Rinasce il Coordinamento degli Enti, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Venerdì 20 Febbraio alle ore 15, presso la sala Conferenze dell’Istituto Rittmeyer di Trieste s’è riunito il Comitato di coordinamento dei nostri Enti.
L’incontro è stato fortemente voluto dal nostro Presidente Nazionale Dott. Mario Barbuto e dal Presidente della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi Cav. Rodolfo Masto, allo scopo di fare il punto della situazione, rilanciare le attività del Coordinamento per trasformarlo sempre più in un concreto “strumento” operativo al servizio dei minorati della vista italiani.
Oltre a Barbuto e Masto, hanno partecipato alla riunione il Presidente della Biblioteca Italiana per i Ciechi Prof. Pietro Piscitelli, il componente la Direzione Nazionale della Sezione Italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità, Dott. Ferdinando Ceccato, il Presidente dell’Istituto “Cavazza” di Bologna, Prof. Michele Borra, il Presidente del Museo Tattile Statale “Omero” di Ancona, Dott. Aldo Grassini ed il Presidente del Centro Regionale “Helen Keller” di Messina, Avv. Giuseppe Terranova. Erano pure presenti il “padrone di casa” Huber Perfler, Presidente dell’Istituto Rittmeyer di Trieste, la Dott.ssa Daniela Bottegoni, Consigliere d’amministrazione del Museo ”Omero” ed il Prof Gianluca Rapisarda, delegato ai progetti in seno al c.d.a della Federazione Pro Ciechi.
Il Presidente Barbuto, introducendo i lavori, ha tenuto subito a sottolineare come il “ricorso” al Coordinamento degli Enti, lungi dall’essere una “pratica” sterile e fine a se stessa, non dovrà più, come nel passato, rispondere soltanto ad una mera logica dell’”adempimento formale”. “Anzi, rincarando la dose, Mario Barbuto ha aggiunto che, forse fino a questo momento, i nostri Enti si sono ricordati utilitaristicamente del Coordinamento solo in caso di difficoltà economiche, come ultima spiaggia per non fare naufragio”.
“Bisogna invece fare un salto di qualità, ha concluso il Dott. Barbuto, perché esistono al nostro interno le condizioni favorevoli per lo sviluppo di collaborazioni e sinergie durature ed utili a fare del Coordinamento una sorta di ”catalizzatore”, capace cioè di attrarre stabilmente attorno ai nostri Enti forze e risorse economiche esterne per finanziare i loro progetti”.
Pienamente consapevoli di ciò, anche i Prof. Borra e Piscitelli, i Dott. Grassini e Ceccato e l’Avv. Terranova hanno insistito sulla necessità indifferibile di superare i “particolarismi” del passato e di lavorare in team perché il Coordinamento possa promuovere finalmente esperienze condivise di “qualità”, indispensabili per intercettare contributi non solo nazionali, ma anche e soprattutto, in questi tempi di “vacche magre”, comunitari e perché no privati.
Prendendo successivamente la parola, il Cav. Rodolfo Masto ha affermato che l’auspicio è quello di creare una rete di rapporti stabili al fine di scambiarsi informazioni in merito alla realizzazione di iniziative prevalentemente “culturali”.
Il Presidente Masto ha proseguito sostenendo che c’è innanzitutto la necessità urgente di un riordino della figura del tiflologo da un punto di vista delle caratteristiche professionali. Al di là infatti dei compiti che il Ministero dell’Istruzione ha affidato ad alcuni atenei relativamente all’organizzazione di corsi specifici per insegnanti curriculari e di sostegno, rimane insoluto il problema di un vero e proprio riconoscimento giuridico della professione di tiflologo.
Una riorganizzazione che, a detta del Cav. Rodolfo Masto, dovrebbe chiamare assolutamente in causa tutti quegli Enti che oggi a vario titolo si occupano di ciechi e ai quali dovrebbero essere richieste delle competenze specifiche e ben definite. In Italia, ad esempio, non esiste un albo dei tiflologi e sarebbe opportuno che il Coordinamento s’adoperasse per farlo istituire al più presto dal MIUR.
A tal proposito, il Prof. Gianluca Rapisarda, intervenendo, ha comunicato ai presenti che, in attesa di tale “miracolo” da parte della politica, grazie alla sensibilità e lungimiranza del nostro Presidente Nazionale Mario Barbuto e del Presidente della Federazione Rodolfo Masto, l’Irifor, la Federazione Pro ciechi e la BIC hanno recentemente stipulato una convenzione che impegna i tre Enti a costituire un Comitato didattico scientifico con funzione consultiva e di proposta su eventuali iniziative da intraprendere nel campo della Tiflologia e della Formazione a distanza degli operatori del sostegno dei ragazzi ciechi ed ipovedenti.
Tale Comitato sarà composto dal Prof. Paschetta per conto dell’Irifor, dal Presidente della Biblioteca Prof. Piscitelli e dal Prof. Rapisarda della Federazione Pro Ciechi.
Il Prof. Rapisarda ha inoltre chiosato che, nell’ambito della Convenzione in questione, l’I.RI.FO.R. si impegnerà a condividere con la B.I.C. e la Federazione lo sviluppo della piattaforma FAD di formazione a distanza, ad accesso oneroso, “ICOLORI DEL BUIO” da esso realizzata e gestita, senza oneri di spesa per i due enti , rendendo “visibile” l’intesa anche con l’indicazione nella “on page” della piattaforma suddetta dei rispettivi loghi e marchi.
Dal canto loro, la B.I.C. e la Federazione si faranno carico di realizzare , senza costi a carico dell’I.RI.FO.R., con il proprio personale e/o con propri consulenti, attraverso le proprie strutture o attraverso strutture ad esse associate (Centri di consulenza tiflodidattica , istituti per ciechi, ecc.), almeno 50 unità didattiche l’anno ciascuna, da inserire nelle diverse SEZIONI DELLA piattaforma di formazione, secondo quanto concordato dal coordinamento didattico scientifico di cui sopra.
La B.I.C. e la Federazione collaboreranno alla diffusione e alla promozione della piattaforma “I COLORI DEL BUIO” :
– inserendo il link nei rispettivi siti e, nel caso della Federazione, chiedendone l’inserimento nei link dei siti degli istituti federati;
– trasmettendo all’I.RI.FO.R. gli indirizzi di posta elettronica dei loro utenti potenzialmente interessati all’invio del materiale informativo;
promuovendo la piattaforma sui social network (facebook, twitter,ecc.
A questo punto, il Presidente Barbuto, riprendendo la parola, ha chiesto espressamente al Prof. Rapisarda ed al Presidente Masto di lavorare in sinergia con gli altri Enti per mettere in comune con loro i contenuti e le attività realizzate con la piattaforma Tiflopedia”.
Il Cav. Masto ed il Prof. Rapisarda, rispondendo al Presidente Nazionale Barbuto hanno spiegato ai partecipanti all’incontro del Comitato che Tiflopedia, allo stato attuale, si prefigge prioritariamente di mantenere vivo ed approfondire il dibattito sulla Tiflodidattica, sulla Tiflopedagogia, sulla Tifloinformatica e sulla pluridisabilità. Ma Masto e Rapisarda non hanno escluso che, proprio per la sua configurazione di “enciclopedia” multimediale vera e propria, il progetto Tiflopedia, se sviluppato in sinergia con gli altri Enti, ben si può candidare a diventare un “deposito “ on line in continua espansione di informazioni, immagini, notizie e filmati sulle più disparate tematiche relative al “mondo” della cecità, sul modello di quello che oggi è Wikipedia.
Il Presidente UICI Mario Barbuto, congratulandosi con la Federazione per l’ottimo lavoro fin qui compiuto con tale piattaforma multimediale, ha invitato infine tutti i “soggetti” del Coordinamento a nominare un loro rappresentante da affiancare allo staff della Pro Ciechi di Tiflopedia, perché tale “strumento” costituisca il primo e significativo esempio di reale e leale collaborazione tra i nostri Enti.
So perfettamente che tale “gruppo di lavoro” su Tiflopedia non rappresenta la panacea dei “mali dei ciechi ed ipovedenti italiani, ma in attesa di tanti altri progetti ed esperienze da condividere e realizzare insieme, come si dice, “chi ben comincia è a metà dell’opera!

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Ascoli Piceno e Fermo- Assemblea, Redazionale

Autore: Redazionale

L’Assemblea 2015 è convocata per il giorno 15 marzo 2015, alle ore 09:00 presso l’Hotel Parco dei Principi di Grottammare – Viale De Gasperi, 90.
Visualizza la mappa.

Apri il sito web dell’Hotel.
Ordine del giorno
1. Saluto del Presidente Sezionale, Cav. Adoriano Corradetti.
2. Nomina del Presidente e del Vicepresidente dell’Assemblea
3. Nomina del collegio elettorale.
4. Lettura delle relazioni Morale e Finanziaria anno 2014.
5. Dibattito sulle relazioni.
6. Votazione delle relazioni.
7. Elezione di 7 Consiglieri Provinciali, di un Consigliere Regionale, di un delegato al Congresso e di 5 membri per il Collegio Provinciale dei Sindaci revisori.
8. Varie ed eventuali.

Potenza: VIII Edizione della Giornata Nazionale del Braille, di Maria Buoncristiano

Autore: Maria Buoncristiano

La sezione provinciale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli ipovedenti di Potenza in occasione dell’VIII Edizione della Giornata Nazionale del Braille, istituita con legge n. 126 del 3 agosto 2007, organizza l’iniziativa denominata “Insoliti puntini” che prevede la presentazione del libro “Gioca, colora e impara il Braille” e del gioco “Braille Box” nei seguenti istituti comprensivi:

  • 28 febbraio, ore 9.30/12.30: C. Potenza III ex s.m. “La vista”, via E. Toti,1 – Potenza
  • 7 marzo, ore 9.20/12.20:  C. “L. Sinisgalli”, via Anzio –  Potenza

Il primo si è svolto sabato 21 febbraio nell’aula magna dell’I.C. “G. Leopardi” di Potenza.

Gli incontri/laboratori sono finalizzati alla divulgazione del Braille quale strumento di gioco educativo per tutti, alla riscoperta del valore degli altri sensi e, soprattutto, al coinvolgimento dei più piccoli nei processi di educazione alla non discriminazione

Per fare ciò l’UICI ha  scelto di utilizzare uno strumento familiare ai bambini di 6 anni: l’alfabetiere da colorare che presenta non solo le lettere in nero ma anche quelle in Braille grafico, ovvero non a rilievo.

