Centro di Documentazione Giuridica: Legge Stabilità 2015 – Norme di interesse per le persone disabili, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014 la Legge di Stabilità 2015, contenente “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”.
La legge consta di un unico articolo e 735 commi, è entrata in vigore il 1 gennaio 2015, fatte salve le specifiche decorrenze previste dalle singole norme.
Anche se non ancora si è usciti dalla situazione di grave congiuntura economica che continua a penalizzare maggiormente le fasce più deboli e in particolare i disabili, la legge di stabilità 2015, rispetto agli scorsi anni, ha mostrato una maggiore attenzione alle politiche sociali.
Essa tuttavia presenta anche per il 2015 la sua debolezza nel contrastare l’impoverimento e la diminuzione delle diseguaglianze. Ancora non sufficienti sono stati gli interventi per favorire l’aumento del  potere di acquisto delle famiglie e dei consumi interni. Il cuneo fiscale è stato ridotto solo per le aziende (confidando in un aumento dell’occupazione) mentre a favore dei singoli contribuenti, in particolare per quelli a reddito più basso, per le famiglie numerose, per gli anziani  e i disabili in particolare, la situazione di fatto è rimasta inalterata rispetto all’anno passato.
Finanziamento all’U.I.C.I.
Comma 191
Con viva gioia, prima di procedere ad un breve excursus delle norme di interesse, segnaliamo il comma 191 che ha previsto uno stanziamento in favore del nostro Ente, negli anni passati fortemente penalizzato dai tagli di bilancio.
Esso autorizza “una spesa di 6,5 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015 da assegnare all’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti di cui alla legge 3 agosto 1998, n. 282, alla legge 12 gennaio 1996, n. 24, e alla legge 23 settembre 1993, n. 379. 242.
Inoltre per il 2015, sono stati stanziati 400 milioni di euro per il Fondo per la non autosufficienza, 300 milioni per le politiche sociali, 112 milioni per il fondo per gli interventi a favore della famiglia, 20 milioni per il diritto al lavoro dei disabili.
Di seguito gli accennati interventi ed altri di rilievo previsti dalla legge di stabilità.
Patronato
commi 309 e ss
Nei commi 309 e ss. compare una riduzione degli specifici stanziamenti iscritti nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per il finanziamento degli istituti di Patronato (legge 30 marzo 2001, n. 152) che sono complessivamente ridotti di 35 milioni di euro, comunque meno di quanto previsto inizialmente.
È anche previsto che i medesimi istituti possono svolgere senza scopo di lucro in favore di soggetti privati e pubblici, attività di sostegno, informative, di consulenza, di supporto, di servizio e di assistenza tecnica in materia di: previdenza e assistenza sociale, diritto del lavoro, sanità, diritto di famiglia e delle successioni, diritto civile e legislazione fiscale, risparmio, tutela e sicurezza sul lavoro. Lo schema di convenzione che definisce le modalità di esercizio delle predette attività sarà approvato con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro il 30 giugno 2015.
Il comma 312, a seguito della entrata in vigore della riforma complessiva degli istituti di patronato, anche con riferimento alle attività diverse che possono svolgere e dei relativi meccanismi di finanziamento, nell’ambito della legge di bilancio per il triennio 2016-2018, prevede che siano rimodulate, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, le modalità di sostegno degli istituti di patronato e di assistenza sociale.
Fondi
Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Nella Tabella C è previsto lo stanziamento di 12.992.666 di Euro nel 2015 (leggermente decrescente nel 2016-7) Fondo da ripartire per le politiche sociali (4.5 – cap. 3671) ex Art. 20, comma 8, Legge n. 328 del 2000.
Inoltre, nel comma 158 lo stanziamento del medesimo Fondo nazionale per le politiche sociali è incrementato di 300 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015.
Il comma 159 prevede che lo stanziamento del Fondo per le non autosufficienze, di cui all’articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, anche ai fini del finanziamento degli interventi a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, è incrementato di 400 milioni di euro per l’anno 2015 e di 250 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016.
MEF
comma 200
Il comma 200 prevede che nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, con la dotazione di 27 milioni di euro per l’anno 2015 e di 25 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016. Il Fondo è ripartito annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio. Non sono indicate nel dettaglio le finalizzazioni delle somme stanziate.
Lavoro
Dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili – comma 160 e 161
La dotazione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili di cui all’articolo 13, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, è incrementata di 20 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2015.
Attribuzioni all’INAIL di competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa di persone disabili – comma 166
Il comma 166 attribuisce all’INAIL le competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro, da realizzare con progetti personalizzati mirati alla conservazione del posto di lavoro o alla ricerca di nuova occupazione, con interventi formativi di riqualificazione professionale, con progetti per il superamento e per l’abbattimento delle barriere architettoniche sui luoghi di lavoro, con interventi di adeguamento e di adattamento delle postazioni di lavoro.
TFR in busta paga – comma 26 e ss
Inoltre, per i lavoratori del settore privato che ne fanno richiesta ai commi 26 e ss. è prevista l’anticipazione del Tfr in busta paga in via sperimentale nel periodo 1° marzo 2015-30 giugno 2018. Per quel che riguarda il regime fiscale delle quote erogate si prevede la tassazione ordinaria senza quindi la più favorevole tassazione separata prevista sulle liquidazioni erogate a fine carriera. È poi innalzata dall’11,5 al 17% l’aliquota sulla rivalutazione del trattamento di fine rapporto.
Terzo Settore
Autorizzazione di spesa – comma 187
Per la riforma del terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale il comma 187 autorizza la spesa di 50 milioni di euro per l’anno 2015, di 140 milioni di euro per l’anno 2016 e di 190 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.
In particolare relativamente al servizio civile nel 2015 saranno avviati oltre 46.000 ragazzi a fronte dei 15.000 del 2014. Un obiettivo importante ottenuto sommando le risorse derivanti dal Fondo per il servizio civile e una parte di quelle del programma Garanzia Giovani. Inoltre, grazie alla stipula di quattro protocolli di intesa siglati con il ministero dei Beni Culturali, con il ministero dell’Ambiente, con l’Agenzia nazionale anticorruzione e con il Ministero dell’Interno, sempre nel 2015 verranno ingaggiati oltre 2.600 ragazzi ai quali bisogna aggiungerne altri 1.400 grazie ai bandi autofinanziati. Infine, sempre nel 2015, sarà emanato il bando straordinario per l’accompagnamento dei grandi invalidi e dei ciechi civili per circa mille volontari.
Pensionistica
Pagamento dei trattamenti pensionistici – comma 302
Il comma 302 prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2015, al fine di razionalizzare e uniformare le procedure e i tempi di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall’INPS, i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni e le indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, nonché le rendite vitalizie dell’INAIL saranno posti in pagamento il giorno 10 di ciascun mese o il giorno successivo se festivo o non bancabile, con un unico pagamento, ove non esistano cause ostative, nei confronti dei beneficiari di più trattamenti.
Eliminazione delle penalizzazioni in caso di accesso alla pensione anticipata – comma 113
Inoltre, con una modifica introdotta già alla Camera, il comma 113 esclude dalla riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici prevista dalla “riforma Fornero” i soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017. Pertanto, sulla quota di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente il 1° gennaio 2012 di tali soggetti non si applicano la riduzione percentuale pari ad 1 punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento rispetto all’età di 62 anni e di 2 punti percentuali per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni.
Utilizzo delle informazioni relative ai rapporti finanziari – comma 314
Il comma 314 dispone che le informazioni comunicate dagli operatori finanziari sono utilizzate dall’Agenzia delle entrate per le analisi del rischio di evasione. Le medesime informazioni, inclusive del valore medio di giacenza annuo di depositi e conti correnti bancari e postali, sono altresì utilizzate ai fini della semplificazione degli adempimenti dei cittadini in merito alla compilazione della dichiarazione ISEE, nonché in sede di controllo sulla veridicità dei dati dichiarati nella medesima dichiarazione.
Limitazioni della quota retributiva e tetto massimo alle cd. pensioni d’oro – commi 707, 708 e 709
Il comma 707 prevede che, in ogni caso, l’importo complessivo del trattamento pensionistico non può eccedere quello che sarebbe stato liquidato con l’applicazione delle regole di calcolo (retributivo) vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, computando, ai fini della determinazione della misura del trattamento, l’anzianità contributiva necessaria per il conseguimento del diritto alla prestazione, integrata da quella eventualmente maturata fra la data di conseguimento del diritto e la data di decorrenza del primo periodo utile per la corresponsione della prestazione stessa.
Resta in ogni caso fermo il termine di 24 mesi per la liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i lavoratori che accedono al pensionamento a età inferiore a quella corrispondente ai limiti di età.
Scuola
Fondo la buona scuola – comma 4 e 5
Per quanto concerne la scuola in generale i commi 4 e 5 istituiscono il fondo denominato «Fondo “La buona scuola”», con la dotazione di 1.000 milioni di euro per l’anno 2015 e di 3.000 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2016. Tale Fondo è finalizzato a dotare il Paese di un sistema d’istruzione scolastica che si caratterizzi per un rafforzamento dell’offerta formativa e della continuità didattica, per la valorizzazione dei docenti e per una sostanziale attuazione dell’autonomia scolastica, con prioritario riferimento alla realizzazione di un piano straordinario di assunzioni, al potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro e alla formazione dei docenti e dei dirigenti.
Inoltre, nelle restanti norme (commi 325 e ss.) vi sono delle riduzioni di spesa in generale sul capitolo del MIUR.
comma 331 334 335
Il comma 331 prevede che, salve le ipotesi di collocamento fuori ruolo e delle prerogative sindacali ai sensi della normativa vigente, il personale appartenente al comparto scuola non può essere posto in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o utilizzazione comunque denominata, presso le pubbliche amministrazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), ovvero enti, associazioni e fondazioni.
Il comma 334 prevede che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sessanta giorni, in considerazione di un generale processo di digitalizzazione e incremento dell’efficienza dei processi e delle lavorazioni, si procede alla revisione dei criteri e dei parametri previsti per la definizione delle dotazioni organiche del personale amministrativo, tecnico e ausiliario della scuola, in modo da conseguire, a decorrere dall’anno scolastico 2015/ 2016, a) una riduzione nel numero dei posti pari a 2.020 unità; b) una riduzione nella spesa di personale pari a 50,7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno scolastico 2015/2016.
Il comma 335 prevede una autorizzazione di spesa di 10 milioni di euro per le attività di digitalizzazione dei procedimenti amministrativi affidati alle segreterie scolastiche, al fine di aumentare l’efficacia e l’efficienza delle interazioni con le famiglie, gli alunni e il personale dipendente.
Criteri composizione commissioni d’esame – comma 350
Il comma 350 stabilisce che con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, da adottare entro sessanta giorni, sono disciplinati, con effetto dall’anno 2015, i nuovi criteri per la definizione della composizione delle commissioni d’esame delle scuole secondarie di secondo grado. Ciò al fine di razionalizzare il sistema di valutazione degli alunni tenendo conto dell’esigenza di valorizzare i princìpi dell’autonomia scolastica e della continuità didattica, assicurando la coerenza degli standard valutativi e garantendo uno sviluppo ottimale della professione di docente in termini di conoscenze, competenze e approcci didattici e pedagogici e di verifica dell’efficacia delle pratiche educative.
Fisco
Stabilizzazione del bonus di 80 euro – comma 12
Il comma 12 rende strutturale il credito d’imposta IRPEF in favore dei lavoratori dipendenti e dei percettori di taluni redditi assimilati (cd. “bonus 80 euro”), originariamente introdotto per il solo anno 2014.
In particolare la somma spettante è pari:
– a 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro;
– a 960 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro.
Resta fermo che il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l’importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l’importo di 2.000 euro.
Buoni pasto – comma 16 e 17
I commi 16 e 17 modificano il Testo unico delle imposte dei redditi elevando, a decorrere dal 1° luglio 2015, la quota non sottoposta a tassazione dei buoni pasto da 5,29 euro a 7 euro, nel caso in cui essi siano di formato elettronico.
TFR in busta paga – comma 26 e 34
I commi 26 e ss. dispongo, in via sperimentale, in relazione ai periodi di paga dal 1° marzo 2015 al 30 giugno 2018, che i lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo) possano richiedere di percepire la quota maturanda del trattamento di fine rapporto (TFR), compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare, tramite liquidazione diretta mensile.
Erogazioni liberali alle Onlus – commi 137 e 138
I commi 137 e 138 incrementano a 30.000 euro annui (da 2.065,83 euro) il limite massimo delle erogazioni liberali, per le quali spetta la detrazione di imposta ai fini IRPEF del 26% nonché la deduzione IRES nei limiti del 2 per cento del reddito di impresa, effettuate a favore delle ONLUS, delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nei Paesi non appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Si dispone che le nuove norme trovino applicazione a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
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Centro di Documentazione Giuridica: La Giustizia amministrativa condiziona il diritto allo studio dei disabili alla disponibilità economica, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La Giustizia Amministrativa mette in discussione il diritto allo studio dei disabili con una clamorosa inversione di tendenza rispetto agli orientamenti giurisprudenziali degli ultimi anni che si rifacevano in toto ai principi costituzionali della consulta.
Le due sentenze del Tar Sicilia e del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana di fatto sovvertono il principio del diritto allo studio per i disabili.  Giustificare la riduzione delle ore di sostegno per ragioni di bilancio  equivale in sostanza a mettere in discussione  lo stesso principio del diritto allo studio, che si riteneva definitivamente sancito dalla Corte Costituzionale.
Infatti prima il Tar Sicilia con sentenza n.369  del 2014, nega il risarcimento del danno patrimoniale e non  alle famiglie dei disabili a cui il sostegno scolastico era stato negato. Poi il  Consiglio di Giustizia Amministrativa (CGA) della Regione Siciliana con sentenza n. 617 del 17 novembre 2014 che confermando  l’indirizzo del TAR non solo nega il diritto al risarcimento per danni, ma mette in dubbio anche l’assolutezza del diritto costituzionale all’istruzione.
Nella Sentenza del CGA della Sicilia si legge “come periodicamente ribadito anche dalla giurisprudenza, che la ‘educazione ed istruzione’, piuttosto che la ‘salute’ quale ‘diritto fondamentale dell’individuo’ […], specie se riferiti […] alla cura dei minori handicappati, costituiscono altrettanti diritti personali e sociali oggetto di tutela rafforzata, è anche vero che la tutela c.d. ‘incondizionata’ della salute, ribadita dal primo Giudice per concedere il sostegno nella misura richiesta dai genitori – depurata dalla forte caratura ideologica che ne ha accompagnato la sua rappresentazione politica e giuridica (anche nella cit. sentenza n. 80/2010 della Corte Costituzionale), oltre che mai realizzata nei fatti, sia in termini di prevenzione che di cura – non può per altro verso non subire oscillazioni, specialmente in tempi di crisi finanziaria acuta, come accade per la stagione attuale di finanza pubblica, che inevitabilmente si riverberano sulle scelte dell’Amministrazione, ogni qualvolta questa è chiamata a dover ponderarne la misura”.
Anche omettendo di valutare le gravissime considerazioni che la CGA formula nei riguardi della Corte costituzionale (“forte caratura ideologica che ne ha accompagnato la sua rappresentazione politica e giuridica”), molto grave è che l’organo giudicante nella sostanza dichiara alcuni diritti non “indiscutibili”, ma condizionati nella loro esigibilità dalla crisi finanziaria. Aprendo concretamente la possibilità alle amministrazioni di limitare il sostegno scolastico a causa della crisi finanziaria.
Inoltre quando scive: “[…] l’assistenza pubblica ai minori, in tutte le forme con cui questa può essere prestata, è da reputare in via di principio ‘sussidiaria’, o, comunque, non sostitutiva rispetto agli obblighi di assistenza ed educazione che prioritariamente incombono sui genitori che su di essi esercitano la potestà”di fatto attribuisce alle famiglie il carico materiale ed economico del sostegno scolastico ritenendo che lo stato se ne debba invece occupare in modo sussidiario.
Certamente tali sentenze avranno non poche ripercussioni, in una fase di delicato equilibrio finanziario a molti studenti disabili sarà negato il diritto allo studio con una sensibile riduzione delle ore di sostegno perchè condizionate alle ridotte disponibilità economiche delle P.A.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: Amministrazione di sostegno o interdizione? Ecco i criteri di scelta precisati in una recente sentenza del Tribunale di Vercelli, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La scelta tra amministrazione di sostegno e interdizione non si basa sul solo sul grado d’infermità del soggetto incapace, ma il giudice deve compiere una valutazione globale e complessiva della situazione personale e del patrimonio da gestire del soggetto.

