Lettera a Il Corriere dei Ciechi, di Milena Cocco

Autore: Milena Cocco

Gentili amici lettori de Il Corriere dei Ciechi, mi considero una affezionatissima socia dell’Unione e vi scrivo per raccontarvi che ho avuto modo di riflettere su uno dei problemi che affliggono la vita dei ciechi italiani in questo momento.
Ho sempre pensato con un senso di impotenza alla penuria di lavoro che in questi ultimi anni colpisce in maniera particolare i giovani Disabili visivi, in conseguenza del fatto che lavorare è diventato difficile per tutti.
Avere una buona idea per incrementare le possibilità di lavoro per i ciechi non mi è mai sembrato facile e dentro di me avevo ormai accantonato l’idea di poter pensare qualcosa di utile in proposito.
Qualche mese fa, però, mia figlia ha deciso di recarsi in Cina per affrontare in maniera seria lo studio del mandarino che aveva iniziato da tempo in Italia. Perciò si è iscritta ad un corso universitario per stranieri in una città cinese e, guardandosi intorno, si è informata su una delle possibilità che hanno i ciechi locali per guadagnarsi da vivere, avendo sentito spesso sua madre arrovellarsi su questo problema.
Così ha scoperto che molti ciechi cinesi, presso centri da essi stessi gestiti, praticano il “tuina”, un massaggio particolare, capace di restituire tono al corpo ed allo spirito, a prezzi modici e nell’assoluta garanzia di serietà e competenza che la professionalità e la sensibilità dei ciechi rappresentano, almeno da quelle parti..
Mia figlia mi ha consigliato un libro da leggere, I maestri di tuina, che ho potuto scaricare dal LP online. Si tratta di una piacevolissima lettura che permette di dare uno sguardo attento e partecipe su una società che ci ha ormai invasi, che ci copia, ma dalla quale nessuno ci impedisce di copiare.
Io spero che la lettura di questo libro possa far intravvedere ad altri, oltre che a me, che anche i ciechi italiani potrebbero praticare il massaggio in appositi centri dove il fine non sia la riabilitazione di una parte del corpo, ma il benessere fisico ed estetico.
Questo, a mio modo di vedere, semplificherebbe l’accesso alla professione per coloro che non desiderano proseguire a lungo gli studi dopo le scuole superiori.
Si affollano nella mia mente i tanti passaggi che andrebbero fatti se la mia idea dovesse riscuotere simpatia da parte dei nostri giovani , ma anche della futura dirigenza dell’Unione.
Per esempio:
-l’istituzione di una nuova professione e la scelta di un nome che la identifichi;

– la proposta di una legge concepita sul modello della 113 per i centralinisti;

– la cura dei corsi di formazione e dell’inserimento al lavoro da parte di una commissione nazionale dell’Unione.

– la nascita di cooperative di ciechi che operino insieme a pochi vedenti presso appositi locali commerciali.

e chissà quanti aspetti sfuggono al mio elenco!
Sicuramente tra i lettori del Corriere ci sono persone che hanno una visione molto più ampia della mia nei confronti delle future prospettive di lavoro che hanno i ciechi italiani. Sento il bisogno di riaccendere, insieme ad essi, le luci su un argomento di cui si parla troppo poco ultimamente. Il lavoro per i ciechi significa prima di tutto rottura dell’isolamento, aggregazione sociale, indipendenza economica, ma anche, forse, qualche rinuncia a privilegi ritenuti acquisiti. Perchè non parlarne?

Un saluto a tutti.
Milena Cocco