Il principio guida delle attività proposte è “imparare facendo”, sulla base dell’antico proverbio cinese  il quale dice: “Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”, utilizzato da Bruno Munari nei suoi laboratori creativi.

Si chiede, dunque, ai bambini di utilizzare le mani per riconoscere i compagni, gli oggetti reali o mimati, per verificarne la posizione su un piano  e di ascoltare  per riconoscere versi e rumori.

Ed è  proprio attraverso l’approccio ludico-educativo che i bambini  verranno interessati e incuriositi al sistema Braille che, come è noto, è organizzato sulla combinazione di 6 puntini e che, per essere compreso, necessita dell’acquisizione dello schema corporeo  e dei rapporti topologici. E’ evidente che a bambini così piccoli non è possibile trasferire tutte le lettere del codice, ma le regole che sono alla base: ovvero l’utilizzo del tatto educato alla esplorazione consapevole.

Le copie dell’alfabetiere “Gioca, colora e impara il Braille” e del gioco braille box del  costo di 5 euro cadauno sono disponibili presso le sezioni dell’UICI di Potenza e Matera. Per ulteriori informazioni si rimanda al sito www.uicipotenza.it.

Il libro da colorare  stimolerà il piccolo lettore a conoscere un codice di letto-scrittura differente dal suo e proverà a rispondere alle domande: “Come scrivono i bambini ciechi? Come sono le letterine?”

Il gioco Braille box, invece si compone di una base di legno e 6 biglie colorate e anch’esso servirà per divertirsi ed imparare il Braille, attraverso la manipolazione  composizione delle lettere.

Il sistema si basa, infatti,  sul numero e sull’ordinamento dei vari puntini che nel gioco sono rappresentati dalle biglie., Per ottenere, ad esempio, la A occorre posizionare una  sola biglia in alto a sinistra; la B due biglie:una in alto a sinistra e una in mezzo a sinistra e così via.

 

 

 

 

Approfondimento

Il Braille è  un sistema di scrittura, inventato dal francese Louis Braille intorno al 1829, basato su sei punti in rilievo in cui la maggior parte dei simboli è universalmente riconosciuta e, quindi, può essere usato in molte lingue diverse. Il Braille  non è una lingua di per sé, ma è un mezzo di scrittura e lettura internazionale.

 

Con esso si possono rappresentare le lettere dell’alfabeto, la punteggiatura, i numeri, i simboli matematici e quelli musicali.

 

I caratteri Braille sono basati su una cella formata da sei punti disposti in due colonne e tre righe. I punti sono numerati dall’1 al 6: partendo dall’alto nella colonna di sinistra si trovano i punti 1 o punto in alto a sinistra, 2 o punto in centro a sinistra e 3 o punto in basso a sinistra, mentre nella colonna di destra ci sono i punti 4 o punto in alto a destra, 5 o punto in centro a destra e 6 o punto in basso a destra.

 

La dimensione di una cella Braille è standard, 7×4 millimetri, ed è una dimensione ottimale perché permette di percepire la sua intera superficie e allo stesso tempo di distinguere bene i singoli punti.

 

Torino: Abili per l’Arte, di Lorenzo Montanaro

Autore: Lorenzo Montanaro

PALAZZO MADAMA PER TUTTI

 

Un’esperienza multisensoriale

attraverso immagini in rilievo, fruizione sonora

e lingua visiva in LIS – Lingua italiana dei segni.

 

Palazzo Madama

Piazza Castello – Torino

 

Da domenica 22 febbraio

 

Palazzo Madama, grazie al sostegno del Rotary Club Torino Nord Ovest, rende accessibile i capolavori della pittura del Gotico e del Rinascimento.

 

Giacomo Jaquerio, Antoine de Lonhy, Antonello da Messina, Defendente Ferrari e Agnolo di Cosimo detto il Bronzino potranno essere fruiti da persone prive della vista grazie alla riproduzione in rilievo delle immagini e alla possibilità di scaricare la descrizione audio. Le persone ipovedenti potranno godere di una visione ravvicinata dell’immagine, mentre i sordi potranno usufruire di una traduzione in lingua LIS – lingua italiana dei segni con sottotitolazione. Come altri progetti promossi da Palazzo Madama, l’esperienza ideata per facilitare l’accesso e la visita in autonomia di determinate categorie di persone è in realtà aperta a tutti i visitatori interessati a poter godere di una visione ravvicinata con l’opera o una descrizione audio dei contenuti.

 

Come funziona

All’inizio della sala Acaia, il visitatore ha a sua disposizione un contenitore con un kit composto da cinque schede, leggere e di grande formato, che possono essere prese in prestito durante la visita al piano Terra; la serie è completata da una mappa della sala, utile per orientarsi nello spazio e trovare la collocazione delle singole opere.

Ogni scheda riproduce il dipinto a colori e in rilievo trasparente: la tecnica di stampa messa a punto da Tactile Vision Onlus permette di delineare tramite uno speciale inchiostro trasparente alcuni elementi salienti dell’immagine caratterizzati da diversi gradi di rilievo e da differenti motivi grafici. La trasparenza dei dettagli in resina non interferisce con la leggibilità del dipinto da parte di tutto il pubblico e favorisce anzi la fruizione congiunta.

Sul retro di ciascuna scheda è presente una descrizione dell’opera sia in carattere grafico ad alta leggibilità sia a rilievo nel sistema Braille: quest’ultimo testo è realizzato sempre in resina trasparente e coesiste quindi con la descrizione a inchiostro.

Sulla scheda, nella parte inferiore, sono presenti un codice QR e un codice NFC (Near Field Communication o Comunicazione in
prossimità) che permettono al visitatore in possesso di uno smartphone abilitato e con connessione internet di usufruire del testo descrittivo nella versione di lettura audio e traduzione in lingua visiva in LIS – Lingua italiana dei segni.

 

I partner di progetto

 Il progetto implementa i servizi di esperienza tattile già presenti in museo (audioguide, percorsi guidati, Torre Panoramica e Giardino Medievale) ed è stato realizzato in collaborazione con le associazioni e i professionisti che da anni operano a Torino per favorire l’accessibilità ai luoghi della cultura e non solo: Tactile Vision onlus, che opera sul tema della disabilità visiva e della ricerca tecnologica fornendo materiali per i principali musei europei (Louvre, British Museum, Musei Capitolini, Museo Nazionale del Cinema), ha progettato e realizzato i pannelli visivo-tattili, la registrazione audio e ha coordinato i diversi interventi; l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Torino ha collaborato al progetto attraverso la consulenza di Francesco Fratta, coordinatore della commissione cultura.

 

L’Associazione Interpreti LIS – di Torino ha fornito la redazione, la traduzione e la registrazione video dei testi nella lingua italiana dei segni.

Il carattere tipografico ad alta leggibilità EasyReading™ è stato messo a disposizione a titolo gratuito da EasyReading Multimedia, Torino che ha progettato questo font per favorire la leggibilità e la comprensione dei testi, con particolare attenzione alle esigenze delle persone dislessiche.

 

 

Il Rotary Club Torino Nord Ovest è stato fondato nel 1976 da un gruppo di amici che condividevano gli ideali di Paul Harris, fondatore del Rotary International. Oggi il Club conta 45 soci, fra i quali dirigenti, imprenditori, professionisti, professori, medici e, da alcuni anni è aperto anche alle donne. Le riunioni prevedono la partecipazione di relatori esterni su argomenti di cultura e attualità, con particolare attenzione a quanto di più importante avviene in Piemonte anche nel campo industriale.

L’attività principale del Club è quello di realizzare attività di “service” in favore della collettività, sia in Italia che all’estero.

 

 

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Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica

Piazza Castello, Torino

 

Fondato nel 1860, il museo è oggi ospitato in uno dei più antichi e affascinanti palazzi della città, con testimonianze architettoniche e di storia dall’età romana al Barocco di Filippo Juvarra. Le raccolte contano oltre 60.000 opere di pittura, scultura e arti decorative dal periodo bizantino all’Ottocento.

 

orari: martedì – sabato 10.00 – 18.00 domenica 10.00 – 19.00. La biglietteria chiude un’ora prima chiuso il lunedì

intero € 10, ridotto € 8, gratuito ragazzi fino ai 18 anni e abbonati Musei Torino Piemonte

In presenza di mostre temporanee le tariffe potranno subire variazioni.

info: t. 011 4433501 | www.palazzomadamatorino.it

 

 

 

 

 

ufficio stampa

Fondazione Torino Musei

Daniela Matteu – Tanja Gentilini

  1. 011 4429523 ufficio.stampa@fondazionetorinomusei.it

con la collaborazione di

adicorbetta

  1. 02 89053149 press@adicorbetta.org

 

Addetto stampa Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Torino

Lorenzo Montanaro

cell. 3334479948

lorenzo.montanaro@gmail.com

 

Siena: Giornata nazionale del Braille: un evento che riflettendo sul passato ha programmato il futuro, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Il 21 febbraio 2015 nella sala San Galgano del Santa Maria della Scala, alla presenza di un folto pubblico, abbiamo celebrato la giornata del braille alla presenza di alcune autorità cittadine come l’assessore alla cultura Professor Massimo Vedovelli, il presidente del Rotary Siena, Sandro Fornaciari, l’artista Fabio Mazzieri e Debora barbagli responsabile dei percorsi tattili del Santa Maria della Scala.
Nel mio intervento introduttivo ho ricordato in breve, la storia del braille e quanto esso ha inciso sulla vita dei disabili visivi.
Dopo l’intervento dell’assessore Vedovelli, che ci ha invitato a insegnare il braille agli studenti vedenti, abbiamo proposto di insegnarlo per primi ai suoi studenti dell’università per stranieri.
Abbiamo poi presentato il progetto Siena 3D regalando al museo la mappa tattile del centro storico di Siena e una riproduzione della parte sommitale della torre del Mancia.
Al centro dell’iniziativa è stata la presentazione del calendario 2015/2016 per la prevenzione della cecità con disegni e foto di 14 artisti senesi e non solo.
Il calendario si presenta accessibile a tutti e quindi anche a chi non vede.
La conclusione è stata affidata alla lettura di alcuni brani con il braille tradizionale, con un display braille e con pc e tablet.
Il coro della sezione e due giovani hanno allegramente salutato il pubblico avendone tanti applausi.
Incontrando alcuni ospiti ho spiegato che il braille, strumento universale di letto-scrittura, è ancora oggi un veicolo insostituibile per l’accesso alla cultura e al lavoro per chi non vede.
Il braille, composto da sei punti e 64 simboli apre il mondo a chi non vede e lo rende libero.
Adesso si spera che i programmi pensati in questa occasione possano andare a buon fine e per questo già la settimana prossima terremo incontri con vari attori per rilanciare l’impegno di tutti a favore della categoria.
Massimo Vita

