Contributi dei lettori: Candidature annunciate e candidature pensate, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Il pre congresso in questa occasione è iniziato con grande anticipo a seguito delle forzate dimissioni di Tommaso Daniele.
A circa un anno dal congresso abbiamo già due candidati ufficiali e chi sa quanti in potenza.
A mio avviso, per esempio, l’avvocato Colombo, con la sua iniziativa comunicativa, ha mostrato la sua intenzione di succedere al suo corregionale Daniele.
A cosa sarebbe servito altrimenti il suo auto elogio che ci ha raccontato le sue innumerevoli iniziative?
Per fortuna che abbiamo un così grande lavoratore altrimenti l’unione potrebbe chiudere.
Mi chiedo, se tutte quelle cose le svolge l’avvocato Colombo, gli altri componenti della direzione cosa fanno per giustificare il loro incarico?
Sappiamo con certezza che vi sono in direzione persone altrettanto impegnate che lavorano senza sventolare ai 4 venti il loro impegno. Sappiamo anche che gli altri membri della direzione o dell’I.Ri.Fo.R. non sono neppure comandati presso l’I.Ri.Fo.R. dal Miur.
Scusate ma a me piacerebbe che si agisse apertamente e che i nostri soci avessero chiaro che battaglia si combatterà al prossimo congresso.
Siamo sicuri che questa modalità di procedere non nuoccia all’associazione anche nella dura trattativa con governo e parlamento?
Inviterei Colombo e quanti altri, legittimamente, pensino di competere per i ruoli direttivi di farlo apertamente e con una proposta politica.
Io ho da tempo detto che se ci sono le condizioni mi candiderò per il consiglio nazionale ma che mi piacerebbe potermi occupare di I.Ri.Fo.R. e quindi continuare il lavoro che ho appena iniziato grazie alla direzione nazionale che mi ha scelto per questo ruolo.
Direi che ci dovremmo impegnare affinché nel prossimo consiglio nazionale e nella prossima direzione vi sia tanta aria nuova con persone e progetti innovativi.
Scusate la franchezza ma io sento che nella nostra compagine associativa non si respira una bella aria e mi piace segnalarlo perché spero di contribuire a fare chiarezza. Proprio in tema di chiarezza, ci siamo sempre chiesti come mai il centro di documentazione giuridica sia stato affidato alla federazione pro ciechi ma il responsabile è sempre l’avvocato Colombo.
Mi chiedo, e molti come me lo fanno: “l’Unione eroga ancora un contributo alla federazione per questo servizio?” Non si tratta di una procedura che è servita a risolvere la questione della incompatibilità tra dirigente associativo e compenso per un servizio?
Forse tutto è svolto con regolarità ma non sarebbe meglio che dirigenti e soci fossero informati?
Io da socio e da dirigente, vorrei conoscere quello che accade nella realtà associativa per poter scegliere con maggiore cognizione di causa nelle prossime occasioni di voto.

Massimo Vita
presidenteuicsi@gmail.com

Una bussola per orientarsi- La creatività: un aiuto contro la disabilità, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

Rubrica per genitori.
In questo numero, parleremo di “creatività” e di come essa può essere un valido aiuto contro la disabilità e, conseguentemente, come possa contribuire ad elevare l’autostima ed il livello di benessere psico-fisico dei bambini e dei ragazzi ciechi e ipovedenti.
Lo scopo di queste pagine è quello di stimolare una riflessione sulla creatività e su come essa possa aiutare le persone con disabilità-specie quelle più giovani-a superare i limiti che ancor oggi ostacolano la piena espressione delle proprie potenzialità nella costruzione dei personali progetti di vita e lo farò partendo dalla definizione del termine “creatività”.
La “creatività” è la “virtù creativa, capacità di creare con l’intelletto, con la fantasia. In psicologia, il termine è stato assunto a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell’ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze”. Da questa definizione, tratta dal vocabolario on line Treccani, si desume la prima informazione importante: la creatività è una “capacità”, quindi un’attitudine che può essere appresa, non dipendente esclusivamente dalla genetica (i geni, infatti, non sono capaci di gestire i cambiamenti fisici e mentali che si manifestano nell’arco di una vita).
Nel pensiero comune, la creatività è una qualità ad appannaggio di pochi (artisti, inventori, designer) e vengono definiti “creativi” idee ed atteggiamenti semplicemente diversi, strani, bizzarri o trasgressivi, sovrastimandone la componente di novità e sottostimando, se non addirittura ignorando, caratteristiche rilevanti come l’efficacia e l’adeguatezza, in assenza delle quali non è possibile definire pensieri e comportamenti come davvero creativi. recentemente, si è arrivati persino ad utilizzare l’aggettivo “creativo” in un’accezione negativa, per etichettare soluzioni tanto spettacolari quanto discutibili (ad es. finanza creativa).
Non trattandosi semplicemente di una dote innata, bensì di una capacità, la creatività è un qualcosa che va coltivato, sviluppato e fatto crescere sfruttando tutte le opportunità e le casualità offerte da un ambiente adeguato: in termini di sviluppo della creatività, dotazione genetica ed ambiente interagiscono costantemente, compensando o accentuando le reciproche influenze, sia in senso positivo che negativo.
La creatività, quindi, è la capacità di sfruttare la plasticità del cervello per rispondere alla complessità degli eventi, mettendo in funzione le molteplici ed articolate funzioni intellettive di cui ciascuno è geneticamente dotato. Come un blocco di marmo prende la forma pensata dalla creatività dello scultore, così il cervello umano può essere potenziato da noi stessi, migliorando coscientemente le funzioni intellettive, ed acquisendo in tal modo un benessere derivante dalla fiducia nelle proprie naturali capacità creative.
Essere creativi non significa solo inventare qualcosa di nuovo o essere originali per forza, ma essenzialmente significa trovare soddisfazione nell’utilizzare al meglio le potenzialità di sviluppo del proprio cervello.
La creatività è uno stile di pensiero che si esprime in processi mentali caratteristici. Procede essenzialmente per associazioni tra idee, concetti, fatti, e dà origine a idee e concetti nuovi, invenzioni, scoperte: quindi a risultati tanto originali quanto efficaci.
L’intuizione che la creatività sia uno stile di pensiero, che deriva da un altrettanto specifico atteggiamento mentale e comportamentale, nasce agli inizi del Novecento (i primi studi importanti sul fenomeno risalgono agli anni ’20).

Quando ci si trova di fronte ad un problema, ad una difficoltà o, più in generale, ad una situazione che esige una soluzione e, per qualsiasi motivo, ci si trova nell’impossibilità di agire in conformità con il comportamento adottato dalla maggioranza delle persone, ci si blocca e si esclude l’esistenza di risposte alternative (o si ha paura di metterle in atto perché diverse da quelle normalmente adottate. Il pensiero ed il comportamento umano, infatti, nella maggior parte dei casi, è guidato da quello che J.P. Guilford (1950) definì “pensiero convergente”.
Il pensiero convergente consiste essenzialmente nel riconoscere e riprodurre una sola possibilità di soluzione giusta. Il “pensiero divergente”, al contrario, si muove in più direzioni e porta a molte soluzioni individuali tra cui quella universalmente definita come “la risposta corretta” non rappresenta che una delle strade possibili. Adottare un pensiero divergente corrisponde quindi alla possibilità di generare idee nuove, indipendenti, originali e per nulla scontate. Alcuni studiosi hanno approfondito il legame sottile che unisce il pensiero divergente alla creatività umana.
L’uso del pensiero divergente-definito anche “pensiero laterale” o “processo analogico”-può aiutare l’individuo, e in particolar modo il bambino, ad ampliare e a promuovere la propria creatività. Le “persone creative” sono quelle che manifestano ingegno, che riconoscono nessi generalmente trascurati ed ignorati, che propongono soluzioni insolite ai soliti problemi.
Secondo il medico psicologo Edward De Bono, è consigliabile adottare un atteggiamento volto a utilizzare in modo sinergico e complementare il pensiero laterale al fine di riconoscere e modificare i criteri e le idee dominanti: esse, infatti, polarizzano la percezione di un problema, impedendo di cercare nuovi punti di vista per valutarlo; in questo modo non è possibile rendere più flessibile il controllo rigido del pensiero logico-lineare e, di conseguenza, si frena lo sviluppo della creatività.
Pensare in maniera “creativa” vuol dire farsi domande e affrontare problemi o quesiti a partire da solide conoscenze , ma adottando nuove prospettive, con l’obiettivo di trovare soluzioni innovative ed efficaci qualsiasi sia l’ambito di applicazione. Questo stile di pensiero si esprime in un processo che ha andamenti non sempre lineari, e consiste nel raccogliere, selezionare e riconfigurare le informazioni necessarie tra tutte quelle disponibili, individuando connessioni utili a generare conclusioni nuove.

La creatività è quindi un’abilità trasversale, non limitata a un singolo settore privilegiato dell’attività umana, ma che, al contrario, può essere applicata a campi diversi (arti, scienze, tecnologia, impresa): in quest’ottica, si può definire la creatività come La qualità alla base dell’attitudine umana di adattarsi alle circostanze e di adattare le circostanze a sé…ed è qui che il tema della creatività si intreccia con quello della disabilità.