Lo ha precisato il Tribunale di Vercelli con  sentenza del 31 ottobre 2014, n. 142. Nell’interessante sentenza si da conto della giurisprudenza di legittimità e di merito dei vari Tribunali che si trovano a dover utilizzare i criteri messi a disposizione della legge per stabilire la giusta misura di protezione da riconoscere all’interessato.

Il caso posto all’esame del Giudice piemontese, ha inizio con la richiesta della madre, già amministratore di sostegno del figlio, di pronunciare l’interdizione del proprio figlio poiché la misura già disposta era diventata insufficiente a causa del peggioramento delle condizioni di salute del figlio, affetto da encefalopatia epilettica con ritardo psicomotorio grave.

L‘amministrazione di sostegno inizialmente concessa era stata giudicata misura sufficiente sia in considerazione delle scarse esigenze gestionali da soddisfare, sia per il fatto che il beneficiario vivesse in un ambiente circoscritto e protetto che non lo esponeva al pericolo di compiere atti pregiudizievoli. La madre, in qualità di amministratore di sostegno, avrebbe dovuto esercitare i poteri cd. sostitutivi (ex art. 405, comma 5, n. 3, c.c.) a livello patrimoniale: compiere gli atti di straordinaria e di ordinaria amministrazione e gli ulteriori atti relativi alla presentazione di domande di assistenza, anche sanitaria e di sussidi.

Nel giudizio di interdizione, successivamente promosso, il nuovo esame peritale confermava l’esigenza di una forma di protezione tenuto conto della generale condizione di non autosufficienza del soggetto, dovuta al grado medio-grave del ritardo mentale.

La perizia evidenziava però anche che le cure quotidiane presso il centro diurno e “il buon accudimento e le attenzioni pedagogiche della madre di tutti questi anni avevano evitato ulteriori regressioni a livello psico-comportamentale”. Di conseguenza, a livello medico, non si poteva configurare un peggioramento della situazione preesistente.

Tenuto conto di ciò, il Tribunale di Vercelli rammenta che la scelta dell’amministrazione di sostegno non deve essere semplicemente basata sul grado d’infermità o d’impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto, ma piuttosto sulla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle sue esigenze, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass. Civ. Sez. I, sentenza 22 aprile 2009, n. 9628 e Cass. Civ. Sez. I, sentenza 26 ottobre 2011, n. 22332).

In particolare l’amministrazione di sostegno sarà preferibile in tutti quei casi in cui sia necessaria “un’attività di tutela minima, in relazione, tra le altre cose, alla scarsa consistenza del patrimonio del soggetto debole, alla semplicità delle operazioni da svolgere, e all’attitudine del beneficiario a non porre in discussione i risultati dell’attività svolta nel suo interesse”.

Nella sentenza si richiama anche ad una recentissima pronuncia della Cassazione, con la quale è stata confermata la misura dell’interdizione ove l’elevata consistenza del patrimonio mobiliare ed immobiliare, collegata con la gravità e l’irreversibilità delle condizioni fisio-psichiche del soggetto, imponeva l’adozione della misura interdittiva proprio per la gestione e conservazione del patrimonio. In sostanza, è corretto non basare la scelta dell’interdizione sul solo grado di infermità del soggetto incapace, ma occorre procedere ad un’attenta ricostruzione della particolare situazione fisica e psichica dell’incapace, rapportandola con la complessità delle decisioni, anche quotidiane, da prendere per la gestione del suo patrimonio personale.

Il Giudice, nello scegliere  tra l’interdizione e l’amministratore di sostegno, dovrà basarsi sul criterio contenuto  nei primi due commi dell’art. 410 c.c., che impongono all’amministratore di sostegno, da un lato, di tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, dall’altro, di informare tempestivamente il beneficiario sugli gli atti da compiere, e il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. Vi dovrà essere nella pratica un sistema continuo di scambio tra i soggetti dell’amministrazione di sostegno – beneficiario, amministratore e Giudice tutelare – al fine di dirimere i contrasti eventualmente insorti. Ciò all’insegna della logica di collaborativa che ispira l’istituto dell’amministrazione di sostegno rispetto a quella propriamente “sostitutiva” dell’interdizione

Nel caso specifico, la ricorrente lamentava che come amministratore di sostegno non avrebbe avuto il potere di prestare un consenso informato alle cure, in caso di accertamenti o trattamenti sanitari, sostituendosi al soggetto incapace, come invece potrebbe potuto fare il tutore ai sensi dell’art. 357 c.c.

Secondo i giudici, però, tale potere, pur se non espressamente previsto dall’art. 411 c.c., è insito nelle disposizioni sull’amministrazione di sostegno che è istituto finalizzato alla cura della persona del beneficiario in ogni suo aspetto, patrimoniale e personale, come si desume dal tenore letterale degli artt. 405, comma 4, e 408, comma 1, c.c. (decreto 30 aprile 2012, Giudice tutelare Varese).

Pertanto il Tribunale adito, ha ampliato gli originari poteri conferiti, attribuendo all’amministratore in carica, salva diversa determinazione del Giudice tutelare, il potere di prestare, in nome e per conto del beneficiario, il consenso e/o il dissenso ad intraprendere i necessari accertamenti, cure, e trattamenti sanitari, in considerazione dell’impossibilità, anche parziale, del beneficiario a prestare tale consenso. Precisando però che questo potere è limitato agli accertamenti, ai trattamenti ed alle terapie routinarie, intendendosi quelli non invasivi e/o che non comportino periodi di lunga degenza in ospedale. Nel caso di operazioni chirurgiche, cicli terapici quali dialisi, chemioterapia ecc., l’amministratore di sostegno dovrà coinvolgere il Giudice Tutelare anche se non a fini autorizzativi, ma informativi.

Inoltre nell’ottica collaborativa, il consenso e/o di dissenso agli accertamenti ed ai trattamenti terapeutici dovrà essere prestato con il beneficiario, e non al posto dello stesso, dovendo l’amministratore tenere presente per quanto possibile i desideri e le aspirazioni del beneficiario.

Considerata l’importanza innovativa della sentenza commentata se ne riporta in calce il testo integrale.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

Tribunale di Vercelli

Sezione Civile

Sentenza 31 ottobre 2014, n. 142

(Pres. Marozzo, Est. Bianconi)

OMISSIS

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato in data 21.6.2013, la ricorrente, madre ed amministratore di sostegno in carica, chiedeva che l’intestato Tribunale pronunciasse l’interdizione del proprio figlio e beneficiario, …

Deduceva che la misura di amministrazione di sostegno, disposta con decreto 03.8.2009 del Giudice tutelare presso il Tribunale di .., era “divenuta sicuramente insufficiente in quanto, con il trascorrere degli anni, le condizioni di … tendono a peggiorare”; la necessità di nomina di un tutore sarebbe pure derivata “dalla richiesta di maggiore autonomia dalla madre” da parte di .., “con conseguente aumento proporzionale dei rischi per lo stesso”.

Allegava altresì l’incapacità di .. di fare uso del denaro; il rischio che, ove lasciato solo in casa, egli potesse aprire la porta a chicchessia, accondiscendo a qualsiasi richiesta da parte di estranei, magari sottoscrivendo contratti e/o moduli di altro tipo; infine, segnalava il pericolo di un suo eventuale ricovero, in considerazione dell’impossibilità, per .., di prestare un consenso informato alle eventuali cure e trattamenti sanitari.

Si candidava quale tutore.

La causa veniva istruita attraverso l’esame dell’interdicendo, all’udienza 13.11.2013.

Veniva disposta quindi ctu medica sulle condizioni fisiche e psichiche del predetto.

Il perito, al quale veniva conferito l’incarico all’udienza 17.12.2013, depositava la propria relazione in data 12.3.2014.

All’udienza 18.3.2014 il ricorrente precisava le conclusioni come da ricorso introduttivo; alle stesse si associava il Pubblico Ministero, nel frattempo intervenuto in giudizio.

A seguito del deposito di comparsa conclusionale, con ordinanza 25.6.2014 ex art. 279 c.p.c., la causa veniva rimessa in istruttoria, al fine di procedere a nuovo esame dell’interdicendo, affidato al Giudice scrivente.

In data 11.9.2014 si celebrava il nuovo esame, ed all’esito la causa veniva trattenuta in decisione senza concessione di termini ex art. 190 c.p.c., espressamente rinunciati dalla ricorrente.

***

Il ricorso è infondato, e non merita accoglimento.

Da un punto di vista dogmatico, si impone una premessa: la consolidata giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che la misura dell’amministrazione di sostegno è prevista in via generale quale strumento di protezione dei soggetti privi di autonomia , in considerazione della sua duttilità e minore limitazione della capacità di agire del beneficiario, mentre solo quando essa non sia sufficiente alla adeguata protezione del soggetto può ricorrersi alla più limitativa misura dell’interdizione.

In particolare, rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuata con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilita di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (cfr. Cass. Sez. I, n. 9628 del 22.4.2009, Est. Panzani; Cass. Sez I, n. 22332 del 26.10.2011, Est. Salmé).

Sulla base delle coordinate sopra tracciate, la Suprema Corte ha pertanto ritenuto la misura dell’amministrazione di sostegno pienamente idonea a tutelare la persona incapace in tutti quei casi in cui si renda necessaria un’attività di tutela cd. “minima”, in relazione, tra le altre cose, alla scarsa consistenza del patrimonio del soggetto debole, alla semplicità delle operazioni da svolgere, ed all’attitudine del beneficiario a non porre in discussione i risultati dell’attività svolta nel suo interesse (cfr. Cass. da ultimo citata).

Tale impostazione è stata ripresa e confermata anche di recente in un caso in cui il Supremo Collegio ha peraltro rigettato il ricorso, confermando la sentenza di interdizione del Giudice di merito, proprio alla luce della “straordinaria consistenza e varietà del patrimonio mobiliare ed immobiliare […] correlata con la gravità e l’irreversibilità delle condizioni fisio-psichiche emerse dall’esame peritale”, ciò che imponeva l’adozione della misuura interdittiva ai fini della migliore conservazione del patrimonio stesso e della sua utile gestione (cfr. Cass. Sez. I, n. 18171 del 26.7.2013, Est. Acierno). In tale caso, il Giudice del merito, come riconosciuto dalla Suprema Corte, non aveva fondato la scelta della misura dell’interdizione sul grado di infermità del soggetto incapace, ma aveva proceduto ad una corretta ricostruzione della peculiare situazione anagrafica e fisiopsichica del medesimo, ponendola in correlazione con la complessità delle decisioni, anche quotidiane, imposte dall’ampiezza, consistenza e natura composita del patrimonio ad egli appartenente.

I Giudici di merito hanno da tempo mostrato di aderire all’impostazione appena tracciata.

Il criterio distintivo, che, è bene sottolinearlo, non passa attraverso un giudizio di tipo scientifico o medico-legale, ma prettamente giuridico, risulta ampiamente condiviso.

Le ricadute concrete, come è naturale, variano in relazione alle peculiari situazioni rilevate nei casi via via in esame.

Si veda, al riguardo, ad esempio, decr. Giudice tutelare di Varese del 17.11.2009, Est. Buffone, che ha ritenuto, nel caso alla sua attenzione, e dopo approfondita rassegna delle diverse posizioni giurisprudenziali in merito, la misura dell’interdizione meglio rispondente alle esigenze di un soggetto versante in stato vegetativo permanente.

Ovvero, sentenza Tribunale di Milano del 13.2.2013, Est. Corbetta, ibidem, nella quale si chiarisce che, anche in presenza di esteso deficit cognitivo, nondimeno, può darsi corso all’interdizione solo ove sia necessario inibire al soggetto da proteggersi di esplicitare all’esterno capacità viziate che espongano sé o altri a possibili pregiudizi, e non già quando è la stessa patologia che, per le sue caratteristiche, mostra di impedire allo stesso qualunque contatto diretto ed autonomo con la realtà esterna.

O anche, infine, decr. Giudice tutelare di Milano del 27.8.2013, Est. Buffone, ibidem, in relazione alla maggiore idoneità dell’interdizione in un caso di paziente affetto da tendenze suicidarie.

Proprio la pronuncia da ultimo citata lumeggia, ad avviso del Collegio, l’addentellato normativo che rappresenta il vero “faro” che il Giudice deve seguire, laddove si trovi a dover scegliere quale, tra le misure dell’interdizione e dell’amministratore di sostegno, applicare al caso concreto: esso va individuato nel disposto dell’art. 410, commi 1 e 2, c.c., i quali, dettati con esclusivo riferimento all’amministrazione di sostegno: i) impongono all’amministratore, da un lato, di “tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”; ii) dall’altro, gli impongono di “tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso”; ii) predispongono, infine, un sistema di attivazione del contraddittorio tra i soggetti dell’amministrazione (beneficiario e amministratore) al cospetto Giudice tutelare, soggetto istituzionalmente preposto a sovrintendere alla procedura.

La differenza rispetto alla misura interdittiva, ove un tale sistema non esiste, è netta: alla logica di una gestione, per così dire, sostitutiva, il Legislatore del 2004 ha affiancato un sistema di gestione collaborativa, in chiaro ossequio agli universalmente noti principi di rango costituzionale (art. 2 e 3), europeo (art. 8 Convenzione EDU), ed internazionali (cfr. preambolo, ed artt. 1, 3 e 4 Convenzione Nazioni Unite sulle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con Legge dello Stato) rilevanti in relazione a tali fattispecie.

Vi è, però, che un tale sistema di collaborazione può, in concreto ed in casi particolari, non funzionare; ovvero che esso possa appalesarsi troppo farraginoso in relazione alla molteplice ed imponderabile varietà delle situazioni umane, così rendendo la misura dell’amministrazione di sostegno, non solo inidonea, ma addirittura controproducente rispetto a fini di tutela degli interessi del beneficiario.

A ben vedere, si tratta proprio dei casi esaminati nelle pronunce sopra enucleate: sarebbe infatti, ad esempio, difficilmente ipotizzabile un’amministrazione di sostegno che – in relazione alla difficoltà e complessità dell’attività di gestione patrimoniale, da compiersi attraverso atti giuridici con cadenza quotidiana, magari osteggiati dal beneficiario – imponga il continuo ricorso al giudice tutelare ai sensi del secondo comma della norma citata, con conseguente naufragio dell’efficacia della misura di protezione; e sarebbe del tutto impensabile – per assurdità – un sistema di collaborazione che imponga ad un amministratore di sostegno di perseguire le “aspirazioni” di un beneficiario che manifesti tendenze suicide, ovvero manifestamente eterolesive.

***

Alla luce delle considerazioni di ordine generale che precedono, deve passarsi all’esame del caso concreto.

Come detto, nell’interesse di …. fu aperta la misura dell’amministrazione di sostegno con decreto 03.8.2009 del Giudice tutelare di …

Con tale provvedimento (all. sub doc. 1 al ricorso per interdizione), il G.t., dopo aver premesso che il .. risultava affetto da “encefalopatia epilettica con ritardo psicomotorio grave” documentata per tabulas; e dopo avere ritenuto che la misura di amministrazione di sostegno appariva misura sufficiente “anche in considerazione delle scarse esigenze gestionali da soddisfare e della circostanza che .. vive in un ambiente circoscritto e protetto […] sì che non sussite grave pericolo che possa esporsi al compimento di atti pregiudizievoli”; nominava amministratore di sostegno la madre di .., …, e le deferiva poteri cd. sostitutivi (ex art. 405, comma 5, n. 3, c.c.) in ambito patrimoniale, con riferimento al compimento di atti di straordinaria e di ordinaria amministrazione; demandava inoltre il potere di compiere ulteriori atti relativi alla “presentazione di domande di assistenza, anche sanitaria e sussidi”.

