Senza traveggole, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

Non ho mai pensato che la cecità mi fosse tragedia, certo molto disagio, a volte infinita angoscia e tristezza; negli anni in cui non avevo né arte né parte ho qualche volta ipotizzato il suicidio senza mai scendere nei particolari per una soluzione traumatica del mio esistere.
Sono certo che tutti coloro che nei secoli, forse nei millenni hanno pensato di creare sollievo, assistenza, istruzione nei confronti dei ciechi, si saranno immedesimati nella tragedia assoluta che un tempo rappresentava questa minorazione.
Sono certo che questa riflessione sia stata la valutazione che von Hartig, Governatore austriaco del Regno Lombardo Veneto a Milano nel lontano 1840 abbia fatto propria cercando di istituire anche nella nostra città una struttura per ciechi simile a quella che già esisteva a Vienna.
L’Istituto dei Ciechi di Milano da quasi due secoli è una prestigiosa realtà che ha offerto a generazioni di ciechi assistenza, istruzione, educazione anche in una accezione assoluta del termine.
Il Commissario straordinario dell’Istituto mi ha invitato a partecipare ad un evento senza volermi raccontare i particolari, quasi un simpatico mistero.
E’ passato da casa, mi ha ospitato in una molto confortevole auto, in verità un poco bassa guidata dalla moglie, la gentile signora Elena. Un tempo quando si usavano ancora le carrozze il salire e lo scendere aveva un senso molto più spiccato.
Ora sono giunto nella prestigiosa sede dell’Istituto dei Ciechi di Milano. E’ mercoledì 3 giugno ore 20.30 hanno inizio un evento che sarà in… cartellone sino al 30 ottobre, cioè per tutta la durata dell’EXPO. L’iniziativa è stata concertata dal Commissario straorinario dell’Istituto dei Ciechi di Milano che in verità non brilla per …colpo d’occhio, è affetto da una notevole ipovisione, per contro non gli manca intelligenza, vivacità e la capacità di saper proporre e realizzare eventi particolari.

Masto ha concesso che la sala intitolata a Michele Barozzi, fondatore dell’Istituto fosse trasformata in una sorta di oratorio dei frati Domenicani.
Ora oltre ai preziosi stucchi che caratterizzano la sala appaiono pannelli che sviluppano la dinamica e i particolari della famosa Cena di Leonardo Da Vinci realizzata nell’oratorio dei Frati di Santa Maria delle Grazie in Milano.
“Leonardo racconta”: un attore appare in un video e illustra come Leonardo Da Vinci nel 1400 già genio riconosciuto fosse stato ingaggiato da Ludovico il Moro per la realizzazione del grande dipinto. L’attore illustra le difficoltà di Leonardo impegnato a studiare quella realizzazione sin nei minimi particolari: i colori, le tempere, le difficoltà di creare un affresco in una sala umida, la fisiognomica degli apostoli; la descrizione è stata tanto avvincente e veritiera da farmi quasi… vedere le posture, gli atteggiamenti, le varie fisionomie di tutti i componenti di quella famosa cena.
Poi anche per noi la cena, non certo male.
La serata si è conclusa con un concerto d’Arpa che un virtuoso ha proposto suonando contemporaneamente due strumenti, uno classico, l’altro rinascimentale.
Fuori, era già tardi, l’aria raffrescata alitava sui nostri volti e nei nostri capelli, una brezza che ho pensato non fosse dissimile da quella che avrà potuto percepire Paolo Bentivoglio, uno dei fondatori della nostra Unione Italiana dei Ciechi quando negli ultimi anni del 1800 è stato allievo di questo Istituto.