Al fine di riflettere sul legame tra creatività e disabilità, dopo aver già definito la prima, ritengo utile dare una definizione della seconda.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) definisce la disabilità come “qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”. Da tale definizione si desume che la disabilità non è un indicatore oggettivo, ma che, al contrario, varia da soggetto a soggetto: ad una stessa menomazione-quindi ad uno stesso danno organico-possono corrispondere livelli differenti di disabilità.
Una persona portatrice di una menomazione fisica o sensoriale ha sicuramente dei limiti oggettivi, il suo livello di disabilità dipenderà dalla sua capacità di superare ed aggirare tali limiti.
Per illustrare meglio questo concetto utilizzerò un esempio: una persona cieca assoluta che desidera leggere un libro. Per una persona vedente questa è un’operazione semplice-è sufficiente che lo vada a comprare o lo prenda in prestito, lo apra ed inizi a sfogliarlo-, ma per le persone non vedenti la faccenda si complica, la versione cartacea è inaccessibile (limite oggettivo) e, per soddisfare il proprio desiderio, dovranno necessariamente trovare un modo per superare tale inaccessibilità. Mettiamo a confronto tre ipotetiche persone, tutte ugualmente cieche, e constatiamo come, in presenza del medesimo deficit sensoriale, il loro livello di disabilità sia differente: l’individuo A è in possesso di un lettore MP3, sa utilizzare il computer con sintesi vocale, ma non ha uno scanner, non sa navigare in internet e non conosce il braille; l’individuo B conosce il braille, sa utilizzare il computer, ha uno scanner…e ha anche uno smart phone; l’individuo C non ha né le competenze né gli strumenti che hanno A e B. Valutando il livello di disabilità di questi tre soggetti sulla base di quanto sono limitati nell’attività della lettura, si può osservare che: il soggetto A sarà meno disabile di C, ma più di B, in quanto ha più possibilità di leggere un libro di quanto non abbia C (potrà ascoltarlo mediante il lettore MP3 oppure leggerlo grazie al computer sia in formato audio che testo), ma ha meno possibilità di quelle che ha B, il quale, in aggiunta, può anche procurarsi un volume in braille, scaricare autonomamente gli audiolibri da internet, digitalizzare autonomamente il libro cartaceo e può anche acquistare l’ultimo best seller con lo smart phone); il soggetto C, infine, come unica possibilità, ha quella di chiedere ad un’altra persona di leggere per lui, ma ciò limita fortemente la sua libertà di leggere, in quanto deve, innanzitutto, trovare chi è disposto a farlo, stare ai suoi tempi ed orari, senza dimenticare che un essere umano si affatica e ad un certo punto deve fare una pausa (che magari, potendo leggere autonomamente, C non farebbe).
Può sembrare strano parlare di creatività riferendosi alla lettura di un libro, ma quando tale attività, a causa di un deficit visivo, diventa un problema, la creatività è quella abilità che consente ad una persona cieca o ipovedente di non fermarsi di fronte all’impossibilità di leggere un libro semplicemente sfogliandolo e che le permette, invece, di soddisfare il proprio desiderio di leggere, al pari delle persone vedenti intorno a lei (anche se con qualche difficoltà in più).
La lettura di un libro è una difficoltà relativamente semplice da superare, per la quale non è necessaria una grande creatività, ma ci sono tante tante altre attività della vita quotidiana che per un individuo con un deficit fisico e/o sensoriale rappresentano dei problemi, che vanno ad inficiare la qualità della sua vita, abbassando il livello di autostima e di benessere psico-fisico.
E’ per tali situazioni che il pensiero creativo può costituire un valido aiuto ed è per questo che è importante promuovere la creatività nelle persone con disabilità, soprattutto nei bambini e nei ragazzi.
Favorire lo sviluppo della creatività di queste persone significa dare loro uno strumento per superare i propri limiti o, quanto meno, per aggirarli e ciò, come già detto, si ripercuote positivamente sul livello di autostima e sul benessere.
La creatività è uno stato mentale che, se esercitato nella ricerca di soluzioni per problemi di piccola entità, potrà diventare l’atteggiamento abituale con cui affrontare tutte le difficoltà della vita.
Essere in grado di non fermarsi davanti alle difficoltà, individuando soluzioni efficaci per superare gli ostacoli nei quali ci si imbatte quotidianamente (ed una persona cieca o ipovedente si scontra spesso con mille di queste difficoltà), oltre a consentire di portare a termine ciò che si deve o che si desidera fare, fa sì che ci si senta meno lontani dalle persone che si hanno intorno e ciò permette di vivere meglio la propria diversità.
Più si è creativi, più numerose saranno le occasioni in cui si riesce a risolvere efficacemente un problema, dando origine ad un circolo virtuoso che contribuirà a far aumentare la fiducia in se stessi e migliorerà il proprio stato di benessere generale.

A questo punto, dopo aver visto come la creatività possa aiutare a ridurre la disabilità e, conseguentemente, quanto sia importante promuoverne lo sviluppo in coloro che hanno una disabilità fisica e/o sensoriale, vediamo ora cosa si può fare in concreto.
Innanzitutto, è essenziale comunicare sicurezza e fiducia a coloro che manifestano un particolare grado di pensiero divergente, perché solo così si creeranno i presupposti sociali per lo sviluppo del pensiero creativo.
Il bambino che saprà di potersi rivolgere ad un adulto disponibile ad accoglierlo quando è minacciato dalla pressione sociale del gruppo, sarà un bambino che accetterà la propria creatività come costruttiva e positiva, e non come qualcosa di sbagliato che lo isola dagli altri.
Un educatore che sceglierà di esercitarsi nell’utilizzo di quello che è stato definito pensiero divergente, sarà un educatore in grado di fornire risposte comunque corrette, ma più adeguate ai livelli evolutivi dei bambini, poco scontate e più originali, più insolite e… meno noiose. Utilizzare il pensiero divergente significa accogliere in maniera non giudicante le idee e le soluzioni del bambino, per quanto esse possano essere bizzarre e stravaganti, senza riportarlo per forza su di un piano di realtà. Questo modo di agire permette al bambino di sentirsi libero di esprimersi, senza avere paura della disapprovazione dell’adulto e ciò lo aiuterà ad aumentare la fiducia in sé stesso.
In questi ultimi passaggi, ho parlato sempre di “bambino”, ma lo stesso vale anche per i ragazzi un po’ più grandi (preadolescenti ed adolescenti), che sentono maggiormente la pressione del gruppo (che acquisisce un’importanza crescente nella loro vita), iniziano a prendere consapevolezza della propria condizione e che, essendo in fase di costruzione della propria identità, hanno un estremo bisogno di sperimentarsi e di acquistare fiducia in se stessi.

Dott.ssa Katia Caravello
Psicologa-Psicoterapeuta. Opera in Lombardia nell’area della disabilità visiva, lavorando con ragazzi ciechi e ipovedenti e con i genitori. Componente del Gruppo di Lavoro per il Sostegno Psicologico ai Genitori dei ragazzi ciechi e ipovedenti.
e-mail: caravello.katia@gmail.com

Una bussola per orientarsi- Sviluppo nel non vedente, di Roberta Zumiani

Autore: Roberta Zumiani

Rubrica per genitori.

In questo numero, la dott.ssa Roberta Zumiani -psicologa della Cooperativa Sociale IRIFOR del Trentino- tratterà il tema dello sviluppo del bambino con nulla o ridotta capacità visiva.
Nel seguente articolo andiamo ad affrontare il tema della funzionalità visiva e lo sviluppo armonico in un bambino non vedente.
Con il termine non vedente indicherò di seguito sia il bambino cieco che ipovedente.
Nello specifico tratteremo la tematica dello sviluppo, evidenziando brevemente quanto la componente visiva incida sulla raccolta ed elaborazione delle informazioni visive e quale ricaduta la mancanza di tali feedback visivi possano avere sul bambino non vedente.
In particolare, in mancanza (o in presenza di una forte riduzione) della componente visiva, quali sono gli atteggiamenti che la famiglia deve assumere per fornire al bambino non vedente tutte quelle informazioni e quegli stimoli, che stanno alla base dello sviluppo dello stesso.
Il blocco dello sviluppo in un’area, infatti, se prolungato nel tempo e se si è in presenza di un ambiente sociale e famigliare che poco si adatta ai bisogni specifici del bambino non vedente, può compromettere l’intero sviluppo armonico dello stesso.
L’80% delle informazioni del modo esterno sono di tipo visivo. La vista è l’organo della sincresi, cioè permette di rielaborare anche le informazioni che derivano da altri apparati sensoriali e le fa proprie, per una risposta immediata. Per esempio se vedo un tavolo già posso dire se è fatto di legno, se è pesante, se è freddo… quindi attraverso l’atto del vedere posso raccogliere informazioni velocemente e che dipendono dagli altri sensi (tatto, olfatto, propriocezione, udito). Attraverso la vista e i continui feedback con il mondo esterno il bambino normalmente fa esperienza attraverso i 5 sensi e poi raccorda tutte queste esperienze ed impara a leggerle e categorizzarle in un codice visivo che fa sincresi di tutte le altre esperienze sensoriali.
L’attivazione cognitiva avviene per il 60% attraverso stimoli visivi, in tal senso si dice che lo sviluppo della funzione visiva è alla base della strutturazione psichica della persona.
Già dagli studi di J. Piaget (1972) emerge come lo sviluppo proceda a stadi.
La neuroscienza ha dimostrato, negli ultimi decenni, come apprendimento e maturazione biologica procedano con un andamento a spirale nello sviluppo dell’uomo.
La MATURAZIONE BIOLOGICA è un fenomeno caratterizzato in senso biologico e riguarda le strutture di cui un soggetto è dotato fin dalla nascita.
L’APPRENDIMENTO è definito come un qualcosa che il bambino ricava dal funzionamento delle proprie strutture biologiche.
A questi due processi, per lo sviluppo della persona va aggiunto un terzo elemento fondamentale, l’AMBIENTE.
L’ambiente interagisce influenzando lo sviluppo biologico e l’apprendimento, grazie alla tipologia degli stimoli permette di accelerare o di bloccare lo sviluppo del bambino.
Si pensi ai bambini che non possono ricevere stimoli e sollecitazioni positive in quanto vivono in orfanotrofio, il loro sviluppo può anche subire un blocco, che può comportare poi seri problemi anche a livello cognitivo.
Entrando nello specifico nel tema della funzionalità visiva e sviluppo è importante sapere che la funzione visiva non rappresenta una componente innata ma, il sistema visivo si sviluppa ancora dopo la nascita.
È il sistema più immaturo al momento della nascita, il bambino non coordina ancora gli occhi e riesce a mettere a fuoco ad una distanza di soli 20-30 cm (distanza seno-volto). E comunque gli stimoli visivi che gli pervengono non hanno per lui ancora alcun senso, in quanto non riesce a dar loro alcun significato, manca l’esperienza!
Questo ci dice come la VISTA rappresenti solo una componente sensoriale del circuito visivo.
Mentre la più complessa funzione visiva comprende anche fenomeni PERCETTIVI, GNOSICO-PRASSICI e COGNITIVI. Nel processo del vedere quindi è il nostro cervello che percepisce l’oggetto, attraverso un complesso meccanismo di memoria, confronto, relazione e fantasia. Il vedere deve essere appreso fin dalla prima infanzia.
Quindi la vista è espressione funzionale dell’occhio, organo di senso, mentre la funzione visiva esprime l’attività di numerose strutture neuronali e, studi recenti, hanno dimostrato l’importanza della funzione visiva nella strutturazione delle funzioni neuropsichiche.