Con riferimento alle condizioni di salute del .., parte ricorrente per l’interdizione ha prodottosub doc. 3 certificato 14.1.2013 proveniente dalla Fondazione … di Milano (istituto accreditato presso il servizio sanitario nazionale), a firma dott. .., dal quale emerge che il beneficiario, in effetti, soffre di encefalopatia epilettica, in un quadro clinico caratterizzato da ritardo psicomotorio grave e crisi epilettiche farmacoresistenti.

L’esigenza di una forma di protezione del .. è stata pienamente confermata dalle risultanze dell’esame dell’interdicendo, celebratosi all’udienza 13.11.2013, a cura del G.o.t. allora istruttore: in tale sede, l’interdicendo ha dimostrato all’evidenza di non conoscere il reale valore del denaro in generale, né della banconota che gli fu rammostrata; ha riferito di non essere in grado di girare liberamente da solo, e di non conoscere le vie cittadine; ha mostrato difficoltà di linguaggio, e ha chiesto a tal fine ripetutamente l’ausilio della madre, presente all’incombente.

La relazione peritale, a cura del dott. .., ha dato conto della generale condizione di non autosufficienza del soggetto, conseguente al grado medio grave del ritardo mentale che lo affligge. Al contempo, peraltro, il perito ha spiegato che .. frequenta con regolarità un centro diurno, una palestra ove pratica pallacanestro, ed una piscina, ove si cimenta nel nuoto, sua vera passione. Ha dichiarato che .. “ha mostrato di comprendere il significato delle domande più elementari rivoltegli” e che “il suo atteggiamento nel corso dell’esame è stato del tutto corretto con manifestazioni, forse anche stereotipate, di buona collaborazione e di gentilezza nel rapporto interpersonale”. Ha segnalato che, oltre alle cure quotidiane presso il centro diurno, “il buon accudimento e le attenzioni pedagogiche della madre di tutti questi anni gli hanno evitato ulteriori regressioni a livello psico-comportamentale”.

Le risultanze della ctu non sono state fatte oggetto di censura e/o osservazione alcuna da parte della ricorrente, di talché costituiscono solida base sulla quale fondare la presente decisione.

Al nuovo esame dell’interdicendo, celebrato dallo scrivente in data 11.9.2014, .. ha nuovamente mostrato di incorrere in gravi defaillances di tipo mnesico; su tutte, egli non ricordava la propria data di nascita. Ha peraltro dichiarato di abitare con la sua mamma, con la quale “va d’accordo, anche se a volte si e a volte no”; ha riferito che lei è la sua amministratrice di sostegno, e che lui “è contento”.

***

Ciò premesso in punto di fatto, e richiamate le considerazioni giuridiche sovrasvolte, si osserva pertanto quanto segue.

La patologia che affligge .. è senz’altro grave e invalidante, ma non tale, per sua natura, da privare il medesimo della capacità di rapportarsi al mondo esterno, ed in primis alla propria madre ed amministratrice di sostegno.

.. fa tutto ciò a modo suo, ovvero con ingenuità, ma anche con educazione, buona collaborazione e gentilezza, come osservato dal Ctu (pag. 6 elaborato) e riscontrato dal Giudice all’esame 11.9.2014.

Egli non mostra in alcun modo di potere, e, ciò che più conta, di volere, porre in discussione l’attività di amministrazione di sostegno, svolta dalla madre, cui lui vuole bene (“andiamo d’accordo”), della quale riconosce il ruolo istituzionale (“lei è il mio amministratore di sostegno”), che approva con decisione (“sono contento”).

L’amministrazione è sino ad oggi stata proficua per il benessere psico-fisico di …, come rilevato dal perito, né vi sono margini per ritenere che in futuro possano verificarsi contrasti insanabili tra l’amministratore ed il beneficiario, tali da pregiudicare lo svolgimento dell’incarico in un’ottica di perseguimento dei desideri e delle aspirazioni di quest’ultimo, se del caso, anche attraverso l’intervento del Giudice tutelare ex art. 410 c.c..

Con puntuale riferimento alle doglianze del ricorrente, poi, valgano le seguenti considerazioni.

Non è stato dimostrato un aggravamento delle condizioni di salute di … rispetto all’epoca in cui fu aperta l’amministrazione di sostegno: il certificato medico prodotto sub 3) e la Ctu, infatti, paiono sostanzialmente confermare all’attualità la diagnosi, allora raccolta dal G.t., di encefalopatia epilettica.

Il rischio che .. “firmi documenti” o contratti o altri moduli, allorquando apra la porta a soggetti sconosciuti, quando si trovi solo presso la propria abitazione, è, nei limiti del possibile, da ritenersi scongiurato.

Da un lato, infatti, il decreto di nomina (seppur non particolarmente analitico), ha demandato all’amministratore di sostegno il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, e quindi in via sostitutiva, gli atti di cui all’art. 374 c.c.: da ciò discende che i) la capacità di compiere tali atti è preclusa al beneficiario, a norma dell’art. 405, comma 5, nr. 3) c.c.; ii) nel novero di tali atti rientra quello di “assumere obbligazioni”, a mente dell’art. 374, comma 1, n. 2) c.c.; iii) l’eventuale compimento di un tale atto, chiaramente invalido, troverebbe rimedio successivo attraverso l’esperimento dell’azione di annullamento ex art. 412 c.c..

Dall’altro lato, non si vede quale migliore protezione conseguirebbe il .. dall’apertura di una tutela, considerato che: i) la possibilità materiale, per .., di aprire la porta a sconosciuti e di apporre la propria sottoscrizione su documenti contrattuali eventualmente sottopostigli, non verrebbe ovviamente meno, per il solo fatto di essere soggetto a tutela; ii) il rimedio approntato dall’ordinamento nei confronti degli atti giuridici posti in essere senza autorizzazione dagli interdetti, è pur sempre successivo ed invalidatorio, e non certo preventivo, esattamente come nell’amministrazione di sostegno (cfr. art. 377 c.c.).

Anche con riferimento a tale aspetto, pertanto, si stima ampiamente tutelante e tranquillizzante il mantenimento, in favore del .., della misura in essere, e del tutto superfluo un aggravamento della stessa.

Infine, come detto, la ricorrente in interdizione, ha segnalato il rischio che .., laddove abbisognasse di cure, accertamenti, trattamenti sanitari, non sarebbe in grado di prestare un consenso informato alle cure. Si renderebbe pertanto necessaria l’interdizione del medesimo.

La testi propugnata dalla ricorrente si rifà implicitamente ad un’opzione interpretativa risalente e del tutto recessiva, fondata sul mancato richiamo, ad opera dell’art. 411, comma 1, c.c., dell’art. 357 c.c., disposizione che sancisce il dovere di cura del minore (e dunque dell’interdetto) da parte del tutore.

La cura personae costituirebbe, secondo tale interpretazione, prerogativa esclusiva del tutore, e sarebbe preclusa, e comunque non demandabile, all’amministratore di sostegno.

In realtà, costituisce ormai dato acquisito che il mancato richiamo dell’art. 357 c.c. dipenda dalla sua superfluità. Tutta la normativa sull’amministrazione di sostegno è teleologicamente diretta alla cura della persona del beneficiario in ogni suo aspetto, patrimoniale, ma anche personale, come desumibile dal tenore letterale degli artt. 405, comma 4, e 408, comma 1, c.c. (si richiama, per il grado di approfondimento e per la chiarezza espositiva, decr. 30.4.2012 Giudice tutelare Varese, Est. Buffone).

In ogni caso, anche a voler diversamente opinare, e dunque a voler ritenere che il mancato richiamo dell’art. 357 c.c. sia in realtà frutto di una chiara scelta del Legislatore volta ad evitare il deferimento all’amministratore di poteri volti alla cura personae del beneficiario, sarebbe in ogni caso pur sempre possibile estendere la previsione de qua, disciplinante un “effetto” dell’interdizione, anche alla procedura di amministrazione, giusta il disposto di cui all’art. 411, ultimo comma, c.c.

Il Collegio ritiene pertanto possibile, senza tema di smentita, il deferimento all’amministratore di sostegno di poteri in ambito sanitario, ed in particolare il potere di prestare il consenso, ovvero il dissenso (cfr. decr. G.t. Firenze 22.12.2010), informato a tali accertamenti, cure e trattamenti.

Ciò, oltretutto, può essere fatto in ogni tempo dal Giudice tutelare, ed anche d’ufficio, a mente dell’art. 407, comma 4, c.c..

Da ciò discende l’infondatezza della domanda di interdizione, anche in parte qua.

Con riferimento al caso concreto, peraltro, sussiste in effetti una grave patologia, che afflige dalla nascita il …, e che dà effetivamento conto dell’impossibilità, per lo stessso, di prestare un valido consenso informato agli accertamenti, alle cure, ed ai trattamenti sanitari che si rendono necessari per lui.

Egli, espressamente sollecitato sul punto dallo scrivente all’esame del 11.9.2014, si è mostrato spaesato, ed ha semplicemente – ed abbastanza ingenuamente – dichiarato di “non avere malattie”, e di “sentirsi bene”, così mostrando scarsa consapevolezza della propria patologia e del percorso di cure cui doversi sottoporre.

La questione, come detto, dovrà essere scrutinata ed approfondita dal Giudice tutelare in sede, il quale potrà, se ritenuto, rivedere, e se del caso integrare, il decreto di nomina nella parte in cui non disciplina con puntualità, tale aspetto (non potendosi, a parere del Collegio, ritenere sufficiente la scarna previsione in base alla quale all’amministratore veniva demandato il potere di compiere ulteriori atti relativi alla “presentazione di domande di assistenza, anche sanitaria e sussidi”.

In questa sede, peraltro, pare possibile e senz’altro opportuno, per ragioni di urgenza ed allo scopo di evitare vuoti di tutela, attribuire all’amministratore in via provvisoria ed urgente tali poteri.

L’art. 418, comma 3, c.c., infatti e come è noto, dispone che se nel corso del giudizio di interdizione “appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio […] dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione […] può adottare i provvedimenti di cui al quarto comma dell’art. 405”.

La disposizione normativa, dettata con riferimento alle situazioni in cui una procedura di ammministrazione non sia stata ancora aperta, sembra applicabile anche a fattispecie, come quella in esame, nelle quali, a fronte della già avvenuta apertura della misura di amministrazione, sia comunque stato incardinato un giudizio di interdizione (a ciò non ostando alcuna disposizione normativa in particolare, e potendosi dunque applicare il disposto di cui all’art. 12, comma 2, delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile, anche in relazione ai principi generali dell’Ordinamento, volti, con ogni evidenza, alla tutela massima e continuativa dei soggetti bisognosi di protezione).

Deve in definitiva essere demandato all’amministratore in carica (all’evidenza il soggetto più idoneo alla bisogna, in considerazione del legame parentale, affetivo e personale che lega … a .. ..), ex artt. 418, comma 3 e 405, comma 4 c.c., e salva ogni nuova e diversa determinazione del Giudice tutelare in sede, il potere di prestare, in nome e per conto del beneficiario, il consenso e/o il dissenso ad intraprendere i necessari accertamenti, cure, e trattamenti sanitari, in considerazione dell’impossibilità, anche parziale, del beneficiario a prestare tale consenso.

Tale potere è da intendersi deferito limitatamente agli accertamenti, ai trattamenti ed alle terapie routinarie, intendendosi per tali unicamente quelli non invasivi e/o che non comportino periodi di lungodegenza in ospedale; in tali denegatissime evenienze (es: operazioni chirurgiche, cicli terapici quali dialisi, chemioterapia, etc), sarà cura dell’amministratore di sostegno investire della questione il Giudice Tutelare, peraltro non a fini autorizzativi, ma informativi.

Sempre nell’ottica collaborativa, di cui supra, ogni manifestazione di consenso e/o di dissenso agli acceertamenti ed ai trattamenti terapeutici dovrà essere prestata con il beneficiario, e non al posto dello stesso, nel senso che l’amministratore nominato dovrà esprimere quello che risulterà essere il reale intendimento del soggetto beneficiario, parlando con lui, cogliendone per quanto più possibile i desideri e le aspirazioni, e non il proprio intendimento.

***

Per tutti i sopraesposti motivi, la domanda di interdizione deve essere rigettata.

Le spese sono dichiarate irripetibili, a fronte del rigetto della domanda, e della mancata costituzione del convenuto, nel cui esclusivo interesse, peraltro, è stato incardinato il presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Vercelli, in composizione collegiale, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa eccezione, domanda ed istanza disattesa:

  1. rigetta la domanda di interdizione avanzata da … nei confronti di …;
  2. visti gli artt. 418, c. 3 e 405, c. 4, c.c., demanda a …, amministratore di sostegno in carica in forza di decreto 03.8.2009 del Giudice tutelare presso il Tribunale di … il potere di prestare, in nome, per conto, nell’interesse, e con il beneficiario …, il consenso e/o il dissenso circa ogni accertamento, trattamento o terapia non invasiva e/oroutinaria; conferisce il predetto potere altresì con riguardo ad ogni altro, successivo ed ulteriore accertamento, trattamento e terapia sanitaria non qualificabili come routinari, ma ciò solo previa informativa al Giudice tutelare in sede;
  3. dispone che ad ogni effetto di legge l’amministratore di sostegno in carica esibisca ai terzi unicamente la parte dispositiva della presente sentenza, necessaria e sufficiente a giustificare l’esercizio dei poteri ad egli deferiti;
  4. visto l’art. 418, comma 3, c.c., dispone la trasmissione del procedimento al Giudice tutelare in sede per le determinazioni di sua competenza, ivi compresa la conferma, la revoca o la modifica della presente statuizione, limitatamente al punto 2), e/o l’adozione di ogni altro provvedimento opportuno;
  5. nulla per le spese di lite.

Manda la Cancelleria per la comunicazione al ricorrente, al Signor Pubblico Ministero in sede, al Giudice tutelare in sede, e per ogni altro adempimento di legge.

Così deciso in Vercelli nella Camera di Consiglio della Sezione Civile in data 23.12.2014

Il Giudice estensore
Dott. Carlo Bianconi

Il Presidente
Dott. Antonio Marozzo

Centro di Documentazione Giuridica: La Corte Ue, riconosce l’obesità come handicap, maggiori tutele per i lavoratori, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