L’uomo venuto da lontano, di Morena Burattini

Autore: Morena Burattini

Sono Morena Burattini, una ragazza non vedente ho avuto il piacere e la fortuna d’incontrare Sua Santità Papa Francesco. Ci siamo incontrati durante la Sua visita presso la Parrocchia dell’infernetto e in quell’occasione gli ho detto e promesso che gli avrei fatto una sorpresa. Ed ora, come promesso, eccomi a mantenerla! Nel nostro breve, ma intenso incontro (almeno per me) sono riuscita a farlo sorridere, perché gli ho confidato che quando lo vedo (si fa per dire…) e sento in televisione mi viene da chiamarlo con un simpatico nome: PAPETTO! Dopo questa confidenza lui ha fatto un bellissimo sorriso ripetendo ad alta voce il nome da me simpaticamente inventato nei Suoi confronti. Nelle ore seguenti all’incontro, ho avvertito in me un senso di pace e tanta serenità. E credo che sia questa la Sua forza nei confronti delle persone fedeli e non. Quindi sono stata ancora più convinta a realizzare il mio progetto per lui!
La mia vera storia inizia a 16 anni quando sono diventata non vedente assoluta.
Da quel momento non ho perso la voglia di fare: pratico sport da sempre, sono stata campionessa italiana di nuoto e di sci alpino, sono brevettata FIPSAS per le attività subacquee e adoro andare a cavallo.
Sono anche operatrice shiatsu.
Ma la mia più grande passione è in assoluto il canto e, nel 2003, ho realizzato un cd con canzoni scritte e cantate da me.
Ho voluto creare un’associazione, la MONLUS ONLUS, proprio per condividere con gli altri la mia esperienza di tutti questi anni, perché credo fortemente nella condivisione e non nella chiusura verso il mondo esterno soprattutto per chi vive la mia stessa condizione.
Il mio sogno è quello di far diventare “grande” la mia MONLUS e farla lavorare in maniera efficiente per realizzare progetti concreti ed utili, a scopo benefico.
Essendo io stessa affetta ormai da tempo da cecità, so bene quanto sia difficile affrontare giorno dopo giorno, la vita quotidiana. Per questo motivo la mia associazione ha realizzato, lo scorso dicembre, una staffetta di nuoto solidale con lo scopo di raccogliere fondi per il “Progetto RIDARE LA LUCE”, con lo scopo:
– dell’invio di personale medico altamente qualificato per consentire il recupero della vista di adulti e bambini in Africa;
– la formazione professionale di personale medico ed infermieristico
Del posto che consente agli stessi di operare autonomamente.
Sempre nel campo delle malattie oculari saremo impegnati, il prossimo 6 giugno con la III staffetta di nuoto solidale per cercare di raccogliere fondi per lo studio e la ricerca di attività clinica e chirurgica. Dopo l’incontro, con sua Santità, mi è venuta l’illuminazione!
E’ nata, infatti, l’idea di scrivere una canzone dedicata alla Sua persona ed al Suo operato.
E proprio per la mia esperienza, la mia passione, la mia voglia di fare e per la mia apertura verso gli altri, ho pensato che il mio brano potesse trasformarsi in un cd intitolato: “L’UOMO VENUTO DA LONTANO”. Un cd che nasce come inno di speranza, sostegno ed aiuto per i più deboli e sofferenti nel corpo e nello spirito.
L’idea è quella di avere un aiuto nella divulgazione e distribuzione del cd, realizzato in due lingue: italiano e spagnolo, più un brano dedicato alla città di Roma, che è adesso anche quella di Papa Francesco! E la mia.
Ho gia spedito per posta Ordinaria un cd a sua santità e mercoledì 03 giugno 2015 in occasione dell’incontro settimanale sono riuscita a consegnarglielo tra le mani.
Avrei piacere se fosse possibile, fare con voi un’intervista per parlare e far ascoltare il mio brano che con amore, ho voluto dedicare al nostro Papa.

