Istruzione – Scienze tiflologiche: quali sono?, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

La costruzione del network per l’inclusione, così come ci informano gli articoli di Gianluca Rapisarda, il report di Luciano Paschetta, mi suggerisce riflessioni, esigenze di approfondimenti, ma anche qualche perplessità.

Riflessioni:

quando si parla di creare standard, linee guida, omogeneità, significa che, realizzata una mappa dei bisogni attraverso la rilevazione di servizi funzionanti sul territorio nazionale(sud compreso e, forse prioritario), verranno offerte le opportune indicazioni alle sezioni Uici? o alle scuole? o agli enti istituzionali, a  vario titolo preposti all’istruzione e formazione degli alunni con disabilità?

Da più parti vengono richiesti standard di qualità nelle trascrizioni di libri di testo, nell’ingrandimento per gli studenti ipovedenti, programmazione dei tempi di produzione dei materiali affinché bambini e ragazzi non si trovino a pagare ritardi dipendenti da disordini di funzionalità: con il network e l’auspicata elaborazione di standard dei servizi, sono comprese queste risposte ai bisogni dell’utenza?

e veniamo all’esigenza di approfondimenti premesso che personalmente non dispongo del titolo romagnoli,

che ho sempre studiato in scuole pubbliche, insegnato ed esercitato la professione di dirigente scolastica con risultati, per me, soddisfacenti, che ho anche conseguito il titolo per il sostegno con un corso biennale polivalente organizzato dal Miur alla fine degli anni ottanta, ho condotto molti corsi di formazione per docenti di sostegno e per dirigenti scolastici, tuttavia non mi ritengo competente di quelle che vengono chiamate “scienze tiflologiche”: di qui, la domanda:

cosa si intende con tale denominazione?

esistono testi scientifici da cui apprendere tali scienze?

se il percorso formativo del tiflologo si struttura su specifiche aree:

dall’oculistica alla pedagogica, dalle dinamiche relazionali alle tecniche di apprendimento, dall’utilizzo di mezzi specialistici per la lettura e scrittura, dall’uso delle tecnologie assistive agli strumenti per l’accessibilità, e l’indipendenza, non si rischia di cadere nello stesso errore che ha caratterizzato la formazione di docenti di sostegno, contenitori di informazioni sommative, invece che titolari di conoscenze specifiche e metodologie appropriate? Ci saranno occasioni per conoscere, discutere e capire in quali ambiti e con quali obiettivi opereranno queste nuove figure?

ed eccomi a qualche perplessità:

fino ad oggi, che mi risulti, l’Uici è interlocutrice, attraverso i suoi vari organi centrali e periferici, delle varie istituzioni a seconda dei settori di intervento, dunque anche per tutta la complessa partita dell’istruzione ed inclusione scolastica:

l’istituzione di questo network di cui si richiede il riconoscimento dal Miur, si sovrappone, si sostituisce, o occuperà altri spazi che io non riesco ad immaginare?

2 -tutti i finanziamenti oggi distribuiti tra gli enti collegati, confluiranno nel network, oppure ciascuno metterà la propria parte di risorse?

3-che io sappia l’Uici è nella Fand, collabora con la Fish e, soprattutto recentemente ha contribuito nella presentazione della proposta di legge 2444 di cui si auspica un buon destino:

con l’istituzione di questa entità che agirebbe, per quanto mi è dato comprendere, anche come autority, cosa accade con le sopra citate organizzazioni?

Silvana Piscopo

coordinatrice commissione istruzione e formazione sezione provinciale di Napoli.

Insegnanti di sostegno e non solo, di Claudio Cassinelli

Autore: Claudio Cassinelli

Le riflessioni e le proposte a suo tempo pubblicate di Luciano Paschetta che prendevano spunto dall’esperienza di Brescia di integrazione scolastica dei ragazzi ciechi, destano polemiche e hanno suscitato vecchi e nuovi malumori e inquietudini che sono fonti e hanno alimentato anche altre proposte alternative all’attuale sistema di inclusione.

Da qualche parte vengo sollecitato a pronunciarmi in merito. Non conosco l’esperienza di Brescia e pertanto non posso esprimere alcuna valutazione, sebbene mi paia esagerato il giudizio di eccellenza e di unicità e soprattutto ingeneroso verso altre situazioni.

Posso invece dire quale è l’esperienza dell’Istituto Chiossone di Genova. Come è ben noto la rivolta degli studenti del 1971 ha portato il Chiossone – diversamente da quanto avvenuto in altri Istituti – a convertire il collegio in servizi di supporto. Questi sono cresciuti e si sono evoluti nel tempo fino estendersi oltre l’ambito scolastico: età prescolare e neonati, anziani, ipovedenti, pluridisabili, interventi ambulatoriali, domiciliari, extramurali, residenziali e semiresidenziali. Tutto questo come prestazioni multidisciplinari comprese in programmi individualizzati erogati in convenzione col servizio sanitario nazionale e quindi come diritto del singolo utente, in un processo di “presa in carico” globale e longitudinale.

Ovviamente anche il supporto al percorso scolastico del bambino e del ragazzo disabile visivo rientra in questo sistema, con l’erogazione non solo di prestazioni dirette all’utente, ma anche alla famiglia e agli insegnanti, compreso, naturalmente l’insegnante di sostegno.

Questo sistema funziona. Allora perché rinunciare all’insegnante di sostegno? Certo sono sempre possibili critiche, e spesso purtroppo giustificate, ai singoli docenti, ma anche alla scarsità e inadeguatezza della loro preparazione specifica. Basta questo per rinunciare ad una risorsa e a un sistema che ha il vantaggio di rappresentare la “presa in carico” dell’alunno e l’assunzione di responsabilità dell’istituzione scolastica per l’integrazione del disabile?

Concordo che in taluni casi, soprattutto nelle scuole superiori, alcuni studenti possono e anzi debbano fare a meno dell’insegnante di sostegno; ma non si deve generalizzare e sono convinto che debba essere la scuola, nell’ambito della propria responsabilità, a decidere quando e quanto insegnante di sostegno assegnare, valutando ogni singolo caso nelle sue particolarità.

A questo proposito sottolineo che non si deve credere che possa esistere una regola e una soluzione uguale per tutti, soprattutto quando siamo in presenza di casi molto diversi: i bambini ciechi o ipovedenti monodisabili sono sempre meno e assistiamo alla forte crescita dei casi di disabili visivi pluridisabili.

