento ad essere a carico dell’erario.
Da tanto consegue che per la prestazione oggetto di causa, per la quale, si ribadisce, presupposto di legge imprescindibile è lo stato di bisogno di cui ai sopra citati art. 7 della L. a 66 del 1962 e vi. 5 della L. n. 382 del 1970, il requisito reddituale resta rilevante, considerato, peraltro, che la pensione ai ciechi civili è dovuta, a differenza di quella di invalidità civile ex lege n. 118 del 1971 e di quella di invalidità ex lege n. 222 del 1984, indipendentemente dalla incidenza dello stato di minorazione sulla capacità di lavoro, spettando anche oltre il raggiungimento dell’età pensionabile (v. Cass. 26 maggio 1999, n. 5138).
Si è, in sostanza, in presenza di differenti misure protettive dell’invalidità in cui diverse sono le modalità di finanziamento delle prestazioni: quelle previdenziali – che trovano fondamento nella previsione di cui all’ari 38 Cost., comma 2 – sono alimentate dai contributi gravanti sugli specifici soggetti obbligati ed i datori di lavoro; quelle assistenziali – che fanno capo all’ari 38 Cost., comma I – sono finanziate dallo Stato attraverso il ricorso alla fiscalità generale. Se pure è vero che lo Stato partecipa anche al sostegno della previdenza qualora i mezzi raccolti con i versamenti contributivi siano insufficienti (come nel caso della integrazione al minimo), i due territori rimangono concettualmente e giuridicamente ben distinti e questo giustifica trattamenti legislativi differenti in relazione ai quali va esclusa ogni violazione del principio costituzionale di uguaglianza.
Né può ravvisarsi una violazione dell’ari 2 della Cost. considerato che il legislatore ha previsto, in favore dei ciechi, specifiche prestazioni che prescindono dalla condizione reddituale (così l’indennità di accompagnamento per cecità assoluta di cui all’art. 1 della L. 28 marzo 1968, n. 406 e l’indennità speciale per ciechi parziali di cui all’ari 3 della L. 21 novembre 1988, ci. 508).
3. Alla luce delle considerazioni che precedono va ribadito il principio secondo cui la pensione non reversibile per i ciechi civili (assoluti o parziali) di cui agli arti 7 e 8 della L. 10 febbraio 1962, n. 66, è erogata a condizione della permanenza in capo al beneficiano dello stato di bisogno economico, trattandosi di prestazione assistenziale rientrante nell’ambito di cui all’ari 38, primo comma, Cost., con conseguente cessazione dell’erogazione al superamento del limite di reddito previsto per la pensione di inabilità di cui all’ari 12 della L. 30 mano 1971, n. 118 di conversione del D.L. del 30 gennaio 1971, n. 5, dovendosi ritenere inapplicabili a detta prestazione sia l’ari 68 della L. 30 aprile 1969, n 153, dettato per la pensione di invalidità erogata dall’I.N.P.S., sia l’ari 8, comma 1 bis, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni in L. 11 novembre 1983, n. 638, che consentono l’erogazione della pensione I.N.P.S. in favore dei ciechi che abbiano recuperato la capacità lavorativa, trattandosi dì norme di stretta interpretazione, il cui fondamento si rinviene nella diversa disposizione di cui all’ari 38, secondo comma, Cost., intese a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro senza che subisca la perdita della pensione e, dunque, insuscettibili di applicazione analogica; tale principio è da ritenersi, per i motivi sopra evidenziati, in linea (e non in contrasto) con quanto affermato da questa Corte nella decisione n. 3814/2005 così da escludere la necessità di una devoluzione della questione alle Sezioni unite.
4. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
5. La controvertibilità delle questioni trattate e l’esistenza di precedenti difformi di questa stessa Corte di legittimità giustificano la compensazione tra le pani delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma l’8 ottobre 2014.
Il Consigliere estensore Il Presidente

Federazione Nazionale Istituzioni pro Ciechi- sintesi dei lavori del Consiglio di Amministrazione, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

7 gennaio 2015
Come da avviso n.10 del 7 gennaio 2015, il giorno 7 gennaio 2015 alle ore 17.00, s’è riunito, in modalità online, il Consiglio d’Amministrazione della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi.
Alle ore 17.05 risultano essere in linea i Consiglieri Michele Borra, Claudio Cassinelli, Gianluca Rapisarda, Mario Barbuto e Hubert Perfler, il Presidente Rodolfo Masto dichiara aperta e valida la seduta. Risulta assente giustificato il Consigliere Raffaele Ciambrone.
Verbalizza i lavori il Segretario Generale Antonella Cenfi. È in linea l’Architetto Innocenzo Fenici.