Con i lavori di J. Piaget (“La nascita dell’intelligenza nel fanciullo”, 1972) si inizia a documentare l’esistenza di vari stadi all’interno dello sviluppo infantile. Inizia ad emergere l’idea di maturazione biologica distinta da apprendimento, ma comunque unite tra di loro. La maturazione, infatti, è un fenomeno caratterizzato in senso biologico, poiché riguarda la struttura di cui un soggetto è dotato fin dalla nascita. L’apprendimento invece è definibile come qualcosa che il bambino ricava dal funzionamento delle proprie strutture biologiche e che, a sua volta, orienta il funzionamento delle strutture stesse. Quindi tutti i settori dell’evoluzione si sviluppano con un andamento a spirale, in cui i fenomeni maturativi sono seguiti da fenomeni di apprendimento e viceversa.
In questa chiave di lettura manca ancora però la DIMENSIONE AMBIENTALE, elemento che va ad influenzare l’evoluzione del bambino. Cioè la maturazione e lo sviluppo di una persona dipendono anche dagli stimoli che riceve nell’ambiente in cui vive. Stimoli eccessivi possono bloccare lo sviluppo di un bambino quanto la mancanza di stimoli.
Entrando un po’ più nello specifico dello sviluppo psicologico e cognitivo del bambino non vedente è fondamentale tenere a mente che la grave disabilità visiva congenita o precoce interferisce su numerose aree di sviluppo perché la funzione visiva è uno strumento di interazione con la realtà privilegiato rispetto ad altri canali sensoriali sia per le sue caratteristiche funzionali sia per la precocità dei suoi processi di sviluppo (M. Cannao).

Quindi il canale visivo ha un ruolo fondamentale per un adeguato sviluppo cognitivo.
Le abilità cognitive si sviluppano nei primi anni di vita attraverso un confronto attivo del bambino con il mondo materiale, sociale e spaziale.
Lo sviluppo cognitivo è un processo composto dal cogliere un’informazione, elaborarla ed agire attivamente.
È attraverso l’esperienza corporea e la propria fisicità che il bambino entra in contatto con il mondo esterno e impara a conoscere le cose, gli oggetti che lo circondano e attraverso la vista il bambino fa memoria e coordina tutte le esperienze.
Grazie alla manipolazione degli oggetti può costruirsi anche l’idea di permanenza dell’oggetto (il biberon è sempre lo stesso che lo prenda in mano vuoto o pieno, che lo ruoti in senso orario o antiorario), e questa continua interazione tra bambino e mondo esterno sta alla base dello sviluppo cognitivo. Grazie alla vista, infatti, il bambino è motivato a ricercare il giochino e a tentare di afferrarlo, e questo aspetto influenza apprendimenti non solo sul piano del movimento ma anche sul piano del coordinamento occhio-mano e sul piano cognitivo. Il bambino durante la manipolazione del gioco cerca di capire a cosa serve, come si usa, e, in questo modo, si attivano processi di memoria, ricercando il confronto con altri giochini simili.
La “percezione” è il processo mediante il quale traiamo informazioni sul mondo nel quale viviamo.
Non si tratta di una semplice registrazione passiva dei messaggi che l’ambiente invia agli organi di senso, ma dell’elaborazione cognitiva dei dati sensoriali, mediata dall’esperienza diretta e dall’ambiente.
Non è facile distinguere, in questo processo, dove finisce il versante sensoriale e dove iniziano le competenze cognitive.
Per giungere alla conoscenza quindi un bambino deve anche costruirsi la capacità mentale di comprendere la permanenza dell’oggetto. Cioè un oggetto continua ad esistere anche se momentaneamente non lo vede o non lo ha in mano.
Nel bambino normovedente tale capacità compare verso i 6-7 mesi e questo gli permette di fare tutta una serie di inferenze oltre a rassicurarlo, ad esempio, rispetto all’imminente ricomparsa della madre dopo brevi momenti di distacco. La permanenza dell’oggetto è alla base dello sviluppo affettivo di una persona.
Un bambino che ci vede può tranquillamente, seduto sul suo seggiolone, seguire i movimenti della madre, che entra ed esce dalla stanza. Un bambino non vedente, mancando il feedback visivo, ha più difficoltà e impiegherà più tempo per poter comprendere che la madre continua ad esistere anche se non lo tiene direttamente in braccio! Sicuramente un modo efficace per aiutare un bambino non vedente a costruirsi il concetto di permanenza dell’oggetto è permettergli di seguire gli spostamenti, ad esempio, della madre, che continua a parlare da una stanza all’altra. Questo semplice accorgimento permette al bambino di sentire ininterrottamente la voce della madre che si allontana e si avvicina durante le sue faccende domestiche. L’azione ha due valenze positive, da una parte permette al bambino di costruirsi nuove strutture cerebrali che supportano l’idea di permanenza dell’oggetto, dall’altra permettono al bambino e alla madre di fare un’esperienza positiva di separazione e di identificazione, che sta alla base della costruzione dell’identità.
Altro aspetto fondamentale per promuovere lo sviluppo armonico della persona è la componente fisica. La conoscenza dello schema corporeo e il movimento sono anche alla base dello sviluppo cognitivo.
È importante quindi facilitare la competenza motoria anche nel bambino non vedente, nonostante la fatica e l’inevitabile frustrazione che inizialmente genitori e bambino dovranno vivere assieme. Il movimento è uno dei primi stimoli che permette di sviluppare le basi dell’intelligenza, base per i futuri apprendimenti cognitivi. Mentre un bambino normovedente, grazie agli stimoli visivi, è più stimolato a muoversi e a padroneggiare con lo sguardo lo spazio intorno a sé, un bambino con una grave minorazione visiva tende a rimanere fermo nella posizione in cui viene messo e non ha motivo per iniziare il movimento. Fondamentale in questo frangente risulta l’intervento dell’adulto, che lo stimola, attraverso la voce, attirando l’attenzione del bambino e facendo rumore con il gioco. La palla sonora con cui gioca ad un certo punto smette di fare rumore e il bambino non sa che la palla continua ad esistere, e non ha ancora sviluppato le basi necessarie per orientarsi dove la palla potrebbe essere rotolata, quindi non si muove, aspetta. Imparare a leggere i segnali che il bambino invia è importante per poterlo stimolare nella maniera più adeguata, rispettosa dei suoi tempi, ma cogliendo anche la naturale spinta evolutiva innata che appartiene ad ogni bambino, cioè quella curiosità verso il mondo, che fa parte dell’essere bambino.
Spesso i genitori faticano a leggere i segnali di attività del proprio piccolo non vedente (per esempio con uno stimolo uditivo la reazione del bambino è quella di girare l’orecchio verso il suono, quindi allontana lo sguardo; i genitori pensano che non sia interessato all’oggetto e lo mettono via, invece di porgerglielo).
Altro aspetto che caratterizza i bambini non vedenti è il ritardo che si può riscontrare ache grandi ritardi sull’elaborazione mentale dello spazio, in modo particolare possono avere difficoltà sul concetto di spostamento dell’oggetto nello spazio. Infatti, a differenza dei bambini normovedenti che possono controllare l’oggetto nella posizione di partenza, l’oggetto in movimento ed infine nella posizione di arrivo, il bambino non vedente ha il solo controllo dell’oggetto nella posizione di partenza e talvolta in quella di arrivo.
Un ritardo nello sviluppo motorio di 2-5 mesi è nella norma per un bambino non vedente. L’importante è che i genitori non manchino di stimolare adeguatamente il bambino, perché ci sia la voglia, la curiosità e il piacere del gioco.
Lo sviluppo percettivo e cinestesico è un altro elemento fondamentale per rendere un domani autonomo il bambino non vedente.
In questo caso è fondamentale essere consapevoli che il livello di organizzazione delle percezioni tattilo-cinestetiche è inferiore rispetto a quello delle percezioni visive. L’esiguità del campo di apprendimento tattile, il suo carattere successivo e frammentario, la necessità di una sintesi finale per ricostruire gli oggetti nella loro totalità, rendono difficili l’apprendimento delle relazioni spaziali e la strutturazione dei dati percepiti. Si dice che la persona non vedente scopre il mondo palmo a palmo, un pezzo alla volta, con tempi più lunghi e con una più elevata attenzione e concentrazione. Questo comporta che l’apprendimento attraverso modalità tattile non può rimanere un atteggiamento passivo, ma ha bisogno di essere continuamente e costantemente riattivata attraverso i movimenti di spaziatura dei recettori, in quanto la percezione tattile si smorza facilmente.
Perché il bambino cieco possa essere curioso e quindi motivato a toccare ed esplorare il mondo circostante (spazio-stanza, oggetti), è molto importante che l’adulto lo aiuti e lo guidi a conferire sostanzialità fisica alle sollecitazioni uditive!

Nell’acquisizione del linguaggio si rileva un ritardo significativo in presenza di una minorazione visiva più legata alla ricerca del significato delle parole, anche se non vi è ritardo nella produzione del linguaggio.
La visione rappresenta il mezzo più diretto e precoce per la costruzione di una funzione simbolica e quindi per favorire lo sviluppo del linguaggio.
Il bambino deve essere in grado di costruire una rappresentazione mentale di un oggetto prima di potersi riferire a questa immagine mentale con una parola. Le parole sono simboli, immagini mentali. Risulta quindi fondamentale poter far esplorare l’oggetto anche tattilmente al bambino non vedente, in modo che possa costruirsi un’immagine mentale globale dell’oggetto e fare una sincresi delle sue caratteristiche principali. Per esempio la palla, non è solo un suono, un rumore di rimbalzi, ma è anche sferica, ha un suo volume, un peso e una texture che la caratterizzano. Inoltre il poterla maneggiare, il poterci giocare permette al bambino non vedente di categorizzare l’oggetto in base alle caratteristiche per la funzionalità del nome “palla”.
Normalmente nel bambino non vedente si presentano difficoltà nell’uso corretto di pronomi personali e possessivi, legato proprio alla mancanza del feedback visivo. Questo gap si colma normalmente verso i 5 anni.
Particolare attenzione invece va posta all’uso del linguaggio ecolalico, cioè la ripetizione vuota di parole o frasi.
I bambini non vedenti rimangono a lungo con giochi che si riferiscono al proprio corpo o con una manipolazione ed esplorazione indifferenziata degli oggetti.
Il bambino non vedente apprende le informazioni dall’ambiente attraverso l’uso dei sensi vicarianti. Non può ricorrere alla strategia imitativa, tipica modalità di apprendimento del bambino normovedente. Quindi il tatto e la percezione aptica rappresentano le modalità privilegiate per pervenire alla costruzione di nuovi concetti, ma occorre anche il contributo degli altri sensi ed in particolare dell’udito.
L’esplorazione dell’ambiente attraverso il tatto è un’esplorazione lenta, limitata, legata alla motricità fine, alla capacità di coordinazione, alla bimanualità, tappe che maturano in tempi diversi.
Per aiutare un bambino non vedente nello sviluppo è necessario stimolare la prestazione motoria con strategie specifiche.
Incentivare il bambino alla verbalizzazione delle esperienze, stabilire in modo chiaro e preciso i punti di partenza e di arrivo di ogni percorso da eseguire, iniziare l’attività in ambiente protetto e soprattutto motivare il bambino al compito, presentando il compito in modo giocoso e divertente. Ma deve essere divertente sia per il bambino sia per l’adulto, perché l’apprendimento passa soprattutto attraverso la relazione!
Per permettere al bambino non vedente uno sviluppo armonico l’ambiente famigliare deve migliorare le competenze sensoriali, psicomotorie e neuropsicologiche del bambino promuovendo lo sviluppo dei canali sensoriali residui e, come detto prima, la curiosità nei confronti della realtà che lo circonda.