Inoltre la proposta di sostituire l’insegnante di sostegno con un centro di supporto ha il sapore antico di cercare una soluzione speciale ad un bisogno che si reputa unico e diverso da quello di tutti gli altri. Molto spesso i gruppi di individui connotati da elementi molto caratterizzanti e percepiti come fortemente anomali sono stati oggetto di interventi, disposizioni, istituzioni speciali – sovente anche richieste o accolte con favore, o addirittura entusiasmo, dagli stessi individui destinatari – a motivo della particolarità di quelle specifiche condizioni. Salvo poi accorgersi – come hanno fatto quasi tutti i ciechi – che i presunti privilegi ottenuti di fatto si trasformavano in limiti e condizionamenti.
Non dobbiamo invece abbandonare il sistema solo perché ha qualche pecca e smettere di lottare per superarla. Dobbiamo chiedere più sistema, ottenere servizi che vadano bene per i disabili visivi ma anche per altri che abbiano difficoltà nel percorso scolastico. La fornitura di supporti specialistici non deve introdurre corpi estranei al sistema e non deve deresponsabilizzare la scuola italiana che ha enormi meriti e potenzialità inclusive e deve correggere errori e investire in formazione e aggiornamento dei propri operatori.

A questo proposito ricordo che nel 2013 è stata elaborata una proposta, presa in esame anche dalla Direzione nazionale dell’UICI e dalle Presidenze della Biblioteca nazionale Braille e della Federazione pro ciechi, per integrare i centri tiflodidattici dipendenti dalle due istituzioni nella rete dei Centri Territoriali di Supporto (CTS) istituiti dal Ministero dell’Istruzione a livello provinciale nell’ambito del progetto “Nuove Tecnologie e Disabilità”.

Su questa proposta bisognerebbe tornare a riflettere per arricchirla e migliorarla. Ovvero c’è bisogno di un disegno che razionalizzi, generalizzi, coordini e renda organiche e funzionanti le risorse esistenti, senza rinunciare agli insegnanti di sostegno che comunque rappresentano una conquista.

Ricordo che negli anni passati ho duramente polemizzato con l’amico Davide Cervellin che aveva proposto di respingere al mittente – Ministro dell’Istruzione – gli insegnanti di sostegno: evitiamo passi falsi.

. Mi chiedo se nel processo che Luciano Paschetta aveva descritto di progressiva istitutizzazione dell’istruzione degli alunni ciechi, avvenuta negli anni cinquanta e sessanta – dalla scuola di tutti a quella speciale dentro gli istituti – non sia da riconoscere una logica e una volontà degli stessi istituti per ciechi, rivolta alla propria crescita di ruolo, piuttosto che a una interpretazione oggettiva dei bisogni dei propri assistiti. Come lo stesso Luciano afferma c’è stata una volontà di tutelare le istituzioni speciali. Vediamo di non fare lo stesso errore e di far tornare gli alunni ciechi competenza di una struttura speciale, rifiutando un sostegno offerto dal sistema di tutti.
Claudio Cassinelli
Presidente Istituto David Chiossone di Genova.

E la tecnologia per i più piccoli?, di Monica Gori

Autore: Monica Gori

Proseguendo la tradizione che da molti anni lega gli enti di ricerca genovesi e l’Istituto David Chiossone l’Istituto Italiano di Tecnologia ha iniziato una collaborazione con l’obiettivo di sviluppare dispositivi e protocolli utili a migliorare l’inclusione sociale di bambini e adulti con disabilità visiva. Questo articolo descrive, in particolare, l’attività dei gruppi di ricerca U-VIP (Unit for Visually Impaired People) e RBCS (Robotics, Brain and Cognitive Sciences) che, a partire dall’obiettivo scientifico di capire i meccanismi cerebrali che guidano lo sviluppo delle capacità percettive del bambino, si sviluppa attraverso lo studio della disabilità visiva nel bambino e nell’adulto con l’obiettivo di sviluppare nuovi strumenti e protocolli per migliorare l’inclusione sociale e lo sviluppo delle capacità sensoriali.
Il motivo per cui riteniamo fondamentale sviluppare sistemi che possano essere usati fin dai primi anni di vita nasce da due osservazioni. La prima relativa al fatto che la maggior parte della tecnologia sviluppata ad oggi per le persona con disabilità visiva è diretta all’adulto. La seconda il fatto che i risultati della ricerca sullo sviluppo del bambino hanno dimostrato l’importanza dei primi anni di vita per la maturazione delle capacità sensoriali, motorie e cognitive. Nei primi anni di vita, infatti, la disabilità visiva ha ripercussioni sullo sviluppo degli altri canali sensoriali e, in generale, su tutte quelle capacità che si sviluppano principalmente sulla base di informazione visiva come ad esempio, il controllo del movimento e l’interazione sociale. Paradossalmente quindi, sembra esserci una carenza di strumenti di supporto proprio nel momento della vita in cui è più efficace intervenire. L’obiettivo della nostra ricerca è quello di cercare di sviluppare tecnologia riabilitativa e assistiva per coprire questa carenza.
Seguendo questo approccio, ad esempio, partendo dallo lo studio della integrazione di segnali sensoriali nel bambino (Gori et al. Current Biology 2008, 2010; Brain 2014) abbiamo realizzato, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Unione Europea, un dispositivo (ABBI – www.abbiproject.eu), in grado di migliorare la percezione dello spazio nei bambini non vedenti. ABBI è un braccialetto dal peso di pochi grammi che viene indossato dal bambino e, attraverso un sistema elettronico di misura ed elaborazione miniaturizzato, fornisce informazioni acustiche relative al movimento del bambino e/o delle persone che interagiscono con lui. ABBI è stato sperimentato sia con la partecipazione di adulti con disabilità visiva che con l’aiuto di 24 bambini liguri non vedenti.
ABBI funziona così: quando il bambino vedente muove la sua mano sente il movimento attraverso i sensori che si trovano nei muscoli e, contemporaneamente, vede la mano che si muove a differenza del bambino non vedente può sentire il movimento della mano ma non vederla. ABBI fornisce, attraverso suoni modulati dal movimento, una informazione alternativa a quella visiva dalla quale il nostro cervello è in grado di “calcolare” la posizione della mano nello spazio. Il senso dell’udito si sostituisce a quello della vista per fornire questa informazione “spaziale” importante per lo sviluppo delle capacità motorie nel bambino. In altre parole l’idea del braccialetto sonoro è proprio quella di “accendersi” quando comincia un movimento, di “suonare” durante il movimento e di “spegnersi” quando il movimento si ferma e di sfruttare, sviluppandola, le capacità naturali del cervello.
Abbiamo fatto indossare questo dispositivo a bambini e adulti non vedenti e ipovedenti per un certo periodo e abbiamo visto che l’uso del dispositivo permette di migliorare le capacità del non vedente di muoversi, interagire e percepite lo spazio intorno a se. In questo periodo gruppi di bambini all’istituto Chiossone stanno usando ABBI in attività di gruppo come ballare e giocare insieme. Attraverso l’ascolto del suono in movimento per i bambini è più facile interagire e giocare insieme. Questo sistema è stato sviluppato partendo dagli utenti non vedenti, dalle loro necessità e dai i loro consigli e i risultati stanno dimostrando quanto sia importante portare le necessità e le preferenze del bambino al centro del processo di progettazione, anche attraverso il coinvolgimento degli enti e delle persone che sono giornalmente a contatto con la disabilità. Riteniamo che, solo creando una linea diretta con le comunità, sia possibile guidare la progettazione e la sperimentazione verso dispositivi di reale utilità e non verso oggetti tecnologicamente sofisticati ma di difficile uso o di scarsa utilità.
Nel caso di ABBI per esempio i suoni emessi dal braccialetto possono essere scelti dall’utente e accesi e spenti come preferisce da applicazione su cellulare. Con i riabilitatori del Chiossone sono stati sviluppati una serie di giochi da fare con il braccialetto da soli o in gruppo in modo da poter integrare nel percorso riabilitativo anche a esperienze a casa con la partecipazione dei genitori. E’ importante sottolineare il fatto che ABBI è nato come sistema riabilitativo in grado di migliorare la percezione dello spazio e la mobilità e che, di conseguenza, non deve essere usato per tutta la vita. I nostri studi fanno vedere che l’uso del braccialetto per 1 ora al giorno e per un periodo di tre mesi fa migliorare la mobilità e la percezione dei suoni del bambino che lo ha usato. ABBI è stato usato anche in adulti non vedenti per brevi periodi e anche nel loro caso ha avuto un effetto positivo (quantificato con misure psicofisiche).
All’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova ogni mese organizziamo incontri con bambini e adulti non vedenti e ipovedenti che possono partecipare alla nostra ricerca e aiutarci nel processo di progettazione di nuovi dispositivi. Se avete piacere a sapere più del progetto ABBI o a partecipare alla nostra attività o ricerca vi preghiamo di scriverci a u-vip@rbcs.it.