1 – Comunicazioni del Presidente.
Il Presidente conferma al Consigliere Gianluca Rapisarda che il protocollo d’intesa relativo alla costituzione del Comitato Didattico Scientifico stipulato tra Federazione, Irifor e Biblioteca è tuttora valido anche se al momento non è stato indicato, da parte della Federazione, il proprio referente. Il Presidente chiede al Consiglio la conferma del Consigliere Gianluca Rapisarda a ricoprire tale ruolo. Il Consiglio approva.
Il Presidente informa che è confermata, per il giorno 20 febbraio a Trieste, la prossima seduta del Consiglio di Amministrazione.
Il Presidente ricorda che, in tale seduta, il Consiglio dovrà procedere all’esame, ed alla eventuale approvazione, del Bilancio Consuntivo dell’esercizio 2014 e del Documento di Programmazione Contabile dell’esercizio 2016, che verrà redatto con la nuova contabilità Onlus che dal 1° gennaio 2015 sta affiancando, in via sperimentale, quella finanziaria.
Informa, inoltre, che è stata prorogata fino al 30 giugno 2015 la convenzione con il Monte dei Paschi di Siena per lo svolgimento del servizio di cassa.
Per quel che concerne l’organizzazione del concorso “Ora tocca a te” che si terrà a Reggio Emilia, il giorno 19 Gennaio, il dipendente Pietro Vecchiarelli incontrerà gli incaricati della Fondazione Hollman e dell’Istituto Garibaldi al fine di concordare gli aspetti logistici della manifestazione.
Il giorno 15 Gennaio l’Architetto Innocenzo Fenici incontrerà il Consigliere Raffaele Ciambrone per valutare la possibilità di accedere ai contributi per l’editoria speciale e l’iscrizione all’Albo del MIUR come ente di formazione.

2 – Rapporti con il Ministero dell’Interno anche a seguito della nota inviata dalla Federazione e conseguenti assicurazioni richieste dall’Istituto Sant’Alessio (Relazione del Presidente Mario Barbuto sul recente colloquio con il Prefetto Angelo Di Caprio).
Il Presidente ricorda la nota del 17 dicembre u.s. concernente la relazione riferita all’anno 2014, in ottemperanza all’art.1 comma 3 della Legge 278/2005. Allegato alla stessa nota è stato recapitato il verbale di insediamento del Comitato di Coordinamento previsto dalla succitata legge.
Il Presidente riferisce di aver ricevuto una telefonata interlocutoria del Prefetto Di Caprio orientata a conoscere se la Federazione avesse ricercato sollecitazioni politiche.
Prende la parola il Consigliere Mario Barbuto che, tornando al problema dell’editoria speciale, chiede che il numero delle pubblicazioni realizzate sia incrementato, in quanto il contributo è commisurato al numero delle uscite annue.
IL Consigliere Mario Barbuto riferisce del contatto telefonico avuto con il Prefetto Di Caprio, il quale sembra insistere sulla riformulazione della Legge, ipotesi contestata dalla Federazione. Lo stesso Prefetto rileva alcune criticità della Convenzione ipotizzata con l’Istituto S. Alessio e – a detta del Consigliere Mario Barbuto – l’unica osservazione che si può condividere è quella rappresentata dall’accordo sulla durata del Comodato d’Uso dei locali e della conseguente situazione che si verrebbe a creare alla scadenza del comodato stesso, collateralmente alle realizzazioni effettuate dalla Federazione.
A tale scopo si dovrà chiarire ulteriormente la questione con il Presidente Amedeo Piva con l’intento di cautelare la Federazione. Il Prefetto Di Caprio è comunque stato invitato a segnalare per iscritto le perplessità del Ministero. Successivamente gli atti saranno sottoposti alla supervisione dell’Avvocato Angelo Clarizia.

3 – Presa d’atto dei contributi previsti a favore della Federazione nel 2015 a seguito dell’approvazione della legge di stabilità, che introduce nuovi elementi di precarietà al Bilancio dell’Ente.
Il Presidente informa che è pervenuto il contributo relativo all’anno 2013 dal parte del MIUR per un importo di € 31.164,00.
Per quel che concerne il contributo del Ministero del Lavoro, lo stesso ha comunicato che per l’anno 2015 sarà di
€ 849.164,00, mentre dal partitario dello Stato si evince che il contributo che sarà erogato dal Ministero dell’Interno è fissato in € 290.122,00 contro i 350.000,00 originari.

4 – Mandato del Consiglio ad intraprendere contatti per concorrere all’acquisizione dell’immobile che dovrebbe ospitare l’unica sede della Federazione mediante il raggruppamento degli uffici e del centro di produzione con l’opportunità di diventare al tempo stesso fonte di reddito attraverso l’affitto di buona parte dell’immobile stesso.
Il Presidente chiede al Consiglio mandato per stabilire contatti con la Banca Credito Cooperativo di Roma in possesso dell’ipoteca dello stabile di Via Pollio n. 10. Chiede al Vice Presidente Hubert Perfler e al Consigliere Claudio Cassinelli, già incaricato per la ricerca della nuova sede, di coadiuvarlo nel programmare un incontro con il Direttore dell’Istituto bancario, con il tecnico curatore dell’asta e con un rappresentante di un Istituto di credito, per verificare le condizioni per l’ottenimento del mutuo necessario all’acquisizione dell’immobile.
Il Consiglio incarica l’Architetto Innocenzo Fenici di verificare l’aspetto tecnico e giuridico della questione oltre a procedere ad una valutazione di mercato sulla parte di immobile che non verrebbe utilizzata dalla Federazione. All’Architetto Innocenzo Fenici verrà riconosciuta una parcella per l’incarico ricevuto.