Anziani- Quando la solidarietà diviene azione, di Cesare Barca

Autore: Cesare Barca

Attività dell’Irifor del Lazio a favore delle persone anziane con disabilità visiva.
Da sempre l’Irifor laziale ha vissuto con particolare attenzione le situazioni, talora veramente pesanti, di molti anziani della propria regione e si è adoperato per promuovere circostanze utili per favorire la loro inclusione sociale.
La varietà del territorio, le pesanti condizioni socio-economiche di molti talora rendeva sempre più difficile il loro impegno. Diveniva perciò urgente promuovere e sostenere iniziative capaci di realizzare concretamente la stretta di mano ricca di intensa comprensione che i responsabili Irifor porgevano a tutte le persone anziane con disabilità visiva.
Ed ecco la rete informatica con tutte le sue potenzialità, il networking e l’idea di utilizzare l’efficacia della sala telefonica virtuale per lottare contro l’isolamento e la solitudine che troppo spesso rattristano una vecchiaia che potrebbe essere vissuta positivamente e divenire attiva.
Si avvertiva l’urgenza di conquistare nuove possibilità veramente inclusive e si è perciò colto immediatamente l’opportunità offerta dalla regione Lazio con il progetto denominato “fraternità”.
Perciò il progetto complessivo che l’Irifor inizia a concretizzare
in questa circostanza riveste una importanza particolare perché apre itinerari che ci si augura possano essere percorsi da molte altre regioni.
Ma del progetto ci parleranno fornendoci ogni dettaglio il presidente Irifor laziale e il suo direttore centrale mercoledì 4 marzo alle ore 16 nella nostra sala 98 90 50.
Saranno con loro i presidenti delle sezioni provinciali dell’Unione italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Frosinone e di Latina.
Ci offriranno una occasione di conoscenza personale utile per costruire nuove amicizie e rinnovare la nostra speranza in un futuro migliore.
Vi aspettiamo per godere insieme di un momento costruttivo di reale solidarietà, questo sentimento fondamentale per vivere in pienezza ogni nostra giornata

Come sempre potete telefonare o scrivere a me, agli amici Nunziante Esposito e Pino Servidio per avere il pin d’ingresso ed ogni altra informazione.
Confidiamo nella vostra partecipazione, indispensabile per dare corpo e concreta diffusione a una iniziativa come questa che merita la massima diffusione.
Ci saluteremo, quindi, mercoledì alle ore 16 e grazie per la vostra attenzione.
Cesare Barca

Email: cesarebarca@alice.it tel. 329 20 50 972
Nunziante Esposito email: Nunziante.esposito@alice.it tel. 349 672 33 51
Pino Servvidio email: Giuseppe.servidio@alice.it tel.335 80 82 002

Una bussola per orientarsi- Il ruolo degli Operatori per il sostegno nel Modello MODELLO I.C.F., di Daniela Floriduz

Autore: Daniela Floriduz

Rubrica per genitori.

In questo numero affrontiamo per la prima volta il tema dell’istruzione e, in particolare, grazie al contributo della prof.ssa Daniela Floriduz, parleremo del ruolo degli operatori per il sostegno.

Il modello I.C.F. (International Classification of Functioning, Classificazione Internazionale del funzionamento), mira a superare la concezione stessa di disabilità, intesa come handicap invalidante che riguarda un settore specifico della popolazione. Va riconosciuta senz’altro la menomazione, che risulta un dato biomedico, scientificamente inconfutabile e misurabile (il visus, ad esempio, viene accertato per erogare le provvidenze sociali). Al di là della menomazione, tuttavia, il soggetto “funziona” o meno a seconda della rete contestuale in cui è collocato, con la quale interagisce. L’uso delle parole non è privo di conseguenze sulla realtà e attesta anche una visione del mondo ben precisa, una percezione legata alla mentalità e agli stereotipi. Non è ininfluente il fatto che, alla fine degli anni ’60, sulla scorta dei processi di de istituzionalizzazione conseguenti al 1968, sia avvenuto un passaggio non solo semantico, ma anche culturale, filosofico, sociale dall’”inserimento” all’”integrazione” dei disabili nella scuola. L’I.C.F., per così dire, universalizza i processi di integrazione: non è la maggioranza che è chiamata ad “integrare” l’alunno disabile in una classe di persone già “integrate” e “integre”. E’ il contesto che deve continuamente ridefinirsi, adattarsi ad una realtà che scorre e muta continuamente, sfuggendo alle categorie interpretative con cui, di volta in volta, si cerca di ridefinirla e inquadrarla.
Pertanto, nel corso della vita, a seconda della tipologia di funzioni che un soggetto è chiamato a svolgere, ciascuno è abile o disabile. È dunque importante attivare una rete di supporto, un contesto operativo all’interno del quale il soggetto può “funzionare”, estrinsecando tutte le sue potenzialità. Il soggetto è dunque protagonista della propria inclusione, non come primo attore su un palcoscenico, come beneficiario di interventi di stampo assistenziale e medicalistico, ma come co-attore, responsabile del proprio iter di crescita. Viene infatti superato il modello meccanicistico e comportamentista in base al quale, una volta studiata la sintomatologia e analizzate le cause del problema, si provvedeva ad una diagnosi e ad una “prescrizione” che poi veniva estesa e applicata in casi analoghi, senza tener conto dei prerequisiti di base e delle esigenze di partenza. Lo stato di benessere non viene tout court identificato con la salute del corpo, con il funzionamento degli organi di senso o dei vari apparati dell’organismo, ma con fattori psicologici e sociali. Il contesto può rendere disabile una persona o rendere invalidante la sua disabilità. Ad esempio, se la scuola non educa il ragazzo cieco all’utilizzo autonomo dei mezzi informatici, l’alunno, oltre a mancare della funzione visiva, non potrà neanche accedere da solo alla molteplicità di informazioni presenti in rete o ad un testo elettronico o alla produzione di materiale scritto ecc. L’incapacità di utilizzare il computer non dipenderà, dunque, dalla disabilità visiva. Pertanto, risulta fondamentale che gli operatori (insegnanti di sostegno, educatori e genitori), all’inizio dell’anno, lavorino congiuntamente su un programma di attività che il soggetto può imparare a svolgere, indicando concretamente obiettivi, strategie, metodi, strumenti, persone coinvolte, esplicitando molto bene i criteri di valutazione e verificando in fase finale il grado di acquisizione di dette abilità. La molteplicità di operatori che spesso supportano un alunno disabile visivo non sempre garantisce l’esercizio autonomo delle sue potenzialità. Il lavoro degli operatori dovrebbe essere finalizzato progressivamente al superamento della necessità della loro presenza, alla scomparsa progressiva della loro insostituibilità. Il numero di ore di sostegno scolastico non garantisce, di per sé, la qualità dell’integrazione. Spesso, dove vi sono disservizi o vengono concesse poche ore di sostegno, il soggetto attiva maggiormente le proprie risorse, il contesto si responsabilizza e compartecipa. L’impianto assistenzialista della legislazione sociale italiana, compresa la legge 104/92, nonché i provvedimenti miranti, ad esempio, all’abbattimento delle barriere architettoniche, risulta focalizzato sulla rivendicazione di diritti per categorie specifiche, settoriali. Il presupposto dell’i.c.f. è una considerazione dinamica della persona e del contesto: il soggetto è in evoluzione e, pur essendo colpito da una disabilità permanente, può mutare il grado di accettazione, di convivenza, di superamento di detta disabilità nel corso della vita. Il lavoro sull’autostima e sulla fiducia nelle proprie possibilità, da questo punto di vista, risulta di fondamentale importanza. Non tutto dipende dal soggetto e non tutto dipende dal contesto: c’è un’interazione sinergica tra questi due elementi. Se, ad esempio, nel caso dell’autostima, il contesto non rimanda al soggetto messaggi di rinforzo, ma continue smentite o dichiarazioni preventive di fallimento, il soggetto non sentirà di poter far leva sulle sue risorse e peserà, nei suoi confronti, il pregiudizio negativo, secondo lo schema della “profezia che si auto avvera”. Ogni processo di educazione ha di mira la formazione di un soggetto adulto autonomo, capace di autodeterminarsi. A questo livello, gioca un ruolo molto potente anche la sfera dell’affettività. Se l’operatore si sostituisce continuamente alla persona disabile, anche e soprattutto utilizzando, sicuramente in buona fede, meccanismi di iperprotezione, risparmiando alla persona disabile i cosiddetti “urti della vita”, questa campana di vetro non farà che rinforzarsi negli anni, sarà carica di incrostazioni e sedimentazioni anche autoindotte, per cui risulterà progressivamente difficile uscire dalla cappa rassicurante, ma psicologicamente distruttiva, che gli adulti hanno consolidato intorno al disabile.
Il paradigma I.C.F. aiuta ad evitare l’etichetta degli stereotipi, positivi o negativi, dal momento che non esistono cliché e le situazioni variano a seconda dei singoli, per cui la diagnosi di handicap non dovrebbe mai precedere la persona che ne è colpita, come uno stigma o un’etichetta indelebile. Ci sono sicuramente atteggiamenti ricorrenti, che qualificano la disabilità visiva in quanto tale e ad essa si accompagnano, come dimostra la letteratura tiflologica fin qui prodotta: ad esempio, i cosiddetti cechismi rappresentano un dato che gli studi sullo sviluppo psicomotorio danno ormai per acquisito e possono rappresentare degli utili descrittori di una situazione. Tuttavia, le modalità della loro insorgenza, nonché le strategie per il loro superamento, variano a seconda delle situazioni. Non esistono cliché codificati e la persona eccede, sempre e comunque, i protocolli sanitari e le tabelle psicoattitudinali codificate. Gli strumenti di monitoraggio e valutazione rappresentano degli standard utili per descrivere il “qui ed ora”, ma poi è necessario calarli nella realtà, per verificare la possibilità di intervenire concretamente sul contesto, al fine di migliorarlo.
Il cambiamento del contesto non risulta utile soltanto alla persona con deficit visivo, ma anche al miglioramento della qualità di vita di una società nel suo complesso. Ad esempio, se, a scuola, il clima di un gruppo-classe risulta accogliente ed inclusivo, potrà beneficiarne non solo il ragazzo cieco, ma anche i suoi compagni, che magari non sono colpiti da disabilità certificate, ma che necessitano comunque di un’atmosfera integrante per estrinsecare al meglio le proprie attitudini, per superare un momentaneo disagio esistenziale, per ritrovare fiducia in se stessi ecc. Gli insegnanti di sostegno, nei corsi di formazione che sono chiamati a seguire, imparano per prima cosa, quasi come un mantra o un dogma, che, prima di tutto, il loro lavoro è rivolto all’intera classe: sono parte integrante del consiglio di classe, a tutti gli effetti, concorrono dunque alla valutazione complessiva degli alunni, come ogni altro docente. Questo significa, però, che la presenza del disabile deve costituire un valore aggiunto all’interno del gruppo, che gli interventi mirati sono efficaci solo per colmare il divario che la tecnologia o la metodologia didattica inevitabilmente comporta, in certe fasi dell’apprendimento. Il ruolo dell’insegnante di sostegno è quello di aiutare l’alunno disabile a padroneggiare le tecnologie che possono renderlo autonomo, ad esplorare l’ambiente, ad attivare strategie di socializzazione: si tratta di momenti di formazione inevitabilmente specifici, una volta a carico degli istituti e delle scuole speciali. Si tratta di un’attrezzatura, di un bagaglio di prerequisiti che devono rendere l’allievo in grado di affrontare qualsiasi momento di formazione in autonomia. Ciò non esclude che la specifica formazione possa rappresentare poi un arricchimento per l’intera classe: ad esempio, l’apprendimento del Braille potrebbe essere un’ottima opportunità didattica anche per gli alunni normodotati, che avrebbero così modo di confrontarsi con codici di accesso al sapere diversi, magari anche unitamente all’insegnamento della Lis o di altre forme di comunicazione e scrittura.
Superare la marginalità è una condizione dinamica, soprattutto a livello psicologico: richiede la capacità di gestire la frustrazione, di comprendere che ciascun individuo, a seconda delle situazioni, può trovarsi esistenzialmente ai margini o al centro del contesto, di essere capaci di lavorare anche a partire da una situazione di dislocazione marginale, per migliorare il quadro complessivo.
Nessuno rimane stabilmente ai margini di una cultura.
D’altra parte, l’accesso alle risorse va adeguatamente distinto dalle competenze d’uso delle medesime: il deficit visivo insegna a non rimanere ancorati dogmaticamente ed esclusivamente ad un ausilio, ma a diventare flessibilmente capaci di adattarsi alle esigenze della realtà e della vita, maneggiando, all’occorrenza, tutti gli strumenti resi disponibili dalla tecnologia e dalla tradizione. La scrittura in Braille con tavoletta e punteruolo, ad esempio, non può essere abbandonata perché c’è stato l’avvento dell’informatica: l’alunno cieco deve essere in grado di scrivere una cartolina in Braille quando va in vacanza e non ha a disposizione il pc e la stampante. Non solo: l’utilizzo della tavoletta attiva competenze di natura psicomotoria (lateralizzazione, direzionalità, abilità tattili), utili anche nella sfera della mobilità autonoma. Non esiste un ausilio miracolistico, una panacea per tutte le situazioni, lo strumento migliore in assoluto, ma ci sono mezzi funzionali al raggiungimento di un determinato scopo e gli operatori devono interrogarsi circa l’ausilio che, di volta in volta, permette all’alunno di conseguire al meglio l’obiettivo educativo e didattico su cui si intende lavorare. Pertanto, la valutazione di una competenza operativa deve evidenziare le abilità nell’utilizzo delle risorse atte a raggiungerla ed attuarla. Vale anche il discorso inverso: l’accesso alle risorse non sempre denota un’adeguata padronanza delle competenze ad esse legate. Se, ad esempio, l’alunno disabile visivo sa utilizzare adeguatamente il navigatore satellitare presente sul telefonino, ma non è in grado di orientarsi per strada né di girare autonomamente, l’utilizzo della risorsa è disgiunto dalla competenza, con il pericolo del verbalismo, molto spesso associato alla cecità.
L’acquisizione di una competenza dev’essere valutata anche tenendo conto del supporto e dell’aiuto prestato eventualmente nell’esecuzione del compito, l’aiuto può essere anche solo psicologico, ma va comunque segnalato nella descrizione delle abilità e competenze del soggetto.
In tal senso, l’I.C.F. insegna anche un utilizzo corretto del linguaggio, come descrittore di una situazione in un dato momento, non come generatore di stereotipi o alimentatore di ipocrisie. L’antica diatriba sull’utilizzo dell’espressione “non vedente” al posto di “cieco”, nasconde, a volte, la difficoltà a reagire di fronte alla disabilità visiva e a descriverla per quello che è. Dietro le parole ci sono spesso cattive prassi ed errori concettuali, per cui la qualità dell’intervento e la sua inclusività vengono frenate proprio dalla mancanza di chiarezza terminologica, che rappresenta, poi, mancanza di onestà intellettuale e di limpidezza di pensiero. Ciò incide, ad esempio, nelle schede di valutazione che si producono in ambito scolastico e che rispondono, spesso, a necessità di tutela formale degli operatori, grondano di riferimenti burocratici, ma non modificano la prassi e l’intervento. Classificare aiuta certamente a valutare, ma non si deve essere prigionieri di una griglia, essa va adattata alla situazione e riformulata secondo le necessità, seguendo l’evoluzione del soggetto. Specificare meglio i comportamenti operativi, mediante l’utilizzo di un linguaggio adeguato, vuol dire diventare maggiormente efficaci, rispettosi, attinenti, democratici, nonché favorire la chiarezza e la comunicazione tra gli operatori. La valutazione deve esplicitare i criteri utilizzati, le modalità e i tempi di osservazione. L’I.C.F. non utilizza giudizi, ma qualificatori, dei semplici descrittori che possono mutare se cambiano le condizioni. L’I.C.F. parla di “co-design”: ogni operatore chiamato a valutare un soggetto è portatore di un punto di vista specifico, la valutazione deve necessariamente diventare anche autovalutazione. Ciò non significa relativismo solipsistico: mettendo insieme i diversi punti di vista, è possibile ottenere un quadro completo. Nessuno ha un canale di osservazione privilegiato, il confronto può costare fatica, ma è l’unico modo per ottenere un quadro il più possibile circostanziato e completo, al fine di produrre un intervento educativo e didattico mirato, adatto alla persona e al suo ambiente di vita.

