Riflessioni e proposte per la nostra Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, di Peppino Simone

Autore: Peppino Simone

Questo breve scritto rappresenta un contributo che desidero offrire alla riflessione di tutti coloro che intendono arricchire di contenuti e di suggerimenti il nostro dibattito.
Ritengo questa fase ancor più importante dello specifico momento congressuale che, come ben sappiamo, si caratterizza per dinamiche volte all’elezione dei gruppi dirigenti, più che alla focalizzazione dei temi e delle priorità nell’attività associativa.
Non si tratta, appunto, di caricare di eccessive aspettative il momento congressuale, ma molto più serenamente di rispondere ad un effettivo bisogno di fissare, innanzitutto per me stesso, alcuni indirizzi che ritengo fondamentali per orientare il nostro itinerario di riscatto umano e civile.
Quanto sinteticamente esporrò, non è il frutto accademico di un’analisi puramente astratta della condizione dei ciechi italiani, ma rappresenta il risultato di una trentennale intensissima attività associativa contraddistinta da un continuo, vivo contatto con i nostri soci, mai privo di rapporti istituzionali che, nei diversi ambiti di competenza, costituiscono l’approdo irrinunciabile per stabilizzare servizi moderni ed efficaci.
Se è vero che la gran parte dei nostri associati è costituita da non vedenti che hanno incontrato la cecità in età avanzata, ciò non ci deve mai far trascurare la formidabile tensione che in quasi un secolo di storia ha caratterizzato l’impegno dei dirigenti associativi succedutisi nei decenni alla guida dell’Unione: si è sempre ben compreso che l’istruzione, la formazione e la dignitosa conquista del lavoro costituiscono le uniche solide basi per il riscatto dei ciechi.
Sino quasi alla fine degli anni settanta del ‘900, vi era un assetto definito del sistema organizzativo che, pur con i suoi limiti, riusciva a fornire opportunità di cui tantissimi non vedenti hanno potuto godere.
Il caotico e non preparato passaggio al modello che semplicisticamente viene definito dell’inserimento e dell’integrazione scolastica, ha prodotto conseguenze devastanti nei percorsi formativi, nel trattamento degli effetti secondari della minorazione, con la totale sottovalutazione, o meglio, con l’assoluta incomprensione della necessità imprescindibile nella acquisizione di multiformi competenze ed abilità irrinunciabili per un giovane non vedente che voglia incamminarsi nel difficile percorso della vita solidificando la propria interiorità e strutturando le proprie abilità.
Il problema della formazione del personale educativo e formativo, si è trascinato e continua a trascinarsi in modo indecoroso da decenni con ricadute inaccettabili ormai su generazioni di giovani non vedenti e sulle loro famiglie.
Abbiamo sempre più la sensazione sgradevole di isolamento, di dispersione, approssimazione ed abbandono che, senza un instancabile impegno dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, ci farebbe precipitare agli albori dell’istruzione dei ciechi.
Occorre prendere definitivamente coscienza del piano inclinato su cui si sta precipitando e, comunque, come i rimedi che vengono prospettati spesso siano velleitari, inefficaci e ulteriormente peggiorativi.
Tante volte si ha l’impressione di una fatica di Sisifo: nessuno controlla nulla e del resto come potrebbe e che cosa dovrebbe controllare un’autorità priva di specifica competenza in tale ambito.
Le università italiane che un legislatore distratto e ignaro ha posto al centro del sistema formativo del personale, ne è priva quasi totalmente, non ha alcuna tradizione storicamente consolidata e concretamente verificata; quindi, manca di esperienza in materia, con la conseguenza di saltare a piè pari duecentocinquant’anni di riflessione teorica e metodologica, per non parlare della pratica didattica totalmente assente.
In tal senso non siamo mai riusciti a salvaguardare il formidabile patrimonio, prima ancora che materiale, soprattutto educativo dei nostri istituti. Era e continua ad essere in tali luoghi la leva da azionare per reindirizzare il sistema italiano dell’istruzione dei ciechi. Occorre pensare pragmaticamente ad un ruolo molto più attivo, autorevole e legalmente riconosciuto per tali istituti, a cui le scuole in maniera cogente devono riferirsi quando si tratta di educazione ed istruzione dei non vedenti.