Dott.ssa Roberta Zumiani
Psicologa della Cooperativa Sociale IRIFOR del Trentino e
Componente del gruppo di lavoro per il Sostegno Psicologico per i Genitori dei ragazzi ciechi ed ipovedenti

Una bussola per orientarsi- Il percorso di attenzione precoce: primi passi con mamma e papà, di Elena Mercuriali e Paola Caldironi

Autore: Elena Mercuriali e Paola Caldironi

Rubrica per genitori

Come anticipato in occasione della pubblicazione dell’intervista alla dott.ssa Paola Caldironi (direttrice della Fondazione Robert Hollman), con il suo aiuto e quello della dott.ssa Elena Mercuriali (psicologa del Centro di Padova e referente per il percorso di attenzione precoce), proseguiamo la nostra conoscenza del Centro di Padova e, in particolare, di ciò che viene fatto per e con i genitori.

Per l’impostazione teorica adottata dalla Fondazione Robert Hollman, sia presso il Centro di Padova che presso il Centro di Cannero Riviera, gli aspetti riabilitativi si inseriscono all’interno di un pensiero-progetto che pone grande attenzione agli affetti.
– Il lavoro sugli aspetti affettivo-relazionali funge da sfondo a qualsiasi attività e proposta per il bambino e la sua famiglia. L’accogliere e l’utilizzare gli affetti, anche molto intensi e dolorosi, che accompagnano le famiglie che arrivano da noi, ci aiuta a comprendere il contesto relazionale che quel bambino e quella famiglia vivono ed è lo sfondo all’interno del quale viene dato significato a ciò che succede tra bambino-genitori, bambino-operatori, genitori-operatori.
– A questo si lega l’attenzione posta sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino: sappiamo infatti che sui bambini che accedono in Fondazione grava lo spettro della chiusura psichica come risposta ad un mondo difficile da percepire, codificare e quindi da comprendere, ma anche come conseguenza di una relazione spesso difficile con i primi oggetti d’amore (i genitori).

Pur in una variabilità individuale, il nostro lavoro ci ha portato ad elaborare alcune riflessioni sulle dinamiche che spesso incontriamo nell’operare con le famiglie che giungono a noi. La diagnosi dell’avere un figlio con disabilità, infatti, mette in moto sul piano conscio e soprattutto inconscio dinamiche differenti di accettazione. I genitori vivono una ferita narcisistica accompagnata da un profondo senso di fallimento che comporta l’emergere di sensi di colpa, dovuti in parte all’aver generato quel bambino malato, e, in parte, all’ambivalenza dei sentimenti sperimentati verso di lui.
La malattia rende, inoltre, necessario un lungo percorso medico con interventi e ospedalizzazioni ed inevitabilmente scatta la necessità di delegare alle figure mediche prima, e riabilitative poi, la cura del proprio bambino, con un vissuto d’impotenza da parte dei genitori.

A tutto questo si aggiunge, soprattutto in caso di cecità, la difficoltà per i genitori di comprendere i flebili segnali del bambino, spesso amimico e poco espressivo, e di entrare in relazione empatica con lui, mancando il contatto oculare. Lo scambio degli sguardi rappresenta, infatti, nei primi mesi di vita, il principale canale di comunicazione affettiva tra mamma e bambino, nonché il mezzo fondamentale attraverso cui si attuano i processi di rispecchiamento e di sintonizzazione.
Il tempo, quindi, che intercorre tra la nascita e la comparsa del linguaggio, rischia di essere a volte un tempo vuoto di significato, in cui il bambino viene incontrato in modo intermittente e dove è intenso il dolore relativo alla mancanza dello scambio di sguardi attraverso cui trasmettere e cogliere le emozioni dell’altro.

Quindi, fattori aspecifici, legati al trauma della diagnosi, e specifici, legati alla grave ipovisione-cecità, travolgono e stravolgono la triade genitori-bambino, rubando a queste famiglie il tempo dell’incontro, del conoscersi e del riconoscersi, quel clima magico che si crea tra la mamma e il suo bambino appena nato. La sintonizzazione è compromessa, lasciando spazio al rischio che prevalga un’emergenza riparatoria per “aggiustare” il bambino “rotto” sia da parte degli operatori, che tendono a proporre fin da subito contesti riabilitativi a volte stressanti, sia da parte degli stessi genitori che rinunciano alla possibilità di scoprirsi, conoscersi e riconoscersi nel loro ruolo, proponendosi anch’essi con modalità “tecniche” (come riabilitatori, infermieri o quant’altro).

Questi traumi emotivi multipli spesso offuscano la mente dei genitori rendendoli vulnerabili e spaventati di fronte a sé e al loro bambino “rotto” e portandoli a focalizzare la loro attenzione sulla sua corporeità e fisicità piuttosto che sulle sue emozioni e stati d’animo. E’ quindi importante aiutarli a sentirsi competenti ed indispensabili per il proprio figlio, non solo in termini prettamente pratici (cure mediche, riabilitative, ecc.), ma soprattutto per la sua crescita psichica e relazionale, recuperando così il ruolo genitoriale.

Da qualche anno giungono in Fondazione bambini sempre più piccoli, grazie alla collaborazione con gli ospedali, per cui abbiamo la possibilità di osservare ed intervenire sulla relazione precoce madre-bambino, padre-madre-bambino, cercando di mettere a punto degli interventi che vadano a favorire l’incontro-contatto. A tal proposito è stato avviato presso la sede di Padova un progetto di intervento di attenzione precoce.

Il percorso di attenzione precoce offre ai bambini tra 0 e 24 mesi, con un importante deficit visivo, e ai loro genitori, un breve percorso di 5 incontri, ripetibili, con l’obiettivo di dare risposta ai loro bisogni specifici legati a questa fascia di età.
Il lavoro è condotto da una psicologa e da una terapista della riabilitazione.
La famiglia giunge al percorso attraverso l’equipe multidisciplinare del Centro che accoglie il bambino e i genitori in prima battuta per un inquadramento diagnostico funzionale globale e medico (oculistico e neuropsichiatrico).

– Il punto di partenza è l’osservazione degli aspetti sensoriali e neuro-psicomotori del bambino nella sua interazione sensoriale con il mondo esterno a sé. Si osservano così le sue competenze e preferenze sensoriali nella spontaneità, nel contesto strutturato e nel gioco guidato; si ricercano le situazioni posturali più idonee a favorire l’attenzione sensoriale e il tipo di ambiente e di materiali capaci di suscitare l’attivazione delle potenzialità visive e uditive. Si osserva quale può essere la dimensione plurisensoriale più idonea a far emergere l’iniziativa motoria del bambino, valutando le sue potenzialità e difficoltà nella tolleranza percettiva di cambiamenti posturali e nella tolleranza percettivo/emotiva nell’interazione con l’adulto.

– Parallelamente si cerca di sostenere l’avvio della relazione favorendo l’incontro-contatto mamma-bambino e papà-bambino e aiutando i genitori a prendere confidenza con i bisogni del loro piccolo promuovendo così un attaccamento “sufficientemente buono”.
I genitori non sono spettatori passivi all’interno di questo lavoro ma ne sono parte integrante. E’ importante, quindi, soprattutto nella fase iniziale, ricercare la sintonizzazione con loro per creare una buona alleanza di lavoro in cui siano chiari le finalità, le modalità e l’organizzazione della proposta, utilizzando linguaggi e materiali vicini alla loro quotidianità per consentire una facile comprensione e comunicazione, facendoli sentire a proprio agio e liberi di esprimersi.
Tutto ciò avviene in modo pratico, seduti insieme a pavimento, genitori, bambino, psicologo e terapista. Le parole possono così rafforzare il lavoro dell’operatore che guida con le proprie mani quelle della mamma nell’interazione col bambino, mostrando posture e stimoli che possono facilitare il suo benessere.
Tutto questo non sostituendosi ai genitori nella relazione con il bambino, ma cercando di restituire loro le proprie competenze genitoriali e aiutandoli ad utilizzare di nuovo la mente e a rimettere in moto le risorse.
Nel corso degli incontri ad esempio, ci si sofferma insieme a considerare e riflettere su come le ospedalizzazioni e gli interventi subiti dal bambino possano aver influenzato il processo fisiologico di attaccamento, come anche le competenze affettive dei genitori e del bambino stesso. Si osserva insieme come alcune esperienze possano più di altre far ritrovare una vicinanza e un contatto emotivo genitore-figlio, dal momento che quando il canale visivo è deficitario c’è comunque bisogno di attivare canali comunicativi vicarianti lo sguardo. Sempre insieme a loro si valutano tutte quelle situazioni che convogliano informazioni plurisensoriali di inequivocabile riconoscimento delle persone in “gioco” come l’odore, la vibrazione corporea all’emissione della voce, il contatto pelle a pelle, etc…
Si crea dunque uno spazio di ascolto e di sostegno per poterli aiutare a vedere il loro bambino, conoscerlo e riconoscerlo come proprio figlio, con i suoi limiti e le sue competenze, affrontando ciò che può ostacolare la sintonia con lui.

– Un altro aspetto importante, durante il percorso, è l’accompagnamento dei genitori nell’iter medico-diagnostico; ciò viene fatto sia concretamente entrando nelle visite mediche presso la Fondazione, sia fornendo uno spazio e un tempo per comprendere le informazioni diagnostiche formulate da medici esterni alla Fondazione stessa. Sappiamo infatti che può essere breve e definito il tempo della formulazione e della comunicazione della diagnosi, ma è invece molto lungo e variabile il tempo necessario ad elaborarla.