Daniela Floriduz
Docente di storia e filosofia presso il liceo classico Leopardi-Majorana di Pordenone, componente la Commissione Nazionale Istruzione e la Commissione per la tutela dei diritti degli insegnanti dell’Uici.

Tripletta di sentenze del Tar Lazio boccia il nuovo Isee 2015, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha accolto, in parte tre ricorsi presentati contro il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) 159/13 e cioè il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) appena entrato in ore ( lo è dal 1 gennaio u.s.).
Le tre Sentenze (Sezione Prima del TAR del Lazio, n. 2454/15, 2458/15 e n. 2459/15) hanno di fatto modificato parzialmente l’impianto per il calcolo dell’Indicatore della Situazione Reddituale (ISR).
Il TAR, nello specifico, ha accolto soltanto il ricorso sull’illegittimità del regolamento dell’ISEE nella parte in cui considera come reddito disponibile anche i proventi legati alla disabilità (pensione e accompagnamento con la sentenza 2458). E nella sentenza 2459 ha ritenuto illegittima la franchigia prevista per i maggiorenni con disabilità e quella più alta per i minorenni con disabilità.
Riguardo al ricorso conclusosi con la sentenza 2458, la prima sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Tar) ha accolto infatti solo il sesto dei nove motivi formulati dai ricorrenti.
Il Tar, richiamando i fondamentali principi della Costituzione enunciati negli artt. 3, 32 e 38, dichiara che la pensione di invalidità e le indennità di accompagnamento non devono essere inseriti tra i redditi disponibili. Il loro inserimento, costituirebbe infatti una penalizzazione nei confronti delle fasce sociali più deboli.
Per questo motivo, il nuovo Isee, adottato dopo interminabili lavori parlamentari ed entrato in vigore solo lo scorso 1° gennaio, è stato giudicato illegittimo dal Giudice Amministrativo nelle parti dove è previsto che nel reddito complessivo venga conteggiata anche la pensione e l’indennità ricevuta dal soggetto, accertato disabile.
Come già detto l’accoglimento del Tar è limitato solo una delle istanze presentate, nelle quali si lamentava la vaghezza e indeterminatezza dell’intero provvedimento, la sua approvazione fuori tempo massimo, la presenza di criteri “alternativi” su base regionale, il conteggio sull’intero nucleo familiare anche in caso di ricovero del disabile in strutture residenziali diurne o continuative, l’impossibilità di limitare al nucleo ai soli figli conviventi, l’utilizzo del valore catastale Imu per valutare il patrimonio immobiliare, la mancata previsione di una revisione e un aggiornamento delle franchigie e delle detrazioni.
Il giudice amministrativo ha decretato illegittimo invece solo in parte l’indicatore della situazione economica equivalente e limitatamente a ciò che concerne la valutazione delle condizioni di chi fa richiesta di servizi di pubblica utilità o di prestazioni agevolate.
Infatti, la richiesta è stata accolta nell’ottica di respingere l’errore di includere, come reddito disponibile, l’indennità e la pensione ricevuta dal soggetto che, tuttavia, si trova in una situazione di svantaggio, pure economico, che si allarga impropriamente anche alla sua famiglia.
Segue la motivazione con cui il Tar ha accolto il sesto motivo del ricorso integralmente stralciata dalla sentenza appena commentata.
“Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli. Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie. Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit. L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.”
I tre dispositivi del Tar Lazio vanno comunque letti in modo combinato per quel che concerne gli effetti di illegittimità che produrranno sull’ISEE.
Innanzitutto le sentenze determinano l’esclusione dal computo dell’Indicatore della Situazione Reddituale i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche» (articolo 4, comma 2 lettera f); ossia tutte le pensioni, assegni, indennità per minorazioni civili, assegni sociali, indennità per invalidità sul lavoro, assegni di cura, contributi vita indipendente ecc.;
e annullano il DPCM 159/13 nella parte in cui prevede un incremento delle franchigie per i soli minorenni (articolo 4, lettera d, nn. 1, 2, 3).
Riguardo il regime delle franchigie va ricordato che il DPCM 159/13 prevede una franchigia forfettaria così differenziata:
1. persone con disabilità media: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 4.000 euro, incrementati a 5.500 se minorenni;

2. persone con disabilità grave: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 5.500 euro, incrementati a 7.500 se minorenni;

3. persone non autosufficienti: per ciascuna di esse, una franchigia pari a 7.000 euro, incrementati a 9.500 se minorenni.
Poiché il G.A. non è stato esplicito non si può ritenere che le stesse franchigie previste per i minori siano ora da applicare anche ai maggiorenni.
Inoltre nella sentenza 2459 poiché nelle motivazioni, ma non nel dispositivo, si censura la disposizione che prevede che l’opportunità di ricorrere all’ISEE ridotto (personale o proprio e del coniuge) sia riservata ai soli disabili maggiorenni e non invece anche ai minorenni, si crea una evidente disparità di trattamento che solo nuovi interventi potranno ovviare.
Si legge infatti «L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF».
Va inoltre evidenziato che nelle sentenze viene pure dichiarata la liceità di ricorrere al computo dei redditi dei familiari civilmente obbligati, nel caso di anziani ai fini del ricovero in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali), istituti, case di riposo.