L’obesità può costituire un handicap per chi ne soffre e non deve dar luogo a discriminazioni sul lavoro. Sebbene nessun principio generale del diritto dell’Unione europea preveda un principio di non discriminazione in ragione dell’obesità in quanto tale, questa rientra nella nozione di handicap (e sono vietate le discriminazioni fondate su handicap) se impedisce la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale sulla base di uguaglianza con altri lavoratori.  Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Europea con sentenza.
Di conseguenza, il lavoratore obeso ha diritto alla tutela offerta dalla direttiva 2000/78/Ce sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale direttiva dell’Unione europea stabilisce il quadro generale per la lotta alle discriminazioni in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
E in forza di tale direttiva sono vietate, in materia di occupazione, le discriminazioni fondate sulla religione, le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha per la prima volta qualificato come handicap dell’obesità. La pronuncia, depositata il 18 dicembre 2014, (causa C-354/13), è stata provocata dal rinvio pregiudiziale promosso dai giudici danesi a seguito del ricorso di un dipendente dell’amministrazione pubblica impiegato come babysitter.
Il dipendente era afflitto da obesità, secondo gli standard fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’amministrazione danese, spinta, all’apparenza, dalla diminuzione del numero di bambini da seguire, aveva deciso il licenziamento del ricorrente secondo il quale, invece, la decisione era dipesa dalla sua obesità. Di qui l’azione giudiziaria e il rinvio dei giudici alla Corte Ue prima di decidere se il ricorrente fosse stato vittima di una discriminazione fondata sull’obesità.
Per gli eurogiudici, sebbene la direttiva 2000/78, non menzioni direttamente l’obesità, questa patologia può essere inclusa nella nozione di handicap, in quanto per handicap s’intende non solo un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, “ma altresì un ostacolo a svolgere una simile attività”.
L’obesità – osserva la Corte di giustizia – non è, in via generale, un handicap nel senso specificato nella direttiva che si riferisce a “una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature”, in grado di ostacolare “la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professione, su base di uguaglianza con altri lavoratori”. Ma, in determinate circostanze, essa comunque comporta delle limitazioni, che di fatto ostacolano la vita professionale di chi ne è affetto.
Una situazione che si verifica nei casi in cui l’obesità è di lunga durata o se, ad esempio, il lavoratore ha una mobilità ridotta o patologie che gli impediscono di lavorare o fanno sorgere difficoltà nella realizzazione dei suoi compiti professionali.
L’obesità del babysitter era di lungo periodo e, quindi, se il giudice nazionale ravvisa una limitazione nella sua vita professionale deve considerare l’obesità come handicap e applicare le garanzie offerte dalla direttiva Ue sopra richiamata.
Va detto inoltre che, secondo la Corte Ue, i giudici nazionali devono partire dal presupposto che spetta alla parte convenuta e, quindi, al datore di lavoro, dimostrare che non si è realizzata alcuna violazione del principio della parità di trattamento.
Rilevante poi l’esclusione dell’esistenza di un principio generale del diritto Ue di non discriminazione a motivo dell’obesità.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: La condizione di handicap palese non autorizza a diffondere i dati sensibili dell’interessato e ove ciò accada è violazione della privacy, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La terza Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24986, depositata il 25 novembre 2014, ha definitivamente condannato il direttore di un giornale per essere contravvenuto agli obblighi della privacy avendo pubblicato la notizia della delibera comunale di assistenza a una minore portatrice di handicap. Pubblicazione a cui era seguito un interessamento della popolazione locale su chi fosse il soggetto disabile.
Nel caso esaminato dalla Corte i genitori di una minore disabile avevano presentato ricorso avverso il responsabile di una rivista periodica la quale, in violazione delle disposizioni di cui al d. lgs. 196/2003 (c.d. Codice privacy) pubblicando i dati sensibili inerenti la minore stessa – in particolare, la notizia di adozione di delibera comunale di assistenza alla minore – ottenendo sia in primo che in secondo grado di giudizio l’accoglimento della propria domanda di risarcimento danni. Il giornale proponeva dunque ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge.
Anche per la Suprema Corte non conta dunque che la delibera comunale che dispone l’assistenza a un minore diversamente abile sia stata pubblicata, con nome e cognome dell’interessato, sull’organo di informazione dell’amministrazione e il direttore del giornale che ha divulgato a mezzo stampa i dati sensibili va comunque condannato per i danni subiti sia dal minore sia dai suoi genitori e non assume rilievo che l’interessato si sia mostrato in pubblico.
La decisione ha come punto essenziale l’interpretazione di un passo dell’articolo 137 del Codice della privacy. La regola fondamentale in tema di trattamento dei dati in materia giornalistica è, in sintesi, che si possono diffondere tutti i dati veri ed essenziali per comprendere una notizia di interesse pubblico. Ma possono comunque essere divulgati quelli “resi noti direttamente dagli interessati attraverso loro comportamenti in pubblico”. Ed è proprio’ sul significato di “comportamenti in pubblico” che la sentenza è interessante.
Il ricorrente sosteneva che l’handicap del minore fosse del tutto evidente e, quindi, che il fatto di mostrarsi in contesti sociali fosse riconducibile al comportamento attraverso cui si rendono noti i propri dati personali, determinandone la libera publicabilità.
La Corte respinge invece la tesi sottolineando che la mera percepibilità non è sufficiente, in quanto il mostrarsi non è una condotta con cui il soggetto ha inteso rendere palese la sua condizione.
Dunque si possono pubblicare dati anche non di stretto interesse pubblico – e il nome del minore non lo sono – solo se vi è il consenso dell’interessato, che può essere, stando alla lettera della legge, esplicito o implicito. Pertanto il consenso si può trarre anche da comportamenti in pubblico, purché questi ultimi non siano solo l’occasione in cui si è disvelato il dato, bensì la modalità scelta dall’interessato per renderlo pubblicamente palese.
Non basta, quindi, che il fatto avvenga in pubblico: occorre che il protagonista abbia scelto di renderlo noto o almeno, potendo evitarlo, accettato la possibilità concreta che ciò accada.
“La percepibilità icto oculi, da parte di terzi, della condizione di handicap di una persona non può, infatti, considerarsi circostanza o fatto reso noto direttamente dall’interessato o attraverso un comportamento di questi in pubblico e, conseguentemente, non è applicabile in siffatta ipotesi la richiamata norma.
E ciò vale a maggior ragione nel caso in esame, in cui risulta violata la riservatezza di una minore della quale sono stati divulgati gli elementi di identificazione e i dati sensibili attinenti alla sua salute, senza che essi, così come pubblicati – e in particolare con l’indicazione del nome e del cognome della minore – fossero peraltro di interesse pubblico ed essenziali all’informazione”.
Dunque l’interpretazione condivisibile della Cassazione si basa sul principio che il semplice fatto di vivere, mostrandosi in pubblico per come si è, non può essere confuso con un consenso alla diffusione indiscriminata dei propri dati.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: Per la Cassazione il diritto all’assunzione del disabile non viene meno se ha già una occupazione precaria, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La Suprema Corte di Cassazione ha, con la recente sentenza n. 24723 del 20 novembre u.s., stabilito al disabile che, dopo aver espletato regolare prova concorsuale con numero di posti riservati alla categoria, raggiunge una posizione utile in graduatoria, spetta un vero e proprio diritto all’assunzione.
Con la sentenza sopra citata la Cassazione, accoglie il ricorso di un’insegnante precaria la quale, proprio perché avrebbe svolto periodi sporadici di insegnamento (nella specie, alcune supplenze) nonostante si fosse qualificata per l’assunzione a tempo indeterminato, avrebbe difettato del requisito della non occupazione e dunque le sarebbe stata negata la nomina in ruolo.
Si pone preliminarmente in evidenza che trattandosi di un atto susseguente l’espletamento di prova concorsuale – ricadendo tutti i precedenti nella giurisdizione del giudice amministrativo – e vertendo sulla tutela di un vero e proprio diritto soggettivo, la giurisdizione è del giudice ordinario.
La Cassazione ha esaminato le origini storiche dell’istituto della quota di riserva, nei concorsi pubblici, a favore degli invalidi, estrapolandone la ratio: da istituto di solidarietà sociale (legge 482/1968) a vero e proprio mezzo di “valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse”. La possibilità di assumere i disabili vincitori di pubblici concorsi prescinde quindi dallo stato di disoccupazione di questi, essendo la ratio della norma, oggi vigente, differente (legge 68/1998). Sono inoltre richiamate le posizioni, sul punto, sia dell’Unione europea che di determinate convenzioni internazionali.
Il principio esposto in sentenza è dunque il seguente: “nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro a individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti riservati, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato e che l’inserimento nelle graduatorie del personale disabile che abbia conseguito l’idoneità nei concorsi pubblici (…) ai fini dell’adempimento degli obblighi (…) dà diritto all’assunzione anche a prescindere dallo stato di una precaria occupazione dell’invalido, considerata la pregnanza dell’obbligo solidaristico cui deve essere informato l’agire della pubblica amministrazione (al pari del datore di lavoro privato)”.
Considerata l’importanza dell’argomento si riporta in calce il testo integrale della sentenza.
Caserta lì, 12 dicembre 2014.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 20 novembre 2014, n. 24723
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 17 marzo 2006 C.F.L. , riconosciuta disabile dalla competente commissione di prima istanza nella misura del 46% in data 4/10/04, ed inclusa nella graduatoria permanente del personale docente della Provincia Autonoma di Trento – elenco riservisti – per gli anni scolastici 2004-2005 e 2005-2006, esponeva di aver svolto nell’anno scolastico 2004-2005 supplenze temporanee, e di essere stata inserita nella graduatoria permanente del personale docente della Provincia Autonoma di Trento per il quadriennio 2005-2009 al gruppo 2 (relativo ai disabili di cui all’art. 1 l. 68/99) in prima posizione per numerose classi di concorso.
Lamentava che, pur essendo stata convocata nell’agosto 2005 per la stipula di un contratto a tempo indeterminato, le era stata negata l’immissione in ruolo in ragione dello svolgimento, alla scadenza del termine di presentazione delle domande, delle supplenze temporanee richiamate.

Nel rilevare che ai sensi dell’art. 16 comma 2 l. 68/99, con il conseguimento dell’idoneità nei concorsi pubblici i disabili dovevano essere assunti ai fini dell’adempimento dell’obbligo di cui all’art.3 (assunzioni obbligatorie e quote di riserva), anche qualora non versassero in stato di disoccupazione ed oltre i limiti dei posti ad essi riservati nel concorso, e che, comunque, lo svolgimento di un incarico a tempo determinato sia annuale che infraannuale non era idoneo a far venir meno lo stato di disoccupazione, chiedeva riconoscersi nei confronti della Provincia Autonoma di Trento, nonché di P.R. ed altri quattro litisconsorti, (ultimi docenti non riservatari immessi in ruolo per l’anno scolastico 2005-2006), il suo diritto alla stipula del contratto di lavoro a tempo indeterminato (nomina in ruolo) con decorrenza dall’anno scolastico 2005-2006, quale beneficiario di riserva di posti ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 16, comma 2.

Le argomentazioni dell’attrice, resistite dall’ente convenuto, venivano recepite dal giudice adito con sentenza in data 18/7/06, confermata dalla Corte d’Appello di Trento.
La Corte territoriale, per quel che qui interessa, con la sentenza impugnata, rimarcava come la ratio della legge n.68/99 fosse ispirata all’esigenza di favorire l’inserimento stabile del soggetto disabile nel mondo del lavoro, mediante l’attribuzione di una quota di riserva in riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato sicché, in tale prospettiva, non poteva ritenersi logicamente ostativo allo scopo, il conseguimento di uno stato transitorio di occupazione quale la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato, nella specie, peraltro, già esaurito al momento della possibile fruizione del beneficio.

Avverso tale decisione la Provincia Autonoma di Trento propone ricorso per cassazione articolato in due motivi trasfusi in quesiti di diritto. Resiste con controricorso la C. che spiega altresì ricorso incidentale cui replica a propria volta la Provincia con controricorso.

P.R. e gli altri litisconsorti sono, infine, rimasti intimati.
Motivi della decisione
Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ex art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione dell’art. 4 d.lgsl. n.181/00 nonché degli artt. 7 comma 2 ed 8 comma 2 L. n.68 del 1999.
Osserva l’ente territoriale che le statuizioni della sentenza impugnata contrastavano con i dettami di cui all’art.4 d.lgsl. n. 181/00 alla cui stregua lo stato di disoccupazione cessa nel caso di rapporti a termine di durata superiore ad otto mesi, dovendo pertanto ritenersi che, in materia di diritto alla riserva concorsuale per docenti disabili, l’espletamento di attività di supplenza di durata annuale sia elemento idoneo a far venir meno il necessario requisito della disoccupazione.
Con il secondo mezzo di impugnazione si denunzia insufficiente o contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo della controversia, per non avere la Corte territoriale addotto specifiche argomentazioni a sostegno della tesi accreditata in ordine alla equivalenza concettuale dello stato di disoccupazione rispetto allo svolgimento di attività di lavoro, in virtù di un contratto a tempo determinato.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per comportare l’esame di questioni fra loro strettamente connesse, sono infondate.

Occorre premettere, per un ordinato iter motivazionale, che questa Corte, nell’esaminare la questione relativa all’ambito di operatività della quota di riserva in favore dei disabili e del relativo diritto di priorità nell’assunzione in riferimento al reclutamento del personale docente della scuola, ha ben delineato la ratio informatrice del compendio legislativo di cui alla L.12 marzo 1998, n. 68 disciplinante la materia, (vedi: Cass. S.U. 11 settembre 2007, n. 19030; Cass. 9 settembre 2008, n. 23112; Cass. 12 marzo 2009, n. 6026, Cass. 6 aprile 2011 n. 7889).
Come è stato osservato in dottrina, la L.12 marzo 1998, n. 68/determina nella tutela degli invalidi, un salto di qualità rispetto alla L. 2 aprile 1968, n. 482 – in ragione del passaggio da un sistema – che, in qualche misura, risentiva della concezione volta a configurare l’inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica – ad altro sistema volto, di contro, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse.
In tale ottica è stato anche rimarcato come dall’art.3 della citata legge n. 68 del 1999, art.3 può evincersi con certezza che nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti “riservati”, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato. E che si tratti di un diritto da osservarsi, stante la sua inderogabilità, dalla pubblica amministrazione – tenuta in materia, come i privati datori di lavoro, al rispetto del principio fissato dall’art.38 Cost., insuscettibile di essere disatteso – emerge con certezza anche dal contenuto dalla L. n.68 del 1999, art.16, avente ad oggetto i “concorsi presso le pubbliche amministrazioni” (vedi Cass. S.U. 22 febbraio 2007 n.4110, Cass. 6 aprile 2011 n.7889).
Detta disposizione, infatti, da un lato, pone limitazioni, solo per casi tassativi, alla partecipazione ai concorsi dei disabili per l’occupazione di posti comportanti l’esercizio di specifiche e predeterminate mansioni (cfr. art. 16, comma 1, ed il riferimento all’art. 3, comma 4, ed art. 5, comma 1) ; dall’altro, ad ulteriore dimostrazione dell’assoluta vincolatività dell’assegnazione dei posti riservati inderogabilmente ai disabili, riconosce (anche al fine di contribuire a rendere nella realtà fattuale l’art. 38 Cost. una norma precettiva) la possibilità di assumere i disabili (che abbiano conseguito la idoneità dei pubblici concorsi) – anche se non versino in stato di disoccupazione – (quest’ultimo inciso soppresso dall’art.25 comma 9 bis del d.l. 24 giugno 2014 n.90 convertito in legge con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n.114) e oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso.
Va inoltre considerato, come ulteriore argomento, che anche nell’Unione Europea e nell’ordinamento internazionale la tutela del disabile ha assunto un ruolo sempre più pregnante. Basti pensare che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – proclamata a Nizza nel 2000 e successivamente adattata a Strasburgo il 13 dicembre 2007 – all’art.26 (intitolato “Inserimento dei disabili”) stabilisce che: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”. A questa Carta l’art.6 del Trattato di Lisbona ha attributo il valore giuridico dei trattati, ma anche in precedenza ad essa è stato riconosciuto “carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti Europei” (Corte costituzionale, sentenze n.135 del 2002, n.393 e n.394 del 2006) avente, quindi, come tale valore di ausilio interpretativo (Corte Cost. sentenze n. 349 del 2007 e n.251 del 2008).
Inoltre, per quanto attiene alla normativa internazionale, la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con L.3 marzo 2009, n.18, all’art.27 statuisce che “gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità”. Diritto specifica la Convenzione in parola – che deve essere garantito, anche attraverso l’adozione di “appropriate iniziative” volte, fra l’altro, a favorire l’assunzione delle persone con disabilità nel settore pubblico ovvero il loro impiego nel settore privato. Né va dimenticato che a tale ultima Convenzione la Corte costituzionale, nella sentenza n.80 del 2010, ha attribuito valore cogente nel nostro ordinamento (vedi in motivazione,Cass. cit. n.7889/11).
Nell’ottica descritta, la pronuncia impugnata, per essere coerente con i principi sinora enunciati, non risulta scalfita dalle censure che le sono state mosse.
Al riguardo appare opportuno puntualizzare che la normativa di riferimento deve ritenersi il disposto di cui all’art.16 comma 2 1.68/99, diversamente da quanto argomentato da parte ricorrente la quale invoca in questa sede l’applicabilità dell’art.4 d.lgsl. n.181/00, disposizione che appare eccentrica rispetto alla disciplina del collocamento obbligatorio degli insegnanti invalidi, da riguardarsi in un’ottica di specialità rispetto alla disciplina generale di avviamento e costituzione del rapporto di lavoro (vedi ex plurimis, in motivazione, Cass. 6 aprile 2011 n.7889, Cass. 31 maggio 2010, n.13285).

La norma, come già rimarcato negli arresti giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo, garantisce la possibilità di assumere i disabili che abbiano conseguito la idoneità nei pubblici concorsi (così come verificatosi nella specie), anche se non versino in stato di disoccupazione.

E che la valenza precettiva del dettato normativo di cui all’art.16 comma 2 l. 68/99, sia quella innanzi descritta e delineata dal fermo orientamento espresso da questa Corte, si argomenta anche attraverso il richiamo all’art.4 l.68/99 che, nel disciplinare in generale i criteri di computo della quota di riserva del personale disabile da assumere, non prevede la computabilità tra i dipendenti, ai fini della copertura della quota di riserva, dei lavoratori assunti a tempo determinato, così come dedotto dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata.