Il problema è davvero complesso e richiederebbe ben più approfondita trattazione che sicuramente saremo in grado di sviluppare.
Noi ciechi che, grazie all’illuminata opera di uomini come Augusto Romagnoli, Paolo Bentivoglio, Enrico Ceppi e tantissimi altri tiflologi italiani ed europei, abbiamo acquisito una maturità teorica e dato vita ad esperienze d’avanguardia nel campo educativo, ci vediamo oggi letteralmente sommersi da improbabili ideologismi che si scontrano impunemente passo dopo passo con la realtà e resistono testardamente all’evidenza dei fatti.
Si riesce addirittura ad immaginare la corbelleria di utilizzare un simile personale di sostegno così maldestramente preparato, come fulcro della formazione di tutto il personale scolastico.
Poi, è preferibile tacere sulla totale assenza di una qualsiasi valutazione economico-finanziaria di tale impostazione.
Ovviamente, si fa gran confusione tra informazione, sensibilizzazione e formazione. Senza alcun dubbio risulta irrinunciabile il bisogno di un’alta scuola specialistica che, sul cammino tracciato dalla Scuola di metodo, possa ridare rigore, garanzie formative e fondarsi sul bisogno di ricerca aggiornata. Forse, è il caso di non moltiplicare in maniera spropositata gli enti autorizzati alla gestione della formazione. Le risorse umane e finanziarie devono essere gestite al meglio e, sullo stile della tedesca Blista, riportare ad unità ciò che è stato largamente disperso.
Ma, dove e quando i nostri ragazzi possono svolgere in modo sistematico e qualificato le attività non strettamente disciplinari scolastiche?
Come acquisire una graduale conquista volta all’autonomia personale?
Come potersi confrontare in maniera sistematica con altri non vedenti che in passato erano una risorsa ed uno stimolo formidabile per i più piccoli nell’indicare una via di riscatto e di emancipazione?
Noi minoranza delle minoranze dobbiamo ben capire il rischio che corriamo e, assolutamente, definitivamente rimboccarci le maniche, armarci del coraggio sorretto dall’intelligenza per tirarci fuori da questo mare magnum di inconcludenza e di declino.
Dato il numero esiguo dei casi, la loro dispersione territoriale e la sempre maggiore presenza di minorazioni aggiuntive, occorre comprendere che si rendono necessarie scelte identitarie di aggregazione che consentano di ottimizzare le scarse risorse.
Abbandoniamo il piccolo cabotaggio e valutiamo con maggiore umiltà le scelte operate negli altri paesi europei.
Nel frattempo strutturiamo servizi più interdipendenti ed interconnessi, innanzitutto stabilendo un rapporto più osmotico tra Biblioteca di Monza, Agenzia per la prevenzione e Federazione delle Istituzioni pro Ciechi, senza trascurare l’importanza dell’IRIFOR.
Non è proprio il caso di buttare braille a casaccio senza una continua consulenza scolastica ai ragazzi ciechi, ipovedenti, alle loro famiglie ed ai loro insegnanti.
Non è possibile produrre testi per ipovedenti senza un preventivo controllo oculistico-funzionale che possa seriamente indicare le caratteristiche di detto lavoro.
Quante volte ci è accaduto di constatare l’assurdità delle richieste scolastiche che è stato possibile correggere solo grazie alla competenza e sistematica attenzione critica dei nostri esperti!
Per quel che è stato possibile, la nostra ben solida consapevolezza ci ha sempre guidato nelle interlocuzioni istituzionali e sul nostro territorio regionale sono stati articolati servizi diffusi e multiformi che sorreggono i nostri ragazzi nella loro crescita e nei loro studi:
Sono state conquistate leggi regionali e stipulato convenzioni che, pur nei limiti della patologica, italica provvisorietà, abbiamo l’orgoglio di possedere, qualche volta anche rispetto a tante regioni settentrionali.
I nostri ragazzi sono seguiti a casa nelle ore pomeridiane da educatori da noi preparati, che spesso rappresentano l’unica àncora a cui aggrapparsi ed un veicolo di comunicazione e di guida nei confronti degli insegnanti di sostegno e curriculari.
Tali educatori sono molto, dico molto più stabili degli insegnanti di sostegno, con i quali si ha sempre l’impressione di lavorare a vuoto, poiché quando si avvicinano le date per richiedere trasferimento, tutto sembra svanire.