Cosa accadrà ora? Difficile da dire, le possibilità sono sostanzialmente due.
Il Governo dovrà correggere la norma per adeguare il sistema a quanto stabilito dal TAR, a meno che l’Esecutivo non decida di presentare ricorso contro le decisioni. Ma comunque, anche in questo caso, l’esecutività delle sentenze non verrà meno e nella pratica le problematiche maggiori le dovranno affrontare i Comuni e le Regioni. Saranno loro a dover risolvere, concretamente, i problemi che derivati dal mutato scenario in quanto Enti erogatori delle prestazioni sociali agevolate.
In allegato testi integrali delle sentenze commentate.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
N. 02459/2015 REG.PROV.COLL.
N. 03683/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3683 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore -OMISSIS-, -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore della
minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella
qualità di tutore di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno
di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e
nella qualità di genitore e tutore di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di amministratore di sostegno del marito -OMISSIS-, in proprio e in qualità
di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e
nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di
genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in qualità di amministratore di sostegno del fratello
-OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di
genitore del minore -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, nonché, giusta procure speciali notarili, da -OMISSIS-, nella qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e in qualità di genitore e amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella
qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore
e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore
di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in
proprio e nella qualità di genitori della figlia minore -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di
genitore e amministratore di sostegno del figlio -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e tutore di
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno del figlio
-OMISSIS-, in proprio e nella qualità di genitore e amministratore di sostegno della figlia
-OMISSIS-, in qualità di presidente del consiglio direttivo e legale rappresentante dell’associazione
Strada Facendo Onlus, tutti rappresentati e difesi dall’avv. prof. Federico Sorrentino, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Lungotevere delle Navi, 30; contro Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12; per l’annullamento del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 5 dicembre 2013, recante il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 19 del 24 gennaio 2014, nonché di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe, tutti disabili medi o gravi o non autosufficienti o loro familiari conviventi -oltre ad Associazione con scopo statutario di tutela dei diritti e interessi delle persone disabili -che percepiscono trattamenti assistenziali, indennitari o assistenziali, ovvero appartengono a nuclei familiari del quale fanno parte disabili che usufruiscono di dette provvidenze, lamentavano le nuove modalità di determinazione dell’ISEE di cui al d.p.c.m. in epigrafe, recante, appunto, il Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione di tale “indicatore”, ai sensi dell’art. 5 d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011.
In particolare i ricorrenti lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, con riferimento agli artt. 87 e 95 Cost.”.
Riproponendo il “nucleo” dell’art. 5 d.l. cit., i ricorrenti evidenziavano che il regolamento di attuazione ex art. 17, comma 1, l. n. 400/1988 in questione, se poteva derogare alle regole procedimentali di cui all’art. 17 cit., non poteva omettere la previsione della deliberazione del Consiglio dei Ministri né demandare l’emanazione del regolamento stesso ad altri che al Presidente della Repubblica, in quanto è l’art. 87 Cost. – e non l’art. 17 l. n. 400/1988 – ad attribuire solo a tale organo il potere di emanare i regolamenti, potere estraneo alle prerogative del Presidente del Consiglio ai sensi dell’art. 95 Cost.
Se pure si volesse ritenere il dpcm in questione alla stregua di un decreto ministeriale, esso era illegittimo perché non rientra nelle competenze amministrative del Presidente del Consiglio dei Ministri la materia dell’ISEE, propria del Ministro del Lavoro e del Ministro dell’Economia.
“II. Illegittimità dell’art. 4, comma 2, lettera f) del d.P.C.M. n. 159/2013. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214. Eccesso di potere per irragionevolezza e manifesta
ingiustizia. In via subordinata, illegittimità derivata dall’illegittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., dell’art. 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre 2011, n. 214”
L’art. 5 d.l. cit., nel determinare che si sarebbe dovuta “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale”, doveva interpretarsi da parte dell’Autorità emanante nel senso di eliminare le lacune della precedente regolamentazione, ove era considerato privo di reddito chi, pur disponendo di cespiti anche cospicui, non era soggetto a relativa dichiarazione IRPEF (ad es: redditi tassati all’estero, pensioni estere non tassate in Italia, dipendenti stati esteri, quali Città del Vaticano, lavoratori frontalieri con franchigia IRPEF, coniugi divorziati percipienti assegno di mantenimento per i figli), come confermato dal contesto integrale dello stesso art. 5 che prevedeva una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale ed il rafforzamento del sistema dei controlli, anche al fine principale del risparmio di spesa mediante sostanziale “emersione” di situazioni di “povertà fittizia”.
In concreto, però, il dpcm in esame era andato oltre le intenzioni del legislatore, includendo tra i redditi tutti i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari a qualunque titolo percepiti, anche in ragione proprio della accertata invalidità.
Quest’ultima costituisce in realtà una oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, e i trattamenti assistenziali previdenziali e indennitari sono tutti volti ad attenuare tale svantaggio, tendendo all’attuazione del principio di uguaglianza, senza alcun intento “speculativo” proprio delle fonti di reddito “ordinario”.
La stessa giurisprudenza consolidata ha evidenziato la natura indennitaria del grave disagio economico ed esistenziale delle indennità di accompagnamento – pure ricomprese ai sensi della richiamata lett. f) – cui possono assimilarsi in tal senso i contributi erogati a titolo di rimborso (sia pure parziale) delle spese per le necessità quotidiane del disabile e del suo nucleo familiare, le pensioni e gli assegni erogati dall’INPS ai disabili in stato di bisogno economico, gli indennizzi INAIL del danno biologico subito nello svolgimento di attività lavorativa (di carattere risarcitorio), gli assegni mensili per indennizzo dei danni da vaccino, emotrasfusioni e da emoderivati.
In via subordinata, quindi, i ricorrenti evidenziavano una questione di costituzionalità per violazione degli artt. 3, commi 1 e 2, e 38 Cost. qualora fosse ritenuta condivisibile l’interpretazione dell’art. 5 cit. sotto il profilo dedotto, non potendo rilevare l’eccezionalità della situazione economica statale contingente ai fini di deroga del principio di uguaglianza.
“III. Illegittimità dell’art. 4, comma 3, lettera c, e comma 4, lettere b), c) e d) del d.P.C.M. n. 159/2013. Eccesso di potere per erroneità dei presupposti, irragionevolezza e manifesta ingiustizia”.
Le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non erano comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile.
Il riferimento alla necessità di presenza di tali spese nella dichiarazione dei redditi IRPEF non considerava la possibilità di esenzione dalla dichiarazione in questione o di avvalimento di regimi fiscali agevolati che non consentono deduzioni o detrazioni di spese mediche e sanitarie.
Se è pure prevista la possibilità di presentare comunque tale dichiarazione, i ricorrenti evidenziavano che, per il primo anno di entrata in vigore del nuovo ISEE, era probabile la mancata conservazione della documentazione a comprova delle spese in tal senso sostenute e che, per gli anni successivi, si dava comunque luogo ad un adempimento fiscale vessatorio, cui il contribuente in linea generale non era tenuto.
Inoltre, il tetto massimo di euro 5.000,00 per le spese mediche e sanitarie era troppo basso in ipotesi di presenza di malattie gravi con necessità di terapie continue, spesso non rimborsate dal SSN, e/o di assistenza infermieristica a domicilio.
Irrazionale era poi la possibilità di sottrarre per i disabili gravi non autosufficienti le spese sostenute inclusive dei contributi INPS versati per collaboratori domestici e addetti all’assistenza personale solo fino all’ammontare dei trattamenti assistenziali, indennitari o previdenziali percepiti a qualsiasi titolo, al netto di una franchigia del 20% (max 1.000,00 euro), perché discriminatoria nei confronti dei disabili che ricevono minori sussidi pur avendo disabilità gravissime e che risiedono in regioni e comuni eroganti provvidenze minori rispetto ad alte realtà territoriali a parità di disabilità.
Analoga considerazione i ricorrenti proponevano per le franchigie introdotte, chiaramente insufficienti e non consideranti la realtà dei costi effettivi che i disabile e le loro famiglie devono sostenere.
Irrazionali erano infine, la differenziazione delle franchigie in esame, di cui alla lett. d), tra disabili minorenni e maggiorenni, come se al compimento della maggiore età si desse luogo ad una automatica diminuzione di spese connesse alla situazione di invalidità, nonché la mancata previsione di una indicizzazione delle spese e delle franchigie stesse.
“IV. Illegittimità dell’art. 6, comma 3, del d.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159”.