Si tratta di un dato normativo di non trascurabile rilievo ai fini della esegesi del disposto di cui al citato art. 16 che conforta l’assunto posto a fondamento del diritto azionato, secondo cui l’esercizio del diritto del disabile allo stabile inserimento nel mondo del lavoro, garantito con l’attribuzione della quota di riserva in riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato, non può essere denegato per effetto di una circostanza del tutto transitoria quale la pendenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato che, pur se tradotto in una supplenza di durata annuale, conserva, per la precarietà della condizione lavorativa in cui si traduce, la sua ontologica difformità rispetto ad una nozione di stabilità del rapporto.

E che la situazione sottesa alla stipula di un contrattò a tempo determinato non possa essere sussunta nella descritta nozione di stabilità di impiego, come puntualizzato dalla Corte distrettuale, trova riscontro specifico, nella circostanza che all’atto della possibile fruizione del beneficio,il contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dalla parte ricorrente, si era già concluso.

La controricorrente, pertanto, inserita come riservista nella graduatoria permanente del personale docente della Provincia, in adempimento dell’obbligo sancito dall’art.3 l. 68/99, doveva essere immessa in ruolo, in virtù dell’orientamento tracciato da questa Corte, cui innanzi si è fatto richiamo, secondo cui ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti “riservati”,essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato, ed in relazione al quale non appaiono pregnanti i riferimenti operati dalla ricorrente a pronunce dei Giudici delle leggi concernenti la fattispecie della progressione in carriera dei disabili nella dirigenza scolastica.
In definitiva, può dunque ribadirsi il principio che nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti “riservati”, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato e che l’inserimento nelle graduatorie del personale disabile che abbia conseguito l’idoneità nei concorsi pubblici (così come nel caso di specie), ai fini dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 3 1.68/99, da diritto all’assunzione anche a prescindere dallo stato di una precaria occupazione dell’invalido, considerata la pregnanza dell’obbligo solidaristico cui deve essere informato l’agire della Pubblica Amministrazione (al pari del datore di lavoro privato).
In tal senso, e considerato anche che nella fattispecie in esame il docente inabile risultava comunque inserito, all’epoca di presentazione della domanda di accesso alla graduatoria permanente per gli anni che qui interessano, anche nell’elenco dei disoccupati disciplinato dall’art. 8 l. 68/99, (vedi pag. 7 della sentenza impugnata), va qui ribadito che una diversa opzione interpretativa che conferisse rilievo all’eventuale stato di occupazione dell’inabile in epoca anteriore al momento della assunzione, anche in relazione alla stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, tradirebbe la ratio che sorregge il compendio normativo di cui alla 1.68/99, dando adito ad una situazione di precarietà di vita gravemente incidente sul piano psicofisico dell’inabile, certamente non coerente con il dettato costituzionale di cui all’art. 38 e con la tutela con esso apprestata in favore dei disabili in virtù dei principi solidaristici più volte enunciati.
In definitiva, il ricorso principale, in quanto infondato, deve essere respinto.
Dalle argomentazioni sinora svolte discende, infine, che il ricorso incidentale sollevato dalla C. con riferimento alle censure proposte in sede di appello incidentale e non esaminate dalla Corte di merito (concernenti la assenza di necessità del requisito della disoccupazione alla data della domanda di inserimento in graduatoria) deve considerarsi inammissibile.
Si intende infatti dare continuità all’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua, posto che anche se qualificato come condizionato, il ricorso incidentale deve essere giustificato dalla soccombenza – non ricorrendo altrimenti l’interesse processuale a proporre ricorso per Cassazione – è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito, perché non esaminate o ritenute assorbite (vedi, fra le altre, Cass. 20 dicembre 2012 n. 23548).
Il governo delle spese inerenti al presente giudizio, segue, infine, il regime della compensazione, tenuto conto della novità delle questioni trattate e della situazione di reciproca soccombenza delle parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa le spese del presente giudizio.

Centro di Documentazione Giuridica: Sostegno: il bambino disabile deve partecipare al processo educativo come i suoi compagni anche nella scuola dell’infanzia, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

I tagli di spesa, che riducono il monte ore degli insegnanti di sostegno, sono inammissibili quando si ha a che fare con alunni disabili gravi iscritti alla scuola dell’infanzia. Va sempre garantito il sostegno all’alunno disabile. In caso contrario, si è di fronte a una condotta discriminatoria da parte delle istituzioni scolastiche. E’ la Cassazione, a stabilirlo con la recente sentenza 25011, condannando il Miur e una scuola friulana per condotta discriminatoria verso una bimba disabile.
Secondo i giudici supremi, “una volta che il Piano educativo individualizzato, elaborato con il concorso determinante di insegnanti (e dagli operatori sanitari individuati dalla Asl, ndr) e della scuola di accoglienza e di operatori della sanità pubblica, abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale, espressione di autonomia organizzativa e didattica, capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal piano”.
L’amministrazione scolastica, dunque, deve garantire il monte ore nella sua interezza, senza alcuna discrezionalità, e nella misura programmata attraverso il piano educativo individualizzato.
“In presenza di un handicap grave – affermano le Sezioni Unite civili della Cassazione – l’amministrazione ha gli strumenti per dare piena attuazione alle misure corrispondenti alle esigenze del bambino, per come prefigurate in concreto a seguito della redazione conclusiva del piano educativo individualizzato (Pei), il quale, accertando la misura in cui il servizio di sostegno è necessario per quel disabile, individua un nucleo indefettibile insuscettibile di riduzione o compressione in sede di determinazioni esecutive”.
Questa la ratio per cui, i supremi giudici, hanno confermato che a una bimba friulana con handicap del 100% deve essere garantito tutto il monte ore settimanale di sostegno, pari a 25 ore stabilite dal Pei, che le consentirebbe di frequentare l’asilo a tempo pieno mentre l’amministrazione scolastica dove era iscritta, le aveva dato il tutor solo per 12 ore e mezzo.
Invano il Miur e la scuola si sono difesi dall’accusa di comportamento discriminatorio facendo presente che “l’alunna, nel corso dell’anno scolastico 2011-2012, ha usufruito di 12,5 ore di sostegno e di 9 ore di educatore socio-educativo, per un totale di 21,5 ore settimanali, interamente coperte dalle predette figure professionali, oltre che dai docenti ordinari, e che il personale scolastico si è attenuto ad una ‘logica e pratica inclusiva’, senza affidamento esclusivo ad un docente differenziato rispetto ai compagni”.
A nulla sono servite le argomentazioni formulate per il Miur dall’Avvocatura dello Stato relativamente alla sussistenza di “un potere discrezionale della pubblica amministrazione nell’erogazione del servizio pubblico”, e al fatto che “la scuola dell’infanzia, non è scuola dell’obbligo, sicché non entrerebbe in gioco alcun diritto all’istruzione” tanto è vero che c’è il “contingentamento delle sezioni e le liste di attesa”, e dunque non è un diritto “assoluto e incomprimibile”.
In quanto la Suprema Corte nel formulare il suo verdetto ha invece precisato che sebbene “l’iscrizione alla scuola dell’infanzia è facoltativa, ….., per espressa previsione legislativa (art.12 legge n.104 del 1992), il diritto all’educazione e all’istruzione della persona handicappata è garantito anche nella scuola d’infanzia”. “Quanto poi al limite delle risorse disponibili, occorre rilevare che il quadro costituzionale e legislativo – rileva l’alta Corte – è nel senso della necessità per l’amministrazione scolastica di erogare il servizio didattico predisponendo le misure di sostegno necessarie per evitare che il bambino disabile altrimenti fruisca solo nominalmente del percorso di educazione e di istruzione”. E anche i bambini ‘normali’ ne avranno vantaggio perché – conclude la Cassazione – avere in classe vi sia un bambino ‘diverso’, “può indurre a rispettare ed accettare la diversità come parte della diversità dell’umanità stessa”.
Il diritto all’istruzione è dunque parte integrante del riconoscimento dei diritti dei disabili per il conseguimento della loro pari dignità sociale e va riconosciuto come tale anche agli alunni della scuola dell’infanzia.
Importante è anche la decisione della Cassazione di condanna al risarcimento per danni morali, quantificati in € 5.000,00 del Miur e della scuola da indennizzare ai genitori della bimba che hanno agito in sua rappresentanza e difesa.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: Nuovo modello di dichiarazione ISEE: le novità e la scheda riepilogativa del ministero, a cura di Paolo Colombo