Lettera a Il Corriere dei Ciechi, di Milena Cocco

Autore: Milena Cocco

Gentili amici lettori de Il Corriere dei Ciechi, mi considero una affezionatissima socia dell’Unione e vi scrivo per raccontarvi che ho avuto modo di riflettere su uno dei problemi che affliggono la vita dei ciechi italiani in questo momento.
Ho sempre pensato con un senso di impotenza alla penuria di lavoro che in questi ultimi anni colpisce in maniera particolare i giovani Disabili visivi, in conseguenza del fatto che lavorare è diventato difficile per tutti.
Avere una buona idea per incrementare le possibilità di lavoro per i ciechi non mi è mai sembrato facile e dentro di me avevo ormai accantonato l’idea di poter pensare qualcosa di utile in proposito.
Qualche mese fa, però, mia figlia ha deciso di recarsi in Cina per affrontare in maniera seria lo studio del mandarino che aveva iniziato da tempo in Italia. Perciò si è iscritta ad un corso universitario per stranieri in una città cinese e, guardandosi intorno, si è informata su una delle possibilità che hanno i ciechi locali per guadagnarsi da vivere, avendo sentito spesso sua madre arrovellarsi su questo problema.
Così ha scoperto che molti ciechi cinesi, presso centri da essi stessi gestiti, praticano il “tuina”, un massaggio particolare, capace di restituire tono al corpo ed allo spirito, a prezzi modici e nell’assoluta garanzia di serietà e competenza che la professionalità e la sensibilità dei ciechi rappresentano, almeno da quelle parti..
Mia figlia mi ha consigliato un libro da leggere, I maestri di tuina, che ho potuto scaricare dal LP online. Si tratta di una piacevolissima lettura che permette di dare uno sguardo attento e partecipe su una società che ci ha ormai invasi, che ci copia, ma dalla quale nessuno ci impedisce di copiare.
Io spero che la lettura di questo libro possa far intravvedere ad altri, oltre che a me, che anche i ciechi italiani potrebbero praticare il massaggio in appositi centri dove il fine non sia la riabilitazione di una parte del corpo, ma il benessere fisico ed estetico.
Questo, a mio modo di vedere, semplificherebbe l’accesso alla professione per coloro che non desiderano proseguire a lungo gli studi dopo le scuole superiori.
Si affollano nella mia mente i tanti passaggi che andrebbero fatti se la mia idea dovesse riscuotere simpatia da parte dei nostri giovani , ma anche della futura dirigenza dell’Unione.
Per esempio:
-l’istituzione di una nuova professione e la scelta di un nome che la identifichi;

– la proposta di una legge concepita sul modello della 113 per i centralinisti;

– la cura dei corsi di formazione e dell’inserimento al lavoro da parte di una commissione nazionale dell’Unione.

– la nascita di cooperative di ciechi che operino insieme a pochi vedenti presso appositi locali commerciali.

e chissà quanti aspetti sfuggono al mio elenco!
Sicuramente tra i lettori del Corriere ci sono persone che hanno una visione molto più ampia della mia nei confronti delle future prospettive di lavoro che hanno i ciechi italiani. Sento il bisogno di riaccendere, insieme ad essi, le luci su un argomento di cui si parla troppo poco ultimamente. Il lavoro per i ciechi significa prima di tutto rottura dell’isolamento, aggregazione sociale, indipendenza economica, ma anche, forse, qualche rinuncia a privilegi ritenuti acquisiti. Perchè non parlarne?

Un saluto a tutti.
Milena Cocco

Statutando, di Luciana Pericci

Autore: Luciana Pericci

Lo Statuto…. questo disatteso, sconosciuto, a volte ambiguo strumento. Consapevole del suo importante motivo di essere rimango perplessa dalla concertazione in fase di riforma e adattamento, con grande affanno pre e intra congressuale.
Passata l’approvazione per la maggior parte del tempo rimane chiuso nel suo cassetto o file; a parte qualche dirigente scrupoloso o cultore non viene molto considerato, se non nei suoi punti necessari per la quotidianità operativa.
Finché va tutto bene!!! Al momento in cui si verifica una diatriba, un intoppo o una situazione non favorevole ad una certa corrente, ecco che ci si ricorda che c’è.
Esiste lo Statuto!!! Lui dirimerà la querelle!! Invece no… si peggiora!!! Perché, forse non lo sapete, ma lui è…. elastico, adattabile, ha la forma dell’acqua. Il significato di un articolo può variare in base alle opportunità e se una persona evidenzia un problema, il problema diventa quella persona e non si risolve il nodo iniziale; ci si perde nei meandri interpretativi, influenzati da emotività, rivalse e ripicche, uno contro l’altro armati. Sterili perdite di tempo e di sostanza. Le norme dovrebbero essere chiare, nette, precise.
Che il nuovo Statuto abbia sì la forma dell’acqua, ma intesa nella sua accezione di adattabilità ad ogni circostanza, una versione da bere senza possibilità di inquinamenti personalistici, in modo da soddisfare all’uopo sete di chiarezza, merito e sostanza e, poi, mettiamolo nello shaker ed uniamo uno spruzzo di volontà, di spirito associativo, due gocce di buon senso, un pizzico di passione, aggiustiamo con una dose di onestà e correttezza, scecheriamo, gustiamolo insieme, da qui al prossimo Congresso ed oltre…. possibilmente!