La normativa in questione presupponeva erroneamente l’esistenza di un obbligo generalizzato dei figli di integrare i redditi dei genitori versando loro una quota della loro ricchezza, obbligo che però non è previsto dall’ordinamento se non per i genitori in stato di bisogno e non in grado di provvedere al proprio mantenimento (obbligo alimentare) che espressamente lo richiedono.
Pure incoerente si palesava, infine, la previsione per la quale la norma ritiene che il figlio corrisponda al genitore non la somma ai sensi dell’art. 438 c.c. ma una quota del suo reddito determinata con le modalità previste dall’Allegato 2 al decreto, quota che può essere maggiore dello stesso assegno alimentare. Inoltre, mentre al reddito del disabile che intende usufruire delle prestazioni di cui all’art. 6 dpcm cit. viene aggiunta la quota qui contestata, relativa alla presenza di eventuali figli maggiorenni facenti parte di un diverso nucleo familiare, questi ultimi non possono giovarsi invece della corrispondente detrazione ai fini del calcolo del proprio ISEE.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, illustrando le proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in nota allegata. In successiva memoria per l’udienza pubblica le Amministrazioni costituite evidenziavano preliminarmente anche l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesione effettiva, in assenza di atto applicativo delle norme regolamentari contestate, e per carenza di interesse al ricorso al momento della proposizione in quanto il nuovo ISEE sarebbe diventato operativo entro trenta giorni dall’approvazione del modello DSU, a sua volta da adottare entro novanta giorni dall’entrata in vigore dell’impugnato dpcm avvenuta in data 8 febbraio 2014.
In prossimità della pubblica udienza anche i ricorrenti depositavano un’ulteriore memoria illustrativa delle proprie ragioni.
In data 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, non rileva l’inammissibilità del ricorso sotto i profili dedotti dall’Amministrazione resistente, in quanto il d.p.c.m. impugnato, pur quale atto generale, contiene determinazioni precettive direttamente applicabili ai fini del lamentato innalzamento dell’ISEE sotto i profili dedotti dai ricorrenti e anche ai fini delle conseguenze indirette subito percepibili in campo sociale.
Passando all’esame del ricorso, il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo.
Sul punto concorda, infatti, con le tesi delle Amministrazioni resistenti, evidenziando la natura regolamentare del d.p.c.m. impugnato, come riconosciuta anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 297/12 che ha esaminato proprio l’art. 5 d.l. n. 201/77, conv. in l. n. 214/11, sia pure sotto diverso profilo.
Inoltre, si richiama anche la pronuncia della Sezione Consultiva Atti Normativi del Consiglio di Stato (n. 5486/12) su tale decreto, ove è evidenziata come legittima la scelta di adottare un unico regolamento con la forma del d.p.c.m., in virtù della previsione anche del sistema di rafforzamento dei controlli di cui all’art. 5 d.l. cit. da demandare a separato d.m. rispetto alla riforma dell’indicatore e dei suoi campi di applicazione. Il d.p.c.m. e il d.m. costituiscono fonti di rango “pari ordinato” e il primo si distingue, inoltre, per le maggiori garanzie date dall’intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri oltre ai Ministri proponenti e/o concertanti, nel caso di specie coincidenti, evitando anche vuoti normativi connessi all’effetto abrogativo di precedente disciplina a anche di rango primario.
Il secondo motivo di ricorso si palesa invece fondato.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba essere nel senso prospettato dai ricorrenti. La volontà del legislatore
coincideva con la necessità di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
Correttamente i ricorrenti richiamano i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa – come osservato criticamente dall’Amministrazione resistente secondo l’osservazione dei ricorrenti – il Collegio ritiene che tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legata all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione delle norme costituzionali sopra richiamate avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali, le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità” è stato adottato.
Né può convenirsi sul punto con le difese delle Amministrazioni costituite, secondo cui tale estensione della nozione di “reddito disponibile”, di cui non si nega l’esistenza nel d.p.c.m., sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che “in gran parte dei casi” ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova disciplina.
In primo luogo, il riferimento alla “gran parte dei casi”, attesta che ciò non avviene in tutti i casi e tale conclusione, per un atto normativo di carattere generale, non appare razionale.
In secondo luogo, manca completamente il richiamo e l’approfondimento sull’effettiva volontà del legislatore, tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche
detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 dp.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per completezza espositiva e poiché gli ulteriori motivi riguardavano diverse determinazioni del d,p.c.m. in questione, il Collegio deve esaminare anche la restante parte del gravame.
Infondato solo in parte è il terzo motivo di ricorso.
il Collegio rileva che la disposizione di cui all’art. 4, comma 3, lett. c), d.p.c.m. cit. – sotto il primo profilo dedotto dai ricorrenti – non appare illegittima.
In primo luogo, l’affermazione per cui le detrazioni e le franchigie previste dalla norma in rubrica non sarebbero comunque sufficienti a garantire uno standard di vita accettabile appare generica e indimostrata per ciascuno dei ricorrenti.
Per quel che riguarda le detrazioni fiscali, il Collegio osserva che, come è noto, la dichiarazione dei redditi “forfetaria” non impedisce comunque la presentazione di una dichiarazione “integrale” e/o di allegare la documentazione di spesa sanitaria.
E’ una scelta del contribuente quella di provvedere alla prima forma, per cui ben può in futuro essere necessaria la dichiarazione nella seconda forma ai fini di ottenere le detrazioni previste.
Analogamente, la previsione di un tetto massimo di detrazione, se correlata alla rideterminazione del reddito secondo i parametri evidenziati nell’esaminare il secondo motivo di ricorso, non appare illogica o penalizzante nel senso prospettato dai ricorrenti, in quanto la stessa Amministrazione, nella nota allegata in atti, chiarisce che il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona del nucleo che detrae, quale sottrazione al suo reddito personale, mentre in precedenza nessuna detrazione di spesa per la “disabilità” era prevista, con la conseguenza che tale conformazione è coerente con la disposizione legislativa di cui all’art. 5 d.l. n. 201/11 cit., secondo cui con il d.p.c.m. sono individuate le agevolazioni fiscali che a partire dal 1 gennaio 2013 non possono più essere riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso.
Profili di fondatezza si rinvengono invece per la residua parte del motivo.
Non è dato comprendere, infatti, per quale ragione le detrazioni previste all’art. 4, comma 4, lett. d), nn. 1), 2) e 3), siano incrementate per i minorenni, non individuandosi una ragione per la quale
al compimento della maggiore età, una persona con disabilità, sostenga automaticamente minori spese ed essa correlate. Né è convincente sotto tale profilo la tesi della difesa erariale, secondo cui i minori con disabilità non possono costituire nucleo a sé, gravando l’obbligo del mantenimento in capo ai genitori, e per i maggiorenni è relativamente più facile ridurre sostanzialmente l’ISEE, se non azzerarlo, potendosi non considerare il reddito dei genitori.
Tale conclusione non appare sostenuta da elementi specifici, almeno statistici, che dimostrino il grado di incidenza sulla popolazione dei disabili dei maggiorenni costituenti “nucleo a sé” rispetto a quelli che non possono farlo mentre il decreto impugnato, per le sue caratteristiche di generalità e astrattezza, impone direttamente e indistintamente la detrazione considerata, senza legarla alla effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.
Sotto tale profilo, quindi, le norme di cui ai richiamati nn. 1), 2) e 3) devono essere annullate per la parte in cui introducono una indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni, consentendo un incremento di franchigia solo per quest’ultimi, senza considerare l’effettiva situazione familiare del disabile maggiorenne.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare anche tale disposizione nel senso ora evidenziato.
Infondato è infine il quarto motivo di ricorso.
Il Collegio trova condivisibili le tesi dell’Amministrazione, secondo cui la previsione dell’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. tutela la necessità di differenziare la condizione economica del beneficiario che ha figli in grado di aiutarlo, se tenuti alla corresponsione di alimenti e secondo i propri carichi familiari diretti, rispetto a quella di coloro che non hanno alcun sostegno al fine delle spese di ricovero. Il limite alle sole prestazioni residenziali è poi coerente con i principi propri della giurisprudenza più recente (C. Cost. n. 296/12 e Cons. Stato, 14.1.14, n. 99), secondo cui in sostanza, la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
C’è da osservare, infine, che anche nel precedente regime non vi era una considerazione del reddito del solo “assistito” per tutte le spese ma solo per quelle per prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria e che la definizione di “prestazioni agevolate di natura sociosanitaria” di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), d.p.c.m. cit. può includere anche prestazioni strumentali e accessorie oltre che interventi economici.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), e comma 4, lett. d), n. 1), 2) e 3) -nella parte in cui prevedono indistintamente un incremento delle franchigie per i soli minorenni -del d.p.c.m. n. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti ricorrenti e dei soggetti di cui si dichiarano genitori, tutori o amministratori di sostegno o di persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