E’ stato pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” 267 il decreto del 7 novembre u.s. con cui il Ministero del Lavoro ha approvato il nuovo modello della dichiarazione sostitutiva unica necessaria per ottenere l’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente necessario per ottenere prestazioni sociali agevolate.
La nuova versione lascia finalmente meno spazio all’autodichiarazione, in quanto gran parte delle informazioni, come quelle relative al reddito, giungono all’INPS direttamente dall’Agenzia delle Entrate.
Il ricorso alle banche dati fiscali e assistenziali è dovuto, principalmente, alla necessità di rendere più equo il sistema, evitando l’indebita fruizione delle prestazioni agevolate.
Finora, infatti, sistematica è stata la sottodichiarazione sia del reddito sia del patrimonio.
Non è un caso se nel 2011, quando è stata annunciata la riforma dell’Isee, l’80% dei nuclei familiari dichiarava di non possedere neanche un conto corrente o un libretto di risparmio; dati assolutamente non in linea con le informazioni della Banca d’Italia.
Come si calcola il nuovo ISEE
Il ruolo centrale nel calcolo dell’ISEE, spetta dunque all’INPS, sulla base dei dati forniti dal contribuente e di quelli presenti negli archivi fiscali e contributivi.
Attraverso questo sistema si è centrato l’obiettivo della riforma, identificando meglio le condizioni di bisogno della popolazione, contrastando le tante pratiche elusive ed evasive, così diffuse nel nostro paese.
Il novo ISEE è stato affinato per rispondere meglio alla realtà, nel reddito sono state incluse nuove voci (la cedolare secca, assegni di mantenimento effettivamente percepiti, trattamenti assistenziali), il patrimonio viene valorizzato prendendo a riferimento l’imponibile IMU, più alto rispetto alla vecchia ICI, con una maggior aderenza ai valori di mercato degli immobili.
Il contribuente è tenuto ad autodichiarare il possesso di beni di lusso. Tutti questi dati vengono differentemente pesati (a grandi linee, il reddito conta al 100%, il patrmonio al 20%), e infine parametrati a un coefficiente che varia con la composizione del nucleo familiare. Non a caso, l’ISEE, è chiamato anche Riccometro, proprio per la sua capacità di misurare la ricchezza effettiva.
La riforma entrerà in vigore dal primo gennaio 2015, pertanto coloro che avranno bisogno di una prestazione per la quale serve l’ISEE, dovranno compilare la nuova DSU.
Da gennaio 2015 dunque le DSU compilate con le vecchie regole non saranno più valide, quindi per chiedere nuove prestazioni il contribuente deve ripresentare la dichiarazione.  Una volta compilata la DSU vale poi per l’intero anno, fino al 15 gennaio dell’anno successivo.
Ecco come sarà la nuoca DSU
La dichiarazione si compone di un Modello Mini, formato da due moduli, che serve per la maggioranza delle prestazioni, al quale si aggiungono sei Moduli da utilizzare per particolari prestazioni o composizioni del nucleo familiare (prestazioni per il diritto allo studio universitario, prestazioni per minorenni in caso di genitori non sposati e non coniugati fra loro, prestazioni socio assistenziali di ricovero, prestazioni per persone con disabilità, prestazioni connesse ai dottorati di ricerca, presenza nel nucleo familiare di persone non autosufficienti, persone esonerate dalla dichiarazione dei redditi).
Un’altra novità, è la possibilità di compilare una nuova dichiarazione, l’ISEE corrente, in corso di validità di una precedente, nel caso in cui si verifichi una variazione rilevante della situazione economica (come la perdita del lavoro).
Segue l’utile scheda riepilogativa di commento, redatta dal Ministero del Lavoro e il testo integrale del decreto con la modulistica in pdf.
Che cos’è l’ISEE
L’ISEE è l’indicatore, in vigore dal 1998, che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari per regolare l’accesso alle prestazioni (in moneta e in servizi) sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli di governo. In generale, l’ISEE viene utilizzato ai fini dell’applicazione di tariffe differenziate in relazione alla condizione economica oppure per la fissazione di soglie oltre le quali non è ammesso l’accesso alla prestazione.
La situazione economica è valutata tenendo conto del reddito di tutti i componenti, del loro patrimonio (valorizzato al 20%) e, attraverso una scala di equivalenza, della composizione del nucleo familiare (numero dei componenti e loro caratteristiche).
ISEE = (somma dei redditi al netto delle franchigie) + 20% *(somma dei patrimoni al netto delle franchigie)
Parametro della scala di equivalenza
La scala di equivalenza indica un parametro crescente al crescere del numero dei componenti il nucleo familiare, che tiene conto delle economie di scala derivanti dalla convivenza. Il parametro è maggiorato in presenza di alcune caratteristiche del nucleo che assumono rilievo in tale contesto: presenza nel nucleo familiare di più di due figli a carico; genitori lavoratori e figli minorenni, in particolare se con meno di tre anni; nuclei monogenitoriali.
Quanto è importante
Nel 2012 sono state presentate a fini ISEE oltre 6 milioni di DSU (dichiarazioni sostitutive uniche) corrispondenti a circa di 5 milioni e mezzo di nuclei familiari pari a poco meno del 30% della popolazione.
Riforma dell’ISEE prevista dall’art 5 del decreto “Salva Italia”
La riforma è stata prevista dall’articolo 5 del decreto “Salva Italia” (d.l. n. 201/2011), indicando le seguenti caratteristiche:
a)  l’adozione di una nozione di reddito disponibile finalizzata all’inclusione anche di somme fiscalmente esenti;
b)  il miglioramento della capacità selettiva dell’indicatore mediante una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale;
c)  una specifica attenzione alle tipologie familiari con carichi particolarmente gravosi, e in particolare le famiglie numerose (con tre o più figli) e quelle con persone con disabilità;
d)  una differenziazione dell’indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta;
e)  il rafforzamento del sistema dei controlli, riducendo le situazioni di accesso indebito alle prestazioni agevolate.
Campi di applicazione
L’applicazione dell’ISEE per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate o la compartecipazione ai costi costituisce un livello essenziale. Ciò significa che gli enti erogatori sono tenuti a utilizzare l’ISEE come indicatore della situazione economica, e i cittadini sono garantiti del fatto che la loro condizione economica è valutata secondo criteri equi, definiti univocamente su tutto il territorio nazionale.
Gli enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, per caratterizzare, in autonomia, le loro politiche sociali. Per quanto riguarda le prestazioni sociali agevolate erogate a livello locale, ai fini dell’applicazione del nuovo ISEE, gli enti erogatori devono adeguare i regolamenti con l’individuazione delle nuove soglie per tenere conto delle variazioni intervenute nell’indicatore.
In questo ambito verrà rivista anche la soglia per l’accesso alla Carta Acquisti.
Quanto alle altre prestazioni nazionali che già utilizzano l’ISEE (assegno di maternità e assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori) vengono fissate già nel decreto le nuove soglie per mantenere l’attuale numero dei beneficiari.
Non è stata invece adottata alcuna estensione dell’applicazione dell’ISEE a prestazioni nazionali che non lo utilizzavano.
Rafforzamento dei controlli
La prima grande novità del nuovo indicatore sta nelle modalità di raccolta delle informazioni e di rafforzamento dei controlli che garantiranno una maggiore veridicità delle informazioni che il cittadino dichiara.
Con il nuovo sistema solo una parte dei dati utili per il calcolo dell’ISEE sarà autocertificata. D’ora in poi i dati fiscali più importanti (es. reddito complessivo) e i dati relativi alle prestazioni ricevute dall’Inps saranno compilati direttamente dall’Amministrazione (dall’INPS tramite interrogazioni degli archivi propri e di quelli dell’Agenzia delle Entrate). Ciò semplifica i compiti dei cittadini e riduce le sottodichiarazioni.
Il patrimonio mobiliare verrà controllato ex ante con riferimento alla esistenza di conti non dichiarati ed ex post con la creazione di liste selettive per controlli sostanziali della Guardia di Finanza, laddove si verifichino omissioni e difformità.
Le pratiche elusive (ad esempio, svuotamento dei conti correnti al 31 dicembre per poi ricostruirli al primo gennaio) saranno evitate attraverso la valorizzazione della componente depositi e conti correnti bancari e postali mediante il riferimento alla giacenza media annua.
Al di là degli elementi di semplificazione, per cui al cittadino non si chiede di dichiarare quanto ha già fatto in altre sedi, queste novità costituiscono un significativo miglioramento delle caratteristiche di equità del sistema. Vi è infatti evidenza con l’ISEE vigente, in cui tutto è auto- dichiarato, di una sistematica sottodichiarazione sia del reddito (anche rispetto al reddito Irpef) sia del patrimonio.
In particolare, con riferimento al patrimonio mobiliare, risulta evidente la sottodichiarazione. Alla fine del 2011, quando è stata annunciata la riforma, l’80% dei nuclei familiare dichiarava di non possedere neanche un conto corrente o libretto di risparmio, dato non coerente con quelli pubblicati dalla Banca d’Italia. Aver individuato questa come area prioritaria di rafforzamento dei controlli alla luce dei nuovi dati disponibili per la lotta all’evasione, ha già ridotto al 70% l’area di coloro che non dichiarano il possesso di conti o depositi. E’ ancora un dato troppo alto, tenuto conto del fatto che ciò comporta l’indebita fruizione di prestazioni e agevolazioni da parte di alcuni cittadini a scapito di altri maggiormente bisognosi, nonché la penalizzazione dei cittadini più onesti.
La nozione di reddito
Si adotta una definizione ampia di reddito, in cui vengono inclusi, a fianco del reddito complessivo ai fini Irpef, tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (es. contribuenti minimi, cedolare secca sugli affitti, premi di produttività, ecc.), tutti i redditi esenti e quindi anche tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica Amministrazione (assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento, ecc.), i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari. Vengono invece sottratti gli assegni corrisposti al coniuge in seguito a separazione o divorzio, destinati al mantenimento del coniuge e dei figli (precedentemente valorizzati sia nell’ISEE del ricevente che in quello del datore).
Si tratta di miglioramenti significativi rispetto all’ISEE attuale, che non tiene conto in modo adeguato di tutte le forme di reddito e di patrimonio. Si migliora così la sua capacità selettiva, specialmente per le famiglie più povere (circa il 10% delle DSU presentano un ISEE pari a zero) evitando iniquità evidenti tra famiglie che col vecchio sistema venivano trattate allo stesso modo pur essendo in condizione diversa – ad esempio, per il possesso di redditi e trattamenti esenti fiscalmente.
Si prevedono però importanti abbattimenti del reddito.
– Redditi da lavoro dipendente. Si stabilisce la sottrazione di una quota pari al 20% e fino ad un massimo di 3.000 euro dei redditi da lavoro dipendente, per tenere conto dei costi di produzione del reddito, ma anche per evitare il fenomeno noto col nome di “trappola della povertà”, per cui la piena considerazione del reddito nella prova dei mezzi disincentiva l’offerta di lavoro dei soggetti più deboli;
-Pensioni e trattamenti assistenziali. Si sottrae una analoga quota, fino ad un massimo di 1.000 euro, dai redditi da pensione e dei trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, per tenere conto in modo forfettario delle maggiori spese connesse alla vecchiaia e ad altre condizioni di fragilità dei beneficiari di trattamenti fiscalmente esenti;
-Costi dell’abitare. Per tener conto in modo più appropriato dei costi dell’abitare viene aumentato, da 5.165 a 7.000 euro, l’importo massimo della spesa effettivamente sostenuta per l’affitto registrato che può essere portato in deduzione. Tale importo è incrementato di euro 500 per ogni figlio convivente successivo al secondo. Con riferimento ai proprietari, si tiene conto dei costi dell’abitare in modo comparabile nella componente patrimoniale.
– Costi sostenuti da persone con disabilità o non autosufficienti. La scelta fondamentale che si compie con la riforma è di non considerare in modo indistinto tutte le persone con disabilità, ma di riclassificare le diverse definizioni di disabilità, invalidità e non autosufficienza accorpandole in tre distinte classi: disabilità media, grave, e non autosufficienza. L’ulteriore scelta è quella di riconoscere un abbattimento diretto del reddito della famiglia in cui è presente una persona con disabilità, articolato in funzione del grado di disabilità, in sostituzione dell’attuale meccanismo che consiste nel riconoscere una maggiorazione della scala di equivalenza. L’attuale sistema, infatti, ha il limite di tradursi in un abbattimento dell’ISEE tanto più alto quanto più alto è il reddito e il patrimonio della famiglia considerata, indipendentemente dalla gravità del bisogno.
Le franchigie sono:
euro 4.000 per persona con disabilità media, incrementati a 5.500 se minorenne;
euro 5.500 per persona con disabilità grave, incrementati a 7.500 se minorenne;
euro 7.000 per persona non autosufficiente incrementati a 9.500 se minorenne.
Per le persone non autosufficienti è poi ammessa la deduzione di tutti i trasferimenti ottenuti nella misura in cui si traducano in spese certificate per l’acquisizione, diretta o indiretta, dei servizi di collaboratori domestici e addetti all’assistenza personale o per la retta dovuta per il ricovero presso strutture residenziali
Viene infine introdotta la possibilità di sottrarre fino ad un massimo di 5.000 euro, le spese relative alla situazione di disabilità, certificate a fini fiscali: spese sanitarie per disabili, spese per l’acquisto di cani guida, spese sostenute per servizi di interpretariato per le persone sorde e spese mediche e di assistenza specifica per i disabili.
In sintesi, il nuovo ISEE favorisce le situazioni di maggiore bisogno migliorando la considerazione delle persone con disabilità più grave e con redditi più bassi. Inoltre, migliora considerevolmente la situazione delle persone con disabilità adulte rimaste nel nucleo familiare di origine perché potranno fare nucleo a sé.
La valorizzazione del patrimonio
La maggiore valorizzazione del patrimonio richiesta dalla legge viene raggiunta:
– Considerando il valore degli immobili rivalutato ai fini IMU (invece che ICI);
– Riducendo la franchigia sulla componente mobiliare che viene però articolata in funzione del numero dei componenti il nucleo familiare (franchigia più alta per le famiglie più numerose);
– Considerando il patrimonio all’estero.
Con riferimento agli immobili si considera patrimonio solo il valore della casa che eccede il valore del mutuo ancora in essere.
Per tenere conto dei costi dell’abitare viene riservato un trattamento particolare alla prima casa. Il valore IMU è calcolato al netto di una franchigia di euro 52.500 (di valore analogo a quello vigente, tarato però su valori ICI, anche se indifferenziato rispetto al numero di componenti), incrementata di euro 2.500 per ogni figlio convivente successivo al secondo. Il valore residuo dell’abitazione, così calcolato, viene abbattuto a due terzi. Il valore è comunque considerato al netto del mutuo residuo e questa è una novità rispetto al vecchio ISEE (per il quale la detrazione per il mutuo non si cumulava con la franchigia prima casa).
Scala di equivalenza
Si è deciso di non intervenire sulla scala ISEE in via generale, trattandosi di una scala già “generosa” rispetto a quelle tipicamente in uso a livello internazionale e nazionale. Sono state però adottate alcune maggiorazioni per tenere conto di condizioni specifiche che possono dar luogo a minori economie di scala, in particolare per le famiglie numerose. Più precisamente, per tenere in particolare considerazione i figli successivi al secondo, la scala di equivalenza base (vigente) viene maggiorata di un ammontare crescente al crescere del numero dei figli da tre in poi; è inoltre mantenuta una specifica maggiorazione per tenere conto dei costi superiori in cui si imbattono i nuclei familiari in cui sono presenti minori ed entrambi i genitori o l’unico presente lavora, aumentata ulteriormente se è presente almeno un minore di 3 anni, nonché la maggiorazione per i nuclei monoparentali.
ISEE corrente
L’ISEE fa riferimento al reddito dell’ultima dichiarazione che a sua volta si riferisce all’anno precedente. Ma, specialmente in situazioni di crisi economica, la condizione delle persone può cambiare anche rapidamente. Per questo, anche tenendo conto delle esperienze già in atto in vari Comuni, e in altri paesi europei, si introduce la possibilità di calcolare un ISEE corrente, riferito cioè ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni superiori al 25% dell’indicatore della situazione reddituale dovute a variazioni della situazione lavorativa, quali: risoluzione, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa dei lavoratori a tempo indeterminato; mancato rinnovo contratto di lavoro a tempo determinato o contratti di lavoro atipico; cessazione di attività per i lavoratori autonomi.
ISEE prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria per persone adulte
Viene data la possibilità di considerare nel nucleo familiare del beneficiario esclusivamente il coniuge e i figli, escludendo pertanto altri eventuali componenti la famiglia anagrafica. Il disabile adulto che vivesse con i propri genitori, come già accennato, potrebbe pertanto fare nucleo a sé. Per le sole prestazioni erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo si applicano regole di calcolo diverse. Si tiene conto della condizione economica anche dei figli del beneficiario non inclusi nel nucleo familiare, integrando l’ISEE di una componente aggiuntiva per ciascun figlio, calcolata sulla base della situazione economica dei figli medesimi, avuto riguardo alle necessità del nucleo familiare di appartenenza.
Tale previsione viene incontro alla necessità di differenziare la condizione economica dell’anziano non autosufficiente che ha figli che possono aiutarlo – in qualità di tenuti agli alimenti e tenuto conto dei propri carichi familiari diretti – dalla condizione di chi non ha alcun sostegno prossimo per fronteggiare le spese per il ricovero in struttura. Al fine di evitare comportamenti opportunistici, le donazioni di cespiti parte del patrimonio immobiliare del beneficiario avvenute successivamente alla prima richiesta di ricovero continuano ad essere valorizzate nel patrimonio del donante. Allo stesso modo, e per lo stesso motivo, sono valorizzate nel patrimonio del donante le donazioni effettuate nei 3 anni precedenti la richiesta di ricovero, se in favore di persone tenute agli alimenti.
ISEE prestazioni agevolate rivolte a beneficiari minorenni
Ai fini dell’accesso a prestazioni per i bambini rileva la condizione economica di entrambi i genitori, a meno di casi particolari. Viene stabilito il principio che il genitore non convivente nel nucleo familiare, non coniugato con l’altro genitore, che abbia riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio, a meno che non sia effettivamente assente dal nucleo (genitore coniugato o con altri figli fatti con persona diversa dall’altro genitore; legale separazione etc.). Si tratta di una previsione necessaria per differenziare la situazione del nucleo in cui il genitore è davvero solo (per morte o allontanamento o irreperibilità dell’altro genitore o costituzione di un’altra famiglia) da quella in cui l’altro genitore naturale ha semplicemente altra residenza anagrafica, anche al fine di evitare comportamenti opportunistici. Del reddito dei genitori non conviventi che abbiano formato un nuovo nucleo familiare si tiene conto integrando l’ISEE del nucleo dei figli con una componente aggiuntiva, calcolata sulla base della situazione economica del genitore non convivente.
CON IL NUOVO ISEE LE NOVITÀ PER LE PERSONE CON DISABILITÀ SONO RILEVANTI
Dalla lettura del decreto, dall’esame dei nuovi moduli approvati è evidente l’ indubbio vantaggio per la maggioranza delle persone con disabilità. Il nuovo ISEE consente un migliore trattamento rispetto a quello previgente ed è certamente preferibile rispetto a quello teoricamente profilato dal DPCM dello scorso dicembre.
Le istruzioni, la modalità di controllo ex ante, i moduli di richiesta, i moduli di rettifica si riferiscono infatti alle sole provvidenze erogate dall’INPS e cioè, nel caso delle persone con disabilità, alle pensioni e all’indennità di accompagnamento per minorazioni civili o per invalidità sul lavoro.
Non vengono computati gli altri trasferimenti monetari (vita indipendente, voucher, assegni di cura, contributi per la mobilità o per l’eliminazione delle barriere in casa). Al contempo rimangono vigenti detrazioni e franchigie non previste nel previgente ISEE.
Un paio di esempi per spiegare meglio.
Persona maggiorenne titolare di pensione e indennità di accompagnamento
Importo provvidenze: 9350 euro circa
Franchigia: – 7000 euro
Detrazione badante assunta: – 8000 euro circa
Detrazione spese mediche (ipotesi): – 1000 euro
Persona Minorenne titolare di indennità di accompagnamento
Importo provvidenze: 6000 euro circa
Franchigia: – 9500 euro
Detrazione badante assunta: – 5000 euro circa
Detrazione spese mediche (ipotesi): – 1000 euro
Come si può notare, limitando il computo alle sole provvidenze per minorazioni civili o per lavoro, le conseguenze svantaggiose vengono sostanzialmente annullate dal complesso delle franchigie e/o delle detrazioni ammesse, effetto che difficilmente si sarebbe raggiunto considerando tutti i trasferimenti monetari di natura assistenziale.
L’attenzione massima va ora rivolta ai Comuni e agli enti erogatori di prestazioni sociali agevolate. Spetta a loro infatti la fase di definizione delle nuove delibere ISEE. Vigilare sui criteri, ora più che mai determinati, significa controllare che le soglie e i limiti indicati non ripropongano svantaggi “antichi”
Infine è da sottolineare, con amarezza, che il computo del reddito di cui si tiene conto per l’ottenimento di prestazioni sociali, malgrado le dovute contromisure di bilanciamento previste (le cosiddette franchigie) può comunque rappresentare un rischio per il futuro del Welfare in Italia, soprattutto per la salvaguardia dei diritti delle persone con disabilità.
Avv. Paolo Colombo