La Biennale di Venezia non risponde sull’accessibilità, di Andrea Bianco

Autore: Andrea Bianco

Sono un non vedente di Bolzano e da 5 anni sono interessato all’arte. Scolpisco legno, marmo e lavoro ceramica (www.biancoandrea.it). Tengo conferenze nelle scuole e all’università per spiegare che con entusiasmo e volontà si possono raggiungere risultati insperati, per aiutare le persone invalide ad avvicinarsi all’arte, per spiegare la necessità dell’accessibilità… Veniamo al dunque. Dodici giorni fa ho telefonato alla Biennale di Venezia chiedendo se alcune opere esposte fossero toccabili da parte di visitatori non vedenti. La risposta è stata: “Boh! E’ la prima volta che ci viene fatta una domanda del genere. Ci mandi una e mail”. Bene… Ho spedito immediatamente una e mail specificando i musei che già mettono a disposizione i loro lavori per i non vedenti. Dopo 12 giorni non ho avuto nemmeno una riga di risposta. Hanno cestinato la mail o sono imbarazzati, perché non sanno come rispondere? Ieri ne ho spedita una seconda allegando la precedente. Mi chiedo, però:
Perché nessuno ha mai posto loro questo quesito? Deve arrivare uno sconosciuto qualsiasi a sollevare una questione di civiltà e integrazione?

Andrea Bianco

Riflessioni e proposte per la nostra Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, di Peppino Simone