02454/2015 REG.PROV.COLL.

N. 05119/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5119 del 2014, proposto da:
-OMISSIS-, in proprio e in qualità di presidente dell’Associazione Coordinamento Sociosanitario
per le Persone con Disabilità, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, quale amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, quale tutore di -OMISSIS-e in qualità di presidente di Arpa Associazione
Italiana Ricerca Psicosi e Autismo, -OMISSIS-, in qualità di tutore di -OMISSIS-, in qualità di
genitore del minore -OMISSIS-in qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-e di
presidente dell’Associazione “Il Vento Sulla Vela Onlus”, -OMISSIS-, in qualità di amministratore
di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di presidente dell’Associazione Co.Fa.As. Clelia,
-OMISSIS-, nella qualità di genitore di -OMISSIS-, nella qualità di madre di -OMISSIS-, nella
qualità di padre -OMISSIS-, nella qualità di madre di -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di
sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di amministratore di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di
madre di -OMISSIS-, nella qualità di padre di -OMISSIS-, nella qualità di tutore di -OMISSISnonché
di presidente dell’Ente Morale Istituto -OMISSIS-, nella qualità di zio di -OMISSIS-, nella
qualità di madre di -OMISSIS-, nella qualità di padre di di -OMISSIS-, nella qualità di padre di
-OMISSIS-in qualità di presidente di ODV La Lampada dei Desideri, -OMISSIS-, nella qualità di
amministratore di sostegno di -OMISSIS-, nella qualità di presidente di ODV -OMISSIS-, nella
qualità di tutore di -OMISSIS-, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Liliana -OMISSIS-, con
domicilio eletto presso i medesimi in Roma, Piazzale delle Belle Arti, 1;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero
dell’Economia e Finanze, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato,
presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l’annullamento
del d.p.c.m. 05/12/2013 n. 159 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 19 del
24.01.2014 avente ad oggetto: “Regolamento concernente la revisione delle modalità di
determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente
(ISEE)” con particolare riferimento all’art. 4, comma 2, lett. f), all’art. 4, comma 3, lett. c); all’art.
5, comma 2; all’art. 6; all’art. 2, comma 1, all’art. 2, comma 2, all’art. 3 nonché di qualsiasi atro atto
presupposto connesso o comunque consequenziale.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali e del Ministero dell’Economia, con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 22 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, comma 8;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i
difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in epigrafe – tutti
associazioni specificamente costituite e operanti per il riconoscimento e la tutela dei diritti dei
disabili nonchè persone fisiche con disabilità ovvero genitori o tutori o amministratori di persone
con disabilità ovvero ancora genitori conviventi di persone maggiorenni con disabilità evidenziavano
che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 (recante “Introduzione
dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici assistenziali, con destinazione dei
relativi risparmi a favore delle famiglie), era emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una
nuova regolamentazione complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica
equivalente.
Soffermandosi sull’art. 4, comma 2, lett. f), e comma 3, lett. c), nonché sugli artt. 5, comma 2, 6, 2,
comma 1 e comma 2, e 3 del d.p.c.m. cit., i soggetti in epigrafe lamentavano che le nuove modalità
di calcolo dell’ISEE si traducevano in un ingiusto svantaggio ai danni dei disabili e delle famiglie in
cui era presente una persona con disabilità e quindi, in sintesi, deducevano quanto segue.
“I. Illegittimità dell’art. 4 comma 2 lett. f) (che include nel reddito disponibile le provvidenze
pubbliche per i disabili) per violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 2 della legge
214/2012 nonchè dei principi costituzionali degli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost. e della Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13.12.2006 ratificata con la legge 18/2009.
Eccesso di potere per illogicità manifesta, disparità di trattamento, manifesta ingiustizia”.
Il d.p.c.m. in questione, nella disposizione in rubrica, prevedeva che dovevano essere considerate
componenti del reddito disponibile anche i “trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari,
incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non
siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lett. a) (reddito complessivo ai fini IRPEF).
Risultavano considerati a tali fini, quindi, anche tutte le provvidenze economiche per prestazioni
sociali e sociosanitarie agevolate concesse ai disabili al mero fine di recuperare lo svantaggio in cui
si trovano e per assicurare la realizzazione di diritti costituzionalmente riconosciuti. Ciò creava un
evidente ulteriore svantaggio per le famiglie già gravate dalla presenza di persone con disabilità e si
poneva in contraddizione con la natura di tali provvidenze, svolgenti funzione non di incremento
del reddito ma di contrappeso allo stato di bisogno e allo svantaggio sociale, senza tradursi in un
arricchimento del nucleo familiare ma avendo destinazione di ausilio e compensazione al fine di
ottenere prestazioni sociali o agevolazioni fiscali collegate.
Per i disabili e le loro famiglie, quindi, veder dipendere il proprio diritto all’accesso alle prestazioni
sociali o il livello di compartecipazione al costo delle indennità già concesse per la disabilità stessa
equivaleva a dare ingresso nell’ordinamento ad un ingiusto limite a tale accesso, con violazione dei
principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 32 e 38 Cost.
Tale conclusione contrastava con la stessa legge n. 214/2012, che stabiliva di tenere conto dei
disabili a carico delle famiglie ma con l’intento di agevolarle e non di svantaggiarle, e con l’art. 4
della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
“II. Illegittimità dell’art. 4 comma 3 lett. c) del dpcm 159/2009 (che fissa un limite massimo di
detrazione delle spese sanitarie documentate per i disabili) per i medesimi vizi dedotti sub I”

La disposizione in esame era illegittima perché consentiva la detrazione dall’ammontare del reddito
utile ai fini ISEE delle specifiche spese indicate solo se evidenziate nella dichiarazione dei redditi,
senza considerare però che nelle dichiarazioni “forfetarie”non è prevista la specifica indicazione
delle spese detraibili.
In secondo luogo, essa era anche illegittima laddove fissava un tetto massimo (euro 5.000,00) per
tale tipologia di detrazione, non considerando che la quota ulteriore andava ad incrementare il
reddito pur se fondata su spese necessarie per assicurare i diritti fondamentali e incomprimibili a
tutela della disabilità.
“III. Illegittimità dell’art. 5 comma 2 del dpcm 159/2009 (che conteggia nel patrimonio
immobiliare anche la prima casa in base alla rendita catastale) per i medesimi profili dedotti sub I”
La norma in questione, richiamando il valore dei fabbricati definiti ai fini IMU, non teneva conto
della disomogeneità sul territorio nazionale, con conseguente incisione sull’accesso alle prestazioni
sociali e sul livello di contribuzione.
“IV, Illegittimità dell’art. 6 del dpcm 159/2009 (che ai fini delle prestazioni socio-assistenziali
considera solo il maggiorenne disabile non coniugato come nucleo familiare a se stante) per i
medesimi profili dedotti sub I”
Definendo il “nucleo familiare” come quello corrispondente alla famiglia anagrafica alla data di
presentazione della DSU, la norma in rubrica estendeva illogicamente la nozione a tutti coloro che
coabitano in quanto parenti, affini ovvero legati da vincoli di mutua assistenza, comprendendo
anche i coniugi non conviventi (salvo separazione giudiziale, esclusione di potestà sui figli,
domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio) ed i figli maggiorenni non conviventi ma
a carico dei genitori a fini IRPEF e sottraendo solo i disabili maggiorenni per le sole prestazioni
sociali agevolate di natura socio sanitaria.
Si creava così un indubbio svantaggio per il disabile coniugato con figli rispetto al disabile
maggiorenne convivente con i genitori e che non abbia famiglia propria.
Risultava così scoraggiato il diritto a formare una famiglia, tutelato dall’art. 23 della Convenzione
ONU, e si creava anche disparità tra soggetti con la medesima disabilità maggiorenni o minorenni
in quanto questi ultimi vedevano conteggiato ai fini ISEE anche il reddito dei genitori pur non
conviventi, rischiando di non accedere alle prestazioni di cui necessitano.
Sotto altro profilo, emergeva l’illegittimità dell’art. 6 cit. laddove sottraeva dal “nucleo familiare
allargato” i disabili maggiorenni esclusivamente per le prestazioni socio sanitarie agevolate e non
anche per le altre prestazioni sociali, laddove la precedente legislazione considerava il reddito del
solo assistito e non dell’intero nucleo familiare e tutelava il peso che gravava su quest’ultimo per
tutte le attività di assistenza alla disabilità.
La diversa valutazione di cui al d.p.c.m. impugnato, quindi, introducendo il principio per cui il
calcolo dell’ISEE si applica non più al reddito del solo beneficiario ma a quello dell’intero nucleo
familiare si pone in violazione degli artt. 2, 3 e 38 Cost.
“V. Illegittimità dell’art. 2 comma 1 del dpcm 159/2009 (che attribuisce agli enti erogatori la
facoltà di introdurre ulteriori criteri di concessione delle prestazioni sociali) per i medesimi profili
dedotti sub I”
La norma in rubrica era illegittima laddove prevedeva la possibilità per gli enti erogatori di
prevedere, accanto all’ISEE, ulteriori criteri di selezione volti ad identificare specifiche platee di
beneficiari, con potenziale rischio di disparità tra vari Comuni nonchè violazione della l. n. 214/11,
che prevede il solo ISEE come strumento di misurazione dell’accesso alle prestazioni sociali, e
dell’art. 117 Cost.
“VI. Questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 214/2011 di conversione del
decreto-legge 201/2011”.
I ricorrenti evidenziavano che la norma in rubrica aveva mancato di tenere nella dovuta
considerazione il diritto delle persone con disabilità non autosufficienti ad avere servizi
sociosanitari adeguati ad assicurare loro pari opportunità di vita, come sancito dagli artt. 2, 3, 32 e
38 Cost., violando anche gli obblighi assunti dall’Italia con l’adesione alla Convenzione ONU
ratificata con la l. n. 18/2009, con conseguente violazione anche dell’art. 10, comma 1, Cost. in
relazione alla mancata individuazione di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati, dato
che i diritti dei disabili sono ora considerati non più indipendentemente dal nucleo familiare di
appartenenza.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, illustrando le proprie tesi, orientate alla
reiezione del ricorso, in nota allegata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in cui era
evidenziata preliminarmente anche l’inammissibilità del ricorso per carenza di lesione effettiva, in
assenza di atto applicativo delle norme regolamentari contestate, e per carenza di interesse al ricorso
al momento della proposizione, in quanto il nuovo ISEE sarebbe diventato operativo entro trenta
giorni dall’approvazione del modello DSU, a sua volta da adottare entro novanta giorni dall’entrata
in vigore dell’impugnato dpcm avvenuta in data 8 febbraio 2014.
In prossimità della pubblica udienza i ricorrenti depositavano memoria illustrativa delle proprie
ragioni.
In data 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, non rileva l’inammissibilità del ricorso sotto i profili dedotti
dall’Amministrazione resistente, in quanto il d.p.c.m. impugnato, pur quale atto generale, contiene
determinazioni precettive direttamente applicabili ai fini del lamentato innalzamento dell’ISEE
sotto i profili dedotti dai ricorrenti e anche ai fini delle conseguenze indirette subito percepibili in
campo sociale.
Il Collegio rileva la fondatezza del primo motivo di ricorso.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt. 3, 32 e 38 Cost.,
ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale prevede di “…adottare una
definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme, anche se esenti da
imposizione fiscale…valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia
sia all’estero…” debba essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità
di eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in realtà dotati di
risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.
A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco il richiamo alla
componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le pensioni estere non tassate in Italia, i
lavoratori di stato estero (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il
coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a rispettare un principio
di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art. 38 Cost., legato all’”emersione” di
situazioni solo apparentemente equivalenti ad assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta violazione
delle norme costituzionali sopra richiamate avrebbe dovuto dare luogo a disposizione orientate in
tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed aprendo il ventaglio delle possibilità di
sottoporre la componente di reddito ai fini ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la Presidenza del
Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto
sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse
carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già
inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel reddito complessivo IRPEF.
Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali, previdenziali e
indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5