Ministero del Lavoro
Decreto 7 novembre 2014
Approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell’attestazione, nonche’ delle relative istruzioni per la compilazione ai sensi dell’articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159
(G.U. del 17.11.2014)
il Direttore generale per l’inclusione e le politiche sociali del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali
di concerto con
il capo del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’economia e delle finanze
Vista la legge 23 agosto 1998, n. 400;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159, «Regolamento concernente la revisione delle modalita’ di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
Visto, in particolare, l’art. 10, comma 3, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013, che prevede che con provvedimento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, su proposta dell’INPS, sentita l’Agenzia delle entrate e il Garante per la protezione dei dati personali, e’ approvato il modello tipo della DSU e dell’attestazione, nonche’ delle relative istruzioni per la compilazione;
Visto, altresi’, l’art. 11 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013, che prevede:
al comma 4, che sulla base di specifico mandato conferito dal dichiarante con manifestazione di consenso, l’attestazione riportante l’ISEE, il contenuto della DSU, nonche’ gli elementi informativi necessari al calcolo acquisiti dagli archivi amministrativi possono essere resi disponibili al dichiarante, con modalita’ definite dal provvedimento di cui all’art. 10, comma 3, per il tramite dei soggetti incaricati della ricezione della DSU;
al comma 7, che con il medesimo provvedimento di cui all’art. 10, comma 3, sono definite, ai fini della eventuale rideterminazione dell’ISEE, le modalita’ di acquisizione dei dati in caso di difformita’ delle componenti reddituali e patrimoniali documentate dal dichiarante rispetto alle informazioni in possesso del sistema informativo, nonche’ i tempi per la comunicazione al dichiarante dell’attestazione definitiva;
Acquisita la proposta del modello tipo della DSU e dell’attestazione, nonche’ delle relative istruzioni per la compilazione, da parte dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale in data 14 ottobre 2014;
Acquisito il parere favorevole dell’Agenzia delle entrate in data 23 ottobre 2014;
Ritenuto opportuno modificare la proposta dell’INPS con particolare riferimento all’informativa agli interessati, alle informazioni conferite facoltativamente attraverso la DSU e alle modalita’ per rendere disponibili l’attestazione e le informazioni per il calcolo dell’ISEE, sulla base delle indicazioni fornite dai competenti Uffici del Garante per la protezione dei dati personali nel corso della preventiva interlocuzione avviata ai fini del rispetto della disciplina in materia;
Acquisito il parere del Garante per la protezione dei dati personali in data 6 novembre 2014;
Decreta:
Art. 1
Approvazione
1. Ai sensi dell’art. 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013, n. 159, e’ approvato il modello tipo della dichiarazione sostitutiva unica (DSU), dell’attestazione, nonche’ delle relative istruzioni per la compilazione, di cui all’allegato «A» che costituisce parte integrante del presente decreto. La DSU e’ redatta conformemente a quanto previsto nel modello tipo e nelle relative istruzioni.
Art. 2
Modalita’ di rilascio dell’attestazione
1. Ai sensi dell’art. 11, comma 4, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, l’attestazione riportante l’ISEE, il contenuto della DSU, nonche’ gli elementi informativi necessari al calcolo acquisiti dagli archivi amministrativi, sono resi disponibili dall’INPS al dichiarante mediante accesso all’area servizi del portale web o tramite le sedi territoriali competenti, con modalita’ idonee a garantire l’identificazione dell’interessato. Nelle stesse modalita’ gli altri componenti il nucleo familiare possono richiedere all’INPS, nel periodo di validita’ della DSU, la sola attestazione riportante l’ISEE.
2. L’INPS rende altresi’ disponibile al dichiarante mediante posta elettronica certificata l’attestazione riportante l’ISEE, il contenuto della DSU, nonche’ gli elementi informativi necessari al calcolo acquisiti dagli archivi amministrativi. L’indirizzo di posta elettronica certificata e’ indicato dal dichiarante nell’apposita sezione «Modalita’ ritiro attestazione ISEE» all’atto della sottoscrizione della DSU. Nella medesima sezione il dichiarante puo’ conferire mandato ai soggetti incaricati della ricezione della DSU ai sensi dell’art. 10, comma 6, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, a ricevere, ai soli fini del rilascio al dichiarante stesso, l’attestazione e le altre informazioni di cui al primo periodo del presente comma. In caso di conferimento del mandato, il dichiarante conseguentemente richiede all’INPS di rendere disponibili presso l’ente al quale e’ stata presentata la DSU, le sopra richiamate informazioni e attestazione.
3. L’attestazione e le altre informazioni di cui al presente articolo sono rese disponibili dall’INPS nelle modalita’ di cui ai commi precedenti entro il decimo giorno lavorativo successivo alla presentazione della DSU.
Art. 3
Modulo integrativo
1. Ai sensi dell’art. 11, comma 7, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013, il dichiarante, nel caso in cui rilevi inesattezze negli elementi acquisiti dagli archivi amministrativi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate relativamente agli elementi non auto dichiarati nella DSU, puo’ autocertificare le componenti per cui rilevi inesattezze mediante la compilazione e sottoscrizione del modulo integrativo, denominato «Modulo FC.3», costituente uno dei moduli che compongono la DSU, di cui all’allegato «A». Il modulo puo’ essere compilato e sottoscritto, oltre che dal dichiarante che ha presentato la DSU, dal componente il nucleo familiare di cui si intende rettificare i dati. Il modulo puo’ essere presentato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell’attestazione dell’INPS ed e’ eventualmente corredato da documenti, in particolare copia della dichiarazione dei redditi o certificazione sostitutiva o altra documentazione riferita alla situazione reddituale, atti a comprovare l’inesattezza rilevata.
2. Le modalita’ con cui il modulo integrativo e’ acquisito nel sistema informativo dell’ISEE e l’attestazione definitiva resa disponibile al dichiarante sono le medesime previste per la DSU agli articoli 10 e 11 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013. In particolare, il modulo integrativo e’ presentato ai comuni o ai centri di assistenza fiscale o direttamente all’amministrazione pubblica in qualita’ di ente erogatore al quale e’ richiesta la prima prestazione o alla sede dell’INPS competente per territorio ovvero all’INPS, in via telematica, direttamente a cura del dichiarante. L’ente che ha ricevuto il modulo trasmette per via telematica entro i successivi quattro giorni lavorativi i dati in esso contenuti al sistema informativo dell’ISEE. L’INPS e l’Agenzia delle entrate verificano nei propri archivi le informazioni contenute nel modulo integrativo entro il quarto giorno lavorativo successivo a quello della ricezione del modulo medesimo. L’INPS entro il secondo giorno lavorativo successivo a quello dell’acquisizione dell’esito delle verifiche di cui al periodo precedente rende disponibile l’attestazione definitiva nelle modalita’ di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 2 del presente decreto.
3. Nel caso in esito alle verifiche negli archivi dell’INPS e dell’Agenzia delle entrate di cui al comma precedente permanga una discordanza tra quanto dichiarato dal cittadino e quanto rilevato negli archivi, l’attestazione dovra’ riportare anche i dati acquisiti dall’anagrafe tributaria e dall’INPS. L’attestazione definitiva e’ valida ai fini dell’erogazione della prestazione anche nel caso di permanenza delle discordanze, fatto salvo il diritto degli enti erogatori di richiedere idonea documentazione atta a dimostrare la completezza e veridicita’ dei dati indicati nel modulo integrativo. I nominativi dei dichiaranti per cui permangano discordanze sono comunque comunicati alla Guardia di finanza ai fini della programmazione delle verifiche di cui all’art. 11, comma 13, del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 2013.
Art. 4
Disposizioni finali
1. Il rendimento medio annuo dei titoli decennali del Tesoro, da applicare al patrimonio mobiliare nell’anno di riferimento della dichiarazione sostitutiva unica, e’ reso noto con comunicazione del Ministero dell’economia e delle finanze, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Il presente decreto sara’ pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Roma, 7 novembre 2014
Il direttore generale per l’inclusione e le politiche sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Tangorra
p. Il Capo del Dipartimento delle finanze del Ministero dell’economia e delle finanze
D’Avanzo
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
–   –   –
Allegato A
Modello tipo della dichiarazione sostitutiva unica (DSU), dell’attestazione, nonche’ delle relative istruzioni per la compilazione (allegato in pdf estratto da gazzetta ufficiale)

17 novembre 2014

modello-dichiarazione-ISEE-nov-2015

Centro di Documentazione Giuridica: La settima relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99: crolla il collocamento obbligatorio per i disabili, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La crisi economica e occupazionale che investe l’intero paese non fa eccezioni per i lavoratori disabili: i dati che emergono dalla settima relazione al Parlamento sull’attuazione della legge per il diritto al lavoro dei disabili (68/99) sono tutti negativi.

La relazione, firmata dal ministro Poletti e relativa agli anni 2012-2013, è stata trasmessa alla Camera e al Senato, lo scorso 4 agosto, ma è stata divulgata solo di recente.

Nel testo si legge che a causa della crisi aumentano le aziende che chiedono l’esonero o la sospensione temporanea dall’obbligo di assunzione, ma anche che i controlli sul rispetto della normativa sono stati esigui, tanto  che solo  il 22% dei posti riservati ai disabili risultano coperti. Posti di lavoro che, nonostante la crisi, ci sono ma per i quali si continua a non assumere nessuno.

Il documento descrive una realtà molto difficile: gli iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio sono stabili intorno a quota 700 mila, anche se alla fine del 2013 il dato scende fino a 676 mila iscritti. Fra questi, in 68 mila si sono iscritti nel corso dell’ultimo anno oggetto di indagine (2013). Gli avviamenti al lavoro, però, sono stati davvero pochi: poco più di 19 mila nel 2012 e ancora meno, 18.295, nel corso del 2013. Ed è il minimo storico, il dato più basso che sia mai stato censito da una relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99: erano stati infatti 22.360 nel 2010 e 22.023 nel 2012.

In pratica nel 2013 ogni quattro nuovi disabili che si iscrivono alla lista del collocamento obbligatorio (e che vanno ad aggiungersi ai tanti che già ci sono da tempo), solo  uno trova effettivamente un lavoro (in percentuale viene avviato in un anno il 26,9% dei nuovi iscritti). Ma se il termine di paragone sono gli iscritti, il calcolo è ancor più impietoso: un avviamento al lavoro ogni 36 iscritti al collocamento. Dal 2007 al 2013 c’è stato un sostanziale dimezzamento degli avviamenti,  il dato va però contemperato con la situazione generale, cioè la riduzione del numero dei datori di lavoro obbligati all’assunzione, l’incremento della cassa integrazione, della mobilità e dei dispositivi che consentono di accedere all’istituto della sospensione temporanea dagli obblighi di assunzione. Inoltre  nel caso degli avviamenti l’istituto della convenzione (48,7%) e quello della chiamata nominativa (44,8%) che  sono le modalità più diffuse (la chiamata numerica di fatto è ferma al 6,6%), le tipologie contrattuali utilizzate, ora sono a maggioranza a tempo determinato”. Nel 2006 le posizioni a tempo indeterminato erano il 51,6% mentre oggi (dato 2013) sono al 35,1%; quelle a tempo determinato invece sono passate dal 30,6% del 2008 al 57,7% di fine 2013.

Crescono, invece, gli esoneri e le richieste di sospensione temporanea dagli obblighi di assunzione dei disabili: ci sono state nel 2013 oltre 4.600 autorizzazioni in tal senso (il 95% di quelle richieste) per un numero complessivo di posti di lavoro interessati di oltre diecimila. Davvero esiguo al confronto il numero delle sanzioni amministrative comminate a chi non rispetta la legge: nel 2013 ci sono state in tutta Italia appena 23 sanzioni per ritardato invio di prospetto informativo e 159 per mancato adempimento degli obblighi di legge (numeri simili nel 2012: rispettivamente 23 e 150).

In questo quadro di grande difficoltà, rispetto al passato emerge un dato inequivocabile: un grande numero di posti scoperti sia nel privato sia nel pubblico. I posti che per legge dovrebbero essere riservati alle persone con disabilità non si trasformano in effettive assunzioni. In totale, in Italia, fra pubblico e privato, al 31 dicembre del 2013 risultavano 186.219 posti di lavoro riservati a soggetti con disabilità, 41.238 dei quali scoperti. In percentuale è  il 22%, quasi uno su quattro. Oltre 26 mila di questi sono nel settore privato (su 117 mila complessivi), poco meno di 13 mila sono nel pubblico (su 76 mila posti riservati).

Dalla relazione emerge inoltre anche un quadro preciso degli iscritti al collocamento obbligatorio non vedenti. Di seguito quanto è stato estratto dalla relazione per la categoria.

IL COLLOCAMENTO DELLE PERSONE NON VEDENTI AI SENSI DELLA LEGGE 12 MARZO  1999, N. 68

Le persone non vedenti sono indicate tra i soggetti cui si applica la normativa sul collocamento mirato (Articolo 1, comma 1, lettera c) legge 12 marzo 1999, n.68).
I servizi provinciali competenti hanno segnalato in totale la presenza di 1.844 iscritti non vedenti presenti nelle liste al 31 dicembre 2012 (pari allo 0,3°k degli iscritti totali riportati in Tabella 9), i quali sono aumentati, nell’anno successivo a 1.954 (Figura 26), con medesime percentuale sugli iscritti agli elenchi. La ripartizione per area geografica assegna al Sud e isole, per l’intero biennio, la percentuale maggiore di presenze, pari rispettivamente al 46% nel 2012 e al 39°/a nel 2013. La seconda area per popolosità di non vedenti nelle liste è quella del Centro Italia.
Figura 26. Persone non vedenti iscritte agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio (art.8) al 31 dicembre, per area geografica. Anni 2012/2013

Figura27.  . Persone non vedenti iscritte agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio (art.8) dal 1 gennaio al 31 dicembre, per area geografica. Anni 2012/2013 (v.ass)
 

 

 

 IL COLLOCAMENTO DELLE PERSONE NON VEDENTI AI SENSI DELLA LEGISLAZIONE SPECIALE

La Legge 12 marzo 1999, n. 68’ mantiene ferma la normativa relativa al collocamento obbligatorio per i centralinisti telefonici non vedenti, i massaggiatori e masso fisioterapisti ciechi e i terapisti della riabilitazione non vedenti.
 

CENTRALINISTI TELEFONICI NON VEDENTI (LEGGE 29 MARZO 1985, N. 113)

I non vedenti “ abilitati” alla funzione di centralinista telefonico residenti nella regione vengono iscritti all’Albo Professionale Nazionale dei centralinisti telefonici privi della vista, articolato a livello regionale.
Sono considerati “ abilitati” i privi della vista in possesso del diploma di centralinista telefonico rilasciato da scuole statali o autorizzate per ciechi sono considerati abilitati (articolo 2, comma 1, Legge 29 marzo 1985, n. 113), mentre i privi della vista che frequentano corsi professionali per centralinisti telefonici ciechi conseguono l’abilitazione professionale a seguito di un esame presso la commissione regionale (articolo 2, comma 2, Legge 29 marzo 1985, n. 113).
Inoltre, in deroga alla previsione dell’abilitazione alla funzione di centralinista, possono essere iscritti all’albo professionale i privi della vista che svolgono mansioni di centralinista da almeno sei mesi (articolo 1, comma 4, Legge 29 marzo 1985, n. 113).
La Figura 28 illustra in valori assoluti la distribuzione degli iscritti all’Albo per area geografica per gli anni 2012 e 2013. I dati comunicati dalle province per tramite delle regioni segnalano 1.154 persone non vedenti “abilitate” ed iscritte all’Albo, di cui il 43°/a sono donne. Le iscrizioni all’Albo sono, per il 60%, segnalate nelle regioni del Mezzogiorno, per il 21°/a nel Centro Italia, seguono il Nord est con l’ll0/c e il Nord ovest con l’8°/. Il quadro generale non si modifica molto nel 2013, con i dati che riportano un totale di iscrizioni al 31 dicembre di 1.191 unità, di cui il 42°k donne. Le distribuzioni percentuali tra le diverse aree non si discostano significativamente dall’anno precedente.
La Figura 29 indica inoltre le iscrizioni avvenute nel corso di ciascun anno osservato, segnalando un incremento nel biennio di 62 unità, con il totale nazionale che passa da 310 a 372 registrazioni. L’aumento principale delle iscrizioni è ascrivibile prevalentemente alle regioni settentrionali.

 

Figura 28. Iscritti all’albo dei centralinisti telefonici non vedenti al 31 dicembre, comunicati dalle province al 31 dicembre. Per area geografica 2012/2013 (v.ass)

 

 

Figura 29. Iscritti all’albo dei centralinisti telefonici non vedenti dal 1 gennaio al 31 dicembre, comunicati dalle province. Per area geografica 2012/2013 (v.ass)

 

 

 

La Legge 29 marzo 1985, n. 113 si applica ai centralini telefonici per i quali le norme tecniche prevedano l’impiego di uno o più posti operatore o che comunque siano dotati di uno o più posti-operatore43.
L’obbligo di assunzione dei centralinisti telefonici non vedenti grava diversamente sui datori di lavoro pubblici e sui datori di lavoro privati.
Il datore di lavoro pubblico, anche in deroga alle leggi che limitano le assunzioni, è tenuto ad assumere sulla base dell’esistenza di un centralino telefonico.
Il datore di lavoro privato, invece, deve procedere all’assunzione di un privo della vista qualora sia dotato di un centralino telefonico con almeno cinque linee urbane.

Nel caso in cui il centralino consenta di occupare più di un lavoratore i datori di lavoro sia pubblici sia privati devono riservare il 51 per cento dei posti ai centralinisti privi della vista.

Le modalità per il collocamento dei centralinisti telefonici non vedenti si differenziano a seconda della natura pubblica o privata del datore di lavoro.

Il datore di lavoro privato, entro sessanta giorni dall’insorgenza dell’obbligo, presenta richiesta nominativa al servizio provinciale competente per il collocamento mirato. Qualora il datore di lavoro non effettui la richiesta entro il predetto termine, il medesimo servizio invita lo stesso a provvedere entro 30 giorni. Decorso tale termine, perdurando l’inerzia del datore di lavoro, il servizio procede all’avviamento del centralinista telefonico in base alla graduatoria.

Il datore di lavoro pubblico, invece, deve espletare un concorso riservato ai soli non vedenti, oppure, inoltrare richiesta numerica al servizio provinciale per il collocamento. Qualora, entro sei mesi dalla data in cui è insorto l’obbligo, lo stesso non abbia provveduto all’assunzione del centralinista telefonico non vedente, il servizio provinciale, decorso un mese dall’invito a provvedere, perdurando l’inerzia, avvia d’ufficio il centralinista telefonico non vedente.