5 – Conferma dell’avvio delle procedure per il trasloco degli uffici di Via Gregorio VII e conseguente rinuncia alla foresteria.
Il Presidente pur dichiarandosi d’accordo sulle motivazioni che hanno portato il Consiglio a prevedere il trasferimento della sede e la conseguente unificazione fra gli uffici e il laboratorio, invita a fissare il trasloco solo quando ci saranno notizie precise intorno all’eventuale acquisizione dell’immobile di Via Pollio, in modo da evitare – se possibile – il doppio trasferimento.
Il Consigliere Michele Borra chiede che il trasloco avvenga non oltre il mese di aprile. Sulla tempistica del trasloco, interviene il Consigliere Mario Barbuto sostenendo che l’urgenza dello stesso dipenderà anche dalla decisione che il Consiglio prenderà sulla vendita o sulla messa a reddito degli immobili di Via Gregorio VII.
Il Vicepresidente Hubert Perfler propone di attendere l’esito dell’asta prevista per il 28 maggio 2015. Dopo ampia discussione, visto le tante incombenze di questi mesi, il Consiglio invita il Presidente ad individuare la data più idonea.

Il Presidente chiede di anticipare il punto sette posto all’o.d.g.

7 – Convocazione Assemblea Federale sabato 18.04.2015.
La data del 18 aprile, già precedentemente ipotizzata, risulta non essere la più idonea per alcuni componenti del Consiglio e pertanto, il Consiglio stesso dà mandato al Presidente di individuare una data diversa, preferibilmente a metà settimana, tra il 13 e il 19 aprile 2015.

Il Presidente chiede all’Architetto Innocenzo Fenici di chiudere il contatto telefonico lasciando così la riunione.

6 – Individuazione di elementi condivisi per una corretta e proficua valutazione del progetto per una nuova organizzazione della Federazione che entro il 15 gennaio sarà presentato dall’Architetto Fenici.
Nelle more della presentazione del progetto dell’Architetto Fenici, il Presidente chiede al Consigliere Michele Borra di formulare una prima griglia valutativa necessaria alla valutazione del progetto stesso. Il consigliere Michele Borra invierà una prima bozza al Presidente.

Alle ore 18.35 avendo esaurito i punti posti all’o.d.g., il Presidente dichiara chiuso il Consiglio di Amministrazione.

Servizio Civile – Garanzia Giovani al Museo Tattile Statale Omero di Ancona: 4 posti disponibili, Redazionale

Autore: Redazionale

Il Museo Omero aderisce al Bando di Servizio Civile emesso dalla Regione Marche, rivolto ai giovani dai 18 ai 28 anni residenti in Italia, che non siano già impegnati in attività lavorative e/o formazione e/o di studio (NEET).
Il progetto “Comunicare il museo: innovazione, accessibilità, creatività” si attiverà a maggio 2015, presso il Museo Tattile Statale Omero. I posti disponibili sono 4.
I giovani interessati a dedicare 12 mesi della propria vita a se stessi e agli altri, formandosi, acquisendo conoscenze ed esperienze e maturando una propria coscienza civica attraverso l’agire concreto all’interno di un progetto di comunicazione ed educazione culturale, che siano in possesso dei requisiti richiesti dal bando e dal progetto, possono presentare domanda direttamente al Museo Omero.
Le domande di partecipazione, in formato cartaceo e compilate elettronicamente, devono pervenire entro e non oltre le ore 14:00 del 23 febbraio 2015 presso la Segreteria del Museo Tattile Statale Omero, Mole Vanvitelliana, Banchina Giovanni da Chio 28, 60121 Ancona (orari apertura della segreteria dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 13.00, martedì e giovedì anche dalle 15.00 alle 17.00).

NOTA BENE: prima di presentare domanda di servizio civile è necessario aver aderito a Garanzia Giovani e sottoscritto il Patto di Attivazione con uno dei Servizi Competenti – GG già individuati dalla Regione Marche. Il requisito va posseduto alla data della domanda.

Si può presentare domanda per un solo progetto tra quelli inseriti nel bando regionale.

Per conoscere questa opportunità e conoscere le volontarie che stanno già facendo un’esperienza di Servizio civile con il Museo Tattile Statale Omero, partecipa all’incontro del 10 febbraio 2015 alle ore 17 presso l’Informagiovani di Ancona, p.zza Roma (underground).

Per ulteriori informazioni visita il nostro sito
http://www.museoomero.it/main?p=attivita_garanzia_giovani