Digitando il  seguente link un video della nostra attività: https://www.youtube.com/watch?v=oGg0SB8rj1U

Monica Gori

CALCIO SOLIDALE inFEST 2016  Primo Festival Nazionale del Calcio Solidale

Roma – Cinecittà Studios 26/28 maggio 2016
Ingresso libero fino ad esaurimento posti

Cosa accomuna, al di là dei rispettivi ambiti professionali, Carlo Verdone, Matteo Garrone,  Damiano Tommasi, Simone Perrotta, Paolo Calabresi, Diego Bianchi “Zoro”, Emanuela Audisio, Massimo  Piscedda e Roberto  Baronio? La risposta è semplice: la passione per il calcio. Tutti i nomi citati, insieme a molti altri,  saranno i protagonisti di “CALCIO SOLIDALE inFEST 2016 – Primo Festival Nazionale del Calcio Solidale”, evento promosso da Fondazione Roma Solidale onlus in collaborazione con Roma Capitale e la Rete del Calcio Solidale in programma a Cinecittà Studios presso la Sala Fellini e la Sala Visconti e i campi sportivi Cinecittà Bettini per tre giorni giorni dal 26 al 28 maggio 2016.
La manifestazione -a ingresso libero fino ad esaurimento posti – intende promuovere, diffondere e raccontare esempi positivi e modelli trasferibili legati al calcio quale strumento di coesione territoriale e benessere comunitario, recuperando valori ormai smarriti nel circuito del “calcio mediatico”. Il programma delle tre giornate, con la direzione artistica di Paolo Geremei (regista di “Zero a Zero”, documentario sui temi del calcio solidale) in collaborazione con Franco Montini (giornalista de La Repubblica e presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani), sarà ricco e articolato e prevede incontri speciali con autori e registi, proiezioni di lungo e cortometraggi, presentazioni di libri, eventi speciali, tornei di calcio integrato, calcio interculturale, calcio misto. E ancora: reading calcistici e musica, lezioni di cinema, incontri con personaggi di sport e cultura, degustazioni biogastronomiche. Insomma una festa nel segno della cultura, dell’integrazione, del cinema e dello sport.
Tra i numerosi nomi che saranno presenti, Carlo Verdone riceverà un Premio Speciale e sarà protagonista di un’intervista pubblica; Matteo Garrone sarà al centro di un evento speciale a lui dedicato. Per partecipare ad incontri, convegni, presentazioni interverranno di persona anche Mimmo Calopresti, Damiano Tommasi, Simone  Perrotta, Katia  Serra, Massimo  Piscedda, Roberto  Baronio, Paolo  Calabresi, Daniele Lo Monaco, Pino Marino, Diego Bianchi “Zoro”, Marco Conidi, Andrea Rivera, Emanuela  Audisio, Fabrizio  Bocca, Boris  Sollazzo, Francesco  Micciché, Giuseppe  Manfridi, Valerio Aprea, Marco  Mathieu, Lidia Vitale e Giorgio Caputo. E i rappresentanti di Liberi Nantes, Calcio Sociale, FRS Sporting United, Spartak Lidense, Totti Soccer School, Roma Calcio femminile, Il Mundialido, Asinitas.
Tra gli altri eventi speciali: un incontro sul tema “Il calcio anti-sessista, le donne nel calcio”, con Maria Iole Volpi del Roma Calcio Femminile che sarà anche protagonista del Torneo Reti Solidali di Calcio Misto.  Le prime immagini in anteprima della commedia “Ovunque tu sarai”, che arriverà nei cinema nelle prossima stagione, commentate in diretta dal regista Roberto Capucci e dagli attori Primo Reggiani e Francesco Apolloni e l’evento “MotoPerPedro”, il V memorial Carlo Petrini, per la prima volta a Roma, con la partecipazione di artisti e giornalisti.
Tra le numerose proiezioni cinematografiche, l’anteprima italiana di “Gascoigne” di Jane Preston, venerdì 27 maggio, alla presenza della regista Jane Preston e di alcuni calciatori della Lazio, che sono stati compagni di squadra del campione inglese.
Previsto anche un concorso di lungometraggi ed uno di corti, con titoli provenienti da tutto il mondo sottoposti al giudizi di una giuria formata da:  Emanuela Audisio, giornalista e scrittrice; Paolo Calabresi, attore; Damiano Tommasi, ex calciatore e Presidente dell’ AIC (Associazione italiana calciatori); Simone Perrotta, ex calciatore e Consigliere Federale AIC; Boris Sollazzo, critico e giornalista cinematografico; Francesco Miccichè, regista e sceneggiatore e Massimo Vallati, presidente del Calcio Sociale.
Tra i lungometraggi si segnalano Loro di Napoli e Without a fight. Tra i cortometraggi selezionati il pluripremiato cortometraggio “Due piedi sinistri” di Isabella Salvetti. In un quartiere popolare di Roma, Mirko gioca a pallone con gli amici. Conosce Luana, seduta lì accanto. I due dodicenni si piacciono da subito, ma una cattiva sorpresa lascia Mirko senza fiato. Luana invece sorride felice, per la prima volta in vita sua.

