Presentazione al Consiglio Nazionale, di Valter Calò

Autore: Valter Calò

Non è facile presentarsi in poche righe. Proprio per questo, invece di farlo attraverso un formale curriculum e la descrizione dei progetti, ho scelto prima di presentarmi attraverso un racconto dei miei 55 anni e secondariamente di illustrare quello che è il mio sogno. Parlo di sogno, non tanto perché ritengo che sia qualcosa di irraggiungibile, anzi!, ma perché, anche se si sogna da soli, un sogno può essere realizzato solo se si è uniti e lo si condivide.
1. Vi racconto la mia storia
Per prima cosa chiarisco il mio handicap, sono una persona fortunata o sfortunata a seconda di come si vede la vita, personalmente non lo so neppure io passano i giorni e non riesco ancora a definirmi, alcuni giorni mi ritengo fortunato in quanto la mia vita è continuata a migliorare sotto certi aspetti, altri giorni penso che è veramente difficile convivere con il nostro handicap.
Vi spiego subito perché.
Ho passato i miei primi 40 anni come vedente, non proprio un aquila ma neppure una talpa, improvvisamente per distacchi di retina La mia vista ha iniziato a peggiorare, sei operazioni non sono servite ad evitare di diventare in pochi mesi ipovedente.
Non finisce qui, ma il continuo peggioramento in una manciata di anni si è concluso con l’ultimo verdetto, cieco.
Ma ricominciamo dal principio… scuole elementari medie e liceo classico a Brunico
Una piccola cittadina a due passi dal confine austriaco, in provincia di Bolzano, dove convivono due gruppi linguistici italiani e tedeschi. Chiariamo subito, abbiamo una mentalità mitteleuropea dove due culture importantissime della vecchia Europa si incontrano e a volte si scontrano ma attualmente, prevale sempre la volontà di comunicare e risolvere le problematiche.
Dopo il liceo ho scelto una facoltà universitaria che si avvicinasse al mio carattere, un insieme di avventura e spirito di sacrificio, medicina veterinaria a Parma.
Anni favolosi, ricchi di amicizie in tutta Italia e non solo, tanto sport e anche tanta fatica sopra i libri. Ho citato lo sport, altro elemento fondamentale della mia vita. Ho praticato numerosi sport sia singoli che di squadra, per piacere o per agonismo, ma soprattutto continuo a praticarli e invito tutti a farlo, specialmente noi con ridotta mobilità, perché ne abbiamo tanto bisogno: non serve correre e sudare, ma camminare è obbligatorio per tutti noi, minimo 30-60 minuti tutti i giorni.
Alla fine mi sono laureato a Torino per la collaborazione attiva con un professore di quella università, sviluppando una tesi sulla protezione animale richiestami dal ministero della sanità e che successivamente ha dato il via alle leggi nazionali riguardanti benessere e protezione degli animali in Italia.
Durante gli ultimi anni di università facevo pratica presso una clinica per piccoli animali e in estate seguivo un veterinario specializzato in vacche, maiali, galline, cavalli e tutti gli animali della vecchia fattoria.
Subito dopo la laurea sono volato in Canada e li ho perfezionato le cure indirizzate verso i cavalli, animale che mi ha sempre affascinato.
Rientrato in Italia ho incominciato subito a lavorare nel mondo bucolico dei contadini di montagna che è dentro a tutti noi, meraviglioso, sicuramente il lavoro più bello al mondo, tutti i giorni su e giù dalle montagne con il fuoristrada attrezzato per ogni evenienza ma soprattutto per arrivare in qualsiasi luogo e con qualsiasi tempo.
Giorni indimenticabili, persone indimenticabili, che arricchiscono la vita non a tutti ma solo a coloro i quali ne sanno cogliere le sfumature.
Operavo vitelli, curavo vacche e cavalli, correvo di notte per i parti o i collassi e le urgenze, per hobby operavo rapaci gratuitamente in una clinica dedicata a questi nobili animali e sostenuta dal WWF, seguivo cani e gatti di amici e familiari o turisti, nel tempo libero mi sono specializzato in ginecologia equina e diagnostica per immagini diventando in poco tempo veterinario ufficiale ANICA (associazione nazionale italiana cavallo arabo) e veterinario FISE (federazione italiana sport equestri).
Questo idillio è durato fino al 2001 dove per successivi distacchi di retina mi sono dovuto arrendere e appendere le siringhe e bisturi compreso l’ecografo e l’iscrizione all’albo dei veterinari, dicevo appenderli al chiodo ma soprattutto farmene una ragione, cosa non facile. Dopo una vita lavorativa dinamica e contemporaneamente coinvolgente.
Mi sono ritrovato fermo immobile, con mille incertezze e mille paure, anni duri e difficili supportati splendidamente dalla mia famiglia, moglie e figlio, che in quegli anni era appena nato.
Sono diventato una persona con ridotta mobilità. La vita non poteva finire li, anche se il mio carattere scalciava dentro di me facendomi soffrire non poco.
Bene alzati e cammina, disse…
E io mi sono alzato e con l’ausilio del computer ho aperto una società di consulenza in internet per mediazioni internazionali. Fermo dal mio ufficio ricercavo tramite internet clienti o prodotti per società. Sono entrato in partnership con il presidente di industria e commercio svizzero e con la sua SPA abbiamo cooperato in diverse transazioni internazionali, con clienti e istituti italiani ed esteri.
Un giorno l’assessore Provinciale all’agricoltura mi chiama e mi dice “Lei deve essere dei nostri ed entrare a collaborare nel mio staff!”. Detto fatto ho accettato subito, il richiamo bucolico era troppo forte, l’illusione appariva come ritornare vedente e riesumare il passato.
La collaborazione è iniziata come consulente per i contadini di montagna. Dovevo illustrare, in lingua esclusivamente tedesca, la normativa sui contributi unici comunitari, le leggi e regolamentazioni CEE, oltre che tenere convegni per sensibilizzare gli agricoltori sui nuovi regolamenti attuativi.
Successivamente sono passato alle progettazioni e allo sviluppo di idee. Li mi sono divertito ad applicare tutto quello che avevo toccato con mano negli anni precedenti. Ho elaborato progetti su misura per tutti quegli agricoltori che, vivendo sulle montagne, erano fortemente svantaggiati rispetto ai loro colleghi di pianura. La mia filosofia era ed è produrre, trasformare, vendere, ovvero vendita diretta senza intermediari, trasformando i prodotti primari della terra e offrendo al compratore una chiara idea di cosa acquista e quindi cosa mangia o beve. Non trascurabile il creare reddito per il produttore che eliminando la catena alimentare ed istruendolo nella produzione, nella trasformazione, nella conservazione e nella vendita del prodotto alimentare realizzavo in lui un’autonomia lavorativa per tanti inimmaginabile, conoscendo loro solo la grande distribuzione.
Ho progettato, trasformato, ma soprattutto venduto in tutta Italia, (chi fosse interessato, mi può contattare e sarò ben lieto di inviargli alcuni dei miei progetti più significativi). Contemporaneamente, mentre lavoravo come consulente, sono entrato in società in una cooperativa di Reggio Emilia che necessitava di supporto in campo agroalimentare. Con loro sto sviluppando progettualità sull’Appennino Emiliano e non solo,
Tutto questo può essere bello e interessante, ma voglio sottolineare che io, come te che leggi e sei ipovedente o cieco, ho passato anni difficili anzi molto difficili, per cercare di accettarmi e farmene una ragione ma soprattutto per convivere con quel lungo e bianco bastone che per gli altri rappresenta la nostra debolezza e per noi tanta solitudine. Come a tanti, anche a me è accaduto di provare disprezzo verso quel bastone bianco, quella sedia a rotelle immaginaria che divide il normale dall’handicap.
Attualmente sto passando all’area amministrativa dell’azienda sanitaria provinciale, ma il mio sogno è quello di tornare medico veterinario anche con handicap visivo.
Personalmente confido nella elezione di un direttivo dinamico, capace di interagire ma soprattutto di essere presente e comunicare.
Credo che chi si vuole candidare al consiglio nazionale della nostra Onlus deve essere fortemente motivato, deve credere di poter apportare la sua esperienza per un unico fine quello di essere utile a tutti i nostri soci.
Inizio cosi la mia seconda parte quella dedicata alle promesse, al programma, al mio sogno da condividere, ma soprattutto da realizzare.
2. Il mio sogno
Progetti, sogni, possibilità si fà presto a scriverli non sono mai le idee che mancano, attuarle è tutt’altra cosa, bisogna trovare un gruppo di persone motivate che lavorano anche quando i riflettori sono spenti, ma soprattutto che remino tutti nello stesso verso, questo è il compito del manager, del coordinatore o del dirigente.
L’UICI ha indiscutibilmente fatto tantissimo fino ad oggi, di questo bisogna rendergliene atto, ma non bisogna assolutamente essere paghi in quanto c’è ancora moltissimo da fare.
Gli ultimi 15 anni sono stati una svolta, i computer, internet, le sintesi vocali, i telefonini di ultima generazione hanno dato una forte accelerazione alla vita di tutti, compreso noi minorati della vista, apportando grandi vantaggi sia sulla quotidianità che per l’informazione e la comunicazione.
La comunicazione nel mondo è diventata normalità, se prima ci si muoveva per conoscenze o per sentito dire oggi basta un click e tutto è alla nostra portata, sfruttiamolo.
Cosa centra con noi tutto ciò? Moltissimo!
Comunicare è diventato un verbo facile, semplice, ma soprattutto non ha più scusanti. La nuova dirigenza deve comunicare in tempo reale sia tra dirigenti che con i soci.
Solo in questa maniera si ha la piena consapevolezza delle problematiche, ma non solo, anche i vantaggi o le novità, questo significa dedizione, disponibilità e presenza sul territorio.
Punto fondante per il nostro futuro è il nuovo statuto che ripete o meglio segue gli sviluppi di una Politica Italiana che attualmente fatica ad illuminarsi sufficientemente di luce propria.
La strada scelta non è sbagliata ma a parer mio toglie molta identità alle sezioni che sono il vero cuore della nostra Unione.
Sono convinto che le sezioni sono la locomotiva di tutto e come tale deve essergli data maggiore rilevanza. I soci si interfacciano con i dirigenti locali e la realtà delle Province è mutevole e assolutamente non paragonabile, eventualmente solo confrontabile una provincia con l’altra.
un solo coordinamento Regionale o Nazionale toglie l’autonomia e l’indipendenza fondamentale per i nostri soci che in ogni caso per ora è solo a parole annunciata come “autonomia sezionale” ma che dovrebbe essere e divenire assolutamente una realtà.
Il centralismo, ovvero dirigenza e presidenza, devono dare massima priorità e collaborazione alle sezioni, affinché tutte seguano un iter di crescita e sviluppo, con consulenze, meeting e aggiornamenti atti ad uniformare tutte le sezioni.
A livello regionale basta solo ed esclusivamente un unica persona che funga da portavoce o rappresentanza con i responsabili politici del potere esecutivo e di coordinazione Regionale, supportato eventualmente da uno o più rappresentanti di sezione, qualora ne insorga la necessità.
Questa figura di Presidente Regionale, deve collaborare attivamente con le sezioni rispettando l’autonomia sezionale ed eventualmente ha il compito di costituire commissioni per risolvere diatribe o problematiche, oltre che essere figura consultiva e propositiva per le sezioni stesse.
Avendo la supervisione di tutte le sezioni ha pure il compito di interagire mettendo a confronto problematiche e soluzioni interne alle sezioni stesse.
La Presidenza Nazionale con la sua direzione ha un compito istituzionale molto importante proprio a questa deve essere data massima rappresentatività e visibilità, tutte le grandi novità passano attraverso il loro operato. Per visibilità non intendo la loro immagine ma la trasparenza nel loro operato, con pagine dedicate sul nostro sito nazionale, divise singolarmente per attività.
Oltre che una direzione Nazionale forte e collaborativa deve assolutamente essere consultabile e raggiungibile da tutti dirigenti e anche da soci, via e-mail o telefonicamente senza dover assistere ad attese infinite o lunghi silenzi senza risposte.
il dirigente nazionale si deve prendere cura in primis di diritti e doveri dei soci, deve rappresentare una figura di riferimento una persona super partes che apporti risorse a tutti.
L’attuale nostro Presidente Mario Barbuto sta svolgendo correttamente il suo compito per quel che mi riguarda è sempre stato molto attivo impegnandosi a rispondere puntualmente alle richieste o problematiche sottopostegli, non voglio per questo avvantaggiarlo rispetto a candidati come Nicola Stilla e Simone Giuseppe che stimo in egual maniera, ma auguro a loro che vinca chi ha veramente voglia di lasciare scritto il suo nome come persona dinamica, moderata, con un briciolo di follia e curiosità, gli chiedo solo di prendere decisioni e non essere titubante, gli errori si possono correggere, ma se si ha paura di sbagliare si perde in partenza e ai nostri soci non rimarrà nulla.
Il nostro governament non deve essere diretto da correnti o raggruppamenti che ricordano il mal costume politico nazionale ma deve assolutamente emergere la meritocrazia e l’uomo o individuo singolo, come tale deve saper fare un passo indietro, per tanti è una sconfitta personale per me un elogio alla responsabilità. Spero vivamente che queste parole non si perdano nel vento ma che crescano dentro ognuno di noi con la consapevolezza che siamo solo di passaggio e che se vogliamo che rimanga una traccia di noi dipende solo dal nostro operato.
Non sono più concepibili e assolutamente anacronistiche le convivenze politiche o i raggruppamenti pro o contro, in una onlus senza fini di lucro,
L’Unione deve essere fatta dalle persone e gli statuti devono solo essere un atto di regolamentazione interna alla quale si deve dare un’occhiata ogni tanto, non è un codice comportamentale o un regolamento da seguire in risposta a problematiche appellandosi ad uno o l’altro articolo statutario.
Il nostro unico e indiscutibile fine deve essere la risoluzione dei problemi dei nostri soci.
Parliamo di immagine, benissimo credo che ci sia molto da lavorare, l’immagine della nostra onlus non riguarda il direttivo e le sue capacità e professionalità ma solo ed esclusivamente i nostri soci,
spesso troppo soggetti a visite oculistiche da parte di comuni cittadini per non citare datori di lavoro o colleghi e non per ultimo controllori e autisti di mezzi pubblici ecc., che mettono in dubbio il nostro handicap. La nostra categoria è stata fortemente denigrata da falsi ciechi o persone che attraverso i media attaccando giustamente i truffatori hanno messo in dubbio la credibilità di tutti noi. Il direttivo deve difendere e valorizzare la nostra minorazione sempre comunque e in tutti i casi, tutti i direttivi sia il nazionale che Regionale e di Sezione devono seguire i disagi sia quelli già costituzionalmente e legalmente protetti per legge sia le problematiche nuove o minori, non lasciando mai solo il singolo o gruppo di soci.
Sul tema lavoro, diciamo che più che un problema è una assoluta disperazione, che riguarda tutti noi e i nostri figli, vedenti o non vedenti.
A riguardo propongo di continuare la politica pressante o addirittura farla diventare asfissiante, verso gli organi competenti che ogni sezione e ogni direttivo Regionale e Nazionale ha svolto diligentemente fino ad oggi.
Propongo una maggiore collaborazione interna sfruttando le risorse che sono presenti dentro la nostra Unione.
Coinvolgiamo le nostre risorse intellettuali e intellettive, aprendo cooperative sociali che creino reddito ai nostri soci, creiamo una rete di contatti una raccolta sia nazionale che regionale delle professionalità e attraverso le cooperative si può operare abbattendo spese di contabilizzazione e gestione. Potremmo cosi sviluppare attività che possono integrare redditi personali o che siano le risorse primarie individuali.
Potenzialità come insegnanti, professionisti, appassionati di software e hardware, medici, ingegneri, operatori sociali, interpreti, ragionieri… possono attraverso la collaborazione interna trovare opportunità di collocarsi dentro la nostra Unione fornendo e potendo far fruire servizi internamente a noi. Possiamo creare autonomamente quelle risorse che mancano, non dimentichiamoci tra l’altro che le nostre professionalità danno sicuramente maggior piacere lavorativo, che a tanti manca.
Cosi facendo questo start lavorativo potrebbe avere l’occasione di espandersi anche fuori dall’ambito della nostra disabilità, creando non poche soddisfazioni.
Sono consapevole che il tema lavoro ha molte sfaccettature e che i posti protetti sono indispensabili ma credo sia giunta l’ora di iniziare a progettare alternative o possibilità che ci aiutino a crescere.
Questo a mio parere dovrà essere uno dei compiti del nuovo direttivo e so per certo che tematiche di certo peso non solo mie ma dentro tanti dirigenti, creiamo un gruppo di lavoro, confrontiamoci, collaboriamo per un unico fine, questo è quello che ci chiedono i nostri soci, dobbiamo accontentarli.
Qualora non venissi eletto in ogni caso metterò a disposizione il mio bagage culturale sperando di poter essere utile e fornire anche gratuitamente possibilità di crescita e soddisfazione per i nostri ragazzi e o disoccupati che vogliano intraprendere la strada singolarmente o associativamente nell’imprenditoria agricola o nelle cooperative sociali o cooperative societarie, per queste tematiche lavorative sono disponibile ad essere contattato fin da oggi.
Ai nuovi candidati alla poltrona presidenziale e al consiglio Nazionale auguro buona fortuna,
Spero che il mio profilo possa essere utile alla nostra Unione.
Lavorare o collaborare con l’Unione deve diventare un onore un privilegio e non un titolo davanti al nostro nome e il fine ultimo deve essere e rimanere solo l’interesse dei nostri associati.
Auspico che anche senza il mio apporto il mio sogno si realizzi, diversamente metterò tutto me stesso affinché questo sogno diventi anche il tuo.

Valter Calò
Presidente UICI Alto Adige
Valtercalo21@gmail.com

XXIII Congresso UICI Candidatura al Consiglio Nazionale, di Annita Ventura

Autore: Annita Ventura

Presentazione

Il mio impegno nell’Associazione inizia negli anni 90. Ho collaborato con la Sezione di Roma della quale nel 1996 sono divenuta vicepresidente per dieci anni, fino al 2005, quando ho assunto la carica di Presidente Regionale del Lazio.
Sono stata responsabile delle Unità Territoriali di Coordinamento in Abruzzo, Lazio ed Umbria. Ho fatto parte di commissioni nazionali tra cui la Commissione Istruzione e mi sono impegnata in altri ambiti dove, nella veste di Consigliere Nazionale, veniva richiesta la mia collaborazione.
Nel novembre 2014 sono stata nominata dalla FAND quale componente del Comitato istituito con la legge 278 del 2005, relativo al Coordinamento delle attività di un Centro Polifunzionale Sperimentale di Alta Specializzazione per persone cieche con minorazioni aggiuntive.
Nella mia vita professionale ho insegnato dapprima nelle scuole speciali di Roma, poi ho vinto la cattedra per l’insegnamento di lettere negli Istituti di istruzione secondaria superiore ed ho insegnato nei licei romani, ricoprendo anche diversi incarichi di progettazione e coordinamento. Per i dettagli si può consultare il curricolo.

Proposte
Nel proporre la mia candidatura al Consiglio Nazionale per il XXIII Congresso dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, comunico che sono una dei firmatari del documento di sostegno alla candidatura a Presidente Nazionale di Mario Barbuto, di cui apprezzo il lavoro svolto in questo breve periodo di presidenza.
Mi sento di affermare che i canditati al Consiglio Nazionale non debbano avere programmi individuali. Infatti ritengo che il programma dell’Associazione debba essere unico e condiviso. Esso non può che basarsi sui tre elementi fondamentali individuati nel 1920 dai “padri fondatori” e che vengono ben enunciati nello Statuto Sociale: “Istruzione, Lavoro, Assistenza”.
Tre capisaldi all’interno dei quali è possibile declinare la tutela e l’esigibilità dei diritti inalienabili conquistati dai ciechi delle generazioni precedenti e quelli che vanno difesi, migliorati e adeguati alla società attuale in continua e veloce trasformazione.
Ogni dirigente associativo, qualunque sia il ruolo che ricopre, non può esplicare la sua azione politica che operando all’interno di quei capisaldi.
Dunque non mi dilungherò né sul diritto alla cultura nei suoi vari aspetti, né sul diritto al lavoro, o sull’accessibilità o sulla questione dell’ISEE, etc.; mi limiterò ad alcune riflessioni, senza la pretesa di essere originale.
L’Associazione, nella ricchezza delle sue articolazioni, dovrà adeguare la sua organizzazione rendendola più democratica e realmente partecipativa. In questa direzione vanno molte delle proposte di modifica allo Statuto sociale che, se approvate dal Congresso per la loro efficace portata, costituiranno da un lato un maggiore ed effettivo riconoscimento della volontà dei soci (e non soltanto dei dirigenti), e dall’altro una limitazione dei poteri degli organi statutari, garanzia questa di qualsivoglia impianto democratico.
L’Associazione, dunque, dovrà correggere una certa commistione, cui si è assistito, nelle funzioni e nei ruoli specifici degli organi statutari. Perché l’azione politica sia efficiente ed efficace, si dovrà evitare la sovrapposizione o, peggio, il disconoscimento dei singoli organismi istituzionali; per chiarezza: la funzione politica e la funzione esecutiva. Al Consiglio Nazionale deve essere restituito e riconosciuto il suo ruolo di organismo politico, dove il programma viene elaborato e modificato in conseguenza dei mutamenti che si presentano nel corso della consiliatura; alla Direzione deve essere riconosciuto il ruolo propositivo unitamente al ruolo esecutivo; ciò non rappresenta affatto una “diminutio”, ma, al contrario, si configura come una importante funzione di attuazione, nell’individuazione di strategie, metodi e strumenti, calibrati per i diversi ambiti, finalizzati al perseguimento ed al raggiungimento degli obiettivi politici individuati dal Consiglio Nazionale, di cui la Direzione è parte integrante, così come parte integrante ne sono i Presidenti Regionali, garanti delle esigenze diversificate dei territori.
3) La funzione decisionale, insomma, non dovrà più essere affidata a conventicole o ad oligarchie che si compongono e si ricompongono in base a variabili e criteri soggettivi o personalistici, ma dovrà essere effettiva assunzione di responsabilità da parte degli organi statutari, ognuno per la parte di propria competenza. Ritengo che in questo risieda il vero metodo democratico e consultivo.
4) La formazione dei dirigenti, a qualsivoglia livello, deve diventare effettiva e permanente. Il continuo susseguirsi di norme in tutti i settori, le “riforme” in atto e la loro attuazione, i mutamenti istituzionali del Paese uniti a quelli amministrativi, richiedono una informazione corretta ed una conoscenza chiara da parte di chi ha l’onore e l’onere di dirigere, a qualunque livello, l’Associazione. La formazione, ripeto, deve essere permanente, organizzata con scansioni precise e sostenibili, evitando certi impianti narrativi od omiletici cui talvolta si è stati sottoposti. Sarà pur vero, come si legge, che i Presidenti non devono né fare né sapere tutto, però, essendo essi gli interlocutori politici privilegiati (senza nulla togliere agli altri dirigenti), non possono essere privi della contezza su ciò e su quanto si va modificando o aggiornando.
5) Il Centro Polifunzionale per le persone cieche con minorazioni aggiuntive ha in questi mesi mosso i primi, faticosi, ma significativi passi: è stato salvaguardato il finanziamento pubblico a suo tempo ottenuto (cosa, come si sa, non scontata); con procedure pienamente trasparenti è stata acquistata una sede idonea, che, e sempre in piena trasparenza, verrà adeguata alle esigenze del Centro. Il Centro Polifunzionale di Alta Specializzazione rappresenterà la sfida dei prossimi anni, per la nostra Associazione così come per la Federazione delle Istituzioni pro Ciechi: occorreranno capitale umano, risorse economico-finanziarie, nonché una forte condivisione associativa nella consapevolezza che esso potrà rappresentare un punto di riferimento per gli utenti e per le loro famiglie.
6) Una associazione forte e riconosciuta come la nostra dovrebbe aprirsi alla solidarietà globale. In continenti diversi dal nostro, in condizioni di sottosviluppo, il numero dei ciechi è sicuramente altissimo e le condizioni di vita, di istruzione, sanitarie e lavorative, sono molto difficili. La conquista dei diritti fondamentali è lì ancora assai lontana e, allo stato delle cose, non facilmente attuabile per le motivazioni che ognuno può comprendere. Tuttavia bisognerebbe intraprendere delle azioni solidali e di sostegno alla emancipazione dei ciechi, unitamente ad organizzazioni presenti su quei territori, azioni che possano alimentare il sogno di una vita migliore. Non so bene cosa suggerire, ma auspico che questa mia proposta possa trovare accoglienza ed essere materia di approfondimento comune.

A chi condivide queste poche riflessioni, a chi ha apprezzato il mio operato nell’Associazione, chiedo un riconoscimento in Congresso con l’espressione di voto favorevole alla mia candidatura.

Annita Ventura

Per contatti:
cell. 348 65 86 086
e-mail ventura.annita@gmail.com

Presidenzialismo o democrazia rappresentativa? Riflessioni per una scelta responsabile, di Nicola Stilla

Autore: Nicola Stilla

Avvicinandoci alla celebrazione del 23° Congresso nazionale dell’Unione, crediamo non sia più rinviabile da parte nostra, cercare di ragionare e riflettere pacatamente ed una volta per tutte, su come si debba inquadrare correttamente il delicato tema afferente la promozione delle candidature alle diverse cariche associative. Il fulcro del problema ruota attorno alle modalità di ricercare in modo trasparente il consenso da parte dei candidati alla presidenza e al consiglio nazionale.
Una riflessione sollecitata anche dai numerosi ed accorati appelli del Presidente nazionale orientati nel merito da un’aperta e aspra polemica afferente alla prassi di formare alleanze tra diverse aree regionali.

Nell’intento di porre la questione in termini chiari e rispettosi della buona fede di tutti, si possono evidenziare alcuni punti fondamentali:
ogni candidato si presenta per essere eletto con il maggior consenso possibile;
il candidato per essere eletto deve ottenere il maggior numero possibile di voti;
in sede congressuale è normale che i candidati si contendano il voto dei delegati ricercando consenso e alleanze.

Ricercare i voti è prassi assolutamente fondamentale e legittima per chi si candida a una carica, mediante campagne elettorali (non campagne acquisti) secondo un percorso democratico che si può così sintetizzare:
a) è perfettamente legittimo che un organo associativo del territorio proponga e sostenga la candidatura di una personalità di fiducia;
b) lungi da qualsiasi intento spartitorio, è perfettamente legittimo da parte di un gruppo di delegati  presentare apertamente e formalmente la richiesta ad altre delegazioni di far convergere il proprio sostegno su un candidato, sul suo programma  e sulla sua strategia associativa;
c) è del tutto ovvio e indiscutibile che, di là da ogni linea concordata, il voto di ogni delegato deve essere assolutamente e insindacabilmente libero;
d) ricercare alla luce del sole il consenso condiviso dei congressisti è un diritto inalienabile dei candidati che vogliono costituirsi una solida base democratica.

Ciò premesso, sembra ragionevole sostenere che per realizzare un’attiva partecipazione all’agone democratico, un simile percorso possa essere legittimamente scelto da chi ne abbia titolo, essendo stato chiamato democraticamente a rappresentare gli iscritti (democrazia rappresentativa).
Allo stesso modo, è ragionevole che siano valutati con uguale attenzione progetti e proposte di autocandidatura, le quali, peraltro, per ottenere consenso non potranno sottrarsi alle logiche di ogni congresso, la ricerca dei voti, magari non attraverso le interlocuzioni con le delegazioni, ma grazie al sostegno di personalità variamente influenti nelle diverse aree regionali.
Allargando l’orizzonte sul tema della democrazia rappresentativa, assistiamo da tempo a un quadro sociale e politico caratterizzato da una crisi diffusa dei corpi intermedi della rappresentanza sociale e dalla crescente sfiducia nella classe politica, che ha ridato vigore al pervicace ricerca del leader carismatico capace di realizzare ciò che alla prassi democratica è precluso. A nostro parere un uomo solo o una ristretta squadra al comando non sono garanzia di buona politica, come dovrebbe essere chiaro a tutti dopo anni di cattiva politica e mala amministrazione.

Presidenzialismo e leaderismo si fanno sentire ormai anche nella nostra associazione, in particolare nella proposta di statuto predisposta dall’apposita commissione e sottoposta al giudizio del corpo associativo.
Al contrario, il buon senso e la ragione dovrebbero indurci a salvaguardare nella nostra Unione il tradizionale e prezioso confronto democratico e il valore della rappresentanza associativa costruita con l’esperienza di una lunga prassi democratica e statutariamente incardinata soprattutto nei consigli sezionali e regionali.

Nicola Stilla

Candidatura al Consiglio nazionale: 1- Quale Consiglio?, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

La mia decisione di presentare la candidatura al Consiglio nazionale ha origine da due decenni di attività a contatto con i soci, prima come volontario, poi come consigliere e presidente sezionale. Da questa esperienza quotidiana, fatta di successi, frustrazioni, situazioni individuali talora allucinanti, ho tratto la precisa conclusione che l’esistenza dell’intera nostra organizzazione a partire dai livelli nazionali deve avere al centro della propria attività il sostegno e l’operatività massima delle sezioni territoriali. Prioritariamente bisogna garantire che la sezione territoriale, sotto qualsiasi forma denominata ora o in futuro, sia messa nelle migliori condizioni di funzionalità, per essere a disposizione totale dei soci, senza dover perdere ore e ore di lavoro per bilanci bizantini, burocrazie barocche et similia. E’ altrettanto fondamentale si garantisca che i dirigenti sezionali siano sempre disponibili al rapporto diretto con i soci e non rinchiusi in fumose torri d’avorio che spesso servono solo a massaggiare l’ego di se stessi e a coprire una sostanziale incompetenza di fronte alle domande dei soci. Per fortuna le difficoltà economiche delle sezioni stanno spazzando via questi ultimi atteggiamenti, ma nel recente passato non era difficile dover affrontare un colloquio col presidente di sezione organizzato come se si dovesse incontrare il Vescovo o il Prefetto. La presentazione della candidatura ha avuto però anche l’effetto di farmi riflettere in via prioritaria sulla funzione e il funzionamento del Consiglio nazionale, ancor prima di parlare di programmi concreti da proporre a voi e ai delegati. “qui incomincian le dolenti note a farmisi sentire…”. Passatemi la quasi parafrasi e scusate se faccio un passo indietro. Lo statuto, sia il vecchio sia la bozza nuova, delinea precisamente ruoli e compiti della dirigenza nazionale: presidenza nazionale e direzione nazionale hanno in sostanza il potere esecutivo, il consiglio nazionale ha il potere programmatorio e propositivo. Ovviamente è banale affermare che questa divisione dei compiti non è così secca e cruda, in quanto è auspicabile che il presidente nazionale abbia una sua visione della funzione dell’associazione e delle sue esigenze, come pure i membri della direzione nazionale; quindi è del tutto accettabile e fruttuoso che anche da queste fonti vengano proposte e suggerimenti concreti. Resta il fatto che la funzione propositiva deve costituire la maggior parte del lavoro del consiglio. Ora, se questo prescrive la norma occorre dire che da quando sono presente in associazione la sensazione è stata ben altra. Infatti ho percepito nella realtà che la presidenza nazionale e la direzione assorbivano totalmente sia il potere esecutivo che quello propositivo, riducendo il consiglio a mero strumento di approvazione formale di decisioni che avevano luogo in ambienti del tutto diversi. Ripeto , che alcune proposte vengano dalla presidenza o dalla direzione nazionale è del tutto legittimo è opportuno , ma non è per nulla opportuno anche se vagamente legittimo far assurgere tale comportamento a sistema. Questo andazzo è a mio parere anche dimostrato da alcuni fatti, in particolare dal funzionamento delle varie commissioni tematiche nazionali, burocraticamente formalizzate ad ogni tornata congressuale ma ridotte , pur con rare e lodevoli eccezioni a simulacri inconcludenti. Ma come aspettarsi qualcosa di diverso se si sa da decenni che, di fatto, chi fa proposte è sempre e comunque la Presidenza nazionale o la Direzione? Quante sono state le proposte di commissioni portate in Consiglio nazionale fino al marzo 2014?Temo che la risposta possa essere deludente, ma sarei lietissimo di essere contraddetto da numeri e fatti, soli argomenti accettabili. Da vecchio medico non posso però fermarmi alla descrizione dei sintomi, ma devo anche avanzare una diagnosi sulla patologia che ne è responsabile. La diagnosi a mio parere è evidente: questo strisciante sovvertimento della norma di diritto e la prevalenza di una norma di fatto del tutto diversa è dovuta alla composizione attuale del consiglio. Anche qui ha preso piede una sorta di legislazione di fatto per la quale i consiglieri nazionali sono determinati non dalla libera candidatura di persone con i loro valori e le loro competenze, bensì da accordi extra statutari congressuali tra presidenti regionali i quali , usando una specie di manuale Cencelli de noartri, badavano solo che i venti componenti fossero puntigliosamente ripartiti geograficamente in base al peso congressuale delle regioni che garantivano contemporaneamente la maggioranza per l’elezione del Presidente nazionale. Chi era dentro era dentro e chi era fuori restava fuori. Stesso meccanismo veniva usato anche per la nomina della Direzione nazionale , ovviamente. Lo Statuto non prevede nulla di tutto questo, ma per decenni esso è stato più o meno tacitamente, sostituito, con uno Statuto di fatto che ha ottenuto questi risultati. Il meccanismo è emerso chiarissimamente nel Congresso 2010 nel quale i risultati delle elezioni del Consiglio nazionale sono stati con evidenza figli di questo sistema per lo meno estroso di interpretare lo Statuto. Dal sistema elettorale di fatto emergeva però un Consiglio che non poteva essere composto da altri che da singoli individui, che rappresentavano se stessi o al massimo la regione di origine, senza alcuna modalità di valutazione da parte degli elettori sulle competenze di ciascuno di loro e senza alcun potere reale di proporre autonomamente atti od iniziative ritenute opportune per l’Associazione. D’altronde in queste condizioni di frantumazione dei componenti elettivi non si capisce come si sarebbe potuto ottenere una approvazione di una deliberazione proposta da un singolo consigliere senza che fosse stata prima vagliata da chi aveva fatto in modo che tale consigliere sedesse a quel posto. Attenzione! Conosco degnissime persone con eccellenti competenze che, malgrado questo pasticciaccio elettivo hanno fatto parte e fanno parte del Consiglio e della Direzione, ma alla luce di quanto descritto il fatto appare più frutto di fortuna per l’associazione e mi permetto di pensare cosa sarebbe potuto essere se anche poche persone di questo valore avessero potuto lavorare senza lacci e lacciuoli del genere descritto. Per verità devo riconoscere che l’elezione di Mario Barbuto nel marzo 2014 potrebbe rappresentare l’inizio di una maggior considerazione dei consiglieri circa le loro funzioni generali, ma occorre che questo episodio non resti una rara avis nella storia associativa. Per deformazione professionale, alla diagnosi segue la terapia. La mia proposta susciterà certamente le ire di qualcuno e probabilmente mi verrà rappresentata la necessità di salvaguardare l’unità associativa e dei suoi vertici, con aggiunta quasi certa della ulteriore considerazione che tutti i consiglieri nazionali sono lì “per il bene dell’Unione” e altre preziose massime filosofiche similari. Affermo che tutta questa serie di principi per me è scontata in chiunque assuma cariche associative, ma che oltre agli onorevoli principi di unitarietà e considerazione del bene associativo occorre anche permettere agli organi nazionali di lavorare al meglio delle condizioni previste dallo statuto. In primis il Consiglio deve recuperare le proprie funzioni propositive. Se fosse già attivo il nuovo Statuto la soluzione sarebbe semplice: si presenta una lista di candidati al Consiglio collegata alla candidatura di un Presidente nazionale, unitamente ad un programma condiviso che , in caso di vittoria, diverrà il programma di lavoro della maggioranza del Consiglio, senza escludere che anche la lista o le liste risultate minoritarie possano dare il loro contributo in Consiglio proponendo modifiche od aggiunte. Ma tutto questo può essere realizzato tra 5 anni se verrà approvato il nuovo Statuto. Dubito che la nostra Associazione possa permettersi questo lusso. Tra l’altro, la splendida iniziativa attuale della libertà di candidatura se da un lato permetterà di mettere in non cale il manuale Cencelli della divisione per territori, non dà però molte garanzie sulla possibile omogeneità di proposte da parte dei consiglieri. Non sto parlando di arrivare a tutti i costi in Congresso con una maggioranza consiliare già precostruita ma ritengo del tutto auspicabile, trasparente e legittimo che alcuni gruppi di candidati si possano riconoscere in alcuni temi programmatici da portare in Consiglio se eletti e portino a conoscenza di tutti sia il possibile programma sia i nomi di chi si impegna a sostenerlo Non . sarebbe certo una formula perfetta, ma almeno metterebbe in condizione i consiglieri eletti di non doversi presentare al Consiglio ciascuno con un programma diverso da tutti gli altri 40 e passa componenti.
Giovanni Taverna

Mia candidatura al Consiglio nazionale dell’Associazione, di Eugenio Saltarel

Autore: Eugenio Saltarel

Nel 2010, col sostegno del Consiglio Regionale Ligure, avevo provato a candidarmi sempre a questo incarico e, non essendoci riuscito allora, ho pensato di riprovare oggi. Gli eventi di quell’anno hanno portato alla nascita di un Movimento che si è definito di Rinnovamento all’interno della nostra Associazione; Movimento del quale sono stato nominato Coordinatore, carica che ricopro tutt’ora. Ho redatto il mio curriculum in stile freddamente burocratico perché è lo stesso che ho utilizzato fino a ieri durante tutto il mio percorso di vita e non ritengo giusto modificarlo, ma piuttosto aggiornarlo, se vorrete leggerlo penso capirete meglio chi sono e cosa ho fatto fino ad oggi. A completamento però aggiungo alcune considerazioni che spero permetteranno di conoscermi meglio e, di conseguenza, giudicarmi idoneo o meno a ricoprire l’incarico cui mi candido; infatti la formazione della mia vita è passata attraverso alcuni momenti:
l’Istituto Chiossone di Genova mi ha formato al suo interno, permettendomi di acquisire la cultura che mi ha sostenuto durante tutta la vita; la frequenza delle scuole superiori presso un Istituto Privato gestito dai Gesuiti ha caratterizzato la mia formazione religiosa: inizialmente profondamente cattolico e impegnato, successivamente agnostico, oggi profondamente credente in rapporto principalmente con Chiese Evangeliche. Gli amici e la frequenza dell’università mi hanno permesso di svolgere un ruolo attivo nella trasformazione dell’Istituto Chiossone a partire dai fatti del 1971 culminati nell’intervento della polizia il 5 marzo e nella riassunzione grazie all’intervento dei Consigli di Fabbrica in ottobre di tutti gli allievi espulsi, tra cui anche il sottoscritto. L’impegno di allora continua tutt’oggi. La frequenza dell’Unione e i vari incarichi che vi ho ricoperto e ricopro, mi hanno permesso di lavorare attivamente anzitutto per me, e successivamente per tutti gli altri amici e soci. Aver lavorato parecchi anni in Comune a Genova come funzionario direttivo mi ha permesso di conoscere a fondo la macchina burocratica e di capire come in parecchi casi si poteva eluderne la paralisi per realizzare servizi utili alla collettività.
Sulla base di queste esperienze mi sembra importante, per farmi conoscere meglio, cercare di esporre come mi piacerebbe poter lavorare all’interno del consiglio nazionale. Per prima cosa credo sia necessario che si arrivi a fare squadra per poter raggiungere gli obiettivi che vorremo raggiungere: fare squadra è un risultato difficile da raggiungere perché significa riuscire a collaborare pur avendo idee diverse, prospettive diverse e, spesso, culture diverse da cui proveniamo. La buona riuscita di ciò soprattutto dipende ovviamente dalle figure del presidente e del vice, ma tutti dobbiamo collaborarvi. Anche l’Unione, come tutte le organizzazioni, ha bisogno di un vertice compatto che possa essere convincete sia all’esterno che all’interno.
L’altro elemento da privilegiare, a mio avviso, è il rapporto col resto della società: le altre associazioni ed organismi di e per disabili, ciechi e ipovedenti compresi, devono poter trovare in noi uno strumento di collaborazione per raggiungere insieme obiettivi comuni, soprattutto in questo periodo in cui molte delle nostre conquiste vengono messe in discussione e spesso, per poterlo fare, veniamo messi l’uno contro l’altro. Allo stesso modo il discorso vale su scala più ampia con il resto della società civile: chi opera nella sanità, nella scuola, nel mondo del lavoro, nei settori sociale e assistenziale ha spesso problemi uguali ai nostri (necessità di prevenzione, cure adeguate, assistenza scolastica, integrazione scolastica e lavorativa, possibilità di condurre una vita degna di questo nome; se questi obiettivi possono essere comuni, allora anche la strada per raggiungerli può essere fatta insieme. Ovviamente non potremo essere tutti e sempre d’accordo, ma credo sarà molto utile anche a noi in questo caso scoprire le ragioni e le dimensioni delle differenze, confrontarvisi e, se proprio non sarà possibile, perché dovrebbero essere sacrificati nostri progressi raggiunti con tanto sforzo, avere chiaro il perché i modo da poterci comportare per conseguenza. Non scendo volutamente nei singoli settori che ho appena nominato, ma i documenti che in questi ultimi anni abbiamo elaborato come Movimento di Rinnovamento penso possano essere sufficienti a chiarire le mie prospettive in questa direzione.
Poi sono convinto che per poter raggiungere gli obiettivi che ci porremo, per poter far fronte alle situazioni difficili che già oggi non ci mancano e per poter progredire sulla strada di una nostra sempre maggiore integrazione sociale è necessario poter disporre di un’organizzazione che eufemisticamente definirei al passo coi tempi: questo significa maggiore trasparenza possibile, riduzione al minimo del cumulo delle cariche, incentivo a un continuo rinnovamento non solo di persone, ma anche di idee e di strumenti per dar loro gambe, la realizzazione di uno statuto che aumenti le potenzialità di tutti i livelli associativi, garantisca il massimo di democrazia e di coinvolgimento di soci, loro rappresentanti, nostro personale e nostri amici e collaboratori.
In fine, al momento di porre questa candidatura, mi viene spontanea una domanda cui cercherò di abbozzare una risposta: qual è oggi il senso di una associazione come la nostra? Perché soprattutto molti giovani (e io ho anche fatto parte di queste persone nel tempo) possono pensare che proprio per il fatto di ritrovarci in una associazione di ciechi ciò significhi un ostacolo alla nostra integrazione sociale? Io sono convinto che questo rischio esista davvero e che, se crediamo nei fini per cui l’Unione è nata, dobbiamo evitarlo a tutti i costi. Da un lato penso che si debba tentare ogni strada per aprire vie al nostro poter stare con chi vede, essendo però considerati alla pari: Ognuno, vedente o no, fa quello che può e che sa per aiutare gli altri. In secondo luogo le iniziative specifiche che realizziamo (corsi, gite, manifestazioni varie) devono poter essere aperte a tutti, soci e non, vedenti e non, ovviamente là dove ciò è possibile. In terzo luogo non vanno trascurate quelle iniziative che sicuramente non interessano chi vede (il corso di alfabetizzazione al computer, per esempio, interessa i vedenti magari solo per curiosità, ma diversamente non è necessario sia loro aperto). In fine credo sia importante incoraggiare la possibilità di esprimere, soprattutto a livello di volontariato, la nostra capacità di intervento nei diversi settori del sociale, dello sport e della cultura, non trascurando di offrire anche all’interno dell’associazione la possibilità di incarichi in questi ed altri settori più o meno retribuiti.
Ovviamente resto a disposizione per approfondire questi ed altri argomenti attraverso tutte le modalità che mi verranno offerte: potete contattarmi, leggere anche altri interventi che potrò scrivere, ascoltare le trasmissioni della nostra radio.

Eugenio Saltarel
E-mail: saltarel@alice.it;
cellulare: 329-88 21 737.

Candidatura al Consiglio Nazionale UICI, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Chi sono e perché ho deciso di candidarmi.
Mi chiamo Silvana Piscopo, vivo a Napoli, sono una dirigente scolastica in pensione da 4 anni; da pochi mesi faccio parte del consiglio provinciale della sezione UICI di Napoli, ma si tratta di un ritorno a distanza di molti anni, perché ne feci già parte da giovane alla metà degli anni settanta con presidenza Castellucci; dopo l’esperienza di una consiliatura intera, durante la quale mi occupai di problemi legati alla cultura, all’emancipazione femminile, all’autonomia ed indipendenza delle persone cieche, mi distaccai dall’associazione per due ordini di motivi: un motivo di dissenso con la prevalente politica assistenzialistica che, a mio avviso, sanava piccole emergenze dei soci senza, però, curarne la crescita sociale, culturale e di partecipazione consapevole; un motivo personale legato alle mie responsabilità di dirigente dell’unione donne italiane a livello provinciale e nazionale. Inoltre erano anni di grandi utopie di trasformazione culturale ed io, che insegnavo filosofia e storia nei licei, volevo essere in medias-res curando in modo scrupoloso la mia preparazione culturale e metodologica. L’impegno sociale, però, verso le problematiche di cui mi occupavo nell’uici, continuava a far parte della mia vita pubblica, perché di quelle problematiche io non solo ero un esempio tangibile, ma diventavano parte integrante di tutti i miei interventi che facevo nelle scuole in cui insegnavo, nelle organizzazioni politiche in cui militavo. Negli anni novanta, con il superamento del concorso a preside nei licei, mi sono trasferita in toscana e, per la precisione, a Pistoia dove ho presieduto, con impegno, fatica, ma anche importanti soddisfazioni e risultati, un complesso e vastissimo liceo scientifico con molteplici problematiche;
contemporaneamente, accolta con grande cordialità dalla locale sezione UICI, mi sono resa disponibile nel dare un contributo sulle problematiche dell’istruzione cultura ed integrazione delle persone cieche ed ipovedenti del territorio pistoiese.
Ben presto, con il rinnovo delle cariche associative sono entrata a far parte del consiglio provinciale della sezione di Pistoia e, successivamente del consiglio regionale toscano a presidenza Carlo Monti di cui ho un ricordo forte e affettuoso perché mi è stato maestro ed amico; mi occupavo, naturalmente, delle tematiche a me più congeniali e cioè scuola, cultura, integrazione e partecipazione scolastica e sociale dei ciechi ed ipovedenti e, essendo stata designata quale membro dell’esecutivo regionale, potei fare esperienze importanti con tutti i rappresentanti delle varie province su tali problematiche; ho lavorato con impegno e passione e, soprattutto con il gruppo degli amici fiorentini, stabilii una forte sintonia costruendo insieme una vera circolarità nel metodo di lavoro e di proposte innovative. Sono stati, gli anni vissuti in toscana, molto arricchenti per me, considerando anche che ho ricoperto la carica di consigliera provinciale della provincia di Pistoia con responsabilità impegnative:(scuola, cultura, bilancio) e, in tale veste, con la locale sezione provinciale UICI, i fondi della cassa di risparmio di Pistoia e Pescia, stanziamenti provinciali dal fondo cultura, coordinai una bella attività museale dal titolo “L’arte da toccare-Museo tattile città di Pistoia”, in collaborazione con Ancona, dove il prof. Aldo Grassini, con la sua sapienza, determinazione e passione, aveva già dato vita alle prime fasi del museo Omero, di cui oggi possiamo vantare la bellezza e il valore culturale. Contestualmente entrai a far parte della commissione nazionale per l’istruzione a guida Tioli e, anche con lui ed altre personalità facenti parte del gruppo, come il prof. Bizi, la giovane Annita Ventura, l’amico Paschetta, ho avuto modo di contribuire con impegno e piena libertà di opinione e proposte di attività;
ho, d’altra parte, anche avuto la delusione di sperimentare il costante divario tra le proposte delle commissioni e la scarsa consistenza operativa degli organi decisionali dell’associazione sia al livello centrale sia ai livelli territoriali di molte regioni e province che spesso non fornivano neppure i dati più elementari per permettere diagnosi statistiche, proposte funzionali per rendere esigibili i diritti di studenti e genitori; le commissioni potevano e potranno avere un senso solo se chi governa l’associazione fornirà materiale per lavorare, credibilità verso soci e dirigenti e se saranno dotate di autonomia di scelta sia nelle competenze di cui avvalersi, sia di possibilità di recarsi nei territori per agire da sostegno e formazione di quanti nelle sezioni si occuperanno dei vari settori strategici per la formazione, il lavoro, la crescita sociale e quant’altro abbia a che fare con la vita quotidiana di ciechi ed ipovedenti.
Sono, poi, ritornata a Napoli e, un po’ per ragioni di lavoro, un po’ per difficoltà di contatti con la sezione territoriale, ho vissuto con distacco le vicende sezionali e nazionali per alcuni anni.
Mi sono alquanto impegnata con l’U.N.I.Vo.C. napoletana contribuendo in vari progetti, nella promozione e nella comunicazione: di tale associazione sono la vicepresidente a livello provinciale.
Ciò che mi ha rimotivata alla collaborazione con l’UICI è stato il congresso 2010, soprattutto la sua conclusione che, allora, e ancora oggi a ripensarci, aveva il sapore di una vera e propria caporetto della democrazia interna, considerata la totale esclusione di una minoranza non minoritaria visto che non solo raggiungeva il trenta per cento dei delegati, ma era portatrice di un dibattito di spessore alternativo e non di un banale dossier di provocazioni. Dal 2011, dunque, mi sono inserita nel dibattito associativo ed ho collaborato dall’esterno con il movimento uicirinnovamento; con le ultime elezioni per le cariche associative, essendomi stata proposta la candidatura per la lista guidata da Mario Mirabile, che è l’attuale presidente della sezione napoletana, ho accettato proprio perché ho ritenuto che potessi e dovessi collaborare mettendo a disposizione le mie esperienze professionali, associative, politiche ed umane.
Ora, con questo stesso spirito di servizio, ritengo opportuno mettermi in gioco candidandomi al consiglio nazionale. Ho fiducia nell’attuale presidente nazionale, perché, nonostante i limiti dovuti alle modalità con cui ha assunto questo ruolo, le difficoltà di contesto politico e sociale in cui l’UICI deve operare per la difesa dei diritti acquisiti, sta dimostrando di saper reggere agli impatti difficili e di voler apportare cambiamenti di metodo e di merito. Questa mia candidatura, perciò, vuole essere una testimonianza di disponibilità verso un auspicabile nuovo corso, ma, ci tengo a precisare che, in qualsiasi caso, tale disponibilità rimane intatta indipendentemente dal risultato della competizione elettorale, relativa al consiglio nazionale. Tutti coloro che, come me, hanno avuto l’opportunità di studiare, costruirsi una soddisfacente carriera professionale, una decorosa indipendenza materiale, culturale, economica, sia pure con fatica, sormontando muri fatti di pregiudizi che amplificavano i problemi, devono, a mio avviso, testimoniare con l’impegno attivo la capacità di essere ancora utili alle generazioni nuove, per le quali non si profila un futuro lineare; dobbiamo trovare modalità efficaci a dimostrare, magari attraverso una opportuna terapia di umiltà, che l’UICI non è solo un palazzo cui si viene a chiedere protezione e tutele, ma una grande officina di idee ed azioni in cui ciascuno può trovare uno spazio per costruire il proprio tratto di strada con l’aiuto di tanti, che la crescita di ciascuno coinvolge la crescita anche di altri, che la libertà di ognuno si fonda e si misura sulla e con la libertà di tutti.

Programma

Premessa: nel momento in cui, accogliendo le sollecitazioni di alcuni amici a candidarmi, ho deciso di partecipare a questa competizione, mi sono anche chiesta: “cosa potrò e saprò fare nel caso che divenga parte del Consiglio nazionale?” in realtà io non credo che ciascuno possa scegliere cosa fare, perché in un’associazione come l’Uici, vengono affrontati quotidianamente problematiche molteplici e chi si assume responsabilità deve imparare ad ascoltare, dare risposte credibili, concrete ed utilizzare una forma diretta e semplice di comunicazione: dunque la prima cosa che dovrei fare sarebbe imparare a rapportarmi con le persone con una semplicità e sinteticità di linguaggio, che non sempre mi è propria, data l’abitudine ad intervenire in contesti lavorativi fatti di gruppi omogenei. In secondo luogo devo dire che, indipendentemente da come sarò votata, potrò dare il mio contributo all’Uici nelle forme e nei modi in cui mi sarà richiesto, perché sulle problematiche di istruzione, formazione, cultura e organizzazione scolastica, ritengo di disporre di competenze sufficienti per essere utile a tante sezioni territoriali che, magari, devono affrontare situazioni pratiche, difficili ed immediate per le quali non sempre ci sono persone con adeguate conoscenze a portata di telefono.
come collaborerò in caso di risultato positivo:
1) cercherei in tutti i modi di rendere centrali le sezioni territoriali che, secondo me, costituiscono le fondamenta dell’Uici e che non sempre vengono supportate e valorizzate come si conviene, soprattutto quelle dei territori più periferici, o quelle che non si sono passivamente adeguate al volere di questo o quel potentato di turno;
2) manterrei fermo e prioritario l’impegno assunto con la mia sezione di appartenenza(cioè Napoli) continuandomi ad occupare delle problematiche dell’istruzione e della cultura e ne rappresenterei sia le istanze, sia le esperienze che potrebbero risultare di utilità collettiva;
3) mi adopererei in tutte le occasioni possibili per far sì che il consiglio nazionale non si limiti alla sola funzione burocratica del deliberare tutto quanto propongono direzione e ufficio di presidenza, ma eserciti le prerogative attribuite dallo statuto in maniera efficace, propositiva, avvalendosi del sano diritto di critica che non è da confondersi con la polemica funzionale all’insano disfattismo;
4) mi renderei disponibile nel costruire un gruppo di lavoro forte, competente e continuativo in grado di affrontare tutte le problematiche attinenti l’istruzione, l’inclusione scolastica degli studenti, la formazione culturale e professionale degli stessi individuando anche percorsi non tradizionali per sviluppare alternative valide di inclusione lavorativa;
5) svilupperei, cercando collaborazione tra scuole, università, Irifor una capillare politica di formazione degli insegnanti, ma anche delle figure di supporto, frequentemente generiche, come assistenti alla comunicazione e assistenti per le attività post-scolastiche;
6) mi impegnerei affinché le commissioni di lavoro non siano organi di facciata, come frequentemente lo sono state, ma abbiano un ruolo propositivo e costruttivo come ad esempio: supportare gli insegnanti ciechi ed ipovedenti sia attraverso la consultazione online, sia sviluppando attività di aggiornamento mirato e adeguato alle trasformazioni in atto dal punto di vista tecnologico, didattico e metodologico, sia con l’istituzione di un ufficio legale trasversale a tutte le problematiche attinenti i diritti dei ciechi ed ipovedenti rispetto al lavoro, all’autonomia, alla vita indipendente; mi renderei disponibile nell’offrire consulenze a genitori ed alunni su questioni di carattere pratico che spesso non possono essere risolte da consiglieri e presidenti di sezioni perchè tanti aspetti delle legislazioni scolastiche non possono essere noti; predisporrei delle facili guide di cui potessero servirsi le nostre sezioni ma da offrire anche al personale delle scuole in cui siano frequentanti ragazzi e giovani non ed ipovedenti;
7) promuoverei, con l’aiuto di collaboratori competenti di comunicazione facilitante, attività di orientamento a conclusione del ciclo dell’obbligo per la scelta del tipo di scuola cercando, anche attraverso test di carattere attitudinale e motivazionale, di fornire utili supporti sia per la prosecuzione scolastica, sia per la scelta universitaria, sia per i percorsi specialistici;
8) mi impegnerei a sviluppare tutti i canali utili per permettere agli studenti delle scuole secondarie l’alternanza scuola-lavoro al fine di approcciare con sistematicità tutte le opportunità lavorative, maturare esperienze e competenze.
Forse queste proposte possono apparire eccessive o, forse, scontate; nell’uno e nell’altro caso può darsi che chi leggerà e giudicherà abbia ragione, fatto sta che queste attività costituiscono il punto di equilibrio fondamentale di cui dobbiamo garantire la realizzazione per aiutare famiglie e studenti ad essere concretamente protagonisti della propria crescita scolastica, formativa, culturale e sociale. Talvolta ho incontrato genitori che hanno ringraziato docenti perché hanno facilitato i compiti riducendo obiettivi formativi e culturali, mi è stato difficile far comprendere che questi regali offendono la dignità, riducono le capacità, ostacolano lo sviluppo culturale di un ragazzo e che l’unione dei ciechi e gli ipovedenti ha sempre rivendicato i diritti e non può, né deve barattare il diritto soggettivo delle persone con qualche nocivo regalo compassionevole: dunque io mi spenderò con tutto il bagaglio di volontà e competenze di cui sarò capace per portare in alto la bandiera dei diritti e delle libertà.
Silvana Piscopo

tel. 081-2462490, cel.342-8421201, e-mail silvanapiscopo@alice.it

Corbiolo e poi… più, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

Nei primi degli anni cinquanta, cioè da quando ho iniziato a… lambire il “mondo dei ciechi”, allora gli ipovedenti non esistevano, si proponevano con iniziative diverse e si definivano … subvedenti.
Da quegli anni la mia vita è cambiata, avevo iniziato a percepire l’affetto e la comprensione di coloro che erano come me o peggio, allora io ero ancora in possesso di un residuo visivo che la retinite pigmentosa mi permetteva di avere.
Frequentavo in quegli anni l’Istituto dei Ciechi di Milano, la sede dell’Unione era abbastanza decentrata; in quel tempo ho conosciuto persone eccezionali, mi hanno fatto superare innumerevoli complessi di inferiorità che mi affliggevano, mi hanno insegnato il braille, a vivere e ad assaporare la vita nella mia nuova situazione.
Erano le insegnanti della scuola elementare dell’Istituto dei Ciechi: Reggiori, Floris, Zenoni, Bombelli, ma soprattutto Eugenia Corno e ancora più Clelia De Gaudenzi (esperantista), particolarmente intelligente e buona.
Erano i tempi in cui era vivace l’attività di Angela Motta che aveva istituito un’iniziativa di fede e di operatività nella quale i ciechi con i vedenti avrebbero trovato una gioia di vivere e di operare nella fede.
Mi ricordo di aver partecipato a gite in pullman organizzate da Angela Motta e Clelia De Gaudenzi e altre insegnanti, nel corso delle quali: preghiere, rosari e allegrezza si fondevano con manifestazioni di solidarietà e affetto non comuni che in alcuni casi perdurano ancora oggi. Nei suoi primi anni di vita l’iniziativa di cui scrivo aveva un diverso acronimo, una diversa assonanza, ora, MAC Movimento apostolico ciechi suona benissimo e anche nell’acronimo non vi possono essere allusioni di sorta.
Erano gli anni cinquanta, frequentavo l’Istituto dei Ciechi di Milano, in segreteria vi era un’impiegata con la voce incantevole, il nome era difficile era la signorina Monpoil (impenitenti e incorreggibili la chiamavano …mio pelo).
Avevo saputo dalla mia insegnante di braille che attraverso Teresa Fusetti (i Fusetti erano allora un gruppo imprenditoriale di spessore) che si potevano ottenere dei biglietti gratuiti di andata e ritorno per il non vedente e il suo accompagnatore in pullman per Courmayer. Mi ricordo di quelle simpatiche gite, per me erano le prime.
Ecco ora che a distanza di anni l’iniziativa filantropica di Teresa Fusetti torna a coinvolgermi in prima persona da quando cioè ho pensato di trascorrere un periodo di vacanza a Corbiolo; anni addietro grazie a Rino Nazzari presidente del MAC di Milano avevo conosciuto quella struttura avendovi anche soggiornato per pochi giorni in diversi periodi. Quest’anno ho pensato di trascorrervi due settimane con Nara; ci siamo stati talmente bene che abbiamo chiesto e ottenuto di rimanervi per altri sette giorni.
La Casa di soggiorno dedicata a Teresa Fusetti è impeccabile nella sua struttura e organizzazione, le camere sono dotate di molti comfort, manca la televisione nelle singole camere ma vi sono due sale di intrattenimento dotate di due splendidi apparecchi televisivi.
I pranzi e le cene sono puntuali e cospicui, se qualche ospite ha difficoltà per qualche alimento gli viene modificato; le portate oltre ad essere abbondanti hanno una proposta di bis (chiamato ripasso).
Sempre oltre il contorno vi è verdura in abbondanza, frutta, dolce e gelato concludono sempre gli incontri a tavola.
L’Organizzazione del Movimento Apostolico Ciechi e l’assiduo impegno del Direttore Sergio Zanini, del quale non si può che dire un gran bene, hanno creato intorno alla struttura la disponibilità di accompagnatori, in gran parte studenti che per pochi euro accompagnano i non vedenti ovunque desiderino.
Tutto il comprensorio ha in gran considerazione sia del MAC che dei ciechi poiché è chiaro che, noi siamo un particolare incentivo per tutto l’indotto. Ho potuto constatare che tali considerazioni coinvolgono pure i centri vicini, Boscochiesanuova e Cerro.
Il fluire tranquillo di uno zampillo di una fontanella indica al non vedente l’ingresso della struttura.
Un ampio giardino, un gazebo, delle panche, sedie e tavoli completano l’arredo per l’accoglienza esterna alla struttura.
Il chiacchiericcio degli ospiti concorre a creare l’atmosfera di ospitalità gaia e serena.
Quando lascio la Casa a vacanze finite, ritrovo intorno a me non vedenti e ipovedenti, non importa sono persone con le quali si sono condivisi giorni di serenità con il gioco delle carte con canti estemporanei e ricordi di simpatiche sere trascorse ad ascoltare complessi musicali e corali che il Direttore, ascoltatissimo nella lessinia ha organizzato nel centro soggiorno Teresa Fusetti Via delle Fontane 5 Corbiolo di Boscochiesanuova telefono 045 705 05 12.
Per chi volesse saperne di più e apprezzare maggiormente tutto il comprensorio: www.montilessini.com

Unione. Il perché di una candidatura, di Peppino Re

Autore: Peppino Re

In occasione del XXIII Congresso nazionale dell’Unione, dopo una attenta riflessione, ho deciso di presentare la mia candidatura per il Consiglio Nazionale.
Ora, sì, proprio ora che, a questo evento, non ho nemmeno titolo per partecipare. Dal 1989 fino al 2010, sono stato eletto dalla Assemblea dei soci di Palermo delegato al Congresso. Invece, questa volta… Nemmeno candidato.
Mi presento a questa platea congressuale con una partecipazione alla vita associativa dal lontano 1986, ricco di bei momenti e di belle occasioni vissute, a livello provinciale, regionale e, anche a livello nazionale.
In questo trentennio, per Unione ho fatto di tutto. Una interminabile vita di sezione accanto ai ciechi palermitani, dove ti scontri quotidianamente con la problematica dei ragazzi, degli anziani, dei pluriminorati.
Per Unione ho girato tutte le scuole della provincia dove vi erano alunni minorati della vista, per consigliare, per esaminare, per proporre. Per Unione sono stato da dirigente presso l’Istituto per ciechi di Palermo, imbattendomi nella difficoltà dell’ente di riconvertirsi in qualcosa di importante per i ciechi.
Per Unione, in formato Irifor, mi sono inventato corsi e momenti di riqualificazione.
Per Unione mi sono armato di un registratore ho cercato di cogliere e diffondere il meglio che accadeva dalle mie parti. Ho scritto, detto e scritto, di ciechi, di identità, di storie, di fughe, di ritorni a casa.
E Per Unione, dal 2010 io che sono un moderato, mi sono inventato rivoluzionario. Con documenti di protesta, con programmi, con ripensamenti sull’essere dell’Unione, che mi hanno portato ad avere un ruolo di primo piano nella organizzazione dell’assemblea di Prato, autoconvocata. In quella assemblea finalmente cadeva la sudditanza alle gerarchie e nasceva quel movimento di massa che oggi con Mario Barbuto imposta un Congresso democratico contro quello bloccato di Chianciano del 2010.
Eppure, anche se con una storia infinita, che cercherò di dettagliare meglio in questi giorni, vi è netta la sensazione di… non aver potuto dare in maniera sistematica il meglio di me stesso, a causa di alcune avversità che io non sono stato in grado di superare. Se la vogliamo chiamare per nome, questa difficoltà si è presentata come una sfinge nella mia sezione di appartenenza, Palermo. Volendo chiamarla enfaticamente, si è trattato di “culto della personalità”, un evento che, purtroppo in Unione conosciamo bene e che ha troncato tante altre soggettività di valore. A Palermo questa personalità imprescindibile si è chiamata Tommaso Di Gesaro, e la squadra di sezione, beninteso la squadra della sezione più numerosa di Italia, ha puntato sempre e solo su di lui, inducendo gli altri a comportamenti subordinati per poter esistere. Ecco perché la mia candidatura, oggi non può che essere assolutamente personale, non concordata, e avviene allorché di fatto il sottoscritto, a seguito di un documento ampiamente diffuso e sottoscritto insieme a Maurizio Albanese, si è pubblicamente dissociato da alcune pratiche associative che a Palermo assicurano la continuità eterna della Classe dirigente.
Eppure per un miracolo difficile da raccontare, il percorso con gli amici della sezione è perfettamente confluito nel 2010, in occasione del XXII Congresso.
Finalmente abbiamo parlato e scritto all’unisono di rinnovamento e nella platea di quel Congresso abbiamo sostenuto l’idea di una nuova Unione… Solo che quelle idee sono state sostenute da essi fino al Congresso. Non hanno pagato e sono state abbandonate. Così, questa volta le nostre strade sono diventate incompatibili, e, nel 2015, dopo 29 anni di vita associativa la mia candidatura è il frutto del parere di tanti amici, e non di un gruppo ben organizzato.
Chi sono….
Peppino Re, residente a Cefalù, 58 anni, insegnante di storia e filosofia da 33 anni, in prevalenza al liceo classico di Cefalù…
Cieco assoluto dalla nascita, mi sono formato presso l’Ist. Per Ciechi di Palermo Florio e Salamone. In questo contesto era assolutamente naturale seguire la vita associativa palermitana, e frequentare gli esponenti di rilievo della sezione. In particolare il prof. Gioacchino Di Trapani, e il mio battesimo con la Argolimpia, che mescolava sport e informatica, turismo sociale, rapporti e commistioni di non vedenti con i propri amici. Tramite Argolimpia, dal 1986 sono entrato a far parte del Consiglio regionale siciliano eletto dall’assemblea di Palermo. Comincia così un percorso frastagliato di situazioni e personaggi difficile da descrivere. Quello che conta, dal mio punto di vista, sono alcuni momenti nei quali mi sono particolarmente impegnato.
Sul piano locale mi sono dedicato alla questione Istruzione. In quel momento anche da noi arrivava la temperie dell’integrazione scolastica e dello svuotamento dell’Istituto. L’ambiente associativo palermitano viveva come un trauma questa rottura e, dove poteva cercava di opporsi. Sapendo di non poterla spuntare sul piano ideologico, il sottoscritto ha operato perché si creassero i servizi a supporto dell’integrazione. In particolare i soggiorni estivi, per cercare di far passare competenze. Rimane emblematico il soggiorno del 2004 che ha coinvolto la Sicilia occidentale, con il supporto della Biblioteca di Monza.
Con un bel nucleo di volontari, fra il 1995/98 ho guidato la Univoc, e abbiamo organizzato due stagioni musicali, come concerti da offrire alla città. Lo slogan era quello di superare lo stereotipo del cieco che chiede, ma rilanciare l’immagine del cieco che offre alla città un momento di incontro e di scambio, proprio per stare insieme…
Sul piano nazionale dal 86 al 93 mi sono occupato di gruppo Giovani, insieme a Luisa e al mitico Barausse, del quale ho preso la eredità di coordinare il gruppo. È stata una scommessa, per inserire in Unione idee e personaggi nuovi, da far entrare dalla porta principale. Ho lavorato con la commissione Istruzione di Banchetti e Mazzeo, e ultimamente con il comitato docenti di Lucio Carassale e poi di Paolo Colombo e di Daniela Floriduz.
Nel periodo 2004/10, vicepresidente all’Istituto di Palermo, ho interagito positivamente con la Federazione Nazionale delle Istituzioni per ciechi di Silvano Pagura e Rodolfo Masto, portando l’Ist di Palermo ad avere un ruolo importante come interfaccia di sviluppo. A volerci pensare, in quel periodo abbiamo seriamente provato a dare una svolta all’Ist. Riuscendo ad avviare una potente ristrutturazione dei locali, modificando lo statuto fermo al 38, investendo come permuta il ricavato della vendita di un terreno nella costruzione di un centro per gravi, entrando nel gioco informatico nazionale rilanciando il laboratorio dell’ist e tramite un accordo con Asphi per presentarci nel mondo dell’ E.C.D.L. In quel momento abbiamo cercato di far essere l’Ist. La “casa dei Ciechi”, aperta a tutti, e avevamo pensato di proporre la costituzione del gruppo degli ex alunni.
Cosa vorrei….
In questi lunghi anni mi sono abituato a concepire l’Unione e a viverla come “un mondo a parte”, un mondo dove non sempre si ritrovavano le regole di una normale democrazia. Mi sono abituato a pensarla come lo specchio di un mondo di persone non vedenti, ipovedenti e pluriminorati con tanti bisogni, con tante frustrazioni, con tante emarginazioni; e mi è sembrato che se volevi lavorarci, dovevi accettare cose che nella società normale sono superate. Dico Presidenti che durano trenta o quarant’anni, unanimismi fittizi, contrasti sottobanco, emarginazione di dirigenti che venivano poi evitati come appestati dall’insieme dell’entourage. Mi capitava anche di ridere, allorché nella mia vita, ero diventato insegnante di Filosofia, ossia la controparte dei miei studenti, ma per Unione, a trenta anni diventavo coordinatore dei giovani. E mi facevano sorridere tante delle nostre assemblee, in cui, fra Presidenti, politici, e relazioni lette, non si trovava nemmeno spazio per fare intervenire i soci; troppo facile confrontarle con le assemblee sindacali, in cui, si scontravano davvero idee e personaggi e recuperare una sintesi era davvero una impresa.
Vedevo gli sforzi di Tommaso Daniele per creare dibattito, ma mi rendevo conto che non c’erano proprio gli strumenti culturali, perché i tanti non vedenti che li possedevano erano già scappati, e dovevi contentarti. Già, di cosa? Di quei luoghi comuni eternamente ripetuti che diventavano una retorica povera, anche se gli autori erano stati grandi. Quante volte ci siamo sentiti dire che il lavoro è “luce che ritorna”, che la nostra mappa era stata “dai gradini delle chiese alle cattedre universitarie”; eppure, se ci pensiamo, quanta bellezza c’era in queste espressioni, andata perduta nelle melenze e nelle continue ripetizioni. Ma il punto per me rimaneva sempre quello: accettare queste contraddizioni pur di dare quello che si poteva in termini di contributo, o fare gli intellettuali, chiudere la porta e ridere degli sforzi altrui. Io ho sempre scelto la prima strada e, tante volte gli intellettuali mi hanno chiesto “che ci fai all’Unione”? Ogni iniziativa che si riusciva a fare era la mia risposta, la mia gratificazione, per i tanti treni da pendolare che io non avrei mai dovuto prendere, se è vero come è vero che la mia casa dista dal mio lavoro 40 metri.
La risposta a questa contraddizione per me è stata la nascita del movimento nel 2010. Dentro di me vivevo quasi come un aiuto imprevisto il fatto che la mia sezione, in antitesi con Catania, intendeva sostenerlo e cavalcarlo. Sapevo che non sarebbe durata, ma da Palermo, dalla Liguria, e poi da Mario nasceva un movimento che delineava una “Unione democratica” che si confronta, che ritorna nel mondo dal quale si era isolata. Così la battaglia congressuale, e poi dopo la sconfitta numerica, la decisione con gli altri di tenere duro e di dar vita a un coordinamento per non disperdere le idee e le persone che le sostenevano. E mentre Palermo, a poco a poco faceva il passo indietro, io, Maurizio, Tornabene, Ciro Arnone e pochi altri tenevamo duro, finché da due anni a questa parte veniva fuori con decisione un’altra Sicilia, non allineata, pronta a sfidare e a cambiare.
In questa Unione, con Mario Presidente, si può rischiare, e il sottoscritto intende offrire la propria disponibilità a fare la propria parte, da cittadino, e non più da non vedente che sente di avere un preciso dovere di gratitudine da compiere, comunque, in favore di quella associazione che gli ha dato tanto in precedenza.
Cosa fare….
Intendo presentarmi a questa competizione elettorale, con la mia storia e con il mio passato. In un eventuale Consiglio Nazionale, con una presidenza Barbuto, ritengo di potermi impegnare sugli aspetti nei quali posso dare un reale contributo. La istruzione, la cultura, la presenza nel sociale, i rapporti con altre associazioni.
Ancora oggi, partecipando al Collegio dei Docenti della mia scuola notavo come ormai il mondo delle istituzioni scolastiche si sia allontanato dallo stereotipo formativo che ognuno ricorda ripensando al proprio vissuto scolastico. L’approccio verso il processo di autonomia ha seguito il suo corso, fin con l’ultima legge approvata dal Parlamento la n. 107/2015, così ogni scuola avrà il suo P.O.F. annuale con il quale si presenta al territorio e, da ora anche un P.O.F. triennale, con l’organico potenziato a seconda delle linee strategiche che la scuola vuole seguire e dei R.A.V. (rapporti di autovalutazione) dal quale sono emersi i punti di forza e di debolezza del sistema scolastico.
Pertanto il nostro obiettivo che rimane sempre quello della inclusione scolastica degli alunni minorati della vista, non potrà essere raggiunto con le politiche tradizionali finora seguite, ma, per avere successo, dovranno innestarsi in questo sistema. E il Consiglio Nazionale dovrà impegnarsi nella diffusione nel territorio di questo modello di lavoro.
Oggi e ieri, una dialettica che ricompare eternamente nei nostri discorsi.
Il sottoscritto, come tanti altri docenti non vedenti, negli anni ottanta ha accettato la sfida del trasferirsi da un posto all’altro del paese, imparare a muoversi da solo, a badare a se stesso, a cucinare, a lavare i piatti, a stendere i panni, e a fare il proprio lavoro con stile e tenacia. Queste stesse esigenze oggi si ripresentano per i tanti giovani che sono cresciuti nel mondo del sostegno. Per cui, includersi significa anche impegnarsi per l’autonomia.
Anche in questo ambito dalla nostra Unione dovranno venire politiche che, rifiutando gli anacronismi, si coniughino coni vissuti attuali, le fragilità e gli Apple del momento.
So bene che bisogna impegnarsi per la fruizione delle opere d’arte, per la accessibilità dei testi, perché il mondo della tecnologia non chiuda le strade, anzi scarichi per noi eventi di novità per fronteggiare e superare la nostra eterna minorazione.
Su questi piani so di poter lavorare con un organo che si dà queste priorità e che poi deve concretamente svilupparle.
Coerentemente con il mio passato, so e per quel che mi riguarda mi impegnerò a farlo, che è importante la trasparenza, che le nostre sezioni vanno rispettate finché servono alla base, ma vanno incalzate nella misura in cui si fanno scudo sulla base per gratificare i loro dirigenti e personaggi.
Sono perfettamente consapevole che le vere grandi scommesse che giustificano il valore dell’Unione rimangono l’istruzione, il lavoro e l’assistenza, come tante strade per l’integrazione. Con la crisi delle attività tradizionali, che ormai coinvolge anche la figura degli insegnanti il rischio di uscire dal mercato del lavoro per la gran massa dei giovani si è fatto concreto, e, se al lavoro si sostituisse l’assistenza verrebbe fortemente compromessa l’integrazione sociale. Dopo il convegno di Napoli bisognerà continuare la ricerca e insistere sul lavoro mirato.
Diventerebbe inutile, da candidato ad un organo di rappresentanza, proporsi altro. Spero che la fiducia in quanto ora ho sostenuto, possa derivare da una credibilità nel mio vivere nell’Unione e con l’Unione, nel mio continuare ad esserci malgrado tante difficoltà che, credo, avrebbero indotto tanti altri a rinunciare e a rifugiarsi comodamente nel proprio privato, ossia la scelta che io ho evitato di fare, malgrado le tante porte chiuse da chi, conoscendoti,ha preferito non correre rischi e, senza indugio, tagliarti la strada prima che potesse essere tardi.
“Il mito è la leggenda della religione l’Unione sia la leggenda dell’integrazione”.

Peppino Re

L’UICI: ieri, oggi e domani, di Carlo Carletti

Autore: Carlo Carletti

Il dibattito, che da più parti si svolge, sul ruolo delle sezioni e sulla preparazione dei loro dirigenti lo ritengo molto interessante e opportuno, anche per la prossimità del Congresso. A mio parere, per meglio programmare il futuro, sarebbe utile prendere in considerazione il fatto che negli ultimi 30 anni la potenziale base associativa delle Sezioni è fortemente cambiata. Il numero dei giovani ciechi e ipovedenti normo-dotati da 0 a 18 anni spesso non arriva al 2% del totale, mentre quelli ultra settantenni superano ormai il 70%; questi sono portatori di problematiche psicologiche, umane e sociali del tutto nuove rispetto a quelle che si dovevano affrontare negli anni precedenti.
L’invecchiamento della popolazione dei ciechi e degli ipovedenti, insieme al crescente numero dei giovani disabili visivi pluriminorati, richiede alle Sezioni attività nuove che si possono affrontare soltanto con operatori con specifiche competenze professionali. In molte Province, inoltre, spesso risulta carente anche il numero dei ciechi e degli ipovedenti che potrebbero impegnarsi nella costituzione dei consigli delle Sezioni e, anche quei pochi presenti, spesso vi rinunciano perché risiedono in comuni lontani  dal capoluogo con conseguenti problematiche di lavoro, di studio e familiari da assolvere. A tali comprensibili difficoltà, fa riscontro anche un ormai diminuito spirito di sacrificio, di impegno sociale e di solidarietà. Il senso di appartenenza all’Associazione non trova riscontro in coloro che hanno perso la vista recentemente e che hanno potuto usufruire delle conquiste economiche e sociali conseguite con tanti sacrifici e dure lotte dalle precedenti generazioni di ciechi. Inoltre, le Sezioni svolgono spesso servizi dei quali possono usufruire solo le persone con disabilità visiva che vivono nei pressi delle Sezioni stesse. Tali persone possono usufruire anche dei servizi che i Comuni capoluogo assicurano con più probabilità rispetto ai tanti piccoli Comuni, che spesso lasciano le persone non vedenti nel totale isolamento. Queste e altre situazioni hanno fatto si che, all’UICI attualmente aderisce solo circa il 25-30% dei cittadini con disabilità visiva assistiti dall’INPS e, di questi, soltanto circa il 15-20% partecipa alle assemblee, spesso solo perché sollecitati. Di queste situazioni sovente se ne addebitano ingiustamente le responsabilità ai soli dirigenti delle Sezioni; esistono sicuramente situazioni dove qualche dirigente ha fatto e continua a fare della Sezione un proprio feudo per soddisfare le proprie esigenze esistenziali, ma queste distorsioni non sono la maggioranza e sono facilmente individuabili, per essere modificate. L’unione, infatti, non ha dimezzato il numero dei soci per disaffezione degli stessi: qualcuno non avrà rinnovato la tessera per divergenze di opinioni con il gruppo dirigente, qualcun altro avrà avuto altre ragioni, ma tutto ciò non ha inciso in modo significativo sull’attuale realtà associativa. Credo che l’UICI non abbia saputo comprendere la necessità di dover adeguare, nei tempi giusti, le proprie strutture nazionali, regionali e periferiche per intercettare e governare la trasformazione che avveniva nella composizione del corpo sociale della disabilità visiva. Negli ultimi 30 anni i soci deceduti non sono stati sostituiti da altrettanti nuovi, che per la loro età e condizione non hanno trovato valide motivazioni per iscriversi all’Unione. Guardando in faccia la realtà dobbiamo, volenti o no, prendere atto che l’Unione è profondamente cambiata e non è più l’Associazione che svolge assemblee molto partecipate e dibattute. I valori della democrazia e della correttezza devono necessariamente caratterizzare il ruolo dei dirigenti, indipendentemente dal numero dei partecipanti alle assemblee stesse. Dovremo prendere atto, volenti o no, che il profondo cambiamento del corpo associativo dell’Unione impone a una piccola minoranza di ciechi e ipovedenti, un numero che a mio parere si aggira intorno alle 2.000 unità che ha avuto la fortuna di studiare, di conseguire un buon livello culturale e una certa sicurezza economica e sociale, di farsi carico di tutte le strutture dell’Unione e  di rappresentare anche la stragrande maggioranza di quei disabili visivi che non sono in grado di autorappresentarsi. Modificare lo statuto, rendere incompatibili le cariche associative, ridurre i mandati dei presidenti e dei consiglieri, dare un nuovo assetto alle Sezioni territoriali, semplificare la gestione dei loro bilanci, evitare l’anacronistica nomina dei Sindaci Revisori almeno nelle piccole Sezioni e dare un diverso potere ai Consigli Regionali, sono azioni che potranno dare una mano a risolvere alcune situazioni nell’immediato futuro, ma la realtà ci mostra ogni giorno che il tempo sembra sia trascorso invano, con tutti i problemi riguardanti la scuola, il lavoro e il sociale, che continuano a ripresentarsi nei modi più diversi e particolari, trovando, a mio parere, un’associazione trasformata e, per certi aspetti, più qualificata, ma ormai incapace di dare risposte forti e con il sostegno di una base associativa numerosa e consapevole. Personalmente, dopo 52 anni di vita associativa, iniziata nel 1963 con l’entusiasmo degli allora miei 20 anni, avendo avuto come guida e riferimento dirigenti quali Piero Bigini, Paolo Bentivoglio e Giuseppe Fucà, in un’Associazione diversa nella sua composizione,  nei suoi obiettivi e nelle sue lotte per la conquista di un posto dignitoso nella società, a volte mi ritrovo con il pensiero rivolto ai giovani ciechi e ipovedenti di oggi, che come quelli di ieri dovrebbero lottare, in una società comunque diversa da quel passato, con le unghie e con i denti per assicurarsi un dignitoso avvenire. Il numero di questi giovani è  fortunatamente in forte diminuzione, ma la loro  consapevolezza e  il loro interesse per autorappresentare le loro esigenze appaiono davvero insufficienti. Probabilmente quelli della mia generazione non sono riusciti a trasmettere loro quel necessario e forte “senso di appartenenza” al movimento dei ciechi. Con i tempi che corrono, i “vecchietti” dell’UICI potrebbero fare ancora qualcosa di molto utile per l’Associazione, occupando però solo ruoli che possano favorire la formazione e la crescita di eventuali nuovi e giovani dirigenti.

L’Unione che vorrei: la mia candidatura al Consiglio Nazionale, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Caro Presidente e carissimi amici,
il calendario segna Giovedì 27 Agosto 2015 e ciò significa che l’estate sta finendo ed insieme a lei pure le vacanze. Adesso è tempo di Congresso Nazionale!
Proprio per tale motivo, ho appena compilato il modulo on line di partecipazione al nostro grande appuntamento di Chianciano. Contestualmente ho letto nell’invito che tu c’hai inviato che, dal 1° Settembre p.v., chiunque vorrà candidarsi alle cariche associative nazionali potrà spedire all’indirizzo e-mail della tua Segreteria un proprio sintetico documento programmatico.
Ecco, io non mi voglio sottrarre dal farlo anche perché avevo già maturato la “pazza” idea di candidarmi al Consiglio Nazionale qualche mese fa, subito dopo la lettura sul nostro Giornale on line del bellissimo e toccante articolo del mio amico Stefano Tortini, con il quale Stefano fa un appello a tutti noi perché si sostenga con forza la tua elezione a Presidente Nazionale, che ovviamente condivido in toto.
Ricordo ancora come fosse ieri, quando circa una decina di anni fa, io, Stefano Tortini e Mario Mirabile, componenti lo scorso Comitato Giovani dell’UICI, nel nostro piccolo sognavamo in grande un’Unione finalmente più democratica, più moderna, più trasparente. Ed improvvisamente, tutto ciò con te oggi diventa “REALTA’.
Un’Unione più democratica significa che esprimere un’opinione diversa dai Vertici associativi e pensarla diversamente da loro non è un “peccato di Lesa maestà”, né un “attentato” terroristico od un tentativo di “golpe”, come certi vecchi (e fortunatamente pochi) dirigenti ritengono ancora.
La difesa dell’Unità associativa che anche per me è un “valore” assoluto, non può e deve però essere Unanimismo.
Fino a prova contraria, da che mondo è mondo, il dibattito è stato sempre fonte di crescita e sviluppo. Oggi, invece, nell’ambito dell’UICI accade ancora troppo spesso che il “dibattito associativo” non sia fondato su una diversa interpretazione del ruolo della nostra Unione nel nuovo Millennio, ma dettato solo da bisogni di “visibilità” personale, riducendo erroneamente gli scontri a semplici fatti personali e soffocando ed impoverendo il dialogo al nostro interno.
La scorsa primavera ha visto il corpo associativo impegnato nel rinnovo dei consigli regionali e provinciali, le cose non sono andate sempre proprio per il verso giusto, ed in alcune realtà la lotta per il potere, si fa per dire, ha avuto la meglio sullo spirito di servizio.
Ciò non deve più accadere! L’UICI che io sogno e voglio deve da subito valorizzare i giovani, favorire la candidatura delle donne, non lasciare fuori dalla porta interi gruppi di ciechi, anche cospicui, ed invece confrontarsi con loro.
Ora però che l’assetto organizzativo è stato definito, che le passioni si sono placate, ora che l’estate sta per finire, è tempo di dedicare mente e cuore alla causa del XXIII Congresso Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, alle sue strategie, alle linee portanti del suo progetto per il futuro dei ciechi di domani.
Di tutto ciò, d’altra parte, s’è già parlato all’inizio dell’estate nelle ben 6 assemblee precongressuali volute fortemente dal nostro Presidente Mario Barbuto.
Durante tali straordinarie occasioni di confronto democratico, il livello del dibattito è stato piuttosto alto, ed ha rivelato una classe dirigente orgogliosa della propria storia, recente e passata, ma nello stesso tempo consapevole del fatto che la marcia nel deserto del popolo dei ciechi continua e che a nessuno di noi è dato fermarsi sulla riva del fiume senza essere travolto dalla corrente.
A Chianciano dobbiamo necessariamente riprendere il filo conduttore del dibattito culturale avviato in quelle sedi sui grandi temi associativi, sulle idee portanti e sui “profondi” valori della nostra Unione quali l’inclusione scolastica, le pari opportunità, il lavoro, l’accessibilità, la riabilitazione dei ciechi pluriminorati, la prevenzione della cecità e forse, anzi certamente, lo stesso Nicola Stilla ritroverà con il Presidente Barbuto molti più punti in comune che elementi di disaccordo.
Un’Unione più moderna significa modificare lo Statuto non per “questioni di bottega” o per particolarismi, ma per semplificare la struttura organizzativa delle nostre sezioni, adeguandole ai tempi e soprattutto ai cambiamenti imminenti a cui stiamo assistendo a seguito dell’istituzione delle “città metropolitane”
Ancora oggi abbiamo troppi organi associativi che sono tra l’altro troppo burocratizzati. Bisogna renderli “a tutti i costi” più agili nella struttura e meno pletorici nel numero dei componenti, facendo si che non solo i nostri “consigli” ma anche i Presidenti e Vice Presidenti sezionali e regionali siano eletti direttamente dalla base e dalle Assemblee dei soci.
Una piccola ma significativa questione riguarda pure il tesseramento dei nostri iscritti. Facciamo sovente i “conti” con numeri incerti e discutibili, risultato e frutto solitamente della logica dei “bollini” facili solo in prossimità dei rinnovi delle varie cariche associative, piuttosto che di una “seria” campagna d’iscrizione soci che sia invece più costante nel tempo, più sistematica e trasparente.
Un’Unione più trasparente significa anche adottare criteri di merito nella selezione e nomina dei candidati più “competenti e preparati” ai “posti di comando” del nostro “glorioso” sodalizio.
Per tale motivo, saluto molto favorevolmente la novità già annunciata da Mario Barbuto di voler realizzare un’apposita sezione del nostro sito istituzionale dove, chiunque vorrà candidarsi al Consiglio Nazionale, potrà inserire il proprio curriculum ed il proprio programma (cosa che io sto facendo con la presente).
Grazie a Mario Barbuto forse si sono finalmente esauriti i tempi delle elezioni nazionali frutto solo di logiche di lottizzazione e spartizione da vecchio e becero ”manuale Cencelli” e dettate dai “diktat” dei vari capi area!
Il recente “trionfo” di Mario in occasione della Finanziaria e (specialmente per me in qualità di giovane Consigliere della Federazione) l’epilogo positivo del Centro polifunzionale di ricerca ed alta specializzazione per ciechi pluriminorati di Roma dimostrano e confermano che la sua passione, il suo impegno e la serietà del suo agire quotidiano hanno già iniziato a “contagiare” i nostri politici ed amministratori, e contribuiranno senz’altro a rendere più “facili” le loro decisioni su delicate materie di stretta attualità associativa come la “buona scuola, il nuovo Isee, il nuovo nomenclatore, il jobs act ecc…, proiettandoci verso sempre più rilevanti e prestigiose conquiste di civiltà.
Ma soprattutto, lo Tsunami Barbuto s’è abbattuto su di noi, avvincendoci e convincendoci che all’Unione non c’è un io od un tu, ma più semplicemente solo un NOI.
Questo è il “grande” insegnamento Barbutiano: soltanto lo spirito di gruppo, l’unità d’intenti e l’”idem sentire” potranno farci vincere le difficili sfide del nuovo millennio e dell’inclusione sociale. Uniti si vince, separati si perde inesorabilmente.
Io ritengo che la lezione che dobbiamo trarre dal successo del Centro per ciechi pluriminorati di Roma è che la cooperazione, la condivisione ed il lavoro di squadra tra l’UICI ed i suoi vari Enti collegati (Federazione, IAPB, BIC, IRIFOR ed UNIVOC) dovranno essere le “ricette” ed armi vincenti dell’Unione che verrà, sin dal prossimo Congresso di Chianciano. Non a caso, lo scorso 21 Febbraio, Mario Barbuto, ben consapevole di ciò, ha “riesumato” e fatto rinascere il famoso “Coordinamento degli Enti collegati all’Unione, scelta lungimirante sulla quale ovviamente occorre insistere anche per il futuro. Basta con le gelosie ed invidiucce del passato, ancora una volta la capacità di collaborare, nella chiara distinzione delle competenze e delle funzioni, senza sconfinamenti in campi altrui e nel solo primario interesse della nostra UICI, dovrà risultare preminente e fondamentale per il nostro riscatto sociale.
Diceva Lavelle : “Il bene più grande che puoi fare ad un’altra persona non è dargli la tua ricchezza, ma rivelargli la SUA”.
Ebbene, il grande “miracolo” Barbutiano sta proprio in questo e cioè nel farci riscoprire tutti un po’ più ricchi dentro, nel farci sentire tutti principali artefici e protagonisti del futuro destino dei ciechi e degli ipovedenti italiani indipendentemente dall’età, dalla classe sociale, dalla professione e dal nostro ruolo associativo. L’unica cosa che conta è l’UNIONE ITALIANA DEI CIECHI E DEGLI IPOVEDENTI!!!
Caro Presidente, per questo io sottopongo alla tua attenzione ed a quella di tutti i congressisti la mia candidatura al prossimo Consiglio Nazionale.
Mi candido, perché la tua “trascinante” capacità di accendere il nostro entusiasmo, di individuare bisogni e prospettare soluzioni m’ha letteralmente contagiato, persuadendomi che persino un “nanetto” come me possa contribuire positivamente alla causa della nostra Unione.
Una cosa è certa, con un timoniere “visionario” come te, capace di “vedere” oltre e di prospettare all’UICI scenari ed orizzonti fino a pochissimo tempo fa addirittura impensabili, noi minorati della vista italiani “toccheremo con mano” sempre più importanti traguardi e SUCCESSI!

Gianluca Rapisarda