Nell’ultimo incontro viene restituita una sintesi del percorso fatto insieme: il livello di sviluppo del bambino e le sue modalità di funzionamento, i suoi punti di forza e le sue difficoltà, i suoi bisogni attuali. E’ un momento di sintesi e di riflessione, se possibile, senza il bambino, dove spesso emergono intense le emozioni e le preoccupazioni per il futuro.
In questa sede viene proposto ai genitori di proseguire il percorso nella modalità del piccolo gruppo con il Baby Massage e, successivamente, con il Germoglio dei Sensi (che si basa sulla ricerca delle situazioni plurisensoriali preferite dal bambino), ciascuno strutturato in 5 incontri. L’obiettivo è ancora, innanzitutto, il sostegno alla relazione, ma in una dimensione gruppale, con le sue particolari specificità. Il gruppo crea, infatti, la possibilità per le mamme e i papà di non sentirsi soli, di vedere che ci sono altri bambini nati con disabilità e di sentirsi compresi nella particolarità dei loro vissuti. Lo spazio del gruppo diventa quindi spesso momento di racconto reciproco, di espressione di emozioni positive e negative, e di costruzione di una rete. Infatti, a fine percorso, alcune famiglie si scambiano i loro recapiti e si incontrano al di là della frequenza in Fondazione.
Si tratta, quindi, di proposte finalizzate a creare un contesto non strettamente riabilitativo, dove il genitore possa trovare un suo modo di incontrare il bambino, vicariando l’assenza della vista. Lo si aiuta così a percepire i segnali del figlio sul piano senso motorio e ad attribuirvi un significato comunicativo, emotivo, relazionale, favorendo una possibilità di rispecchiamento.

Non è sempre facile proporre questo tipo di lavoro anche perché spesso le famiglie arrivano da noi con una pressante richiesta riabilitativa finalizzata a “riaggiustare” ciò che non va nel bambino; a volte, inoltre, sono poco disponibili e spaventati nel dover “mostrare” le loro difficoltà relazionali. E’ quindi un percorso che si costruisce gradualmente insieme, nel rispetto delle fragilità e delle risorse di ogni coppia genitoriale.

All’interno di questa attenzione all’ambiente affettivo-relazionale, laddove è necessario, devono poi collocarsi gli interventi tecnici-riabilitativi.

L’intervento infatti può sfociare in diverse soluzioni quali la trasformazione dell’intervento breve in una vera e propria presa in carico in Fondazione o la programmazione di incontri di monitoraggio periodici sull’aspetto visivo funzionale/oculistico e sugli aspetti dello sviluppo globale del bambino.

In conclusione, il nostro obiettivo è aiutare i genitori a scoprire che il loro bambino con problemi di vista è prima di tutto un bambino. Il genitore ha bisogno di essere aiutato a comprendere i messaggi del suo piccolo anche se flebili e insicuri, per poterne riconoscere le competenze. Questo lo rassicurerà e lo renderà più fiducioso nelle potenzialità evolutive del suo piccolo che, contemporaneamente, potrà rispecchiarsi in quell’immagine fiduciosa divenendo sempre più desideroso di esplorare, provare, capire.

Dott.ssa Elena Mercuriali
Psicologa della Fondazione Robert Hollman di Padova e referente per il percorso di attenzione precoce.
Dott.ssa Paola Caldironi
Direttrice Fondazione Robert Hollman

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Opere dei lettori: Storia di Belle, da cane guida a nurse per i vitellini, di Angela Mazzetti

Autore: Angela Mazzetti

Giovedì 16 ottobre la Giornata nazionale del cane guida. La sezione varesina dell’Uici regala una storia eccezionale per ricordare l’importanza di questi animali, spesso non abbastanza considerati

Sono nata a Carnago in una grande fattoria, da Tea, una splendida Collie che tanto assomigliava alla famosissima Lessie, insieme a ben 7 fratelli.
Abbiamo vissuto per due mesi tutti insieme con la nostra mamma; poi, uno dopo l’altro mi hanno lasciata sola. Arrivava infatti qualcuno che ci guardava, ci accarezzava e poi sceglieva chi portarsi via. Ero una bellissima cucciola, sapevo di essere intelligente, ma venivo regolarmente scartata. Rimasi così con mamma Tea e con gli altri cani della fattoria a vivere la mia vita, educata dai proprietari, ma soprattutto dalla mia mamma che non mi perdeva mai di vista e mi insegnava tante cose.
Ero vivace, curiosa, mi piaceva correre all’impazzata nel bosco, giocare a palla con i bambini, spingendola non con il muso, ma, come facevano loro, con i piedi, che per me erano le zampe.
Mi piaceva però più di tutto uscire dal grande cortile dalla parte della strada, una strada molto pericolosa, perché le macchine andavano a grande velocità; una volta che lo feci, rischiai di essere travolta e venni punita molto severamente, ma imparai ad obbedire. Vissi così per un anno. Venne una signora che mi coccolò per un poco, mi mise il guinzaglio e, insieme ai padroni mi fece fare un giro fino al bosco. Tornò altre volte e io mi chiedevo perché non mi portasse con sé. A farlo invece fu un signore che mi fece camminare al guinzaglio, disse che sarei diventato un “cane guida”, mi caricò su un pulmino e mi fece fare un viaggio che a me parve interminabile. Da quel momento in poi la mia vita fu davvero dura. Per tantissime ore della giornata rimanevo chiusa in un box; non più giochi spensierati ma esercizi prima a “corpo libero“ poi imprigionata dentro una “cosa“ che il mio addestratore chiamava guida. Mi facevano camminare attraverso strani labirinti, su e giù per scale e sopra un ponte ondeggiante. Finiti gli esercizi mi lasciavano passeggiare un poco nel parco e mi rimettevano dentro nella mia prigione. In seguito vennero esperienze ben più difficili: imbrigliata nella guida, fui portata sulle strade intorno alla scuola e nella città vicina.
Conobbi treni, la metropolitana e dovetti imparare a badare al movimento delle macchine prima di tentare un attraversamento, guidando il mio addestratore che simulava di essere non vedente. Di tanto in tanto ricompariva la signora che avevo conosciuto in fattoria. Mi coccolava, mi parlava, io le rispondevo leccandole le mani e facendole pipì sui piedi in segno di gioia. Divenni brava e sempre più sicura di me, anche se continuavo a non capire bene a che cosa servisse tutto quel lavoro. Lo compresi invece quando la solita signora venne, mi fece salire sulla sua macchina e mi portò a casa sua. Conobbi l’ascensore, non trovai il giardino però lei stava sempre con me, uscivamo insieme e dopo i primi giorni che servirono a farmi capire che dovevo obbedirle e non scappare (ma non ne sentivo più il desiderio), mi portò a correre nei prati e mi insegnò a girare per tutto il paese entrando nei negozi, frequentando la biblioteca e salendo sugli autobus e sui treni.
Furono anni proprio belli: la gente mi festeggiava, mi voleva bene ma soprattutto tra me e la mia padrona si era creato un rapporto di reciproca fiducia e affetto inscindibile. Non avevamo bisogno di parole, per capirci bastava un gesto ed entrambe capivamo come comportarci. Io mi sentivo responsabile, importante, ma sapevo di poterlo essere proprio perché era da lei che ricevevo indicazioni e sostegno. La sua fiducia era la mia sicurezza.
Insieme realizzammo progetti belli ed utili a tante altre persone. Passarono gli anni ed incominciai ad invecchiare: prima nei prati correvo e saltavo con la leggerezza e la grazia di un puledro, ma poi iniziarono le difficoltà. Mi accorsi di vederci poco e di perdere la memoria. Avevo 14 anni e quando ero libera facevo fatica a ritornare accanto alla mia padrona perché perdevo l’orientamento. Venni riportata alla fattoria della mia infanzia. Fu un grande dolore, ma per fortuna trovai un altro modo per essere utile, diventando la nurse dei vitellini a cui facevo compagnia e pulivo il muso dopo la poppata.
La morte mi ha colto nel sonno ed ecco il mio testamento: bisogna che ci siano tanti cani guida, perché danno autonomia alle persone che non vedono e gioia a noi. Dobbiamo però essere rispettati nel nostro lavoro e non, come troppo spesso accade, mandati fuori col nostro padrone dal ristorante, dal supermercato o dall’autobus. Non siamo degli intrusi e nemmeno dei giocattoli da incuriosire e coccolare. Siamo creature che hanno un lavoro e un dovere da compiere che non deve mai essere ostacolato.

Contributi dei lettori: La rivoluzione della normalità, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Cari amici,

non conosco personalmente Massimo Vita, ma da quello che scrive e che fa a Siena, non posso che ammettere che è davvero una bella “capa tosta!”
Anch’io, come lui, credo che la “vicenda” delle tante candidature al C.d.A centrale dell’Irifor sia una piacevole sorpresa e soprattutto la conferma che, al contrario di quello che si dice, all’interno dell’UICI ci sia invece tanta voglia d’impegnarsi attivamente, di metterci la faccia e cambiare realmente le cose.

E per far ciò, a mio modesto avviso, basta poco! E’ sufficiente, infatti, com’è avvenuto nella fattispecie per la sua nomina al Consiglio centrale dell’Irifor, fissare e stabilire nuovi e più trasparenti criteri di selezione e di nomina dei candidati ai “posti di comando” della nostra gloriosa associazione.

E’ questa l’assoluta novità che dovrà caratterizzare il presente ed il futuro prossimo della nostra Unione, a partire dal prossimo Congresso Nazionale. Anzi no, che dico, sin dai prossimi Congressi Provinciali!
Forse quello che sto scrivendo vi sembrerà rivoluzionario, ma diceva Osho che la “rivoluzione si fa con le piccole cose”!

Infatti, in un contesto democratico, e la nostra UICI è una grande organizzazione DEMOCRATICA, è assolutamente normale (e non rivoluzionario) che la scelta dei candidati, gli incarichi e le nomine si facciano sulla base di criteri di trasparenza, di merito e previa presentazione di curricula.

Ed è proprio quella di farsi paladino della “rivoluzione della normalità” la mission che, secondo me, deve perseguire e, nonostante tutto, ha già iniziato il nostro Presidente Nazionale Mario Barbuto.