INFO
www.calciosolidale.it
festival@calciosolidale.it
06.37515922

AREA COMUNICAZIONE E RELAZIONI SOCIALI
Gioia Belardinelli
Fondazione Roma Solidale onlus
Borgo Pio, 10 – 00193 Roma
Tel. 06.37515922 – fax 06.3725622
g.belardinelli@fondazioneromasolidale.it
www.fondazioneromasolidale.it
comunicazione@calciosolidale.it
festival@calciosolidale.it
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Ciclopedalata Roma Olimpia Atene, di Andrea Perugini

La Ciclopedalata Roma – Olimpia – Atene organizzata dall’Associazione Pedalando nella Storia – Maurice Garin, si è conclusa nel migliore dei modi con grande soddisfazione dei trentuno partecipanti . Anche quest’anno la presenza di atleti non vedenti nel gruppo (Cinzia Coluzzi e Maria Teresa Pagliaroli sui tandem con le rispettive guide e Filippo Innocenti nello staff degli accompagnatori) è stato un grande esempio di vita e un importante stimolo per tutti i partecipanti. Di seguito un resoconto della manifestazione

16 aprile 2016 (Roma – Formia 153 km)
Alle 10.00 presso lo Stadio dei Marmi – Pietro Mennea al Foro Italico inizia la cerimonia di partenza della “Ciclopedalata Roma Olimpia Atene”.
Oltre a numerosi amici e parenti dei 31 partecipanti sono presenti Otello Donati, presidente della sezione di Roma dell’Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia con alcuni grandi campioni del passato tra cui  Daniele Masala, (Pentathlon Moderno); Salvatore Gionta, (pallanuoto); Piero Italiani, (tuffi); Franco Fava, (atletica leggera); Bruno Calvia, (canottaggio).
Dopo i saluti di rito, un rapido ristoro a buffet e gli scambi di doni tra gli organizzatori e gli ospiti, alle 11.30 si parte.
I primi chilometri si sviluppano lungo la pista ciclabile sull’argine del Tevere e, a seguire, sulla via Appia Antica prima di trasferirsi sulla trafficatissima Appia Nuova.
Le due soste previste si effettuano regolarmente a Cisterna di Latina e a Terracina.
Alle 18.30 il gruppo fa il suo ingresso sulla pista di atletica del Centro di Preparazione Olimpica di Formia, concludendo questa prima giornata.
17 aprile 2016 (Formia – Lago Laceno 198 km)
Partenza alle 7.30 lungo la via Appia fino al primo ristoro a Capua (65 km).
Verso mezzogiorno, sotto un sole implacabile, il gruppo arriva compatto a Ponte per un ottimo e abbondante pranzo nel “Café Noir”.
Superata Benevento iniziano le salite ed il gruppo progressivamente si sfalda. Un ultimo ricompattamento viene effettuato all’ultimo ristoro a 35 chilometri dall’arrivo dopodiché ognuno deve contare solo sulle proprie forze per affrontare gli ultimi impegnativissimi chilometri fino a Lago Laceno, sede di tappa.
La luculliana cena presso l’hotel “La Locanda degli Hirpini” ripaga abbondantemente i ciclisti delle fatiche odierne.

18 aprile 2016 (Lago Laceno – Matera 208 km)
È la tappa più lunga ed impegnativa della manifestazione: 208 km con 3.300 metri di dislivello fino a Matera.
Dopo 5 chilometri si raggiunge la “Cima Coppi” della ciclopedalata (1.248 m slm). Segue una lunga discesa nel bosco che ci riporta sulla via Appia/Ofantina.
Al termine della seconda salita di giornata (km 50) è posto il primo ristoro presso un bel fontanile mentre il secondo si trova dopo ulteriori 50 km al termine della terza ascesa, poco prima di Potenza.
Superato il capoluogo lucano il gruppo prosegue lungo la via Appia fino al bivio per Grassano dove è posto l’ultimo ristoro. Gli ultimi 35 km scorrono via veloci, grazie ad una generosa brezza, fino a Matera, l’affascinante città dei “sassi”.