Autore: Peppino Simone

Questo breve scritto rappresenta un contributo che desidero offrire alla riflessione di tutti coloro che intendono arricchire di contenuti e di suggerimenti il nostro dibattito.
Ritengo questa fase ancor più importante dello specifico momento congressuale che, come ben sappiamo, si caratterizza per dinamiche volte all’elezione dei gruppi dirigenti, più che alla focalizzazione dei temi e delle priorità nell’attività associativa.
Non si tratta, appunto, di caricare di eccessive aspettative il momento congressuale, ma molto più serenamente di rispondere ad un effettivo bisogno di fissare, innanzitutto per me stesso, alcuni indirizzi che ritengo fondamentali per orientare il nostro itinerario di riscatto umano e civile.
Quanto sinteticamente esporrò, non è il frutto accademico di un’analisi puramente astratta della condizione dei ciechi italiani, ma rappresenta il risultato di una trentennale intensissima attività associativa contraddistinta da un continuo, vivo contatto con i nostri soci, mai privo di rapporti istituzionali che, nei diversi ambiti di competenza, costituiscono l’approdo irrinunciabile per stabilizzare servizi moderni ed efficaci.
Se è vero che la gran parte dei nostri associati è costituita da non vedenti che hanno incontrato la cecità in età avanzata, ciò non ci deve mai far trascurare la formidabile tensione che in quasi un secolo di storia ha caratterizzato l’impegno dei dirigenti associativi succedutisi nei decenni alla guida dell’Unione: si è sempre ben compreso che l’istruzione, la formazione e la dignitosa conquista del lavoro costituiscono le uniche solide basi per il riscatto dei ciechi.
Sino quasi alla fine degli anni settanta del ‘900, vi era un assetto definito del sistema organizzativo che, pur con i suoi limiti, riusciva a fornire opportunità di cui tantissimi non vedenti hanno potuto godere.
Il caotico e non preparato passaggio al modello che semplicisticamente viene definito dell’inserimento e dell’integrazione scolastica, ha prodotto conseguenze devastanti nei percorsi formativi, nel trattamento degli effetti secondari della minorazione, con la totale sottovalutazione, o meglio, con l’assoluta incomprensione della necessità imprescindibile nella acquisizione di multiformi competenze ed abilità irrinunciabili per un giovane non vedente che voglia incamminarsi nel difficile percorso della vita solidificando la propria interiorità e strutturando le proprie abilità.
Il problema della formazione del personale educativo e formativo, si è trascinato e continua a trascinarsi in modo indecoroso da decenni con ricadute inaccettabili ormai su generazioni di giovani non vedenti e sulle loro famiglie.
Abbiamo sempre più la sensazione sgradevole di isolamento, di dispersione, approssimazione ed abbandono che, senza un instancabile impegno dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, ci farebbe precipitare agli albori dell’istruzione dei ciechi.
Occorre prendere definitivamente coscienza del piano inclinato su cui si sta precipitando e, comunque, come i rimedi che vengono prospettati spesso siano velleitari, inefficaci e ulteriormente peggiorativi.
Tante volte si ha l’impressione di una fatica di Sisifo: nessuno controlla nulla e del resto come potrebbe e che cosa dovrebbe controllare un’autorità priva di specifica competenza in tale ambito.
Le università italiane che un legislatore distratto e ignaro ha posto al centro del sistema formativo del personale, ne è priva quasi totalmente, non ha alcuna tradizione storicamente consolidata e concretamente verificata; quindi, manca di esperienza in materia, con la conseguenza di saltare a piè pari duecentocinquant’anni di riflessione teorica e metodologica, per non parlare della pratica didattica totalmente assente.
In tal senso non siamo mai riusciti a salvaguardare il formidabile patrimonio, prima ancora che materiale, soprattutto educativo dei nostri istituti. Era e continua ad essere in tali luoghi la leva da azionare per reindirizzare il sistema italiano dell’istruzione dei ciechi. Occorre pensare pragmaticamente ad un ruolo molto più attivo, autorevole e legalmente riconosciuto per tali istituti, a cui le scuole in maniera cogente devono riferirsi quando si tratta di educazione ed istruzione dei non vedenti.
Il problema è davvero complesso e richiederebbe ben più approfondita trattazione che sicuramente saremo in grado di sviluppare.
Noi ciechi che, grazie all’illuminata opera di uomini come Augusto Romagnoli, Paolo Bentivoglio, Enrico Ceppi e tantissimi altri tiflologi italiani ed europei, abbiamo acquisito una maturità teorica e dato vita ad esperienze d’avanguardia nel campo educativo, ci vediamo oggi letteralmente sommersi da improbabili ideologismi che si scontrano impunemente passo dopo passo con la realtà e resistono testardamente all’evidenza dei fatti.
Si riesce addirittura ad immaginare la corbelleria di utilizzare un simile personale di sostegno così maldestramente preparato, come fulcro della formazione di tutto il personale scolastico.
Poi, è preferibile tacere sulla totale assenza di una qualsiasi valutazione economico-finanziaria di tale impostazione.
Ovviamente, si fa gran confusione tra informazione, sensibilizzazione e formazione. Senza alcun dubbio risulta irrinunciabile il bisogno di un’alta scuola specialistica che, sul cammino tracciato dalla Scuola di metodo, possa ridare rigore, garanzie formative e fondarsi sul bisogno di ricerca aggiornata. Forse, è il caso di non moltiplicare in maniera spropositata gli enti autorizzati alla gestione della formazione. Le risorse umane e finanziarie devono essere gestite al meglio e, sullo stile della tedesca Blista, riportare ad unità ciò che è stato largamente disperso.
Ma, dove e quando i nostri ragazzi possono svolgere in modo sistematico e qualificato le attività non strettamente disciplinari scolastiche?
Come acquisire una graduale conquista volta all’autonomia personale?
Come potersi confrontare in maniera sistematica con altri non vedenti che in passato erano una risorsa ed uno stimolo formidabile per i più piccoli nell’indicare una via di riscatto e di emancipazione?