La mia nomina nel C.d.A. della Federazione e quella di Massimo Vita nel Consiglio Centrale dell’Irifor sono già dei primi, ma importanti segnali di cambio di rotta e d’inversione di tendenza. A questo punto, a noi “giovani” dirigenti non resta che dirti: “Caro Presidente Mario, vai avanti così. Sappiamo che puoi farcela, vuoi farcela, devi farcela”!

A Massimo Vita formulo i miei più sentiti e fervidi auguri di buon lavoro.
Gianluca Rapisarda

Contributi dei lettori: Quando una carica è ambita, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Molto spesso, ho sentito dire che le persone disposte ad impegnarsi nelle vicende associative sono poche e di bassa qualità.
Le candidature pervenute per un solo posto nel consiglio di amministrazione dell’I.Ri.Fo.R. mi pare dimostrino il contrario.
La decisione della direzione di pubblicare le candidature e i relativi curricula, mi pare un’assoluta novità apprezzabile.
Bene sarebbe se si conoscessero in anticipo anche i criteri di selezione.
Io credo che a partire da questa occasione, si dovrebbero cercare di evitare i cumuli di cariche o incarichi.
So che mi farò dei nemici ma a mio avviso, vi sono almeno tre categorie di persone che dovrebbero cedere il passo:
i componenti della direzione, i componenti il consiglio nazionale, i presidenti regionali e i dirigenti della IAPB o di altri organi collaterali.
Non credo che si possano concentrare su una persona tante cariche e tante responsabilità.
Comunque a noi non resta che sperare.

Massimo Vita

Una bussola per orientarsi- La legge 104 del 1992 e il quadro dei diritti dei disabili e dei loro familiari -quarta parte-, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Rubrica per genitori.

Siamo arrivati all’ultimo appuntamento con l’avv. Colombo-responsabile del Centro di Documentazione Giuridica e componente della Direzione Nazionale dell’UICI-alla scoperta della legge 104 del 5 febbraio 1992 (Legge-quadro per l’assistenza , l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate): in questo numero l’autore ci parla del diritto di usufruire di un periodo di congedo straordinario per cura di familiari disabili.
CONGEDO STRAORDINARIO per cura di famigliari disabili
Il comma 2 dell’articolo 80 della legge Finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000 numero 388) prevede un nuovo congedo per motivi straordinari, ampliando quanto previsto dalla legge 53/00. Infatti all’interno della disciplina dei congedi per gravi motivi di famiglia ha introdotto un congedo straordinario con copertura economica e previdenziale per cura del famigliare disabile grave e gravissimo: i genitori lavoratori, anche adottivi (dopo la loro scomparsa o se totalmente inabili, uno dei fratelli o delle sorelle), conviventi da almeno cinque anni (requisito abrogato dalla Finanziaria 2004) con soggetti portatori di handicap in situazione di gravità hanno il diritto a godere entro 60 giorni dalla richiesta di un congedo retribuito per un massimo di due anni, alternativamente e in maniera continuativa o frazionata. Inoltre non può essere superata la durata, insieme ad altre aspettative, dei due anni, quale limite individuale complessivo fruibile per ogni lavoratore e quale soglia massima per ogni persona handicappata; pertanto durante il periodo di congedo entrambi i genitori (o eventualmente altra persona avente diritto) non possono fruire di altri tipi alternativi di assenza dal lavoro previsti per l’assistenza a handicappati (in particolare, se il congedo straordinario è utilizzato in una parte anche minima di un mese, in questo stesso mese non sarà possibile usufruire dei permessi di cui all’art. 33, comma 3, della citata legge n. 104 – Parere UPPA n. 1/07). Inoltre se si tratta di figlio minorenne è possibile fruire del beneficio anche se l’altro genitore non lavora, se invece il figlio convivente con entrambi i genitori è maggiorenne e l’altro genitore non lavora non è possibile ottenere il beneficio a meno che sia dimostrata l’impossibilità di prestare assistenza da parte del genitore che non lavora; se il richiedente non è convivente col figlio maggiorenne handicappato è necessario, ma per i -permessi-, che l’assistenza venga prestata in via continuativa ed esclusiva e nel nucleo familiare oltre al disabile non siano presenti altre persone che non lavorano e che siano in grado di prestare assistenza (presenza di un solo familiare affetto da grave malattia o più di tre minorenni o una persona di età superiore a 70 anni).
Con la lettera circolare lettera circolare del 18 febbraio 2010 prot. 3884 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la circolare n.32/2012 dell’INPS e la circolare n.1/2012 della FunzionePubblica, si fa un punto interpretativo sul concetto di convivenza, come richiesta in caso di congedo straordinario: “al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assistite abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi”.
Ricordiamo che il diritto al congedo straordinario è subordinato per tutti i soggetti legittimati al requisito della -convivenza- tranne che per i genitori (circolare n.1 del 3 febbraio 2012 punto 3 lett. a) della Funzione Pubblica).
In caso di part-time verticale la durata del congedo straordinario va conteggiata in misura proporzionale alle giornate di lavoro prestate a part time durante l’anno (Dipartimento della Funzione Pubblica nota 36667 del 12 settembre 2012).
La retribuzione del congedo è pari a una indennità corrispondente all’ultima retribuzione, mentre il periodo di assenza da un punto di vista previdenziale è coperto da contribuzione figurativa. Tuttavia, nel complesso, retribuzione e contribuzione non possono eccedere i 70 milioni di lire annui (INPS circ. 85/2002 e circ. 14/2007); questo limite viene rivalutato annualmente a partire dal 2002, in base all’indice ISTAT). Il congedo sarà retribuito direttamente dal datore di lavoro, il quale provvederà al recupero dell’indennità mediante conguaglio sul pagamento dei contributi dovuti all’ente previdenziale competente (*). L’accredito previdenziale non è più subordinato alla domanda dell’interessato (INPS ).
(*) Il Ministero del lavoro, con la nota numero 95 del 1 giugno 2006, chiarisce che la richiesta di congedo straordinario deve essere presentata all’INPS antecedentemente alla fruizione del congedo o, al massimo, entro la data di inizio dello stesso. La copia della domanda, restituita dall’INPS per ricevuta, va presentata al datore di lavoro per avere diritto al congedo e all’indennità, che sarà legittimamente portata a conguaglio coi contributi dal datore di lavoro. Il modello di domanda predisposto dall’INPS precisa che il datore è autorizzato al pagamento solo in presenza del timbro datario firmato dall’addetto dell’Istituto. Il termine prescrizionale di un anno, entro il quale il lavoratore può richiedere l’indennità spettante, è pertanto riferito all’indennità dovuta a seguito della regolare presentazione della domanda e decorre dal giorno successivo alla scadenza del periodo di paga nel corso del quale è ripresa l’attività lavorativa.
CONGEDO STRAORDINARIO PER L’ASSISTENZA FAMIGLIARI CON HANDICAP
Legge 23 dicembre 2000 numero 388 (Finanziaria 2001) art. 80 comma 2 A CHI SPETTA Alternativamente, alla lavoratrice madre o al padre lavoratore (o al fratello o sorella se i genitori seppur viventi sono totalmente inabili, al figlio convivente di un disabile gravequando non ci siano altre persone che possono prendersene cura), anche se adottivi del soggetto affetto da grave handicap. In caso di scomparsa dei genitori, a uno dei fratelli o delle sorelle dei soggetti con grave handicap purché conviventi, indipendentemente se l’handicappato sia maggiorenne o minorenne. La sentenza n.203/2013 della Corte Costituzionale(vedi anche INPS circolare n.159/2013) estende poi la possibilità del congedo straordinario anche a parenti e affini di terzo grado purchè conviventi, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla disposizione impugnata, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.
Se il figlio è convivente il congedo spetta al genitore che lavora anche se l’altro non lavora.
In precedenza era previsto anche in caso di non convivenza qualora l’assistenza fosse prestata in via esclusiva e continuativa (norma abrogata per il congedo straordinario e modificata per i -permessi- dall’articolo 24 della legge 183/2010) e se nel nucleo famigliare non fossero presenti altre persone non lavoratrici in grado di prestare assistenza con la eccezione quando nel nucleo familiare oltre al disabile fosse presente un solo famigliare affetto da grave malattia o più di tre minorenni o una persona di età superiore ai 70 anni (circolare INPS 133/2000 paragrafo 2.5 e Ministero del Lavoro interpello 4582/2006).
In particolare, coll’articolo 6 del D.Lgs.119/2011 viene precisato che al coniuge o al genitore della persona con handicap con oltre 65 anni può subentrare parente o affine entro il secondo grado. QUANDO SPETTA Per assistenza di soggetti con handicap in situazione di gravità, ossia affetti da minorazione, singola o plurima, che abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, accertata dalle apposite commissioni istituite presso le ASL. LE CONDIZIONI Possesso del diritto alla fruizione delle agevolazioni per la assistenza del figlio previste dall’art. 33 della legge 104/92 esuccessive modifiche.
La norma che prevedeva la convivenza con il soggetto affetto da handicap da almeno cinque anni è stata abrogata dall’art. 3 comma 106 della Finanziaria 2004 (legge 350/03).
Se il figlio minorenne è convivente spetta al genitore (o all’avente titolo) che lavora anche se l’altro non lavora; se non è convivente spettano solo i permessi se l’assistenza è prestata in via esclusiva e continuativa (norma abrogata dall’articolo 24 della legge 183/2010). QUANTO DURA Due anni complessivamente (tra tutti i soggetti fruitori come specificato nella circolare INPS numero 28/2012 punto 1.3 lett a)
Vedi anche Finanziaria 2007 comma 1266 e commi 789 e 790 e art. 42 del D.Lgs.151/2001 comma 5-bis come modificato dall’art. 4 del D.Lgs. 119/2011. QUANDO SI FRUISCE Entro 60 giorni dalla richiesta (modulistica 1 e 2). TRATTAMENTOECONOMICO Il congedo è retribuito con una indennità (che ha natura sostitutiva della retribuzione che il lavoratore avrebbe percepito dall’attività lavorativa se non fosse stato impedito dalla necessità di assistere un portatore di handicap) corrispondente all’ultima retribuzione ed è coperta per la pensione con contribuzione figurativa. Il tetto limite omnicomprensivo (anno 2001) è di lire70 milioni (€ 36.151,98) annui indicizzati annualmente (per il 2002 € 37.128,09; per il 2003 € 38.019,16; per il 2004 € 38.969,04; per il 2005 € 39.749,03; per il 2006 € 40.424,77; per il 2007 € 41.233,28 (nota operativa INPDAP n.3/2007 e circolare INPS n.83/2007), per il 2008 € 41.934,22 (nota operativa INPDAP n.2/2008); per il 2009 € 43.276,11; per il 2010 € 43.579,06 (circolare INPS n.37/2010); per il 2011 € 44.273,28 (messaggio INPS n.13013/2011, messaggio INPS n.14568/2011 e circolare INPDAP n.22/2011), per il 2012 € 45.468,66 , per il 2013 l’importo complessivo annuo e di € 46.472,15 con un importo massimo di 34.941 euro (circolare INPS n.47/2013) poi rettificato con circolare INPS 59/2013: importo complessivo annuo € 46.835,93 con un importo massimo di 35.215 euro e per il 2014 la retribuzione annua massima per il congedo straordinario ex articolo 42 comma 5 del DLgs 151/2010 è di € 47.351,00 (circolare INPS n.20/2014 punto 19 e n.44/2014).
Per assenze di durata inferiore il massimo indennizzabile viene proporzionatamente ridotto.
Per il calcolo di scorporo per l’accredito figurativo va fatto riferimento al contributo previdenziale del 32,70% (INPS cir. 14/2007). ASPETTI NORMATIVI Solo i permessi per l’assistenza ai disabili non incidono sulle ferie e tredicesima (Circolare Dipartimento Funzione Pubblica 8 marzo 2005 numero 208, lettera circolare del Ministero del lavoro 2 febbraio 2006, messaggio INPS 6 marzo 2006 numero 7014 e Informativa INPDAP numero 30/03). Infatti l’indennità per il Congedo straordinario non essendo una retribuzione non ha effetto sulla tredicesima mensilità, sulle ferie e neppure sul trattamento di fine servizio o fine rapporto (D.Lgs. numero 119/2011 art. 4 comma 5 quinquies) e neppure sulla anzianità di servizio (fatta esclusione quella ai fini pensionistici) limitatamente al settore privato.
In caso di part-time verticale la durata del congedo straordinario va conteggiata in misura proporzionale alle giornate di lavoro prestate a part time durante l’anno (Dipartimento della Funzione Pubblica nota 36667 del 12 settembre 2012). INCOMPATIBILITA’ Durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono usufruire dei benefici di cui all’art. 33 della legge n. 104/92 (art. 42, comma 5, TU).
Il congedo straordinario non può essere interrotto da altri eventi che di per sé potrebbero giustificare un’astensione dal lavoro. Solo in caso di malattia o maternità il lavoratore può scegliere se interrompere la fruizione del congedo straordinario; in tal caso la possibilità di godimento, in un momento successivo, del residuo periodo del congedo straordinario, è naturalmente subordinata alla presentazione di una nuova domanda.
Il diritto alla fruizione del congedo straordinario non può essere escluso, a priori, nei casi in cui il disabile svolga, per il medesimo periodo di congedo, attività lavorativa (Ministero del Lavoro – Interpello n. 30 del 6 luglio 2010). ASPETTI PENSIONISTICI
E PREVIDENZIALI Il periodo è coperto ai fini del trattamento di quiescenza da contribuzione figurativa nei limiti previsti dei 70 milioni di lire di indennità indicizzata annualmente (INPS circ. 14/2007).
Non sono valutabili ai fini del trattamento di fine servizio (indennità premio di servizio ed indennità di buonuscita) né del TFR (Circolare n. 11 del 12 marzo 2001 della Direzione Centrale Prestazioni Previdenziali, D.Lgs. n. 119/2011 art. 4 comma 5 quinquies).
Vedi anche Finanziaria 2007 commi 789 e 790, nota operativa 37/2007 e circolare 6 dell’ 8 aprile 2008 dell’INPDAP. ANZIANITA’ DI SERVIZIO Con circolare 2285/2013 il Dipartimento della Funzione Pubblicaprecisa che il Congedo Straordinario mentre per il settore privato è utile ai fini dell’anzianità per il diritto alla pensione e la sua misura (periodi con contribuzione figurativa) al contrario del settore pubblico ove la contribuzione è connessa alla retribuzione effettivamente versata dal datore di lavoro, non fa invece maturare l’anzianità di servizio e la connessa progressione economica in quanto va presupposta una attività lavorativa effettivamente svolta.
Secondo la Corte dei conti della Lombardia (parere numero 463 depositato il 18 luglio 2011) il diritto del lavoratore dipendente da pubblica amministrazione ad assistere un famigliare disabile, in presenza dei requisiti richiesti, non può essere limitato o legato da vincoli in materia di spese per il personale. Essendo il lavoratore titolare di un diritto potestativo alla concessione del congedo retribuito per l’assistenza a famigliare disabile, si deve prescindere dal fatto che gli oneri ricadano sulla pubblica amministrazione: i soggetti legittimati hanno diritto a fruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta, prescindendo dal piano contabilistico.
L’Amministrazione è tenuta solamente alla verifica del possesso dei requisiti richiesti per la concessione del congedo.
Va precisato che in passato, in base all’art. 42 della legge 151/2001, non era possibile, in relazione al figlio portatore di handicap, la fruizione contemporanea dell’astensione facoltativa da parte di un genitore e del congedo straordinario retribuito di 2 anni da parte dell’altro mentre, invece, era (ed è tutt’ora) prevista la possibilità che uno dei genitori fosse in congedo parentale (cfr. astensione facoltativa per maternità) e che l’altro godesse contemporaneamente dei permessi di cui alla legge 104/92 e precisamente dell’astensione facoltativa sino a tre anni, delle 2 ore di permesso giornaliero fino al compimento del terzo anno di vita del bambino e dei tre giorni di permesso mensile successivamente al terzo anno di vita del bimbo handicappato.
Ora col messaggio 22912/2007 l’INPS chiarisce che il congedo straordinario può essere concesso a un genitore nello stesso periodo in cui l’altro genitore fruisce del congedo di maternità o del congedo parentale per il medesimo figlio, essendo i benefici previsti in situazioni completamente diverse e non contemporaneamente tutelabili tramite l’utilizzazione di un solo istituto. Ovviamente permane l’impossibilità, da parte di entrambi i genitori, di fruire dei benefici di cui all’ art. 33 della legge 104/92 durante il periodo di congedo straordinario, trattandosi in tal caso, di benefici diretti al medesimo fine. Con la circolare INPS n.53 del 29 aprile 2008 l’INPS chiarisce inoltre che il congedo straordinario previsto dall’articolo 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001 è cumulabile con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge 104/92 purchè se, nello stesso mese, vengano fruiti in giornate diverse.
Al lavoratore dipendente, che si trova nella duplice qualità di soggetto esso stesso disabile e di familiare che assiste un disabile, è consentita la cumulabilità dei permessi retribuiti previsti dal comma 6 e 3, dell’art.33 della L. n.104/92, purchè il beneficiario sia nella condizione di soddisfare specifiche esigenze assistenziali al familiare portatore di handicap grave e non vi siano, nell’ambito dello stesso nucleo familiare, altri soggetti che usufruiscono dello stesso beneficio (Parere Uppa 185/2003). Di parere contrario al cumulo l’INPS (Circolare 37/1999)
La circolare INPS n.53 del 29 aprile 2008 abolisce l’obbligo di inoltro del programma di assistenza previsto per il richiedente i permessi previsti dalla legge 104/92 per chi risiede o risiede in luogo diverso da quello nel quale risiede il soggetto disabile, previsto dalla circolare 90/2007.
Ricordiamo che in base alla legge di riforma delle pensioni (legge numero 335 dell’8 agosto 1995) ai lavoratori titolari di futura pensione calcolata col metodo contributivo sono riconosciuti i seguenti periodi di accredito figurativo:
assenza dal lavoro per periodi di educazione e assistenza dei figli sino al sesto anno di età in ragione di 170 giorni per ciascun figlio
assenza dal lavoro per assistenza ai figli dal sesto anno di età, al coniuge, ai genitori (se conviventi) disabili (ex articolo 3 legge numero 104 del 5 febbraio 1992) per la durata di 25 giorni all’anno, nel limite massimo complessivo di 24 mesi
I riposi orari sino a un anno di età del bambino non sono quelli alternativi al prolungamento dell’astensione facoltativa, ma quelli così detti per l’allattamento. In particolare durante l’utilizzo di questi riposi orari da parte della madre, il padre può fruire del congedo parentale normale, al contrario l’utilizzo del congedo parentale normale della madre preclude la fruizione dei riposi orari da parte del padre. Tra il secondo e il terzo anno d’età del bambino, i riposi orari giornalieri diventano quelli alternativi al prolungamento del congedo parentale.
Il comma 1266 della Finanziaria 2007 ha aggiunto all’art. 42, comma 5, del D. L.vo n. 151/2001 concernente la tutela della maternità e della paternità un ultimo periodo (la disposizione riguarda i riposi ed i permessi relativi ai figli con handicap) di tale tenore: “i soggetti che usufruiscono dei permessi di cui al presente comma per un periodo continuativo non superiore a 6 mesi, hanno diritto ad usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco lavorativo, senza riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa”.
Pertanto, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, uno dei fratelli o sorelle conviventi di soggetto con handicap in situazione di gravità accertata ai sensi di legge e che abbiano titolo a fruire dei benefici relativi hanno diritto a fruire del congedo parentale entro sessanta giorni dalla richiesta.
Durante il periodo di congedo, il richiedente ha diritto a percepire un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa. L’indennità è corrisposta dal datore di lavoro secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. I datori di lavoro privati, nella denuncia contributiva, detraggono l’importo dell’indennità dall’ammontare dei contributi previdenziali dovuti all’ente previdenziale competente.
Il congedo fruito alternativamente da entrambi i genitori non può superare la durata complessiva di due anni e durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possono fruire di altri benefici.
I soggetti che usufruiscono dei permessi per un periodo continuativo non superiore a sei mesi hanno diritto a usufruire di permessi non retribuiti in misura pari al numero dei giorni di congedo ordinario che avrebbero maturato nello stesso arco di tempo lavorativo, senza riconoscimento del diritto a contribuzione figurativa.