Il biennio oggetto della presente analisi riporta un numero di avviamenti di centralinisti telefonici non vedenti e qualifiche equipollenti inferiore rispetto alle due annualità precedenti. Se, infatti, i dati riferiti al periodo 2010-2011 dichiaravano un totale di 406 avviamenti (284 nel primo anno e 122 nel secondo), la cifra complessiva per il successivo biennio è di 189 totali, suddivisi in 103 nel 2012 e 86 nel 2013. Gli inserimenti hanno riguardato imprese dislocate prevalentemente nel Centro sud e la modalità di avviamento principale è costituita dalla chiamata numerica per entrambe le annualità (Tabella 19).

 

Tabella 19. Avviamenti lavorativi centralinisti telefonici non vedenti e qualifiche equipollenti ( legge 29 marzo 1985, n. 113 e legge 12 marzo 1999, n. 68 ex art. 1 comma 3), per tipologia di avviamento. Di cui donne. Per area geografica. Anni 2012/2013 (v.ass)

 

 

MASSAGGIAT0RI E MASSOFISIOTERAPISTI NON VEDENTI

Condizione necessaria per ottenere il collocamento come massaggiatori e masso fisioterapisti è l’iscrizione all’Albo professionale nazionale, nel quale sono iscritti privi della vista in possesso del diploma di massaggiatore o di masso fisioterapista conseguito presso una scuola di massaggio o di massofisioterapia speciale per ciechi, autorizzata dal Ministero della sanità.

Ai sensi del D.P.R. 10 ottobre 2000, n. 333 (art 1, comma 4) le iscrizioni all’Albo nazionale sono comunicate dal Ministero del Lavoro, presso il quale è istituito l’Albo, ai servizi di collocamento di residenza dell’iscritto, ai fini dell’inserimento negli elenchi e del successivo avviamento.

Soggetti obbligati ad assumere direttamente in ruolo un massaggiatore o masso fisioterapista cieco sono:

  1. a) gli enti ospedalieri e gli altri istituti di ricovero e cura da cui dipendono ospedali generali, quando l’ospedale abbia più di 200 posti-letto (ove il numero dei posti-letto sia superiore a 700, dovrà essere assunta una unità ogni 300 posti-letto eccedenti i 700);
  2. b) gli ospedali specializzati per cure ortopediche, traumatologiche, di riabilitazione e recupero funzionale, climatiche, idroterapiche, balneotermali, cinetiche, massoterapiche o miste o comunque cure fisiche e affini per ogni 50 posti-letto.

Sono ugualmente tenuti ad assumere, indipendentemente dall’esistenza del ruolo, un massaggiatore o masso fisioterapista cieco diplomato e iscritto all’albo professionale nazionale dei massaggiatori e masso fisioterapisti ciechi, tutte le case di cura generiche o policliniche con almeno 200 posti-letto e, indipendentemente dal numero dei posti-letto, tutte le case di cura e le cliniche specializzate, i centri e gli istituti climatici, le stazioni idroterapiche e gli stabilimenti sanitari o balneotermali o comunque di cure fisiche e affini, gli istituti sanitari, comunque denominati e di qualsiasi categoria, ove si praticano cure ortopediche o cinetiche o massoterapiche o miste, appartenenti a persone o enti privati o comunque da essi gestiti (Articolo 2, Legge 19 maggio 1971, n403).

Relativamente alle modalità di assunzione, la circolare del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del 23 novembre 1987, n. 121 ha stabilito che i massaggiatori e masso fisioterapisti non vedenti sono avviati al lavoro su richiesta nominativa.

Con riferimento specifico alle pubbliche amministrative, il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ha precisato, nella circolare del 5 agosto 1996, prot. n. 2650 PV/M/6, che, in base ad una interpretazione sistematica della materia, anche per i massaggiatori e masso fisioterapisti non vedenti debba, come per gli altri soggetti protetti, applicarsi la richiesta numerica sulla base di apposite graduatorie formate dagli uffici provinciali del lavoro.

Ai sensi della legge 11 gennaio 1994, n. 29, sono considerati “abilitati” all’esercizio della professione sanitaria di terapista della riabilitazione i non vedenti, diplomati ai sensi e con le modalità previsti dall’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre

1992, n. 502.

Per avere accesso al collocamento obbligatorio come terapista della riabilitazione, è richiesta l’iscrizione all’Albo Professionale nazionale dei terapisti della riabilitazione, articolato a livello regionale.

I datori di lavoro pubblici hanno l’obbligo di assumere, al verificarsi della prima vacanza, per ciascun presidio ospedaliero e ambulatorio nel quale si svolgano attività riabilitative, almeno un terapista della riabilitazione non vedente iscritto all’albo, fino ad un massimo del 5 per cento dei posti previsti nell’organico dei terapisti della riabilitazione (articolo 4, comma 2, Legge 11 gennaio 1994, n.29).

Invece, gli istituti, le case di cura ed i centri di riabilitazione privati nei quali si svolgano attività riabilitative, che abbiano alle loro dipendenze più di trentacinque lavoratori,  hanno l’obbligo di assumere almeno un terapista della riabilitazione non vedente iscritto all’albo, al momento della cessazione dal servizio della prima unità di personale addetta a mansioni di terapista della riabilitazione (articolo 4, comma 3, Legge 11 gennaio 1994, n.29).

Le assunzioni dei terapisti della riabilitazione non vedenti sono effettuate con le modalità stabilite dall’articolo 6 della legge 29 marzo 1985, n. 113 (art. 4, comma 3, Legge 11 gennaio 1994, n.29).

Nel biennio 2012 — 2013 sono stati segnalati 12 avviamenti lavorativi di massaggiatori, massofisioterapisti e terapisti della riabilitazione non vedenti, per la maggioranza uomini (Tabella 20). La modalità di inserimento prevalente è la chiamata numerica (10 su 12).

 

Tabella 20. Avviamenti lavorativi massaggiatori, masso fisioterapisti e terapisti della riabilitazione non vedenti ( legge 21 luglio 1961, n. 686, legge 19 maggio 1971, n. 403 e legge 11 gennaio 1994, n. 29). Di cui donne. Per area geografica. Anni 2012/2013 (v.ass)

 

 

 

I dati del 2012 e 2013 emersi nella relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99 non sono dunque positivi. Riepilogando quasi 680 mila gli iscritti al collocamento, appena 18 mila gli avviamenti nell’ultimo anno. Poche le sanzioni, eppure fra pubblico e privato ci sono 41 mila posti riservati ancora scoperti .

I posti disponibili che per legge dovrebbero essere riservati alle persone con disabilità non si trasformano in effettive assunzioni. In totale, in Italia, fra pubblico e privato, al 31 dicembre del 2013 risultavano 186.219 posti di lavoro riservati a soggetti con disabilità, 41.238 dei quali scoperti. E’ il 22%, quasi uno su quattro. Oltre 26 mila di questi sono nel settore privato (su 117 mila complessivi), poco meno di 13 mila sono nel pubblico (su 76 mila posti riservati).  Le difficoltà di copertura di tali posti si aggravano anche a causa degli azzeramenti dei contributi alle aziende che assumono disabili.

 

Azzerati i contributi alle aziende che assumono lavoratori disabili
Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali non intende rifinanziare il fondo previsto dalla legge 68/99, che ha erogato nel 2014, invece, 21 milioni di euro a chi aveva assunto a tempo indeterminato circa 1.500 disabili.

Per l’anno 2015, si prevede che il fondo non sarà finanziato.  Dunque, non ci saranno più soldi né per dare contributi ai datori di lavoro che assumono lavoratori disabili a tempo indeterminato attraverso le convenzioni né per concedere i rimborsi parziali delle spese sostenute dalle aziende per l’adattamento del posto di lavoro.

E’ questo l’intendimento del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, presso il quale la legge 68/99 aveva istituito il fondo e che ha il compito ogni anno di procedere al riparto delle somme fra le regioni.

Malgrado i richiami ufficiali della Corte di Giustizia europea che nel luglio 2013 aveva dichiarato  l’Italia inadempiente  nel garantire ai lavoratori disabili parità di trattamento in quanto priva di  efficaci ed appropriate misure per un effettivo inserimento professionale delle persone con disabilità, l’azzeramento del fondo determinerà una situazione di criticità permanente.

Si ricorda che nei primi mesi del 2014, il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali aveva provveduto al riparto delle annualità 2013 e 2014 del Fondo, che ancora risultavano giacenti: le risorse stanziate per l’esercizio finanziario 2013 sono state ripartite con il decreto 530 del 21 febbraio 2014 (per un totale appunto di 12.590.387 euro), e quelle relative all’esercizio 2014 con il decreto 155 del 12 maggio 2014 (per 21.845.924 euro). Soldi che, come da normativa, sono andati a soddisfare le richieste relative alle assunzioni a tempo indeterminato stipulate nei 12 mesi precedenti alla data di emanazione dei rispettivi decreti di riparto.

In particolare, gli oltre 21 milioni di euro del Fondo 2014 – l’ultimo disponibile – sono andati a coprire 1.464 assunzioni avvenute nel periodo compreso fra l’11 maggio 2013 e l’11 maggio 2014.

Se l’intenzione di non rifinanziare il Fondo per il 2015 sarà confermata, non potranno fruire del  contributo sia  quei datori di lavoro che assumeranno nell’immediato futuro, sia quelli che hanno già assunto dal 12 maggio 2014 scorso in avanti.

Per chi ha stipulato convenzioni in tal senso, è una gran brutta notizia: basti pensare che gli oltre 21 milioni dell’ultimo riparto hanno coperto una parte consistente del costo salariale annuo (pari a 28 milioni 679 mila euro) sostenuto per le 1.464 assunzioni di cui sopra (la quota maggiore, 13 milioni di euro su 21 complessivi, era andata a Lombardia, Veneto e Piemonte, le cui aziende avevano assunto da sole circa 850 disabili sui 1.464 totali).

La decisione di mancato finanziamento del fondo per il 2015 arriva dunque in un momento particolarmente critico per il lavoro delle persone disabili.

Dunque i dati negativi  che si sono evinti dalla  dettagliata fotografia del biennio 2012-20123 contenuta nella Relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 68/99, continueranno a salire.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro Di Documentazione Giuridica: Il Tribunale di Pesaro condanna il Miur per aver discriminato un docente con handicap, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Il Tribunale di Pesaro ha di recente emesso un importante provvedimento in materia di comportamenti discriminatori ai danni di un docente con handicap.
Con ordinanza del 24 ottobre 2014 condannato il MIUR per aver adottato l’Amministrazione Scolastica presso cui prestava servizio il docente con handicap una condotta discriminatoria (ex art. 28 DLgs n. 150/2011).
L’amministrazione scolastica, infatti, è stata censurata per aver impedito al docente di superare l’anno di prova e per aver addotto motivi esclusivamente riconducibili alla sua situazione di handicap e quindi del tutto estranei alla sua capacità di insegnamento.
La patologia clinica della ricorrente non intaccava la sua capacità di insegnamento, ma escludeva soltanto l’attività di sorveglianza e di gestione all’esterno della classe, se non con la collaborazione e il supporto di altro docente o personale a ciò destinato.
Nell’ordinanza si legge che la mancata dimostrazione del motivo addotto per giustificare il provvedimento di mancato superamento dell’anno di prova (necessità di nuove risorse da adibire ad assistenza e sorveglianza degli alunni) fa sì che lo stesso si correli obiettivamente e in via esclusiva alla condizione di handicap del ricorrente. Tale condizione, come si legge nel provvedimento, ha prodotto al docente un danno non patrimoniale ma di natura morale (sofferenza e disagio emotivo) meritevole di risarcimento.
L’Amministrazione è stata pertanto condannata al risarcimento del danno morale procurato oltre che al pagamento delle spese di lite.
In calce il testo integrale del provvedimento commentato.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale di Pesaro In persona del giudice dott. Maurizio Paganelli, ha emesso la seguente

ORDINANZA

all’udienza del 24.10.2014, nella causa iscritta al n. 588 /2013 , in corso tra

. „                                   .                                         , con il patrocinio deil’avv.

BELFATTO GABRIELE,

RICORRENTE

contro

M.I.U.R. – MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ’ E DELLA RICERCA, rappresentato e difeso dai propri funzionari

RESISTENTE

Avente ad oggetto: ricorso ex art. 28, d.Igs. n. 150/2011, avverso

p———————————————————— .                       r

[comportamenti discriminatori;.

Considerato che:

  • la decisione dell’amministrazione scolastica del 02.07.2012 (doc. 4), di rinviare l’anno di prova della docente, in attesa che l’amministrazione provvedesse a fornire allTstituto scolastico risorse da destinare

 

 

 

 

 

 

 

 

all’assistenza e vigilanza sugli alunni durante le ore di attività didattica è obiettivamente e direttamente discriminatoria;

  • analoga qualificazione dève affermarsi in relazione agli atti precedenti che hanno preceduto tale determinazione (infra menzionati)
  • infatti, la valutazione medico legale del 07.10.2010 (doc. 3. ric.) era nel senso che la patologia cronica in fase di stabilità clinica non pregiudicava la capacità di insegnamento della ricorrente nella scuola primaria, essendo esclusa soltanto l’attività di sorveglianza e gestione delle attività all’esterno della classe, se non con la collaborazione ed il supporto di altro docente o personale a ciò destinato;
  • la motivazione del provvedimento del 2 luglio 2012 era quindi illogica, poiché durante le ore di attività didattica, e quindi in classe, ove tale attività ordinariamente si svolge, la ricorrente era ed è in grado di provvedere autonomamente;
  • l’inconsistenza e comunque la mancata dimostrazione del motivo addotto per giustificare il provvedimento (necessità di nuove risorse da adibire all’assistenza c sorveglianza degli alunni), fa si che lo stesso si correli obiettivamente e in via esclusiva alla condizione di handicap della ricorrente, che ha costituito l’effettiva ragione della decisione di rinvio dell’anno di prova;
  • la nozione di discriminazione diretta (trattamento sfavorevole di una persona rispetta ad un’altra in situazione analoga, a causa dell’handicap), non richiede, infatti, un dolo intenzionale o specifico

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dell’autore, essendo sufficiente la consapevolezza della condotta e dell’evento che, nella specie, non possono porsi in dubbio;

  • questa condotta ha prodotto un danno non patrimoniale. Ciò non solo come astratta lesione dell’interesse ad un trattamento non discriminatorio ma anche sotto il profilo delle conseguenze pregiudizievoli conseguenti alla manifesta e reiterata violazione del diritto all’eguale trattamento;
  • deve infatti considerarsi che l’amministrazione scolastica (Istituto comprensivo statale Giovanni Paolo II, di Sant’Angelo in Lizzola, ha ribadito più volte il proprio infondato convincimento: a) in data

14.11.2011, pretendendo di porre in capo all’amministrazione sanitaria l’indicazione ed il carico del personale a ciò necessario (doc. 5, ric.): b) in data 02.04.2012, nonostante le chiare indicazioni fomite sia dall’Asur (doc. 6 e 10) che dall’Uffìcio scolastico regionale (doc. 8) pretendendo questa volte risorse dall’Ufficio scolastico provinciale; c) in data 01.08.2012 rinviando nuovamente l’anno di prova della docente; d) in data 02.12.2012, rifiutando il riesame della decisione richiesto dalla ricorrente, avvenuto con esito favorevole alla ricorrente solo in data 05.11.2012;

  • l’esistenza di un danno non patrimoniale, di natura morale (sofferenza e disagio emotivo) e non biologica (non vi è alcuna evidenza clinica in tal senso) appare peraltro chiaramente evincibile nella nota della ricorrente del 24.07.2012;
  • appare equo, in ragione dei motivi suddetti, liquidare il danno nella misura di € 5.000,00;
  • le spese di lite sono poste in capo alla convenuta e liquidate in complessivi € 2.000,00 per compenso al difensore, oltre spese forfettarie, iva e epa come per legge.

P.Q.M.

Il tribunale di Pesaro, ogni diversa istanza eccezione disattesa, accoglie il ricorso e per l’effetto condanna la convenuta al pagamento della somma di € 5.000,00 in favore della ricorrente. Spese come in parte motiva.

Pesaro, 1124/10/2014

IL GIUDICE Dott. Maurizio Paganelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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