Noi minoranza delle minoranze dobbiamo ben capire il rischio che corriamo e, assolutamente, definitivamente rimboccarci le maniche, armarci del coraggio sorretto dall’intelligenza per tirarci fuori da questo mare magnum di inconcludenza e di declino.
Dato il numero esiguo dei casi, la loro dispersione territoriale e la sempre maggiore presenza di minorazioni aggiuntive, occorre comprendere che si rendono necessarie scelte identitarie di aggregazione che consentano di ottimizzare le scarse risorse.
Abbandoniamo il piccolo cabotaggio e valutiamo con maggiore umiltà le scelte operate negli altri paesi europei.
Nel frattempo strutturiamo servizi più interdipendenti ed interconnessi, innanzitutto stabilendo un rapporto più osmotico tra Biblioteca di Monza, Agenzia per la prevenzione e Federazione delle Istituzioni pro Ciechi, senza trascurare l’importanza dell’IRIFOR.
Non è proprio il caso di buttare braille a casaccio senza una continua consulenza scolastica ai ragazzi ciechi, ipovedenti, alle loro famiglie ed ai loro insegnanti.
Non è possibile produrre testi per ipovedenti senza un preventivo controllo oculistico-funzionale che possa seriamente indicare le caratteristiche di detto lavoro.
Quante volte ci è accaduto di constatare l’assurdità delle richieste scolastiche che è stato possibile correggere solo grazie alla competenza e sistematica attenzione critica dei nostri esperti!
Per quel che è stato possibile, la nostra ben solida consapevolezza ci ha sempre guidato nelle interlocuzioni istituzionali e sul nostro territorio regionale sono stati articolati servizi diffusi e multiformi che sorreggono i nostri ragazzi nella loro crescita e nei loro studi:
Sono state conquistate leggi regionali e stipulato convenzioni che, pur nei limiti della patologica, italica provvisorietà, abbiamo l’orgoglio di possedere, qualche volta anche rispetto a tante regioni settentrionali.
I nostri ragazzi sono seguiti a casa nelle ore pomeridiane da educatori da noi preparati, che spesso rappresentano l’unica àncora a cui aggrapparsi ed un veicolo di comunicazione e di guida nei confronti degli insegnanti di sostegno e curriculari.
Tali educatori sono molto, dico molto più stabili degli insegnanti di sostegno, con i quali si ha sempre l’impressione di lavorare a vuoto, poiché quando si avvicinano le date per richiedere trasferimento, tutto sembra svanire.
I nostri giovani possono frequentare corsi di orientamento e mobilità, possono seguire studi musicali e vengono continuamente sollecitati ad acquisire buone competenze informatiche da noi ritenute basilari per l’autonomia negli studi e nel lavoro.
Tanti di loro svolgono pratiche sportive e partecipano a momenti di socializzazione che consentono incontri ed amichevoli scambi di esperienze e di consigli.
Come si può ben intendere, oggi tutto ciò rischia di essere distrutto o gravemente ridimensionato con conseguenze avvilenti, non solo per i ragazzi, ma per tutti i non vedenti che traggono beneficio e incoraggiamento dalle attività dell’UICI e delle sue organizzazioni collaterali.
Anche nella scelta degli studi superiori spesso si considerano prioritarie le necessità logistiche o si ritiene ininfluente tale scelta ai fini di un inserimento lavorativo già di per sé problematico.
In passato tali percorsi erano precisamente delineati; certo, oggi, possono esservi variazioni, novità possibili; ma sembra improduttivo un eccesso di disinvoltura nell’intraprendere gli studi superiori a causa di scarsa informazione sui rischi futuri.
Per i ciechi pluriminorati gravi, forse sarebbe il caso di un bagno di umiltà; dare a Cesare quel che è di Cesare e non avere la presunzione di poter fare noi ciò che non sappiamo e possiamo fare. Sarebbe anche molto peggio del pessimo che viene fatto dalle Università nella formazione del personale di sostegno.
Valorizziamo, incoraggiamo e sosteniamo le esperienze significative e irrinunciabili che tutti noi ben apprezziamo: è tempo di stabilire nella distinzione dei ruoli rapporti di profonda e stretta cooperazione e di reciproco aiuto con la Lega del Filo d’Oro. C’è troppa sofferenza da reggere e certe nostre angustie sono veramente ingiustificabili.
In tantissime occasioni il compianto prof. Banchetti con garbo, ma anche con grande rigore ci richiamava in tal senso.
Una tematica collaterale andrebbe messa a fuoco: trattasi delle attività formative gestite dall’IRIFOR.
Forse sarebbe opportuno un ripensamento generale del ruolo pur positivo svolto: si ha l’impressione di una mancanza di linee guida, ovviamente per nostri limiti di individuazione di percorsi formativi non troppo polverizzati. Se ne fossimo capaci, eviteremmo interventi a pioggia che non fruttano grandi benefici.
Nel campo lavorativo si è riscontrato un ostacolo insormontabile nell’attuazione del Decreto Salvi, con difficoltà di inserimento specialmente per le nuove professioni e, addirittura, la mancanza di una regolamentazione in materia.
L’attenzione agli orientamenti, agli strumenti e alle tempistiche comunitari sollecita improrogabilmente la strutturazione di gruppi di esperti nella materia in grado di rigorosa progettualità.
Patrimonio: come gestirlo al meglio?
Il patrimonio eventualmente utilizzabile deve rispondere al rispetto delle finalità del donante, anche per evitare contenziosi visto che è sotto la vigilanza del Ministero degli Interni.
Occorre valutare la fondatezza dell’emergenza e le responsabilità degli organi direttivi delle sezioni nello sperpero del patrimonio che, spesso discende dallo scadere dell’attività associativa.
Risulta opportuno migliorare le interne tecnologie ed ottimizzarle per conseguire una maggiore efficienza associativa.
A tale riguardo è opportuno uniformare gli atti amministrativi e realizzare un modello univoco delle deliberazioni attraverso una buona strutturazione delle procedure.
Alcuni aspetti del sistema elettorale andrebbero rivisti e occorrerebbe anche per le votazioni congressuali e nazionali potersi organizzare in liste di candidati.
Alcune imperfezioni linguistiche dello Statuto associativo andrebbero modificate per ridurre al minimo la possibilità di capziosità ed operare in un quadro di certezze.
Il presente documento scaturisce dalle numerose iniziative intraprese dalla Puglia che ha coinvolto l’intera base associativa, nonché dall’ultima Assemblea regionale dei Quadri dirigenti della Puglia.

Giuseppe Simone
detto Peppino
Candidato alla Presidenza Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS

Lettera aperta di un associato Uici, di Vezio Bonera

Autore: Vezio Bonera

Gentile signora Beatrice,
come vede non la chiamo né signor Ministro né Onorevole perché preferisco rivolgermi alla Sua sensibilità di donna al di sopra del suo ruolo istituzionale.
Io sono un novantenne ipovedente ma non mi rivolgo a Lei per chiederLe qualcosa di personale, ma per parlarle di centinai di bambini colpiti da una patologia che rischia di compromettere fino a conseguenze estreme la loro vista.
Le sto parlando di cataratta congenita un male che colpisce i piccoli al momento della nascita, e in quanto classificato tra le malattie “rare” sottovalutato del servizio sanitario. Ma definire “rara” una patologia che colpisce mediamente un bimbo ogni duemilacinquecento nati lo ritengo quanto meno azzardato.
Se Lei pensa che basterebbe un semplicissimo test, non invasivo e di un costo irrisorio, l’esame del riflesso rosso, per evitare le conseguenze di un intervento tardivo e che questo test viene effettuato obbligatoriamente solo in un paio di regioni, potrà capire l’angoscia di tante famiglie che causa una diagnosi molto tardiva temono che i loro figli siano menomati visivamente per il resto della vita.
Oltretutto bambini in gravi difficoltà che avrebbero il diritto di usufruire della legge 104, almeno nel periodo delle cure che comportano interventi chirurgici ripetuti, spesso vedono respinte le loro domande perché nella commissione giudicante manca la presenza di un oculista e purtroppo chi dovrebbe dare il giudizio non è competente in materia.
Io, gentile signora, sono iscritto alla Unione italiana ciechi, e siamo in molti, ma mi piange il cuore al pensiero che i nostri associati possano aumentare di numero con l’ingresso di bambini solo perché una grave malattia è stata sottovalutata colpevolmente.
I bambini, non dimentichiamolo mai, sono il nostro futuro, il futuro della nostra nazione e hanno il diritto di essere tutelati.
Io per tutto quanto le ho esposto Le chiedo solo di incontrare una delle centinaia di mamme di bimbi colpiti da cataratta congenita, ce ne sono diverse anche a Roma.
In tal modo Lei potrebbe conoscere a fondo il problema che sommariamente io Le ho esposto ed intervenire con la Sua sensibilità di donna, ma in questo caso anche di rappresentante delle Istituzioni.
Sono certo di ricevere da Lei una risposta con le indicazioni per un incontro con una o più mamme dove e quando Lei riterrà opportuno.
RingraziandoLa di cuore per la Sua cortese attenzione con sincera stima Le porgo i miei più cordiali saluti.
Vezio Bonera