I nostri giovani possono frequentare corsi di orientamento e mobilità, possono seguire studi musicali e vengono continuamente sollecitati ad acquisire buone competenze informatiche da noi ritenute basilari per l’autonomia negli studi e nel lavoro.
Tanti di loro svolgono pratiche sportive e partecipano a momenti di socializzazione che consentono incontri ed amichevoli scambi di esperienze e di consigli.
Come si può ben intendere, oggi tutto ciò rischia di essere distrutto o gravemente ridimensionato con conseguenze avvilenti, non solo per i ragazzi, ma per tutti i non vedenti che traggono beneficio e incoraggiamento dalle attività dell’UICI e delle sue organizzazioni collaterali.
Anche nella scelta degli studi superiori spesso si considerano prioritarie le necessità logistiche o si ritiene ininfluente tale scelta ai fini di un inserimento lavorativo già di per sé problematico.
In passato tali percorsi erano precisamente delineati; certo, oggi, possono esservi variazioni, novità possibili; ma sembra improduttivo un eccesso di disinvoltura nell’intraprendere gli studi superiori a causa di scarsa informazione sui rischi futuri.
Per i ciechi pluriminorati gravi, forse sarebbe il caso di un bagno di umiltà; dare a Cesare quel che è di Cesare e non avere la presunzione di poter fare noi ciò che non sappiamo e possiamo fare. Sarebbe anche molto peggio del pessimo che viene fatto dalle Università nella formazione del personale di sostegno.
Valorizziamo, incoraggiamo e sosteniamo le esperienze significative e irrinunciabili che tutti noi ben apprezziamo: è tempo di stabilire nella distinzione dei ruoli rapporti di profonda e stretta cooperazione e di reciproco aiuto con la Lega del Filo d’Oro. C’è troppa sofferenza da reggere e certe nostre angustie sono veramente ingiustificabili.
In tantissime occasioni il compianto prof. Banchetti con garbo, ma anche con grande rigore ci richiamava in tal senso.
Una tematica collaterale andrebbe messa a fuoco: trattasi delle attività formative gestite dall’IRIFOR.
Forse sarebbe opportuno un ripensamento generale del ruolo pur positivo svolto: si ha l’impressione di una mancanza di linee guida, ovviamente per nostri limiti di individuazione di percorsi formativi non troppo polverizzati. Se ne fossimo capaci, eviteremmo interventi a pioggia che non fruttano grandi benefici.
Nel campo lavorativo si è riscontrato un ostacolo insormontabile nell’attuazione del Decreto Salvi, con difficoltà di inserimento specialmente per le nuove professioni e, addirittura, la mancanza di una regolamentazione in materia.
L’attenzione agli orientamenti, agli strumenti e alle tempistiche comunitari sollecita improrogabilmente la strutturazione di gruppi di esperti nella materia in grado di rigorosa progettualità.
Patrimonio: come gestirlo al meglio?
Il patrimonio eventualmente utilizzabile deve rispondere al rispetto delle finalità del donante, anche per evitare contenziosi visto che è sotto la vigilanza del Ministero degli Interni.
Occorre valutare la fondatezza dell’emergenza e le responsabilità degli organi direttivi delle sezioni nello sperpero del patrimonio che, spesso discende dallo scadere dell’attività associativa.
Risulta opportuno migliorare le interne tecnologie ed ottimizzarle per conseguire una maggiore efficienza associativa.
A tale riguardo è opportuno uniformare gli atti amministrativi e realizzare un modello univoco delle deliberazioni attraverso una buona strutturazione delle procedure.
Alcuni aspetti del sistema elettorale andrebbero rivisti e occorrerebbe anche per le votazioni congressuali e nazionali potersi organizzare in liste di candidati.
Alcune imperfezioni linguistiche dello Statuto associativo andrebbero modificate per ridurre al minimo la possibilità di capziosità ed operare in un quadro di certezze.
Il presente documento scaturisce dalle numerose iniziative intraprese dalla Puglia che ha coinvolto l’intera base associativa, nonché dall’ultima Assemblea regionale dei Quadri dirigenti della Puglia.

Giuseppe Simone
detto Peppino
Candidato alla Presidenza Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS