Potenza: Profumi, aromi, fragranze e additivi alimentari, di Anita Varriale

Autore: Anita Varriale

“Dove desiderate che il profumo sia spruzzato? Beh, spruzzatelo ovunque desideriate essere abbracciate”. Così Coco Chanel rispose, con l’inimitabile charme ironico che la caratterizzava, ad una domanda rivoltale da alcune donne che volevano “imparare” lo stile dell’eleganza.
Ne abbiamo parlato oggi, fra digressioni storiche e informazione al consumo, durante un seminario presso la sede UICI di Potenza, dal titolo “Profumi, aromi, fragranze e additivi alimentari”, promosso dalla coordinatrice per le pari opportunità Anita Varriale.
Un’occasione interessante per esplorare il mondo delle fragranze e fare promozione al consumo critico. Il Relatore del seminario, il Dott. Augusto Larocca, chimico, responsabile Controllo Qualità presso la SM Farmaceutici. Strutturata in due momenti, la prima parte dell’iniziativa ha scandagliato le varie sfumature esistenti tra profumi, essenze e fragranze; la seconda, invece, è servita a fare una piccola indagine sul nostro carrello della spesa e su quanto sappiamo degli additivi utilizzati nell’industria alimentare e non.
Nato nelle botteghe artigiane della Francia e dell’Inghilterra, fino al XVIII secolo, il profumo veniva realizzato al 100% dalle materie prime che madre natura ci forniva; poi arrivò la “chimica industriale”, che accelerò i tempi di produzione e ne incrementò la quantità. Ma quante e quali sostanze sono presenti nei prodotti di uso cosmetico che utilizziamo quotidianamente?
Cosa sono ad esempio i parabeni e dove si trovano?
Come ci ha spiegato Larocca, si tratta di sostanze che evitano il deterioramento di un prodotto, ma allo stesso tempo possono produrre allergie in soggetti più sensibili. Pensiamo poi ai saponi, articoli irrinunciabili per la nostra igiene personale, ma poco gentili con la nostra pelle se contengono solfati, sostanze che detergono in profondità alterando il ph della pelle, specialmente di quella delicata che hanno i bebè. E quando mangiamo, a cosa dobbiamo stare attenti?
Quante volte, provando a decifrare l’etichetta presente nei prodotti dei supermercati, vi siete rassegnati al primo tentativo, nell’impossibilità di accedere alle informazioni contenute in quella misteriosa tabella? Per esempio additivi e addensanti cosa sono e dove sono contenuti?
Gli addensanti sono sostanze che hanno lo scopo di condensare, ovvero rendere più denso, si trovano di frequente nei gelati confezionati, gli additivi sono sostanzialmente aggiunte agli alimenti per conservarli o renderli più dolci. Sono presenti in quantità maggiore nelle merendine.
Insomma per volerci più bene è meglio scegliere cibi freschi e di stagione. Presente all’iniziativa anche Rossella Farenza, esperta in psicofisiologia olfattiva.

Anita Varriale

Trento: Giornata della Donna 2014, di Luciana Brida

Autore: Luciana Brida

L’incontro svoltosi sabato 8 marzo 2014 ha suscitato vivo interesse fra i presenti, considerato l’argomento trattato: “Di tutto e di più sull’alimentazione”.

La mattinata si è aperta con il saluto della presidente, Ivanna Marini” e delle componenti il Comitato di settore della Sezione; il tema è stato trattato dalla Nutrizionista Stefania Menapace, che ha illustrato le linee guida per una sana e corretta alimentazione, formulate dall’INRAN, Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione.

In dieci punti l’istituto indica quali comportamenti alimentari è giusto tenere, ad esempio in relazione al consumo di grassi, fibre, zuccheri, acqua, tenendo conto delle condizioni dell’individuo, delle sue necessità in rapporto all’età, all’attività svolta e ad eventuali patologie da cui il singolo può essere affetto. Non si deve tuttavia dimenticare l’importanza dell’associazione fra alimenti e del momento in cui si consumano i vari cibi durante l’arco della giornata, perché il metabolismo corporeo è soggetto a mutamenti in questo lasso di tempo. La tesi è, comunque, quella di variare il più possibile l’alimentazione, anche se nel caso di condizioni particolari ciò non è sempre possibile.

Numerosissime le domande dei presenti, anche volte a sfatare alcune credenze o a comprendere gli errori che sovente si possono compiere nella gestione dell’alimentazione.

Non è stato difficile riempire il tempo a disposizione e sicuramente si cercheranno occasioni per approfondire qualche aspetto particolare, necessità di cui alcuni associati hanno accennato anche durante il momento conviviale del pranzo conclusivo.

Luciana Brida

Napoli: Incontro con gli studenti dell’Istituto Tilgher, di Mario Mirabile

Autore: Mario Mirabile

Nell’ambito delle attività finalizzate a far conoscere la disabilità visiva all’intera cittadinanza, venerdì 7 marzo 2014 all’interno dell’Istituto di istruzione superiore Tilgher di Ercolano (NA) si è svolto un incontro/dibattito con gli studenti. In particolare un gruppo di non vedenti formato da Matteo Cefariello, Antonella Improta, Gaetano Orefice, Salvatore Petrucci e dal Sottoscritto, partendo dalla proiezione del video “Vediamo di muoverci” realizzato dall’U.N.I.Vo.C. nel 2009, hanno spiegato ad oltre 160 alunni, come un disabile visivo può condurre una vita “normale”. Agli alunni sono stati spiegati e, ove possibile, mostrati quali sono gli strumenti che consentono ai ciechi e agli ipovedenti di studiare, di lavorare, di cucinare, di fare sport e più in generale di compiere tutte le attività quotidiane. I ragazzi, sempre molto attenti e partecipi, hanno posto numerosi quesiti sulla realtà dei non vedenti e degli ipovedenti. Ai ragazzi è stata poi spiegata l’importanza del volontariato e sono stati esortati sia dal Presidente dell’U.N.I.Vo.C. Salvatore Petrucci, sia dai volontari dell’Unione Ciechi presenti nell’auditorium, a dedicare parte del proprio tempo ad attività di volontariato pro-ciechi, quali la lettura di testi, l’accompagnamento e la collaborazione per l’organizzazione di eventi. Al termine della mattinata, gli studenti redattori del giornalino scolastico, hanno effettuato una intervista per comprendere meglio la realtà associativa dell’Unione Ciechi. La Sezione di Napoli, nella convinzione dell’importanza della sensibilizzazione delle giovani generazioni sulle problematiche legate alla disabilità, continuerà a promuovere gli incontri con le scolaresche.

Mario Mirabile

Corso formazione sull’accessibilità ai Beni Culturali – 2014 Undicesima edizione, Anno 2014, Redazionale

Autore: Redazionale

ISCRIZIONI ENTRO IL 31 MARZO.
Sede: Museo Tattile Statale Omero – Mole Vanvitelliana, Banchina Giovanni da Chio 28, Ancona.

A CHI E’ DESTINATO:
– Docenti curriculari e di sostegno delle scuole di ogni ordine e grado;
– Responsabili e operatori dei Servizi Educativi dei Musei e delle Soprintendenze;
– Operatori ed educatori dei servizi sociali e del settore dell’handicap;
– Guide turistiche autorizzate.

FINALITA’
Favorire l’integrazione scolastica e sociale delle persone con minorazione visiva fornendo al personale dei settori interessati le conoscenze e gli strumenti necessari per rendere accessibile il patrimonio museale e promuovere una corretta e significativa educazione all’arte e all’estetica.

OBIETTIVI
– Conoscere alcune esperienze nazionali e internazionali inerenti l’accessibilità al patrimonio museale;
– Conoscere le modalità, gli ausili, le tecnologie e le buone prassi per favorire l’accesso al patrimonio museale alle persone con minorazione visiva;
– Conoscere le possibilità, i metodi e gli ausili per l’educazione artistica ed estetica delle persone con minorazione visiva;
– Conoscere le tecnologie e gli strumenti informatici per l’autonomia e l’apprendimento delle persone con minorazione visiva.

PROGRAMMA
I modulo – L’accessibilità al patrimonio museale e l’educazione artistica ed estetica delle persone con minorazione visiva.

Giovedì 10 aprile ore 11.00 – 13.30 e 14.30 – 19.00 (ore 10.00 – 11.00 Registrazione partecipanti):

– 11.00 / 11.30 – Aldo Grassini (Presidente del Museo Tattile Statale Omero), Diritto alla cultura delle persone con minorazione visiva e tutela dei beni culturali;
– 11.30 / 12.00 – Mariagrazia Bellisario (Dirigente – Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee – Servizio V architettura e arte contemporanee, MIBACT), titolo in via definizione;
– 12.00 / 12.30 – Rainone Gianfranca (Coordinatore del Centro per i Servizi Educativi del Museo e del Territorio, MIBACT) , Titolo in via di definizione; Pausa pranzo.
– 14.00 / 15.00 – Loretta Secchi (Museo Tattile di Pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei ciechi “F. Cavazza”, Bologna), La didattica della pittura tradotta in bassorilievo prospettico;
– 15.00 / 16.00 – Aldo Grassini e Andrea Socrati (Museo Tattile Statale Omero), Modalità e ausili per l’accesso al patrimonio museale delle persone non vedenti e ipovedenti;
– 16.00 / 17.00 – Paolo De Cecco (Lega del Filo d’Oro, Osimo), Tecnologie e strumenti informatici per l’autonomia e l’apprendimento dei non vedenti;
– 17.00 / 19.00 – VISITA GUIDATA AL MUSEO OMERO.

VENERDI’ 11 APRILE ore 9.00 – 13.00 e 14.00 – 18.00:
– 9.00 – 10.00 Aldo Grassini (Presidente del Museo Tattile Statale Omero), L’educazione artistica ed estetica delle persone con minorazione visiva; La formazione dell’immagine tattile e la valutazione estetica;
– 10.00 – 11.00 Patrizia De Socio (Direzione Generale Ordinamenti Scolastici – MIUR) Titolo in via di definizione;
– 11.00 – 12.00 Sara Mancini (Galleria Borghese, Roma), La Galleria Borghese come Esperienza per il pubblico con minoranza Visiva;
– 12.00 – 13.00 Nicoletta Grassi (Centro Tiflodidattico, Pesaro), I Centri di Consulenza Tiflodidattica. Ausili tiflodidattici per il disegno.
Pausa pranzo.
– 14.00 – 15.30 Andrea Socrati (Museo Tattile Statale Omero), Metodi e strumenti per una didattica dell’arte inclusiva
– 15.30 – 16.30 Jane Samuels (Access and Equality Manager – British Museum, Londra), L’esperienza del British Museum sull’accessibilità al patrimonio per il pubblico con minorazione visiva.
– 16.30 – 17.00 I Servizi Educativi del Museo Tattile Statale Omero.
Conclusioni.

II modulo: Beni culturali e turismo: come renderli accessibili alle persone sorde.
Sabato 12 aprile ore 9.00 – 13.00 (ore 8.30 Registrazione partecipanti):
– 9.00 Aldo Grassini (Presidente del Museo Tattile Statale Omero), Apertura e introduzione
– 9.15 Patrizia De Socio, (Direzione Generale Ordinamenti Scolastici – MIUR), Titolo in via di definizione,
– 9.45 Consuelo Agnesi (Membro dell’osservatorio sull’Accessibilità dell’Ente Nazionale Sordi, OSA. Accessibilità ai beni culturali ed al turismo per il bene delle persone sorde
– 10.45 Diego Pieroni (Presidente Ente Nazionale Sordi, Ancona), Comunicazione e disabilità uditiva
– 11.15 Jane Samuels, (Access and Equality Manager – British Museum, Londra), L’esperienza del British Museum Pausa
– 12.00 Comunicare l’Arte ai non udenti: presentazione dei video sulla Pietà di Michelangelo e l’Italia Riciclata di Michelangelo Pistoletto
12.30 – 13.00 Dibattito e conclusioni – Modera Andrea Sòcrati.

Servizio di traduzione in Lingua dei segni italiana.

Note:
Il corso è realizzato in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche.

I MODULO
Durata complessiva: 15 ore.
Attestato di partecipazione: con almeno 11 ore di frequenza.
Numero minimo di partecipanti: 30.
Numero massimo di partecipanti: 60.
Costo: 90 euro iva inclusa. Disabili gratuito.

II MODULO
Durata complessiva: 4 ore.
Attestato di partecipazione: con 4 ore di frequenza.
Numero minimo di partecipanti: 30.
Numero massimo di partecipanti: 60.
Costo: 30 euro iva inclusa. Disabili gratuito.

Sia per il I che per il II modulo vale lo sconto del 20% per i soci Coop Adriatica e ICOM (allegare fotocopia della tessera nominativa), rispettivamente la cifra è di euro 72 e 24.
In caso di fattura intestata ad Ente pubblico, il costo sarà esente IVA ( art.10 p.20 DPR 33/72) e quindi pari a euro 73, 77 e 24,59.
E’ possibile iscriversi separatamente e ricevere relativi attestati.

Versamento sul conto corrente postale intestato a:
Comune di Ancona – Museo Tattile Statale Omero Banchina Giovanni da Chio, 28 60121 Ancona C/c n° 84747070; oppure Bonifico a Banco Posta – Ufficio Centrale Piazza XXIV Maggio, 60123 Ancona, IBAN IT 89L0760102600000084747070; dall’estero IBAN IT 89L0760102600000084747070; Codice BIC/SWIFT BPPIITRRXXX CIN L; Causale del pagamento: “Iscrizione Corso Accessibilità 2014”.
La scheda d’iscrizione e la ricevuta del versamento dovranno pervenire entro il 31 marzo 2014 tramite una delle seguenti modalità:
– fax: 071 28 18 35 8;
– email: didattica@museoomero.it

Il corso si configura come formazione di base sulle tematiche trattate. I corsisti che lo desiderano, potranno accedere ai corsi di approfondimento che verranno successivamente attivati.

Informazioni: Segreteria Museo Omero – telefono 071 28 11 93 5; email didattica@museoomero.it; www.museoomero.it

SCARICA LE SCHEDE DI ISCRIZIONE AL SEGUENTE LINK:
http://www.museoomero.it/main?p=corsi_accessibilita_2014

Eletto il nuovo Presidente Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS, Redazionale

Autore: Redazionale

Sabato 15 Marzo, dopo 28 anni, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS, a seguito delle dimissioni rassegnate per motivi di salute dal prof. Tommaso Daniele, ha eletto, come da statuto, mediante il proprio Consiglio Nazionale, il sesto Presidente del sodalizio. La scelta dei consiglieri nazionali è caduta sul dott. Mario Barbuto, il quale ha riportato ben 27 voti rispetto ai 14 ottenuti dall’altro candidato, il Vicepresidente Nazionale avv. Giuseppe Terranova. Il nuovo Presidente dovrà tra l’altro, traghettare l’associazione alla quale è demandata per legge la tutela e la rappresentanza dei diritti morali e materiali dei ciechi e degli ipovedenti, al prossimo Congresso Nazionale, previsto per il 2015.
L’Unione in questo frangente difficile necessitava di una guida sicura. Il sodalizio deve essere pronto ora ad affrontare le nuove e più ardue sfide poste anche dalle prossime leggi finanziarie 2014 e 2015, oltre che dal processo di riforma politica ed economica che riguarderà l’intero paese e che non può trovare il sodalizio in posizione di attesa o di retroguardia.
Per queste considerazioni fondamentali, occorreva eleggere una persona in grado di guardare all’oggi con la massima attenzione e che contemporaneamente potesse preparare quel domani associativo ritenuto ormai unanimemente indilazionabile per il futuro stesso della Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.
La persona in grado, in questo momento, di rappresentare più di ogni altra questo spirito e che possiede i requisiti adeguati ad assumere oggi il ruolo e compito di Presidente Nazionale è proprio Mario Barbuto.
Egli infatti, è in grado di rappresentare a pieno l’unità dell’associazione, da nord a sud; di interpretare il delicato momento tra innovazione e continuità; di ricoprire la carica con la dovuta prudenza e il necessario coraggio.
Mario Barbuto possiede un grado elevato di esperienza professionale, tecnica, politica, associativa e manageriale.
Ha operato per molti anni con efficacia e con successo a tutti i livelli dirigenziali della nostra struttura associativa, sul piano provinciale, regionale e nazionale.
Ma chi è Mario Barbuto e quale è stato il suo percorso all’interno dell’associazione? Lo spiega egli stesso:
“All’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti devo tanto, tantissimo… Per certi versi, tutto… L’istruzione, il lavoro, le soddisfazioni professionali, l’integrazione sociale, sono i frutti più preziosi che questa nostra Associazione mi ha donato nell’arco dei quarantacinque anni di mia appartenenza. Per quanta dedizione io possa mettere nel servirne gli scopi e gli obiettivi, non sarò mai in grado di ricompensare per intero l’Unione di tutto il bene che da essa ho ricevuto. Il bene di vivere una vita pressoché normale, di conservare tutta la mia dignità di persona e di cittadino, di godere di una autonomia personale straordinaria, nonostante il grave handicap dovuto alla minorazione visiva. Bambino del profondo Sud, ho trovato a Catania, la mia città d’origine, un istituto che mi ha accolto per otto anni e ha provveduto alla mia istruzione di base, dotandomi degli strumenti per affrontare un più impegnativo corso di studi a Bologna, città del Nord vagheggiata e temuta allo stesso tempo. Bologna, una città che mi ha catturato con il fascino delle sue architetture e il calore della sua gente, offrendomi un titolo, una casa, un lavoro, una vita sociale degna di essere vissuta. Un lavoro in posizione apicale nel più importante e famoso istituto dei ciechi d’Italia, il Francesco Cavazza, che mi ha regalato esperienze professionali e relazioni umane straordinarie. Gestire un bilancio annuale di alcuni milioni di euro; amministrare un patrimonio immobiliare di qualche centinaio di unità urbane e agricole; coordinare un gruppo di una trentina di dipendenti e collaboratori impegnati in attività tanto diverse quali la formazione professionale, il supporto all’integrazione scolastica, la produzione e distribuzione di ausili tiflotecnici; la produzione e distribuzione di prodotti librari, le iniziative culturali, sportive e del tempo libero. Una città, Bologna, dove ho avuto l’onore, la gioia e la soddisfazione di essere eletto nel Consiglio comunale, nel quale ho lavorato come vice presidente della commissione Bilancio e come componente della commissione Servizi sociali. Una città dalla quale ha preso il via il mio impegno associativo circa quarant’anni or sono, nelle varie e successive funzioni di presidente provinciale, vice presidente regionale, componente del Consiglio Nazionale e della Direzione Nazionale. Proprio in quest’ultimo ruolo, tra l’altro, ho avuto dal presidente Daniele l’incarico di creare il sistema informatico dell’Unione, del quale mi reputo molto modestamente una specie di papà e grazie al quale, già nel 1995 la nostra Associazione risultava dotata di un proprio sito internet e di una rete di posta elettronica estesa alle sedi regionali e alle sezioni provinciali. Per motivi professionali e associativi ho anche avuto l’opportunità di viaggiare molto all’estero e di entrare in contatto con numerose e variegate realtà del mondo delle organizzazioni per ciechi e per ipovedenti in Europa, in America e in Africa, dando così ulteriore corpo al mio personale bagaglio di esperienze e di conoscenze nel settore. Oggi, pertanto, come mai in passato, credo sia venuto per me il tempo di porre la mia modesta persona e la mia umile esperienza al servizio dell’Unione in modo totale e al livello più alto, restituendo così, almeno in parte, con il lavoro e con l’impegno, quanto di prezioso ho ricevuto nel corso di una intera esistenza”.

Conservatore nei valori ma assolutamente aperto e progressista, così si esprime il nuovo Presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS:
“Come ha detto e scritto più volte Tommaso Daniele, è tramontato il tempo dell’uomo solo al comando. Mai più dunque, un presidente solitario, unico traino di un pesante rimorchio; al contrario, invece, un gruppo dirigente, compatto, operoso, determinato, alla guida dell’Unione, al servizio della causa dei ciechi e degli ipovedenti italiani. L’Unione, per fortuna, è una struttura associativa fondata su princìpi democratici, grazie ai quali, le più alte cariche si raggiungono solo con il consenso e con il sostegno delle maggioranze, auspicabilmente ampie, significative e qualificanti. La mia disponibilità è totale, il mio impegno, garantito”.
Al dott. Mario Barbuto, nuovo Presidente Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS, associazione storica che ha ben 94 anni, formuliamo i migliori auguri di buon Lavoro.

 

Psicologia e disabilità visiva, di Maria Luisa Gargiulo

Autore: Maria Luisa Gargiulo

UNA BUSSOLA PER ORIENTARSI
Rubrica per genitori.

La psicologia rappresenta senz’altro una risorsa per le persone ipovedenti e non vedenti, e ciò per numerosi motivi. È banale sostenere che le competenze psicologiche possano essere utili per molteplici aspetti della nostra vita. Questa affermazione potrebbe sembrare ovvia e scontata, ma a volte non si può fare a meno di notare quanto nella cultura italiana sia ancora poco diffusa una conoscenza realistica della psicologia e della sua utilità nella società civile. Troppo spesso assistiamo alla diffusione dai canali di informazione di messaggi contraddittori ed ambigui che qualche volta banalizzano le competenze dello psicologo. Da una parte esiste una grandissima domanda inevasa di salute psicologica da parte della popolazione generale, la quale finisce per rivolgersi a nuove professioni non meglio identificate come il counselor, il pedagogista clinico, il coach, il filosofo clinico ecc.. D’altro canto il gran numero degli psicologi presenti sul territorio nazionale non è pienamente occupato, è palese quindi che vi sia un problema nella pianificazione e realizzazione delle politiche riguardanti la salute, dato che non si verificano condizioni per cui la domanda e l’offerta di questi servizi si incontrano.
Occorre potenziare azioni di comunicazione sociale, per diffondere presso i cittadini conoscenze precise su che cosa la gente si possa aspettare dallo psicologo e per risolvere quali tipi di problemi.
Forse si tratta di un luogo comune, però ancora certi medici di base, dai cui ambulatori passano molte persone prima di essere orientate verso competenze specialistiche, non sono molto adusi ad inviare le persone verso lo psicologo. Di solito si trovano medici molto preoccupati ed attenti ad indirizzare persone cardiopatiche dal cardiologo, altre che hanno dolori articolari dall’ortopedico, quelli che sembrano avere sintomi d’asma dall’allergologo, per le relative diagnosi e cure, ma se ad esempio qualcuno si presenta raccontando di avere qualche disturbo d’ansia, lamenta di dormire in un modo non soddisfacente, di avere difficoltà a concentrarsi o difficoltà a cibarsi in modo equilibrato, è possibile che il medico, nell’intento di aiutare la persona, tenti di minimizzare il suo disagio, gli somministri qualche psicofarmaco, magari dopo aver fatto un’affrettata, non meglio precisata diagnosi di un problema psicologico.
Per fortuna esistono anche tanti medici in gamba e competenti, che hanno compreso l’importanza di orientare i loro pazienti verso i professionisti che specificamente si occupano di un certo settore, come ad esempio lo psicologo. Costoro, oltre a rendere un servizio importante alle singole persone, contribuiscono a diffondere nella popolazione informazioni su cosa sia la psicologia e che cosa ci si può aspettare da uno psicologo, per quali tipi di evenienze e necessità. Non possiamo fare a meno di notare quanto sia del tutto disomogenea la disponibilità e rintracciabilità per il cittadino, di servizi psicologici territoriali nelle differenti zone del Paese, elemento che contribuisce non poco alla scarsa diffusione dell’abitudine di rivolgersi allo psicologo, come ad una delle tante risorse professionali della comunità.
Così come questa difficoltà esiste per la popolazione generale, è facile immaginare come tale lacuna sia presente verso categorie specifiche di persone, ad esempio quelle con disabilità. Nella situazione attuale, si può facilmente intuire come una persona con una disabilità possa essere poco orientata rispetto alle possibilità oppure ai servizi che la psicologia e gli psicologi possono realizzare per lui.
Inoltre, la presenza di una malattia fisica, di solito rende necessari tutta una serie di esami e di attenzioni cliniche, per diagnosticare o per controllare la situazione dell’organo o dell’apparato che è alla base della disabilità. In questo senso la persona, ovviamente, tende a concentrare tutte le proprie energie nel cercare professionisti che si occupino specificamente di quell’apparato.
È piuttosto raro per una persona in una tale situazione, essere informata che, oltre ad occuparsi di quella specifica zona del suo corpo, di quell’organo, di quella lesione o di quella malattia, sarebbe per lui molto utile occuparsi di come tutta la sua persona reagisca a quella minorazione, giacché la malattia, l’organo, l’apparato, eccetera, fanno parte di un sistema più grande e più complesso che, necessariamente, viene condizionato dall’esistenza di quella specifica disabilità.
Considerando poi che la massima parte delle patologie alla base delle varie disabilità appartiene a quella folta schiera di situazioni cliniche per le quali non esistono cure guaritive, è ovvio che, tanto prima la persona smette di concentrarsi solo sull’aspetto medico per passare ad occuparsi del miglioramento delle proprie condizioni generali, tanto prima possono attivarsi quei circoli virtuosi che possono condurre una persona a sentirsi non più soltanto un malato, ma un uomo o una donna realizzati ed integrati.

Questo, come vale per tutte le persone con una malattia fisica grave oppure con una disabilità, vale dunque anche per le persone con problemi di vista, non vedenti oppure ipovedenti.
In questo scritto cercherò di spiegare e commentare quale attinenza vi è tra la psicologia, nelle sue varie sfaccettature e branche, e la minorazione visiva.

Chi è lo psicologo?
La Legge n. 56 emanata nel 1989, istitutiva della Professione di Psicologo e dell’Ordine degli Psicologi, recita all’articolo 1 che:
“La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico, rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità”.
Dunque la psicologia non si occupa soltanto di singoli uomini e donne, ma si interessa anche al funzionamento dei sistemi interpersonali, fino ad occuparsi di comunità intere, e ciò per prevenire disagi, diagnosticare disturbi, aiutare la persona a ottenere la massima salute possibile, abilitando capacità o riabilitando quelle eventualmente perse. Lo psicologo fa questo usando strumenti specifici. Il medesimo articolo prosegue chiarendo che sono di competenza dello psicologo anche le attività di ricerca, insegnamento e divulgazione scientifica nell’ambito della psicologia.
Dunque, la psicologia non è solo sostegno psicologico, come invece si potrebbe immaginare, facendo riferimento allo stereotipo più comune presente nell’immaginario collettivo.
Ritornando al circoscritto ambito della minorazione visiva, esso è oggetto di interesse da parte di numerose branche della psicologia, come vedremo brevemente.
Nel momento storico attuale, gli psicologi spesso giungono ad occuparsi delle persone con problemi visivi molto dopo l’insorgenza delle patologie visive, e ciò attraverso vari canali. I Centri per la Riabilitazione Visiva (CERVI), istituiti e finanziati dalla Legge n. 284 del 1997, prevedono la figura dello psicologo, all’interno dell’équipe interdisciplinare composta anche dall’oculista, dall’assistente sociale, dall’assistente di oftalmologia e dal riabilitatore. In questi centri, vengono seguite per lo più persone adulte ed anziane, con ipovisione medio-grave che costituiscono la fascia più numerosa dei disabili visivi italiani, tra l’altro in continuo aumento. Inoltre vi sono psicologi nei centri di Riabilitazione per adulti e per l’età evolutiva, direttamente dipendenti dal Sistema Sanitario, oppure, più frequentemente, operanti in regime di accreditamento. Il funzionamento di tali strutture risente della disomogeneità delle varie situazioni sanitarie regionali. All’interno di questi enti vengono “presi in carico“ per trattamenti riabilitativi estensivi o di mantenimento, pazienti aventi una vasta gamma di patologie, e spesso le persone con deficit visivo che vi si rivolgono hanno condizioni percettive le più diverse, e qualche volta sono portatrici anche di altre disabilità.
In queste strutture lo psicologo nel momento in cui il centro riceve la richiesta dalla persona o dalla famiglia, attiva con l’utente una “analisi della domanda”, per meglio chiarire i vari tipi di bisogni della persona, stabilire in che misura il centro può soddisfarli e definire a quali condizioni.
Inoltre, facendo parte dell’équipe, lo psicologo concorre ad orientare i riabilitatori delle diverse discipline nella definizione dei programmi riabilitativi, verificando preventivamente l’esistenza dei prerequisiti emotivi, cognitivi e motivazionali per l’inizio delle varie attività.
Invece nei contesti più specificamente orientati alla diagnosi e alla cura delle malattie visive, come ambulatori oculistici, centri diagnostici per le malattie rare o reparti ospedalieri, il ruolo dello psicologo non è quasi mai previsto. Da ciò deriva che solo le persone seguite da centri di riabilitazione hanno una certa probabilità di incontrare uno psicologo e che ciò accade in una fase senz’altro successiva a quella diagnostica, e per una parte minima delle persone.
Qui di seguito elencherò alcuni campi specifici in cui le scienze psicologiche sono applicabili alla minorazione visiva. Attualmente non esistono molti ambienti in cui gli psicologi interessati possano aggiornarsi in modo sistematico e mettere in comune competenze e esperienze in questo settore. Questo conduce ad una disomogeneità degli approcci e della qualità dei servizi resi, oltre che ad una certa dispersione di informazioni sulle esperienze efficaci e sulle buone prassi.

La Psicologia della percezione
Per prima cosa, non dobbiamo mai dimenticare che le problematiche visive, siano esse a carico degli organi di senso o del cervello, siano esse totali o parziali, determinano una conseguenza nel sistema percettivo, giacché limitano od impediscono la più importante e complessa forma di acquisizione di informazioni che l’essere umano ha a sua disposizione, cioè la percezione visiva.
I problemi visivi condizionano il modo in cui la persona acquisisce informazioni dall’ambiente e si relaziona ad esso.
Quindi il deficit visivo, dal punto di vista psicologico, determina ovviamente innanzitutto una conseguente modificazione dei processi percettivi. La psicologia della percezione si è focalizzata in modo vasto e approfondito sulla percezione visiva delle persone normovedenti. La storia della psicologia della percezione fonda le sue basi all’inizio del secolo scorso; è quindi questa una disciplina per nulla giovane, ed è costellata di ricerche, scuole di pensiero, ed aspetti applicativi. La psicologia della percezione visiva degli ipovedenti è più giovane, avendo circa una trentina d’anni, e rappresenta un importante ambito per comprendere come le persone con ipovisione utilizzino le informazioni visive a loro disposizione, quali siano i processi mentali attraverso i quali queste persone attribuiscono comunque un significato utile a ciò che vedono, anche in condizioni nelle quali la quantità e la qualità delle informazioni visive a loro disposizione è molto scarsa. Nel funzionamento delle persone ipovedenti sono caratteristici alcuni specifici processi top-down come la “visione per indizi”, “l’interpretazione visiva”, “l’integrazione visuo-immaginativa”, e il “completamento intermodale“.
Contrariamente rispetto a quello che comunemente si potrebbe ritenere, l’uso della vista nelle persone ipovedenti non viene sminuito bensì potenziato dall’utilizzo concomitante di altre modalità sensoriali.
La competenza percettiva extravisiva è una risorsa importante sia per le persone cieche che per quelle ipovedenti. Differentemente da quello che un tempo si riteneva, le ricerche ci dimostrano che utilizzare la vista non distrae dagli altri sensi e non ne riduce l’efficienza. Quindi, divenire più competenti nell’utilizzo degli altri canali sensoriali, non rende la persona ipovedente meno vedente.
Le differenti modalità sensopercettive funzionano in modi specifici e peculiari, e quindi, ad esempio, studiare la percezione uditiva significa anche conoscere i diversi fenomeni acustici ed il modo attraverso il quale le persone riescono a ottenere informazioni importanti sull’ambiente, attraverso l’udito, che è un senso distale importante oltre la vista. Le specificità della percezione tattile sono state oggetto di approfondito studio prima dai pedagogisti tiflologi, e solo in seguito dagli psicologi. E’ importante sapere che numerose leggi tipiche della percezione visiva non possono essere applicate alla percezione tattile, essendo quest’ultima una qualità fenomenica dell’esperienza del tutto differente da una sorta di “vista a rilievo”. L’acquisizione di strategie adattive per utilizzare le informazioni provenienti dalla vista e dagli altri canali sensoriali è dunque un importante settore di interesse, i cui risultati sono utili per impostare i programmi di molte attività educative o riabilitative, in cui lo psicologo collabora con altre figure professionali a seconda del caso, come l’ortottista, l’oculista, l’istruttore di orientamento e mobilità, l’educatore, il terapista occupazionale.
Alcune competenze di psicologia della percezione possono essere molto utili anche allo psicologo clinico, in quanto, la conoscenza specifica di certi fenomeni percettivi, mette in migliori condizioni il professionista, quando si accosta alla comprensione del mondo soggettivo del suo paziente disabile della vista, comprendendone meglio la sua esperienza personale, i suoi limiti ma anche le enormi risorse a sua disposizione.

Psicologia della salute e psicologia medica
La relazione tra la persona ed il mondo della salute e della medicina, senz’altro per chi ha problemi fisici, costituisce un nucleo importante della vita e dell’esperienza quotidiana. Riferendoci alla popolazione generale, lo psicologo studia il modo con il quale le persone percepiscono e gestiscono la salute e il benessere, e si relazionano alle malattie ed al mondo delle cure. Nei paesi anglosassoni vi è una certa tradizione, per la quale gli psicologi aiutano i medici a comprendere gli aspetti emotivi e relazionali del loro agire col paziente. Ciò è oggetto di un’attenzione maggiore nei settori della medicina che si occupano di problematiche particolari e che pongono i clinici in una condizione di alto stress emotivo, ad esempio quando essi devono occuparsi di persone con malattie terminali, o che non possono essere guarite. Esiste quindi un duplice ambito nel quale lo psicologo può essere utile: da una parte aiutare i pazienti a gestire meglio possibile il loro rapporto con le malattie, le cure e i medici. Dall’altro versante, gli psicologi possono aiutare i medici a migliorare la propria capacità di prendersi cura, comunicare, relazionarsi, comprendere i pazienti.
In Italia sono poco diffuse le opportunità per uno psicologo di lavorare per migliorare la comunicazione medico-paziente, ma questo sta iniziando ad avvenire, ad esempio tra i medici che si occupano di malati oncologici, di persone affette da HIV, o che si occupano di emergenza e che intervengono in situazioni estremamente critiche come catastrofi ambientali, violenze, eccetera.
Invece, nella maggior parte dei centri clinici in cui ci si occupa di persone con problemi visivi, ad esempio i centri diagnostici, troppo spesso nel nostro Paese lo psicologo è vissuto ancora come “il collega della stanza accanto”, in una situazione in cui l’aspetto medico e quello psicologico sono rappresentati ed esaminati come settori separati, contribuendo ad una visione parcellizzata della persona/paziente, e rimandando all’utente una percezione di lui come costituito da tante parti staccate:

quella psicologica, quella medica oculistica, quella degli ausili, eccetera.
È parte della competenza di uno psicologo, collaborare con il medico per migliorare le modalità di comunicazione della diagnosi delle malattie fisiche gravi, e conseguentemente agevolarne la comprensione e l’elaborazione da parte del paziente.
Aiutare il paziente a gestire l’impatto psicologico delle malattie fisiche è importante, giacché la comunicazione di una diagnosi può essere senza dubbio ritenuta un evento potenzialmente traumatico, secondo le attuali conoscenze e classificazioni internazionali.
Un delicato ed importante aspetto, concerne l’aiutare il medico a gestire il senso di frustrazione, e a ridurre il rischio di burn-out professionale, giacché il clinico che lavora con persone con disabilità, deve necessariamente fare i conti con i limiti di efficacia delle cure mediche.
Un altro ambito in cui lo psicologo può essere utile, concerne l’aiutare il paziente a fare collegamenti tra le esperienze soggettive e gli stadi patologici nelle malattie visive. Se questo aspetto viene sottovalutato, il paziente ha una percezione sdoppiata della propria condizione visiva. Da una parte essa è definita dalle diagnosi, dalle spiegazioni mediche e dai referti, tutti ambiti dei quali la persona diviene prima o poi abbastanza informata. Dall’altra la situazione è determinata dal proprio vissuto soggettivo:
la propria percezione visiva, con tutti quegli ”strani fenomeni visivi”, caratterizzati da bizzarri effetti ottici od impressioni soggettive incostanti, che popolano un mondo privato ed inconfessato, perché quasi mai oggetto di attenzione. Eppure aiutare la persona ad avere una idea unitaria di se stessa, affiancandola nel fare collegamenti tra l’aspetto oggettivo medico e quello soggettivo percettivo, può essere molto utile per agevolare il processo di adattamento della persona alla propria condizione, e migliorare l’integrazione delle conseguenze della malattia nella propria identità personale.

Psicologia dello sviluppo
Veniamo all’aspetto più conosciuto riguardo l’apporto della psicologia al mondo della minorazione visiva: mi riferisco agli studi ed alle applicazioni nel settore della psicologia dell’età evolutiva.
È ormai noto come vi siano numerose differenze tra le persone che sono nate con un deficit visivo o lo hanno acquisito nei primissimi anni di vita, e quelle che invece hanno iniziato il proprio sviluppo a partire da capacità percettive integre, e sono divenute cieche o ipovedenti nel corso della vita.
Il modo in cui la minorazione precoce della vista condiziona lo sviluppo psicologico è stato oggetto di ampio interesse negli ultimi decenni. Vi sono alcuni importanti studi che paragonano lo sviluppo dei bambini ciechi e di quelli ipovedenti, con bambini che non hanno problemi visivi.
Siamo in possesso anche di un test di sviluppo, standardizzato sulla popolazione italiana, specificamente pensato per bambini non vedenti ed ipovedenti dal primo al sesto anno di vita.
Attraverso varie ricerche, ormai si è giunti alla conclusione che la minorazione visiva dalla nascita determina un ritardo del raggiungimento delle tappe dello sviluppo rispetto alla popolazione normale, con un massimo picco nella seconda infanzia, con particolare riguardo allo sviluppo psicomotorio, all’età di esordio e agli aspetti pragmatici e contenutistici del linguaggio verbale, ai processi operativi e cognitivi, specie per le operazioni infralogiche.
Questa differenza tende a diminuire fino ad annullarsi nell’età adolescenziale, con il raggiungimento della fase delle operazioni formali e del consolidamento del pensiero astratto. Ma ciò di solito non avviene in modo automatico. Il bambino con problemi di vista dalla nascita va incoraggiato a contrastare l’inibizione esploratoria, che si manifesta con una certa ritrosia nell’esplorazione grossomotoria e motoria fine, in una tendenza alla chiusura relazionale, ed in una difficoltà a comprendere l’aspetto significativo implicito del comportamento umano e a reagire ad esso in modo interattivo. Tutto questo può condurre ad una scarsità di esperienze concrete ed interpersonali significative, condizione che può essere alla base di una serie di problemi dello sviluppo, secondari alla minorazione visiva.
Dunque, nei periodi in cui si possono riscontrare dei ritardi transitori, è necessario intervenire con appropriate azioni educative e abilitative, affinché tale situazione non possa originare delle problematiche più serie e stabili.
Esiste una ambiguità ed una oggettiva difficoltà diagnostica, qualora al deficit visivo siano associate altre patologie fisiche, oppure vi siano altri disturbi dello sviluppo. La difficoltà può essere data dal fatto che alcuni dei più diffusi disturbi ad esordio infantile, attualmente vengono diagnosticati attraverso procedure che prevedono l’utilizzo della vista da parte del bambino.
La ricerca diagnostica non ha ancora prodotto batterie di test standardizzati per la diagnosi degli altri disturbi, che pure vi possono essere nei bambini ciechi o ipovedenti o con pluriminorazione. La necessaria modificazione delle procedure diagnostiche e valutative per poter accertare l’esistenza di questi disturbi anche nei bambini ciechi o ipovedenti, diminuisce la quantità di strumenti standardizzati a disposizione dello psicologo e del neuropsichiatra infantile.
Non potendo utilizzarsi tutti i test ed i protocolli comunemente conosciuti per valutare l’esistenza di disturbi quali il ritardo mentale, i disturbi pervasivi dello sviluppo, i disturbi specifici dell’apprendimento, si debbono attuare procedure osservative modificate, basate essenzialmente sull’osservazione clinica. Questo determina la necessità di una specifica preparazione ed esperienza, cosa che riduce enormemente la quantità di professionisti sul territorio in grado di svolgere questo tipo di servizio. Attualmente ciò rappresenta un aspetto problematico, una frontiera sulla quale pochi sono gli investimenti fatti, sia per mettere in comune le conoscenze esistenti, che per creare strumenti con alta validità ed attendibilità, tali da costituire protocolli diagnostici facilmente riproducibili e con un alto grado di concordanza.

Lo psicologo ed i genitori
In età evolutiva la componente dei comportamenti e degli atteggiamenti dei genitori è uno dei fattori massimamente determinanti per molti aspetti che riguardano la vita mentale, il comportamento, l’attenzione, l’orientamento al compito, lo stato di tranquillità o ansia, il livello di autonomia del bambino. Dunque, molto del lavoro che può fare lo psicologo riguarda rendere più competenti i genitori nel comprendere e rispondere adeguatamente alle necessità del bimbo. Di solito questo compito è reso arduo a causa di due ordini di fattori:
1) Il bambino si comporta in maniera non sempre intuitivamente comprensibile, a causa della mancanza di alcuni segnali comunicativi che di solito automaticamente attivano comportamenti di cura o di interazione giocosa da parte degli adulti care giver.
2) Il genitore si trova a sperimentare stati mentali con forti connotazioni di ansia, impotenza, colpa, fallimento, collegati alle esperienze relative alla patologia del bimbo e alle vicissitudini mediche, tali per cui non è sempre pienamente in grado di comprendere i suoi comportamenti e fornire la necessaria base sicura alla crescita.
Lo psicologo assiste dunque i genitori nella comprensione dei bisogni e dei comportamenti del figlio e nell’elaborazione dei loro sentimenti riguardanti la minorazione visiva, per agevolare la realizzazione di una relazione sicura di attaccamento.
In tal modo attua anche una importante azione di prevenzione secondaria, perché diminuisce la probabilità di insorgenza di problematiche potenzialmente accentuate da fattori insiti nella relazione genitore-figlio. L’utilità di questo tipo di interventi è maggiore, tanto più precoce è l’intervento dello psicologo.
Una delle situazioni nelle quali il ruolo degli psicologi si è dimostrato assolutamente cruciale è quella della terapia intensiva neonatale (TIN). In questo contesto lo psicologo è utile per supportare i genitori nel far fronte a questa difficile situazione, alla separazione prolungata col bambino, alle cure mediche intensive cui il bimbo viene sottoposto, alle diagnosi, alle condizioni fisiche precarie spesso critiche in cui versa, ecc..
All’atto della dimissione dagli ospedali in Italia non è previsto un sistematico intervento interdisciplinare, che dovrebbe comprendere anche un sostegno psicologico nelle varie fasi di adattamento dei genitori alla diagnosi del bambino. L’intervento dello psicologo, che attualmente viene realizzato specialmente in Centri specializzati e meno sul territorio, prosegue con un sostegno ai genitori per aiutarli ad adattarsi nella relazione affettiva, assistiva ed educativa col bambino.

Relazioni familiari e psicoeducazione
Gli interventi definiti di psicoeducazione, hanno il fine di orientare il genitore e le altre figure educative a comprendere il comportamento del bambino nelle varie circostanze, e dare quindi degli strumenti di lettura più adeguati e normalizzanti, che consentono ai genitori stessi di adottare atteggiamenti educativi più opportuni.
La percezione di fragilità del bambino, o di precarietà e pericolosità dell’ambiente in cui quest’ultimo è inserito, può condurre il genitore ad avere comportamenti di iperprotezione, caratterizzati dall’aumento di tutti i comportamenti finalizzati alla assistenza, ed alla diminuzione di quelli che hanno come fine l’educazione, l’esplorazione ed il gioco comune. Un altro atteggiamento, apparentemente derivante da motivazioni opposte, è quello secondo il quale il genitore si comporta con il bambino come se quest’ultimo non avesse il problema visivo che pure possiede. In un certo senso, in questi casi, il genitore si comporta richiedendo implicitamente al bambino di ottenere dei risultati attraverso mezzi e procedure del tutto uguali a quelli che potrebbe avere una persona con una vista normale. Quasi come se avesse difficoltà a comprendere profondamente che, sebbene spesso si possono ottenere risultati analoghi a quelli degli altri, a volte debbono essere utilizzati mezzi, tempi e procedure comportamentali parzialmente diversi, perché diversa è la condizione di partenza.
Ma anche questa condizione di negazione, come quella sopra accennata di iperprotezione, si muove a partire da un sentimento profondo di paura dell’incapacità del bambino.
In molti casi, questo si manifesta in una certa tendenza ad evitare l’ansia che il genitore potrebbe provare tutte le volte che il bambino si accinge ad affrontare un compito, con le difficoltà tipiche di una persona che ha problemi di vista. Evitare questa situazione può significare sostituirsi al bambino, anticipandone i bisogni e trovando per lui tutte le soluzioni, oppure aspettandosi che il bimbo si comporti come se vedesse. Questo duplice atteggiamento educativo non mette in condizione il bambino di sperimentare, affinare e potenziare le proprie capacità, confermando quindi la paura originaria del genitore. Il ruolo dello psicologo è quello di aiutare il genitore a vivere in modo più sereno, informato e realistico il proprio rapporto con il bambino, riappropriandosi delle proprie funzioni genitoriali nei suoi aspetti emotivi, assistivi, ludici, normativi ed educativi in modo più equilibrato.

Relazioni familiari, giovani ed adulti
Chi si occupa di persone con disabilità dal punto di vista psicologico, sa che l’adolescenza è un momento nel quale la persona inizia a fare i conti con le problematiche riguardanti l’inclusione nella propria identità personale dei connotati soggettivi connessi alla disabilità visiva. Il conflitto tra la necessità dell’adolescente di conoscersi ed accettarsi come persona portatrice di caratteristiche particolari, e quella di confrontarsi e sentirsi parte di un gruppo di pari, caratterizza fortemente questo periodo del ciclo di vita della persona con disabilità. Contemporaneamente, diviene più forte la necessità di svincolarsi dalle abitudini assistenziali che, fino a qualche anno prima, erano state per il bambino fonte di protezione e sicurezza. Il bisogno di autonomia cresce, ma anche la capacità della persona di percepire i propri limiti. Lo psicologo ha quindi il ruolo di accompagnare l’adolescente verso una conoscenza realistica della sua disabilità in quanto tale, delle reazioni altrui, ma anche della possibilità di confrontarsi con i propri pari sul piano della cooperazione e non dell’agonismo, abbandonando quindi gli atteggiamenti derivanti dalla rinuncia, dalla vergogna o dalla sfida. Inoltre emergono i bisogni collegati alla crescita emotiva e sessuale, e quindi la necessità di confrontarsi con le insicurezze derivanti dalla propria immagine sociale, dalla necessità di adottare comportamenti di corteggiamento e sviluppo di tutte le dinamiche che riguardano il rapporto con l’eros, il proprio ed altrui corpo, la gestione e comunicazione dei sentimenti, ecc..
Sebbene inserita in un contesto del tutto diverso, la paura dell’incapacità può essere un sentimento riscontrabile anche nelle relazioni familiari con adulti disabili della vista. Ciò si può declinare in un atteggiamento della persona ed anche di alcuni suoi familiari, di negazione delle difficoltà direttamente connesse al deficit visivo, di disinteresse verso l’acquisizione di abilità più appropriate alla situazione, insieme al rifiuto di dotarsi di strumenti ed ausili specifici come quelli alla lettoscrittura ed alla mobilità autonoma.
Il ruolo dello psicologo, specie se ben informato sull’esistenza di opportunità riabilitative e mezzi idonei all’autonomia, è quello di sostenere la persona nel cambiamento interiore, concomitante con l’acquisizione di nuove abilità, anche attraverso lo sviluppo di nuove risorse. In molti casi questo significa anche lavorare per consentire alla persona la possibilità di mostrarsi socialmente secondo una nuova immagine, giacché la massima parte dei comportamenti, degli strumenti e degli ausili per le persone con disabilità visiva, sono visibili agli altri.
La dimensione della vergogna e spesso del segreto, sono tematiche ricorrenti con le quali lo psicologo in un contesto di psicoterapia individuale può aiutare la persona a confrontarsi, nell’intento di raggiungere un nuovo adattamento ed una migliore qualità della vita.
Con le dovute differenze, a volte si possono riscontrare situazioni familiari nelle quali la persona adulta, specialmente quando è divenuta cieca o ipovedente dopo la costituzione della famiglia, viene trattata secondo un assunto implicito di inabilità emotiva e familiare. Non è raro, per lo psicologo che si occupa di persone non vedenti o ipovedenti adulte, riscontrare situazioni di coppia o di famiglia, in cui la persona si trova esclusa anche da ruoli e responsabilità che pure potrebbe continuare a mantenere, nonostante la sopravvenuta disabilità della vista.
Quando si è verificato un cambiamento o una interruzione nel lavoro, la persona deve affrontare un ulteriore problema, giacché le mansioni lavorative concorrono a formare l’identità personale e sociale di ogni individuo. In questo senso, è compito dello psicologo aiutare la persona a traghettare nel cambiamento, con l’accortezza di preservare e valorizzare tutte le abilità e le qualità che aveva acquisito in passato. Inoltre, occuparsi dei figli, pianificare le vacanze, preoccuparsi della casa, concorrere alle decisioni, essere di aiuto e non soltanto essere aiutato, sono esperienze di vita che possono essere restituite alla persona, nell’ambito di una normalità dell’equilibrio familiare. Per conseguire questo obiettivo lo psicologo clinico deve aiutare la persona innanzi tutto a comprendere quali sono le dinamiche con le quali la famiglia ha reagito alla disabilità. Il secondo passo consiste nell’aiutare la persona a “disinnescare“ gli atteggiamenti sostitutivi degli altri familiari, riappropriandosi di quei ruoli che una volta gli competevano, restituendo a ciascuno il proprio, in un equilibrio migliore.

Le competenze sociali e di comunicazione interpersonale
Il problema dell’ambiguità e della comprensibilità sociale è tipica specialmente della condizione della persona con ipovisione. Infatti, sebbene la maggior parte delle situazioni visive non possa essere ricondotta agli stereotipi più conosciuti del cieco assoluto, quest’ultima condizione sembra essere più comprensibile ed accettata.
Di fatto, assistiamo sovente ad un misconoscimento e ad una percezione sociale non adeguata della persona con ipovisione, anche per una difficoltà insita in questa situazione, di dare una immagine univoca e stabile della capacità e delle necessità della persona.
Le condizioni ambientali e di contesto creano una varietà enorme di differenze nei comportamenti e nelle necessità della persona ipovedente, spesso anche solo con il mutare delle ore del giorno, degli ambienti, o di molte altre variabili. Tutto questo insieme di fattori concorrenti non sono automaticamente compresi dalle persone che hanno a che fare con i disabili della vista.
Di qui, una grande probabilità di sperimentare per costoro esperienze di fallimento empatico, ad esempio di scarso aiuto in situazione di bisogno, oppure di un atteggiamento protettivo e negazione delle proprie capacità in situazioni in cui la persona sperimenta di essere in grado di fare da sé.
Il rischio è che la persona, per limitare le probabilità di deludere le aspettative e non sentirsi accettata nei suoi comportamenti spontanei, scelga di avere una immagine sociale sempre bisognosa, oppure sempre adeguata. Lo psicologo psicoterapeuta individuale può facilitare la persona nella comprensione di questi meccanismi di incomprensione interpersonale, aiutandola a trovare il modo migliore per affrontare le varie situazioni, per aumentare la propria libertà nel relazionarsi con gli altri.
Per conseguire questo tipo di obiettivi, sono molto utili anche gli interventi di gruppo, perché questo può essere un contesto ottimale nel quale le persone possono sviluppare la capacità di analizzare gli atteggiamenti sociali propri ed altrui e affinare le competenze sociali legate allo stare in un gruppo.
Questo tipo di situazioni consentono anche di avvalersi delle funzioni di sostegno e confronto reciproco, messa in comune delle risorse e normalizzazione della propria condizione, che sono effetti benefici tipici degli interventi di gruppo.
In questo senso sono molto indicati i training psico-sociali, che appunto mirano all’acquisizione di strumenti specifici per aumentare le competenze di interazione e di comunicazione interpersonale.
In particolare, le ricerche dimostrano che vi è una certa tendenza ad avere atteggiamenti, a volte anche alternanti, basati sulla passività o sulla aggressività. Di conseguenza appaiono utili gli interventi mirati all’aumento della assertività, la capacità di ascolto reciproco, la capacità di descriversi/proporsi in modo efficace, ponendo le condizioni interpersonali per una relazione con l’altro di tipo paritetico, quindi non basata né sulla dipendenza né sulla sfida.
Da questa incursione non certo esaustiva nei vari ambiti di pertinenza della psicologia emerge che vari sono i vantaggi per la persona con deficit visivo, derivanti dall’uso di servizi psicologici competenti ed adeguati nei vari momenti della vita. Tutti gli strumenti di comunicazione e divulgazione scientifica sono utili per far comprendere alle persone che la attivazione mirata e ragionata dei servizi qui descritti, non è necessariamente segno di patologia anzi, a volte, cercare lo strumento giusto al momento adeguato, può essere segno di una buona capacità della persona di prendersi cura di se stessa. Ma è importante non dimenticare che lo psicologo non può operare nell’isolamento, e la sua attività può essere maggiormente utile, se concepita in un contesto interdisciplinare, inserita nel più generale ambito delle azioni rivolte alla cura della persona ed alla prevenzione del disagio in situazioni critiche.

Dott.ssa Maria Luisa Gargiulo

Psicologa Psicoterapeuta, opera a Roma ed in tutta Italia nel settore della psicologia clinica e nel campo della minorazione visiva. In questo ambito è autrice di numerose pubblicazioni.
e-mail info@marialuisagargiulo.it
www.marialuisagargiulo.it

Bibliografia
Bowlby, J. (1988), Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento,
Cortina, Milano.
Brambring, M. (2004), Lo sviluppo nei bambini non vedenti. Osservazione e intervento precoce,
Franco Angeli, Milano.
Buchman R., (2003), La comunicazione della diagnosi in caso di malattie gravi, Raffaello Cortina
Editore, Milano.
Camaioni, L. (a cura di), (1995), La Teoria della mente: origini, sviluppo e patologia, Laterza,
Roma-Bari.
Cassibba, R., Van Ijzendoorn, M. (a cura di), (2005), L’intervento clinico basato sull’attaccamento,
Il Mulino, Bologna.
Casonato, M., Sagliaschi, S. (2003), La valutazione dell’attaccamento del ciclo di vita, Edizioni
QuattroVenti, Urbino.
Chiarelli, R. (1992), Alcune considerazioni sul processo adolescenziale del soggetto con
minorazione visiva. Tiflologia per l’Integrazione, 2 (1), 2-10.
Dell’Osbel, G., Veglia, F. (2001), Handicap e attaccamento, in Tiflologia per l’Integrazione, 11 (4).
Galati, D. (a cura di), (1992), Vedere con la mente, Franco Angeli, Milano.
Gargiulo, M. L. (2005), Il bambino con deficit visivo, Franco Angeli, Milano.
Gargiulo, M. L., Dadone V. (2009), Crescere toccando, Franco Angeli, Milano.
Hatwell, Y. (1966), Privation sensorielle et intelligence, Press Universitaire de France, Paris.
Hatwell, Y. (1969), From perception and related issues in blind humans, in Hogan, R., Devel.
Hrdy, S. B. (2001), Istinto materno, Sperling & Kupfer, Milano.
Lorenzini, R. e Sassaroli, S. (1987), La paura della paura, NIS, Roma.
Martinoli, C., Del Pino, E. (2009), Manuale di riabilitazione visiva per ciechi ed ipovedenti, Franco
Angeli, Milano.
Mazzeo, M. (1988), Il bambino cieco. Introduzione allo sviluppo cognitivo, Anica, Roma.

11
Muzzatti, B. (2004), Aspetti psicologici della cecità acquisita: contributi teorici e sperimentali.
Roma, I.Ri.Fo.R..
Muzzatti, B. (2006), Una lettura in chiave psicologica e psicosociale dell’ipovisione. Tiflologia per
l’Integrazione, 16 (1), 17-22.
Perez-Pereira, M., Conti-Ramsden, G. (2002), Sviluppo del linguaggio e dell’interazione sociale nei
bambini ciechi, Edizioni Junior, Azzano San Paolo, Bergamo.
Piaget, J. (1982), Introduzione all’epistemologia genetica, volume I, Emme Edizioni, Milano.
Piaget, J. (1983), Introduzione all’epistemologia genetica, volume II, Emme Edizioni, Milano.
Reynell, J. (1997), Reynell-Zinkin Scales. Scale di sviluppo per bambini con handicap visivo, O.S.
Organizzazioni Speciali, Firenze.
Revuelta, R. L. (1999), Palmo a palmo, Once, Madrid.
Siegel, D. J. (2001), La mente relazionale, Cortina, Milano.
Sorrentino, A. M. (2006), Figli disabili – La famiglia di fronte all’handicap, Cortina, Milano.

Il saluto del nuovo Presidente, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Care amiche e cari amici,

mi rivolgo a voi per la prima volta nel ruolo di presidente nazionale della nostra amata Unione.
Un ruolo che mi onora oltre ogni immaginazione e che pone dinanzi a me, sopra di me, il senso della responsabilità, dell’urgenza, del dovere.
Sabato 15 marzo il nostro Consiglio Nazionale si è espresso con una maggioranza chiara nella elezione del nuovo presidente.
Devo e voglio ringraziare i consiglieri che mi hanno accordato la loro fiducia, ma desidero accomunare in un abbraccio anche quei quattordici componenti del Consiglio che si sono orientati su una opzione diversa.
Oso sperare di saper meritare con il tempo e con il lavoro anche il loro consenso.
Ancora una volta la nostra Unione ha saputo fronteggiare con serenità e chiarezza un altro passaggio difficile della propria storia, utilizzando gli strumenti previsti dallo statuto, in un contesto che ha consentito il libero confronto delle idee e la riaffermazione del principio di democrazia.
Così come tutti abbiamo convenuto nel corso di queste ultime tre settimane di confronto, conclusa la fase della elezione del presidente, da questo momento si guarda avanti e si cammina di nuovo insieme verso altri traguardi, pronti ad affrontare uniti gli ostacoli e le insidie che di certo non mancheranno.
Siccome i problemi sono tanti e il tempo, invece, davvero scarso, occorrerà concentrarsi soprattutto su alcune priorità assolute, cercando di fare bene le poche cose che si potranno fare nei prossimi diciotto mesi.

– Proteggere le conquiste normative raggiunte e puntare a nuovi obiettivi realistici.

– Tutelare le nostre strutture territoriali, cercando di metterle nelle migliori condizioni operative, ma premiando soprattutto i risultati del lavoro delle sezioni più attive.

– Assicurare risorse certe e continuative per svolgere al meglio i nostri servizi e salvaguardare l’esistenza stessa della nostra organizzazione.

– Preparare il XXIII congresso promuovendo una vasta partecipazione dei soci su tutto il territorio, mediante un confronto di idee e di proposte che consenta l’avvio di una stagione di riforma della nostra struttura per adeguarne regole e strumenti all’incalzare dei tempi.

Siamo appena entrati nel periodo delle assemblee sezionali che rappresentano la ricchezza più autentica della nostra Unione.
Approfittiamo delle assemblee per portare ai nostri soci e iscritti un messaggio di speranza e di fiducia, sottolineando tuttavia che i traguardi raggiunti si difendono con il lavoro di tutti e che i nuovi obiettivi si conquistano solo con una partecipazione ampia e unitaria.
Dal nuovo presidente nazionale soltanto due semplici parole di augurio rivolte a tutti e con affetto:
“buon lavoro!”.

Mario Barbuto
Presidente Nazionale

Servizi non richiesti: vittoria di un non vedente a Catania, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Il Giudice di Pace di Roma ha riconosciuto il diritto al risarcimento in favore di un utente non vedente che si era trovato con addebiti in bolletta telefonica per 1.000 euro. Il consumatore, mentre pensava di partecipare ad un concorso a premi gratuito, in realtà, a sua insaputa, scaricava suonerie e inviava sms a costi esorbitanti.

Il gestore, infatti, non aveva fornito alcuna informazione sui costi e procedeva agli addebiti per i servizi indesiderati a distanza di molto tempo. L’utente riceveva degli sms (il telefonino trasformava gli sms in messaggi vocali) che lo invitavano a partecipare ad un concorso in cui erano messe in palio delle automobili. Per partecipare era necessario inviare sms a pagamento e rispondere ad un quiz con molte domande facili: per ogni risposta veniva addebitato un costo. Inoltre, partecipando al concorso si acquistavano contenuti digitali (loghi e suonerie), ma non si scaricava la singola suoneria, bensì scattava un abbonamento che prevedeva addebiti dai costi variabili in relazione al tipo di suoneria scelta. La sentenza conferma che il primo diritto negato al consumatore è quello all’informazione. Ed anche in questo caso l’azienda ha cercato di trincerarsi dietro adempimenti formali peraltro infondati e non provati. Denota poi una indiscriminata frenesia alla vendita di servizi aggiuntivi altamente costosi anche di fronte a contraenti doppiamente deboli come in questo caso perché si trattava di una persona non vedente.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

Caserta: Settima Giornata nazionale del Braille, di Stefano Scirocco

Autore: Stefano Scirocco

La sezione provinciale dell’UICI di Caserta ha realizzato, in collaborazione con il Centro di Consulenza Tiflodidattica di Caserta, una iniziativa nella ricorrenza della settima giornata del Braille: la data ufficiale cade il 21 febbraio ma per aspetti logistici-organizzativi, si è deciso di posporla al 12 marzo.

Scenario dell’evento è stato l’Istituto Scolastico “Dante Alighieri” di Caserta dove, una delegazione dell’UICI casertana, capitanata dal presidente sezionale, è stata calorosamente accolta dalla dirigente scolastica, dott.ssa Chiara Menditto, dal corpo docenti e soprattutto dagli alunni delle prime medie che, alternandosi in 3 gruppi, hanno preso parte ad un incontro incentrato sulla figura di Louis Braille, dal metodo di lettura-scrittura Braille ma con approfondimenti su svariati aspetti della realtà dei non vedenti e degli ipovedenti.

L’incontro, che ha visto inoltre la partecipazione della responsabile del Centro di Consulenza Tiflodidattica di Caserta, dott.ssa Anna Patrizia Farina, e del prof. Pietro Piscitelli, presidente regionale dell’UICI, è stato emozionante: i ragazzi hanno posto numerose domande spaziando da temi inerenti la realtà scolastica dei minorati della vista, le attività sportive, l’uso del computer e di altri sussidi, dimostrando viva partecipazione, grande interesse e sentendosi a loro agio e liberi di poter soddisfare qualsiasi loro curiosità.

Durante la mattinata c’è stata pure la testimonianza di una nostra giovane socia che da poco si è avvicinata al Braille nonchè di un alunno di detto istituto, anch’egli non vedente.

I ragazzi inoltre sono stati affascinati dal poter vedere e toccare con mano ausili come la tavoletta Braille, libri ingranditi, libri in Braille, carte geografiche, piano gommato, ecc, e dal poter capire direttamente l’uso e la finalità di detti ausili.

La giornata è terminata con un reciproco “arrivederci a presto” e con al consapevolezza di poter in futuro realizzare nuove attività, grazie alla viva sensibilità e al genuino interesse manifestato dal dirigente scolastico e dai docenti intervenuti.

Stefano Scirocco

Rimini: Pranzo e Cena al buio, di Pier Domenico Mini

Autore: Pier Domenico Mini

“Incontriamoci nel buio per conoscere gli altri sensi”
Il giorno 29 marzo 2014

alle ore 13.00 pranzo

alle ore 20.30 cena

presso “Casa per gruppi San Michele”

Strada La Ciarulla, 124 Borgo Maggiore (Cailungo RSM)
(vicino Electronics)
In un’atmosfera suggestiva e coinvolgente guide non vedenti ci aiuteranno a
riscoprire il valore dell’ascoltare, il bello del toccare, il piacere del gustare e il
fascino del riconoscere i profumi.

Ogni portata sarà assaporata rigorosamente al buio. L’evento culturale di singolare
intensità è sapientemente studiato per esaltare il momento conviviale e per vivere
nel buio una particolare esperienza di relazione e di comunicazione.

Costo della cena: 25€

Per info e prenotazioni:

tel.0541/29069
Mini Pier Domenico 3341135404
Il ricavato della serata sarà devoluto per il progetto “libertà di movimento” (per l’acquisto di un
nuovo pulmino che darà la possibilità a molti non vedenti di ogni età e condizione di spostarsi
per le innumerevoli iniziative che si svolgono nella nostra città ed anche sul territorio
nazionale). E’ gradita la prenotazione entro il 25 marzo. Orario ufficio lun. merc. e ven. 9 –
12; mart. e giov. 15 – 18.30.