19 aprile 2016 (Matera – Bari 130 km)
La tappa odierna è corta (130 km) ma si parte comunque alle 7.30 per non rischiare di perdere il traghetto a Bari.
Le montagne appenniniche sono finite e il paesaggio è dominato dagli oliveti e dall’infinità di muretti a secco che caratterizzano la Puglia.
Il primo ristoro è posto ad Alberobello dove i ciclisti, una volta rifocillati, visitano il Trullo Sovrano, l’unico a due piani.
A Conversano il vice presidente dell’Audax Randonneur Italia, Carlo Sulas, ha allestito un ottimo pranzo a base di orecchiette pugliesi ed altre prelibatezze presso il negozio di bici Cyclon Store.
Si riparte ben rifocillati da Conversano e, poco dopo, si avvista l’Adriatico. Gli ultimi chilometri scorrono via rapidi sul lungomare fino all’ingresso del porto di Bari.
Espletate le operazioni di imbarco, alle 19.30 la nave salpa verso la Grecia. Domani sera saremo ad Olimpia.
20 aprile 2016 (Patrasso – Bari 111 km)
Si sbarca a Patrasso, ben riposati, alle 12.30 e, dopo un pranzo a buffet nell’unico punto all’ombra dell’area portuale, si inizia a pedalare sulle strade greche dapprima sul lungomare e poi su una strada a scorrimento veloce poco trafficata e con una piacevole brezza alle spalle.
Alle 17.30 si arriva, non senza emozione, ad Olimpia.
La cittadina è letteralmente invasa da atleti, delegazioni dei vari comitati olimpici nazionali e da tantissimi turisti in attesa dell’accensione della fiaccola olimpica fissata per le dodici di domani.
21 aprile 2016 (Olimpia – Levidi 100 km)
È il gran giorno! A mezzogiorno, nell’antico stadio di Olimpia, inizierà la cerimonia di accensione della torcia olimpica.
Con largo anticipo ci sistemiamo, sotto un sole implacabile, sulle tribune d’erba dello stadio destinate al pubblico. Il colpo d’occhio è emozionante. Sull’altro lato dello stadio sono disposti centinaia di ragazzi con le bandiere di tutte le nazioni aderenti al CIO mentre all’interno della pista si trovano le delegazioni ufficiali invitate alla cerimonia.
Alle 12.00 in punto, dopo l’alzabandiera, iniziano i discorsi del presidente del CIO, Thomas Bach, e dei presidenti dei comitati olimpici brasiliano e greco. Segue una suggestiva coreografia ispirata ai riti sacri in onore di Zeus, a cui erano dedicati i Giochi Olimpici, che culmina con l’ingresso nella stadio di una sacerdotessa in costume d’epoca portatrice del sacro fuoco di Olimpia.
La sacerdotessa accende la torcia del primo tedoforo che da il via alla lunga staffetta che si concluderà il 5 agosto nello stadio Olimpico di Rio de Janeiro sede dei XXXI Giochi Olimpici dell’era moderna.
Finita la cerimonia pranziamo in hotel e alle 14.45 partiamo alla volta di Levidi: 100 km con 2.000 metri di dislivello.
La strada, pressoché deserta, sale progressivamente attraversando piccoli paesini con paesaggi che ricordano le nostre Alpi. Poco dopo il primo ristoro, 45° km, il furgone con tutti i bagagli e le vettovaglie inizia ad avere problemi meccanici con repentini cali di potenza che ne ritardano di molto l’arrivo nel bellissimo hotel di Levidi dove molti ciclisti attendono pazientemente le valigie per potersi cambiare.

22 aprile 2016 (Levidi – Atene 185 km)
Partenza da Levidi alle 7.45 con una temperatura assai prossima allo zero. La discesa iniziale crea ulteriori problemi ai ciclisti. Per fortuna dopo una decina di chilometri si inizia a salire per l’ultima asperità della ciclopedalata e così ci si scalda un po’.
Il clima in corsa è festoso e rilassato e si giunge rapidamente al ristoro di Nemea dove alcuni, approfittando della sosta, visitano lo stadio assai ben conservato.
Oramai siamo giunti in pianura e iniziamo ad attraversare centri abitati sempre più grandi e trafficati fino a Corinto dove, subito dopo il ponte sull’istmo, è allestito il secondo ristoro di giornata. Ad attenderci c’è anche il furgone riparato in una locale officina.
Gli ultimi ottanta chilometri verso Atene corrono lungo la costa con bellissime vedute sul mare e sulle numerose isole.
L’ultima sosta si effettua presso il monastero di Dafni, alla periferia di Atene. I ciclisti procedono, quindi, nel traffico verso l’arrivo.
Alle 17.30, con il capitano Nunziato in testa, facciamo l’ingresso trionfale sulla pista nera dello stadio Panathenaico che nel 1896 vide la rinascita dei giochi olimpici e nel 2004 il trionfo di Stefano Baldini nella maratona olimpica.
Al termine della solita infinità di foto con tutti gli sfondi possibili ed immaginabili c’è un breve scambio di doni con una funzionaria dell’HOC (Hellenic Olympic Committee) che dona a ciascun partecipante un interessante libro sullo stadio Panathenaico.
Con un ultimo sforzo carichiamo le biciclette sul furgone e poi andiamo in hotel per il meritato riposo ed un’indimenticabile cena sul roof garden con vista sull’Acropoli illuminata.
Il dopo cena è dedicato ai bilanci finali, alla consegna dei diplomi e alla presentazione della ciclopedalata del 2017 che si svilupperà da Roma a Berlino passando per Wittenberg, in Sassonia, ove il 31 ottobre 1517 il monaco agostiniano Martin Lutero affisse sulla porta della cattedrale le celebri 95 tesi contro la vendita delle indulgenze dando, di fatto, l’avvio alla Riforma Protestante.

Andrea Perugini

stadio dei marmi - alcuni partecipanti alla ciclopedalata

stadio dei marmi – i partecipanti alla ciclopedalata

SENTIRE L’ARTE: Itinerario Petre e Mare, di Francesco Piccolo

Autore: Francesco Piccolo

“Assorbito nella contemplazione della bellezza sublime, la vedevo da vicino, la toccavo per così dire. Ero giunto a quel livello di emozione, dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un tuffo al cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”(Stendhal, “Roma, Napoli, Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria”)

Sebbene non totalizzante come per Stendhal, anche la nostra fruizione dell’Arte si configura come esperienza che sedimenta a lungo in noi stessi e di conseguenza, ci modifica.
Infatti, al ritorno da un viaggio particolarmente coinvolgente, ci si sente cambiati poiché, quando si è visto il mondo, non lo si può più ignorare.
Siamo certi però, che sia necessario “vedere”?

Il vasto quadro legislativo e normativo asserisce che una persona con disabilità, ipovedente nello specifico, ha il diritto di fare turismo; tuttavia è prassi consolidata delimitare piuttosto marcatamente e strettamente l’ambito del tour. Infatti, se da un lato le specifiche disposizioni rendono accessibili alcuni ambienti, ciò che spesso viene a mancare è la possibilità di esperire non la singola opera o monumento, ma l’intero contesto culturale entro cui l’opera d’arte si inserisce.

L’obiettivo che ci si propone con il progetto Sentire l’Arte è offrire strumenti utili a chi voglia organizzare itinerari turistici che restituiscano a non vedenti ed ipovedenti un’idea olistica dei luoghi visitati superando, ove possibile, anche l’assenza dei tradizionali ausili (mappe a rilievo, segnali e piste tattili).

Con profonda umiltà ma altrettanta determinazione, si è scelto di preparare un itinerario di prova nella città di Gallipoli. Le guide sapevano di non dovere raccontare e descrivere l’Arte, ma farla esperire. Del tutto consapevoli che, ponendosi tra la Città e il Turista, operavano come filtro ed amplificatore esse hanno scelto di preferire alla neutralità, qualità sacrificabile in un contesto artistico, l’autenticità del loro coinvolgimento, qualità apprezzabile sia nell’opera che nella esperienza che di questa viene fatta.
Il primo passo è stato interrogarsi sulla matrice culturale della città di Gallipoli, per poi redigere un identikit che andasse dai luoghi, ai sapori, ai suoni, ai profumi specifici di questa terra. Delineato il percorso/esperienza da offrire si è affrontata la sfida più ardua: attuarlo. La competenza implementata è stata quella creativa.
Ogni singola attività è stata testata su volontari. Ultimato l’itinerario lo si è ulteriormente testato su un gruppo di altri 10 partecipanti volontari, vedenti ed ipovedenti. Ai vedenti è stato chiesto di indossare occhialini oscuranti a schermo totale. Accompagnato da due guide abilitate il gruppo si è mosso dalla zona portuale, luogo di incontro, e attraversando il vecchio mercato del pesce ha raggiunto il fossato del Castello angioino. Qui il primo contatto con la pietra. Il tema del percorso infatti è sintetizzato dal titolo stesso: “petre e mare”.
La perla dello Jonio è una piccola isola di pietra calcarea erosa dal mare e dal vento. Questa è l’aspetto che si è scelto di vivere. Introducendo la storia del luogo e il tipo di percorso si è data una padella con coperchio. La forma tonda richiama le mura cittadine, il pomo del coperchio allude alla struttura bizantina del borgo dove sul punto più alto c’è il tempio. Il manico è il ponte che collega alla terra ferma.
Dal fossato del castello si è giunti ai suoi portali, a ridosso del mercato coperto di fine ‘800. Un tempo cuore pulsante della città; ora è il suo salotto e centro di promozione culturale. Qui il primo incontro con i sapori locali e l’artigianato. Le guide hanno utilizzato il dialetto per interagire con i pescatori, gli artigiani, i ristoratori, per rendere gli ospiti partecipi dei suoni della città. Procedendo per la via principale, è stato dato un avviso quando si passava affianco alle mura della Cattedrale e dell’Episcopio. Il tempo trascorso per giungere dal fondo alla facciata già restituisce un’idea delle dimensioni.
La visita in Basilica ha riservato le sorprese maggiori.
Grazie all’ausilio di un’applicazione gratuita per smartphone ed iphone sono stati consegnati file multimediali ai singoli partecipanti:
– ci si è trovati testimoni del rito greco ortodosso come il fonte battesimale in marmo e legno attesta;
– catapultati nel chiostro delle Clarisse mentre si canta alla Martire Agata, come commento al quadro posto sull’altare del braccio sinistro del transetto;
– trasportati da Scarlatti tra le nuvole di un dipinto di 100 mq di cui si è calcato il perimetro e drammatizzato il contenuto.
Dal punto di vista tattile un triangolo ha reso lo schema prospettico dei quadri del Coppola, un ostensorio ha suggerito la composizione pittorica del San Sebastiano del Malinconico, il pizzo macramè ha restituito la ricchezza esasperata del Barocco leccese e un filato di pasta spiegato l’andamento di una colonna salomonica.
Le pietre, il carparo e la leccese bianca, esplorate in blocchi grezzi e lavorati.
L’olfatto ha commentato l’altare maggiore in marmo policromo e racchiuso in una nota salmastra l’imponenza dell’intero complesso architettonico.
La percezione posturale ha chiuso questo momento richiamando alla mente che, uscendo da quel luogo, ci si poneva in una nicchia proprio come i santi sulla facciata.
Dal punto più alto del percorso, per altra via, attraversando il resto della città, si è raggiunto il luogo dove pietra e mare si incontrano: la spiaggetta della Purità.
Complice il sole del pomeriggio che dona tutto il suo calore prima di sparire tra le onde, i partecipanti hanno potuto toccare ciò che resta della “petra” di cui Gallipoli è fatta: sabbia finissima. Un canto popolare ha calato il sipario su questo racconto di una città fatta di vento, di pietra e di mare; tra il fragore delle onde, col sole in fronte, protetti dalle mura e dai bastioni alle spalle.

I commenti e le valutazioni raccolte al termine del percorso tramite questionario sono incoraggianti. Alla domanda “l’itinerario proposto le ha descritto, anche a grandi linee, l’identità dei luoghi visitati?” tutti hanno detto “sì” motivando la scelta e apprezzando il ricorso alle tecniche d’impatto e ai contenuti multimediali. Alla richiesta “ dal punto di vista emotivo come ha trovato questa esperienza?” è stato risposto: mistica; coinvolgente; affascinante; insolita; trasportata in altra dimensione; intensa; rilassante; piacevole; sensoriale; molto forte; emozionante; bella.
Siamo molto soddisfatti di questo risultato e tuttavia consapevoli del lavoro che ha richiesto.
Nondimeno si rafforza in noi la convinzione che percorrendo le differenti vie sensoriali si possa giungere a quella percezione sincretica del singolo manufatto e dell’ambiente prossimo ed esteso entro cui esso si inserisce. Tuttavia senza una traccia emozionale tale vissuto non troverebbe duratura collocazione nella memoria, e di conseguenza l’esperienza dell’opera d’arte, dello specifico monumento, dell’intero itinerario andrebbe fallito. Da qui l’attenzione sull’aspetto essenziale del vissuto esplorativo/turistico: il dato emotivo.
Sebbene non sia l’estraniamento stendhaliano quello che si cerca nondimeno esso rappresenta la deriva di un sano ed emozionante stupore che rende possibile il passaggio dall’accessibilità, garantita dalle norme e dalle infrastrutture, alla reale fruizione dell’opera d’arte e quindi all’esperienza estetica.

Francesco Piccolo

Psicologo, ideatore responsabile del progetto Sentire l’Arte

 

