Centro di Ricerca Giuridica – La Cassazione non ritiene applicabili ai trasferimenti disciplinari le garanzie della legge 104, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La Cassazione, con la sentenza 6917 del 13 gennaio 2015, respinge il ricorso di un magistrato beneficiario della legge 104, trasferito d’ufficio per illeciti disciplinari.
Il magistrato che viene trasferito per motivi disciplinari non può dunque invocare la tutela concessa dalla legge 104 alle disabili.
Secondo il magistrato la sua condizione di invalido e quella di sua madre avrebbero dovuto bloccare il cambio di sede disposto dal CSM. Ad impedirlo c’erano i diritti concessi dalla legge quadro (104/1992) che garantisce, ove possibile, la scelta della sede di lavoro più vicina al genitore o al familiare del lavoratore pubblico o privato, vietando il trasferimento senza consenso dell’invalido.
Il trasferimento del magistrato, disposto in via cautelare dalla sezione disciplinare del CSM, non si pone però in contrasto con la l. n. 104/1992, in materia di assistenza alle persone disabili – che attribuisce al lavoratore che assiste un parente invalido il diritto alla scelta del luogo di lavoro – in quanto nel caso di specie, sono prevalse le esigenze di tutela del prestigio dell’istituzione giudiziaria.
La Cassazione infatti ha puntato  l’attenzione sull’espressione “ove possibile” contenuta nell’art. 33 comma 5 della legge 104. L’esercizio del diritto non deve, infatti, comportare una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro o determinare un danno per la collettività, compromettendo il buon andamento e l’efficienza della pubblica amministrazione. La Suprema Corte inoltre ha precisato che l’’esigenza di contemperare i diversi interessi resta anche alla luce della modifiche apportate dalla legge 53/2000 che, ai fini del diritto alla tutela, ha tolto il requisito della convivenza.
Le garanzie della 104 trovano però un ostacolo nel rispetto dell’obiettivo della norma sui trasferimenti cautelari che è quello di evitare la permanenza nel luogo dell’illecito per non aggravare la posizione dell’interessato, ma, soprattutto per non compromettere la funzione giudiziaria e il prestigio della magistratura.
Ecco  l’estratto della sentenza commentata
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 gennaio – 7 aprile, n. 6917 Presidente Rovelli – Relatore Vivaldi
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. B) c.p.c. in riferimento all’art. 3 e 33, commi 3, 5 e 6 della Legge 104/1992, nonché dei principi costituzionali sottesi alla citata legge ex artt. 32 e 38 Cost., nonché violazione dei principi della convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità recepita con legge n. 18/2009, in riferimento agli artt. 13 e 22 del D.Lgs. 109/2006; nonché contraddittoria e manifesta illogicità ai sensi dell’art. 606, lett. E) c.p.c. dell’ordinanza cautelare n. 95/2014 in questa sede impugnata.
Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione di legge ai sensi dell’art. 606, lett. B) c.p.c. in riferimento all’art. 3 e 33, commi 3, 5 e 6 della Legge 104/1992, nonché in riferimento agli artt. 13 e 22 del D.Lgs. 109/2006; ed ancora si deduce contraddittorietà e manifesta illogicità ai sensi dell’art. 606, lett. E) c.p.c. dell’ordinanza cautelare n. 95/2014 in questa sede impugnata.
I due motivi intimamente connessi sono trattati congiuntamente.
L’attuale ricorrente – sostituto procuratore presso il tribunale di Campobasso – trasferito ai sensi dell’art. 13, comma 2 e 22 d.lgs. n. 109 del 2006 al tribunale di Rovigo con funzioni di giudice (ord. n. 72 del 2014), ha censurato l’ordinanza n. 95 del 2014, con la quale il Consiglio Superiore della Magistratura ha affermato l’inapplicabilità della disciplina prevista dall’art. 33, comma 5, L. n. 104 del 1992 ai trasferimenti cautelari per i quali si prescinde dal consenso dell’interessato.
La richiesta di essere destinato a sede più vicina a quella di provenienza è giustificata dalla condizione di invalidità della madre e dello stesso ricorrente.
Le ragioni di infondatezza dei motivi.
Va, in via preliminare, ricordato che la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, n. 104 del 1992, ha stabilito, all’articolo 33, comma 5 (come novellato dalla legge n. 53/2000), che il genitore o il familiare, lavoratore pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.
La norma – anche alla luce degli interventi della Corte costituzionale – va interpretata secondo un criterio di rigore al fine di evitare abusi nella sua applicazione.
Il Giudice delle leggi, pur riconoscendo il valore primario della solidarietà e della tutela dei soggetti portatori di handicap, ha dato rilievo alla discrezionalità del Legislatore nell’individuare gli strumenti normativi finalizzati a garantire la condizione del portatore di handicap “mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal complessivo disegno costituzionale” (Corte Cost. 22.7.2002 n. 372; Corte cost. n. 406 del 1992; Corte Cost. n. 246 del 1997; Corte Cost. n. 396 del 1997; Corte Cost. n. 325 del 1996; v. anche S.U. 9.7.2009 n. 16102).
La norma dell’art. 33 riconosce al lavoratore che assista un parente invalido la scelta della sede di lavoro all’atto dell’assunzione, od anche nel caso di successivo trasferimento a domanda.
Ciò, però, ove possibile; il che vuoi dire che l’esercizio di quel diritto non deve comportare una lesione eccessiva delle esigenze organizzative ed economiche del datore di lavoro privato, o determinare un danno per la collettività, compromettendo il buon andamento e l’efficienza della pubblica amministrazione.
La stessa finalità di contemperamento di opposti interessi privati e pubblici, tutti parimenti rapportabili a valori di rango costituzionale, permane pur dopo la novella del testo originario dell’art. 33 della legge n. 104, operata con la legge n. 53 del 2000 che ha tolto il requisito della convivenza, lasciando, però intatti tutti gli altri (effettiva continuità nell’assistenza, carattere di particolare gravità dell’handicap di cui soffre il congiunto, necessità di prestazioni assistenziali permanenti, incompatibili con sede distante, mancanza di altri supporti parentali (v. fra le altre CdS, Sez. VI, 30 aprile 2002, n. 2319; CdS, Sez. IV, 22 febbraio 2006, n.793; CdS, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8527).
Queste brevi note sulla ratio e sulle finalità della legge n. 104 del 1992 ed in particolare dell’art. 33, comma 5 – anche al di là della ricorrenza o meno dei requisiti richiesti – rendono evidente la sua inapplicabilità, sia con riferimento al genitore, sia con riferimento allo stesso magistrato, al trasferimento cautelare.
Diversamente, verrebbe contraddetto proprio il presupposto sul quale questo si fonda, vale a dire l’irrilevanza del consenso del destinatario del provvedimento, laddove la norma dell’art. 33, comma 5 l. n. 104 del 1992, esclude testualmente che il dipendente che si trovi nelle condizioni di cui al comma 3, possa essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso.
La ratio legis del trasferimento cautelare, invece, è quella di evitare che la permanenza nel luogo in cui si sono verificati i fatti oggetto della contestazione in sede disciplinare possa ulteriormente aggravare la posizione dell’interessato e, soprattutto compromettere i principii fondamentali ai quali è improntata la funzione giudiziaria, nonché il prestigio dell’istituzione giudiziaria stessa (S.U. 28.9.2009 n. 20730; S.U. 8.7.2009 n. 15976).
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
Nessun provvedimento è adottato in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.
A cura di Paolo Colombo