Avv. Paolo Colombo
Responsabile Centro di Documentazione Giuridica “G. Fucà”
cdg@uiciechi.it

Contributi dei lettori, da Ansa

Autore: Ansa

Lucia Esposito, non vedente da quando aveva 21 anni moglie e madre fulltime è una appassionata di cucina, un amore tramandato da padre in figlia. La diversa normalità che impara a vivere, non le rende impossibile coltivare la sua passione e, come ogni brava cuoca che si rispetti, raccoglie tutte le ricette e i trucchi che ha imparato nel tempo e li condivide sul canale youtube dal nome C’è Luce in Cucina. (https://www.youtube.com/user/ceLuceincucina)
L’idea di Lucia è tanto bella e tanto ben realizzata da essere entrata a far parte del team di Radio Siani (http://www.radiosiani.com/), una radio Anticamorra che trasmette da Ercolano ed ha la sua sede in un bene confiscato alla malavita. Tra le varie rubriche trasmesse, quella gastronomica è curata proprio da Lucia Esposito.

Salvatore Davì

Fonte:
http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/2014/10/02/non-vedente-tiene-corso-di-cucina-sul-web_68f568df-6bee-4a5f-85b7-8252616e5313.html

Una bussola per orientarsi- La Fondazione Robert Hollman, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

Rubrica per genitori.

In questo numero inizieremo a conoscere la Fondazione Robert Hollman, una struttura di primo appoggio per genitori e nuclei familiari con all’interno un bambino con disabilità visiva (con o senza minorazioni aggiuntive); faremo tale conoscenza con l’aiuto della dott.ssa Paola Caldironi, direttrice dei due centri aperti negli anni dalla fondazione. Nelle prossime settimane, la dott.ssa Caldironi ci illustrerà più nel dettaglio cosa viene fatto per i genitori all’interno delle due strutture.
Qual è la storia della Fondazione Hollman?
La storia della Fondazione nasce a Cannero Riviera, un angolo del lago Maggiore dove il signor Robert Hollman, industriale olandese, visse l’ultima parte della sua vita e dove vide morire la moglie ormai non vedente (il figlio maschio, unico erede, morì giovane in un incidente stradale).
L’amore per l’Italia e l’attenzione per chi “non può vedere le bellezze del mondo” furono i sentimenti principali che fecero decidere al sig. Hollman di lasciare il suo patrimonio a questa Fondazione privata, senza scopo di lucro, finalizzata ad occuparsi dei disabili visivi.
Dopo la sua morte nel 1972, il suo amico e primo presidente della Fondazione, Dr Jan de Pont, ha eseguito il suo testamento e questo, nel 1979 ha reso possibile la costruzione, a Cannero Riviera di un Centro pilota per bambini ciechi e pluridisabili.
Nel 1986 a causa di un incendio, il Centro di Cannero venne momentaneamente chiuso ed i suoi ospiti trasferiti a Padova. La scelta della città fu dettata dal fatto che qualche anno prima il Presidente dell’Istituto per Ciechi Luigi Configliachi di Padova, assieme alle sezione padovana dell’UIC, mi avevano dato l’incarico di organizzare un servizio per pluriminorati all’interno dell’Istituto cittadino. Già all’epoca (inizio anni ‘80) si vedeva diminuire il numero dei ciechi e aumentare quello dei ciechi con minorazioni aggiuntive. A seguito di uno studio sui Centri italiani per pluridisabili, conclusi che il modello della Fondazione Robert Hollman fosse quello più adatto alle nostre esigenze. Proposi alla Regione Veneto un progetto per la realizzazione di un “Centro per bambini ciechi pluriminorati”, che venne giudicato “affascinante”, ma troppo costoso per essere realizzato e questo soprattutto per la necessità di un numero elevato dei professionisti necessari a far fronte all’handicap grave.
La Fondazione, quindi, a seguito dell’incendio del 1986 si rivolse al Configliachi per trasferire l’attività in attesa della ricostruzione. Il personale era già stato formato, (nella speranza di utilizzarlo per l’ipotetico servizio), presso il Centro di Cannero, ed i locali già individuati. Fu quindi possibile aprire il Centro Hollman presso l’Istituto Configliachi in poco più di 3 mesi.
Quando il Centro di Cannero fu ricostruito e ricominciò a funzionare, il Centro di Padova, per volere del Consiglio della Fondazione rimase comunque in attività. Uno degli obiettivi della Fondazione è sempre stato quello di favorire la collaborazione con Istituzioni pubbliche e private ed incrementare la ricerca scientifica: la città di Padova, con il suo ospedale e la sua Università, rappresentavano un buon aggancio in tal senso.

Qual è la mission della Fondazione?
La mission della Fondazione è quella di sostenere la crescita del bambino con disabilità visiva.
Aiutare quindi il bambino con disabilità visiva a diventare soggetto inserito nel contesto socio-culturale, col maggior grado di autonomia possibile, nella consapevolezza della sua disabilità. Sostenere e promuovere, inoltre, la miglior qualità di vita possibile, anche in caso di pluridisabilità grave.
Sappiamo che la vista incide su tutto il percorso di crescita. Per questo motivo la presa in carico avviene sempre attraverso un approccio integrato: l’obiettivo non è limitato alla “cura” della parte deficitaria, ma al “prendersi cura” del bambino nella sua globalità.
Quali sono le attività e i servizi offerti dai Centri di Cannero e di Padova?
Il percorso del bambino in Fondazione inizia con l’area valutativo-diagnostica per un inquadramento ex novo od un completamento dell’iter diagnostico in atto. Sono spesso medici (oculisti, neuropsichiatri infantili o neonatologi) ad inviarci i bambini. Le richieste riguardano un inquadramento funzionale della visione, un approfondimento diagnostico o una valutazione globale finalizzata ad impostare un trattamento riabilitativo.
A seguito dell’inquadramento diagnostico, a seconda dei bisogni del bambino e della distanza dalle nostre sedi, diamo indicazioni ai servizi che hanno già in carico la situazione oppure iniziamo una presa in carico riabilitativa in una delle 2 sedi.
Un punto di forza della Fondazione è l’intervento precoce rispetto al quale la lunga esperienza di lavoro ha consentito l’approfondimento di linee guida specifiche.
La presa in carico avviene sempre attraverso l’area psicologico-relazionale che garantisce il concetto di presa in carico globale del bambino. Gli interventi proposti sono diversi e finalizzati a rispondere ai bisogni specifici di ogni bambino. Le attività che i 2 Centri possono offrire sono molteplici.
Presso il Centro di Padova sono:
• Valutazione diagnostico – funzionale (comprensiva di visita oculistica, valutazione ortottica ed esami elettrofunzionali)
• Consultazione psicodiagnostica
• Osservazioni funzionali a termine:
– Accoglienza precoce per bambini da 0 a 18 mesi ed il loro nucleo familiare
– “Percorso medi” per bambini in età scolare
• Sostegno ai genitori
• Psicoterapia infantile
• Ri- abilitazione neurovisiva
• Riabilitazione neuro – psicomotoria
• Integrazione plurisensoriale
• Fisioterapia
• Logopedia
• Musicoterapia
• Prerequisiti per l’Orientamento e Mobilità
• Attività in acqua
• Massaggio infantile
• Intervento educativo
• Attività di gruppo per favorire anche l’interazione tra bambini con il medesimo handicap visivo:
– Laboratori di cucina
– Laboratori di modellaggio
– Attività di danza
– Lezioni di strumento musicale

• Consulenza, Formazione e Ricerca

Le attività del Centro di Cannero sono:
• Sostegno ai genitori
• Consultazione psicodiagnostica
• Valutazione ortottica
• Ri – abilitazione neurovisiva
• Riabilitazione neuro – motoria
• Stimolazione multisensoriale e gioco
• Musicoterapia
• Massaggio infantile
• Prerequisiti Orientamento e Mobilità ed autonomia personale
• Attività di gruppo per bambini e genitori

• Consulenza, Formazione, Ricerca.

I bambini spesso accedono al Centro di Padova per il percorso diagnostico, vengono poi inviati a quello di Cannero per un percorso residenziale e, se necessario, al termine di questo ritornano a Padova per essere presi in carico al fine di svolgere un’attività riabilitativa e/o di monitoraggio, con una frequenza che può andare da una volta a settimana a una volta al mese, a seconda delle condizioni del bambino/ragazzo e della distanza dall’abitazione. Presso il Centro di Cannero vengono proposti soggiorni per i genitori ed il bambino a gruppi di 8 famiglie per volta: il primo soggiorno è di 3 settimane ed i seguenti (prima trimestrale e poi semestrali) di 1 settimana fino al quinto anno di vita del piccolo.
Giungono in Fondazione bambini provenienti da tutta l’Italia, anche perché esistono poche strutture sul territorio così specifiche per la disabilità visiva: il fatto di aver lavorato sempre e solo con bambini con disabilità visiva (tra l’altro l’unica condizione posta dal fondatore e inserita nel nostro statuto è proprio quella di elargire, rigorosamente gratuitamente, i nostri servizi a bambini con deficit visivo) ha portato ad un livello di specializzazione interessante e ciò emerge anche dal confronto con altre realtà che, seppur di eccellenza, non si occupano specificatamente di disabilità visiva. Questa è la motivazione principale per cui molti genitori, purché i figli siano presi in carico dalla Fondazione, superano le difficoltà legate alla distanza dai Centri.
Che età hanno coloro che accedono ai vostri servizi?
La sede di Padova si occupa di bambini dalla nascita ai 14 anni con attività diagnostica e interventi riabilitativi; la sede di Cannero Riviera, come dicevo, accoglie bambini dalla nascita ai 5 anni, con la loro famiglia per soggiorni di 1 o 3 settimane finalizzati ad un intervento precoce anche di sostegno al nucleo famigliare.

Qual è la percentuale di bambini con disabilità aggiuntive?
Abbiamo stimato una percentuale del 60/70% di bambini con pluridisabilità, a seconda degli anni, facendo rientrare in tale categoria coloro che hanno in aggiunta al problema visivo una disabilità neuromotoria, psichica o sensoriale anche di lieve entità.
Fondazione Robert Hollman
Consulenza e sostegno allo sviluppo del bambino con deficit visivo

Centro di Padova
Via Siena ,1
35143 Padova
Tel 049680629
Fax 0498807141
padova@fondazioneroberthollman.it

Centro di Cannero
Via Oddone Clerici,6
28821 Cannero Riviera VB
Tel 0323788485
Fax 0323788198
cannero@fondazioneroberthollman.it
dott.ssa Katia Caravello
Psicologa-Psicoterapeuta.
Componente del Gruppo di lavoro per il Sostegno Psicologico ai Genitori dei ragazzi ciechi e Ipovedenti dell’U.I.C.I.
Email: caravello.katia@gmail.com