“A” di Antonio Petrianni 28 maggio ore 18.30

Aus + Galerie
presenta
inaugurazione 28 maggio ore 18.30
ingresso libero
“La ricerca di ciò che abbiamo perduto riparte…”
“Il ricordo diventa morte e si rigenera come rimembranza del cieco.”
L’artista
Antonio Petrianni nasce a Latina nel 1975. Ha frequentato l’accademia di belle arti di Roma. Gli artisti che più hanno inciso sul suo percorso sono Antonin Artaud e Samuel Beckett nel teatro, e il dadaismo come avanguardia. La sua scelta professionale è stata dettata dall’amore per l’immagine. Oggi è un video editor affermato, scompone e ricompone immagini. Il suo percorso artistico si sviluppa proprio intorno a questa grande passione, l’ immagine.
L’immagine in tutte le sue forme.
Dedizione, cura, ricerca costante. Creare storie. Distruggerle e ricrearle, nuove o solo diverse. Ispezionare, comprendere l’immagine ed accettare i suoi suggerimenti.
Nascono da qui i lavori di videoart e cinema sperimentale, esposti presso le gallerie d’arte Macro Future, Romberg, Raccolta Manzù, Museo Duilio Cambellotti, Antiquarium Civico del Procoio.
Oggi lo vediamo esporre un progetto che si distingue da tutti gli altri, per mezzi e per spunto creativo. “A” ha cominciato a prendere forma nel 2014. Un libro in braille, dove l’immagine è dichiaratamente una geometria, un punto, un elemento estraneo a nessuno.
Il progetto artistico “A”
In principio la percezione viene deviata dalle leggi geometriche.
L’abitudine si tramuta in metodo e il pregiudizio prende il sopravvento.
Non siamo più in grado di “vedere” ma solo guardare, analizzare, risolvere.
Inizia la scomposizione dello spazio fino al punto geometrico.
Il progetto nasce dalla necessità di recuperare uno spazio sentimentale ormai calloso.
La ricerca di ciò che abbiamo perduto riparte quindi da qualcosa di irrazionale e incalcolabile.
Verso il passato il punto diventa elemento base del Braille (oltre che della geometria), riponendo le speranze in una lettura scevra dalla vista. Le fotografie sono punti confusi dove il problema non è più creare le immagini e men che meno interpretarle, ma accettarle. Per il non vedente le figure diventano porzioni ruvide di silenzio, tra le immagini mentali dei testi. Il ricordo perduto diventa morte e si rigenera come rimembranza del cieco.
Nel futuro la più piccola frazione temporale, incalcolabile, diventa mezzo di ricerca sentimentale e di riabilitazione alla capacità di “vedere”.
ufficio stampa: Beatrice D’Errico
mob.+ 39 349.7870254
beatrice.derrico@yahoo.it
Aus + Galerie
via Satrico 6, Latina
ingresso libero
inaugurazione il 28 maggio ore 18.30
su prenotazione dal 29 maggio al 26 giugno
per prenotazioni ausgalerie@gmail.com
mob. (+39) 338.27.09.409

BXC: La pioggia protagonista a Firenze!

Si è svolto parzialmente, questa domenica a Firenze 15 maggio, il secondo turno dell’Intergirone del XX Campionato Italiano di Baseball per Ciechi.
In mattinata la Fiorentina BXC ha vinto 8 a 3 contro i Thunder’s Five Milano.
La pioggia non ha permesso lo svolgimento degli altri due incontri, Thunder’s Five Milano – Roma Allblinds e Lampi Milano – Fiorentina BXC, che verranno recuperate prossimamente.
Classifiche
Girone Ovest
1. Lampi Milano punti 8 (4-0-3) – media 571
2. I Patrini Malnate 9 (4-1-3) – 563
3. Thunder’s Five Milano 6 (3-0-3) – 500
4. Tigers Cagliari 2 (1-0-3) – 250
Girone Est
1. Fiorentina BXC punti 15 (6-1-0) – media 938
2. BolognaWSCvinta 6 (2-2-4) – 375
3. Blue Fire Cus Brescia 4 (2-0-4) – 333
4. Allblinds Roma 2 (1-0-4) – 200

Fispic, i giovani al centro del progetto

Il primo stage era avvenuto cinque mesi. Da allora i ragazzi dell’Under 22 di Goalball hanno compiuto enormi progressi nella pratica di questo sport. Era il mese di dicembre quando a Bologna si tenne il raduno promozionale (primo in assoluto riservato solo ai giovani) che ha portato alla costituzione della Nazionale italiana Under 22. In Emilia sette ragazzi si allenarono per due giorni agli ordini di Francesco Gaddari, Responsabile Tecnico Nazionale Goalball, e del Preparatore Atletico Dario Merelli. Da quel giorno i ragazzi dell’Under 22 hanno lavorato per migliorarsi e lo scorso week end hanno esordito nel campionato italiano. Non sono riusciti a vincere le prime partite, ma c’è grande ottimismo in ottica futura. La costituzione della nazionale giovanile, oltre a rappresentare una grande opportunità di socializzazione, è un effetto concreto (e positivo) delle misure approvate lo scorso novembre dal Consiglio Federale per diffondere la pratica sportiva. La Fispic pone i ragazzi al centro del progetto. Attraverso il ringiovanimento delle nazionali si sta dando nuova linfa alle società. Dopo il Goalball, è stata la volta del Calcio a 5 B1 Under 22 con il primo raduno promozionale, al quale hanno partecipato cinque giovani atleti che ora si stanno inserendo nella Nazionale maggiore. A breve toccherà anche alle altre discipline: la Fispic punta sui giovani pensando al futuro.

Roma, 12 maggio 2016

Ufficio Stampa
F.I.S.P.I.C. Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi
Via Flaminia Nuova n. 830 – 00191 Roma – ITALIA
Giovanni Tontodonati
Tel : + 39 393.4423474
fax: +39  06 87973177
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La FISPIC è la Federazione Sportiva Paralimpica cui il CIP, Comitato Italiano Paralimpico, ha demandato la gestione, l’organizzazione e lo sviluppo dell’attività sportiva per ipovedenti e ciechi. La FISPIC raggruppa le discipline del goalball, del torball, del calcio a 5 B1 e B2/3, dello judo e dello showdown.