Alla faccia delle pari opportunità!, di Elena Ferroni

Autore: Elena Ferroni

Ciao a tutti!

Io sinceramente non mi sento per niente discriminata. Se il lavoro di questo ufficio di presidenza così maschile non ci piacerà, allora sì che potremo farci avanti sia le 7 donne che i restanti consiglieri.
Ma, correggetemi se sbaglio, si può lavorare anche non facendo parte dell’ufficio di presidenza, maschi o femmine è uguale, no?
E poi, non dovrebbero essere le dirette interessate a lamentarsi? Ebbene io non mi lamento!

Buone cose a tutti e buon lavoro a chi ne ha voglia!
Elena

Alla faccia delle pari opportunità, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Quando sento parlare di pari opportunità da parte di certi personaggi, mi viene da pensare che costoro si riempiono la bocca con una espressione che conoscono poco o per nulla.
Le pari opportunità si rispettano e si assicurano con le azioni concrete e non dileggiando le scelte altrui.
Nel caso del nostro consiglio regionale, abbiamo sette donne e tutte valide al di la delle differenze di pensiero ma alcune hanno rinunciato alla loro presenza nell’ufficio di presidenza, un’altra, ha detto che non aveva tempo e che era troppo scomodo per lei partecipare e la presidente uscente non condivideva, come altri, legittimamente la scelta del presidente.
Dunque, vorrei invitare il collega Rafanelli a raccontare le cose come stanno e lo rassicuro perchè l’operato del nuovo ufficio di presidenza saprà essere rispettoso di tutti e di tutte in concreto e non a chiacchiere.

Massimo Vita

Alla faccia delle Pari Opportunità, di Virgilio Moreno Rafanelli

Autore: Virgilio Moreno Rafanelli

Il 17 maggio 2015 alle ore 10,00 presso i locali del Consiglio Regionale Toscano dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus via Fibonacci n. 5 Firenze, si è tenuta la seduta di insediamento del neo eletto Consiglio Regionale alla autorevole presenza del rappresentante della direzione nazionale del sodalizio per il territorio della Toscana, Dott. Salvatore Romano.
Dopo i preliminari da “oggi le comiche” si è proceduto alla elezione dell’Ufficio di presidenza Regionale, Presidente, Vice Presidente, Consigliere delegato ed altri due componenti:
cinque persone, non ci credete, incredibile ma vero sono risultati eletti tutti i maschietti, neanche una donna eppure nel consiglio regionale ve ne sono ben sette. Sull’argomento, l’autorevole rappresentante evidentemente in altre faccende affaccendato o immerso in chissà quali pensieri, non ha avuto nulla da osservare, beh care donne del Consiglio Regionale Toscano dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus, adesso non vi resta che avere pazienza, aspettare cinque anni e sperare che nella prossima legislatura vi siano uomini meno avidi di poltrone e di potere per poter così tornare a dare il vostro prezioso insostituibile e originale contributo alle attività dell’Ufficio di presidenza. Per adesso non ci resta che augurare ai neo eletti maschietti buon lavoro ovviamente rigorosamente, tassativamente e tristemente al maschile.

Virgilio Moreno Rafanelli