Una data da ricordare, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

L’11 maggio 1976 il Parlamento “restituiva” ai ragazzi con disabilità visiva il diritto all’inclusione nella scuola di tutti, un diritto che gli era stato loro “scippato” da due leggi: quella che nel 1952 statizzava le scuole elementari per ciechi e quella che nel 1962 istituiva la scuola media unica. La prima prevedendo che i ciechi dovevano assolvere all’obbligo scolastico nelle apposite scuole speciali, impediva, contrariamente a quanto previsto dalla riforma Gentile, che essi potessero frequentare, a partire dalla quarta elementare, le scuole comuni. La seconda, estendendo l’obbligo fino a 14 anni, li costringeva a frequentare anche le nuove scuole medie speciali, nate dalla trasformazione delle precedenti scuole speciali di avviamento professionale.
Questo rende evidente come la frequenza degli alunni con disabilità visiva nelle scuole speciali fino al termine dell’obbligo scolastico, non sia stato il frutto di una riflessione tiflopedagogica, ma sia stata piuttosto motivata dalla necessità di salvaguardare strutture e interessi diversi.
A questa situazione si ribellarono, a partire dai primi anni ’70, alcuni genitori Spezzini, seguiti da altri (Torinesi, Bergamaschi e Veneti e via via, di altre regioni), che, seppure non sempre appoggiati dalle locali sedi dell’U.I.C.I., ottennero che i loro figli fossero accettati nelle scuole comuni per l’assolvimento dell’obbligo. Nasceva così, all’interno dell’Unione, quel movimento che avrebbe lottato per ottenere di nuovo il riconoscimento del diritto all’inclusione scolastica degli alunni con disabilità visiva, quel diritto che Augusto Romagnoli nel 1925 aveva voluto per loro a partire dalla quarta elementare e che leggi motivate più dalla salvaguardia delle istituzioni che dalle ragioni pedagogiche avevano loro sottratto. La legge 360, promossa da una parlamentare Bergamasca, che prima come assessore all’istruzione di quella provincia aveva avuto modo di verificare l’efficacia dell’inclusione scolastica per i ragazzi con problemi di vista, fece giustizia dello scippo, restituendo loro il diritto alla frequenza nella scuola di tutti, precedendo di un anno quella che sarà la legge che sancirà il diritto all’inclusione nella scuola dell’obbligo per tutti i disabili.
Purtroppo, il modo con cui, a partire da questo momento, verrà realizzato il modello di inclusione, non terrà conto di uno dei due “pilastri” sui quali la 517 fondava il processo di integrazione: lo sviluppo di un “contesto inclusivo”, ma si limiterà a fare affidamento unicamente sul docente di sostegno e ciò favorirà il progressivo disimpegno degli insegnanti titolari e l’ampliarsi della “delega” del disabile al sostegno. Inoltre, anche in considerazione della modesta percentuale di disabili visivi (meno del 2%) sul totale degli alunni disabili, il modello di inclusione e la formazione dei docenti, focalizzandosi sulla disabilità intellettiva, terranno sempre meno in conto le specificità della minorazione visiva. Questi i principali punti di debolezza di un modello di inclusione, che, per quanto riguarda l’istruzione dei disabili visivi, ha sicuramente la necessità di essere rivisto.
Tuttavia questo non giustifica certo le “nostalgie” di chi evoca un ritorno alle scuole speciali: l’inclusione dei disabili nella scuola di tutti è un principio della cui validità tutti sono convinti, tanto che il nostro sistema inclusivo è all’attenzione delle agenzie formative di tutta l’Europa, e non solo, e sempre più nazioni stanno aprendo i loro sistemi scolastici all’inclusione dei disabili.
Per quanto riguarda i ciechi poi, come abbiamo visto, non si tratta che di tornare ai principi del fondatore della tiflologia che sostenne, sin da principio e nonostante si fosse in un contesto socioculturale in cui l’analfabetismo era ancora molto diffuso, che i nostri ragazzi potevano frequentare le normali scuole sin dalla quarta elementare (ovviamente senza docente di sostegno).
Quarant’anni di integrazione scolastica ci hanno insegnato che per una reale inclusione questo modello che è passato a fornire agli alunni con disabilità visiva da meno di 13 ore medie settimanali dei primi anni 90, le attuali 25 ore medie settimanali di sostegno (tra scuola e a casa), non è servito a migliorarne il processo di inclusione, né serve pretendere per loro il rapporto uno a uno: è dimostrato che non è l’aumento delle ore di sostegno ad elevare il livello qualitativo dell’inclusione. Ciò che serve è un “contesto inclusivo” in grado di mettere i ragazzi nelle condizioni di seguire autonomamente le lezioni, un contesto capace di offrire, attraverso una “rete organizzata” tra territorio e scuola, servizi di formazione e sostegno specializzati e di qualità che rendano i docenti titolari “capaci” all’insegnamento dei ragazzi con disabilità, fornendo loro gli strumenti perché essi riescano ad interagire positivamente con lui. Un contesto in cui vi sia chi sappia: comprendere gli aspetti critici dello sviluppo psicomotorio in assenza della vista e suggerire come si faccia a superarli con successo; chiarire gli aspetti specifici della percezione della realtà in mancanza della vista; valutare la funzionalità del residuo visivo in relazione al lavoro didattico e/o professionale; insegnare come si educa un minorato della vista alla “lettura” delle rappresentazioni grafiche bidimensionali (grafici, piantine toponomastiche e cartine, disegni in rilievo, ecc.); indicare quando è indispensabile l’insegnamento del metodo Braille, piuttosto che quali siano i sussidi per gli ipovedenti per rendere autonomo il bambino con disabilità visiva nella letto-scrittura; illustrare quali siano gli accorgimenti ed i sussidi per rendere efficace la didattica in presenza di un cieco assoluto e/o di un ipovedente grave; insegnare l’uso del PC con le periferiche assistive (screen reader, display Braille, sofware ingrandenti, ecc.); individuare i giochi idonei al bambino con gravi problemi di vista; indicare quali siano le opportunità di accesso all’informazione (quotidiani e riviste on line accessibili, biblioteche digitali, audiolibri, ecc.); suggerire come si “adatta” un testo di scuola primaria o un testo letterario o scientifico affinché il privo della vista o l’ipovedente lo possano utilizzare appieno; far capire come insegnare la musica a chi non riesce a leggere lo spartito; spiegare quali siano le possibilità di orientamento, mobilità e di autonomia personale raggiungibili alle diverse età e nelle diverse situazioni da chi ha problemi di vista; valutare l’idoneità di una situazione di lavoro e la sua adattabilità al cieco o all’ipovedente. Tutto questo può sembrare un’utopia, ma può diventare realtà se si riesce a mettere “in rete” tutte le capacità e le risorse oggi presenti, ma scoordinate tra loro, è questa la nuova sfida che l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e gli enti ad essa collegati: Federazione delle istituzioni pro Ciechi, Biblioteca Nazionale per Ciechi, I.Ri.Fo.R. e IAPB, vogliono affrontare con la creazione di un network per gli studi tiflodidattici e tiflopedagogici.
Occorre invece fuggire da coloro che, viceversa, vorrebbero nuove scuole speciali per ciechi, e che, sfruttando il malcontento di quei genitori che, lasciati soli e avendo trovato docenti di sostegno impreparati, temono per il futuro dei propri figli, offrono loro questa come soluzione, illudendoli che in tal modo i loro problemi saranno risolti.
Certe nostalgie non hanno senso nel momento in cui la pedagogia internazionale riconosce che l’inclusione scolastica è il modello educativo più valido e, a maggior ragione, esso lo sarà per quei disabili che da sempre, prima che altri interessi gliene scippassero il diritto, sono andati a scuola con i loro compagni vedenti.