d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che l’ordinamento pone a compensazione della
oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che dovrebbe riferirsi a
incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento,
sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o
risarcitorio a favore delle situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le
pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da
danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo ex ll. nn.
210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono costituire “reddito” in
senso lato né possono essere comprensive della nozione di “reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l.
cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di “reddito
disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione nello stesso d.p.c.m.
di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con
disabilità nella nuova disciplina.
Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente orientata e tesa a
riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad introdurre specifiche detrazioni e
franchigie su un concetto di “reddito” (impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 dp.c.m. siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né che le stesse possano essere
considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno luogo i trattamenti assistenziali,
previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni
pubbliche per situazioni di accertata “disabilità”.
Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove prevede al
richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile” eccessivamente allargata e
in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l. cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando attentamente la
funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario e
orientandosi anche nell’esaminare situazione di reddito esistente ma, per varie ragioni, non
sottoposto a tassazione IRPEF.
Per completezza di esposizione e poiché gli ulteriori motivi riguardavano diverse determinazioni del
d,p.c.m. in questione, il Collegio deve esaminare anche la restante parte del gravame.
Per quel che riguarda il secondo motivo, il Collegio rileva che la disposizione di cui all’art. 4,
comma 3, lett. c), d.p.c.m. cit. – sotto il primo profilo dedotto dai ricorrenti – non appare illegittima.
Come è noto la dichiarazione dei redditi “forfetaria” non impedisce comunque la presentazione di
una dichiarazione “integrale” e/o di allegare la documentazione di spesa sanitaria.
E’ una scelta del contribuente quella di provvedere alla prima forma, per cui ben può in futuro
essere necessaria la dichiarazione nella seconda forma ai fini di ottenere le detrazioni previste.
Analogamente, la previsione di un tetto massimo di detrazione, se correlata alla rideterminazione
del reddito secondo i parametri evidenziati nell’esaminare il primo motivo di ricorso, non appare
illogica o penalizzante nel senso prospettato dai ricorrenti, in quanto la stessa Amministrazione,
nella nota allegata in atti chiarisce che il limite massimo previsto va applicato a ciascuna persona
del nucleo che detrae, quale sottrazione al suo reddito personale, mentre in precedenza nessuna
detrazione di spesa per la “disabilità” era prevista, con la conseguenza che tale conformazione è
coerente con la disposizione legislativa di cui all’art. 5 d.l. n. 201/11 cit., secondo cui con il d.p.c.m.
sono individuate le agevolazioni fiscali che a partire dal 1 gennaio 2013 non possono più essere
riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto
stesso.
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso, in quanto la Presidenza del Consiglio dei Ministri non
ha potuto che tenere conto dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale
(quest’ultima in via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque delle
valutazioni “temperate”, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel
rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura maggiore” la
componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con l’attenuazione dovuta
dall’identificazione di agevolazioni fiscali.
Né può farsi una raffronto con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare su
base ICI, non essendo più in vigore e non più invocabile tale regime per la generalità dei cittadini.
Per quel che riguarda il quarto motivo di ricorso, il Collegio osserva che nel nuovo assetto sono
considerati i figli minorenni o maggiorenni a carico a fini IRPEF della persona disabile
maggiorenne e la loro inclusione nel nucleo familiare, in quanto privi di reddito sostanziale, riduce
l’ISEE, favorendo così il disabile con figli a carico rispetto al disabile senza prole, secondo la scala
di equivalenza di cui all’Allegato 1 al decreto richiamato dal relativo art. 1, comma 1, lett. c).
Analoghe osservazioni possono farsi in relazione all’inserimento del coniuge, che, se con reddito,
risponde a ragioni di equità sostanziale.
Altrettanto priva di illogicità e irrazionalità valutabili nella presente sede è la circostanza per la
quale i disabili minorenni non sono considerati “nucleo a sé” rispetto ai genitori, anche per
l’obbligo di solidarietà sociale familiare rimarcato dalla corte Costituzionale nella sentenza n.
297/12, ferma restando la previsione, all’uopo, di una specifica franchigia.
Per qual che riguarda, poi, la considerazione del reddito familiare e non del solo assistito il Collegio
pure richiama la giurisprudenza della Corte Costituzionale (n. 296/12) nonché del Consiglio di Stato
(Sex. III, 14.1.14, n. 99) secondo cui, in sostanza, la normativa di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi
ai restanti compiti propri del nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte
costituzionale ha sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una
compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei familiari, può
costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la permanenza dell’anziano presso il
nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla
collettività, grava anzitutto sui prossimi congiunti”.
C’è da osservare, infine, che anche nel precedente regime non vi era una considerazione del reddito
del solo “assistito” per tutte le spese ma solo per quelle per prestazioni sociali agevolate assicurate
nell’ambito di percorsi integrati di natura sociosanitaria e che la definizione di “prestazioni
agevolate di natura sociosanitaria” di cui all’art. 1, comma 1, lett. f), d.p.c.m. cit. può includere
anche prestazioni strumentali e accessorie oltre che interventi economici, come riconosciuto nella
stessa nota del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali allegata in atti dall’Amministrazione
costituita.
Infondato è poi il quinto motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “…la competenza
statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione di livelli
essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce una
competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n. 203 del
2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n. 162 e n. 94 del
2007; n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte incidenza sull’esercizio
delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8 del 2011; n. 88 del
2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale collaborazione tra
Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010; n. 322 e n. 124 del 2009;

n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che ricorrano ipotesi eccezionali (nella
specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) «non
permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […] di protezione delle situazioni di estrema
debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo Stato a disporre in via diretta le prestazioni
assistenziali, senza adottare forme di leale collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a
proposito della social card, ricondotta ai LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo
comma, Cost.). Proprio in ragione di tale impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore
statale, nel determinare i livelli essenziali delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha
spesso predisposto strumenti di coinvolgimento delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a
salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie, non è dubbio che la determinazione
dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie reddituali di accesso alle prestazioni
e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla competenza residuale regionale in materia
di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle finanze della Regione, che sopporta l’onere
economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la suddetta determinazione dell’ISEE richiede la
ricognizione delle situazioni locali e la valutazione di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione
di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale
collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto in cui è
inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve” le competenze
regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle politiche sociali e sociosanitarie
e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a tale art. 2, poi, specifica con attenzione
che “…In relazione a tipologie di prestazioni che per la loro natura lo rendano necessario e ove non
diversamente disciplinato in sede di definizione dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie
di prestazioni, gli enti erogatori possono prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione
volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in
materia e delle attribuzioni regionali specificamente dettate in tema di servizi sociali e sociosanitari.
E’ comunque fatta salva la valutazione della condizione economica complessiva del nucleo
familiare attraverso l’ISEE.”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e identificato nella sua
sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della ricognizione delle “situazioni locali”
anche di ordine finanziario – solo la possibilità di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi –
di selezione unicamente della platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali
specificamente previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi” all’ISEE, come
ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la platea dei beneficiari mediante
criteri ulteriori, che non si sovrappongono o sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le
attribuzioni regionali specifiche e facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal
ricordato art. 2 – la “valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare
attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il nucleo
valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Per quel che riguarda, infine, la questione di costituzionalità posta con il sesto motivo di ricorso, il
Collegio, oltre che evidenziarne la sostanziale genericità, rileva che un’interpretazione
costituzionalmente orientata impone le conclusioni, favorevoli ai ricorrenti, di cui al primo motivo
di ricorso, per cui se ne deduce l’irrilevanza in questa sede.
Per quanto attiene alla Convenzione ONU, il Collegio richiama la circostanza per la quale il
Consiglio di Stato (n. 99/14 cit.), con argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha
precisato che tale Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una
piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574). Né ciò
comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito, giacché la di lui
situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per quanto sia possibile e secondo quanto
afferma la stessa Corte costituzionale, con il favorire la permanenza di questi presso il nucleo
familiare. In ogni caso ritiene il Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE
non si ponga in contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi valorizzano la
posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal proprio nucleo familiare. Al
riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà familiare costituisce una ulteriore
guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere di solidarietà sociale e che tale fondamentale e
primario dovere di solidarietà familiare si esprime anche nella considerazione, da parte
dell’ordinamento dei singoli Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota
assistenziale di compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura sociosanitaria.
Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale che, con l’art. 5 del d.l.
201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel fissare il nuovo indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), occorra adottare una definizione di reddito disponibile che includa
la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di
patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari,
in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della fattispecie.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando
sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione e, per
l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. n. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori
determinazioni dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del provvedimento,
all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle

parti ricorrenti e dei soggetti di cui si dichiarano genitori, tutori o amministratori di sostegno o di
persone comunque citate nel provvedimento.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con l’intervento dei
magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

N. 02458/2015 REG.PROV.COLL.
N. 04823/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4823 del 2014, proposto da:

U.T.I.M. -Unione per la Tutela delle Persone con Disabilità Intellettiva e
Associazione “Promozione Sociale”, in persona dei rispettivi legali rappresentanti

p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Annamaria Torrani Cerenzia e Mario Motta,
con domicilio eletto presso Antonia De Angelis in Roma, Via Portuense, 104;

contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata e difesa per legge
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei
Portoghesi, 12;

per l’annullamento, previa sospensione,
del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 dicembre 2013 n. 159
“Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi
di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24.1.2014 n. 19;

nonché di ogni altro atto preparatorio, presupposto, conseguente e comunque
connesso con gli atti impugnati.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 19 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per
le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i soggetti in
epigrafe evidenziavano che, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 5 d.l. n. 201/2011
(recante “Introduzione dell’ISEE per la concessione di agevolazioni fiscali e benefici

assistenziali, con destinazione dei relativi risparmi a favore delle famiglie), era
emanato il d.p.c.m. n. 159/2013 che dava luogo ad una nuova regolamentazione

complessiva del c.d. “ISEE” (Indicatore della situazione economica equivalente e di
cui chiedevano l’annullamento in parte, previa sospensione.
Soffermandosi principalmente sulle prestazioni agevolate di cui all’art. 1, lett. f),
d.p.c.m. cit. (prestazioni agevolate di natura sociosanitaria rivolte a persone con
disabilità e limitazioni dell’autonomia) e sulla rispettiva legittimazione a ricorrere, in

quanto portatori di posizioni a tutela di interessi diffusi e del gruppo sociale da loro
rappresentato, i soggetti in epigrafe lamentavano, in sintesi, quanto segue.

“1) Eccezione di non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art.
5 del DL 201/2011 convertito con la legge 214/2011”.

Risultava la violazione della Carta costituzionale (artt. 70, 76 e 77) in quanto la fonte

normativa di legge delegava alla PCM l’emanazione di un regolamento, senza però
stabilire “norme regolatrici della materia”, ai sensi dell’art. 17, comma 2, l. n.
400/1988, limitandosi l’art. 5 d.l. cit. a contenere generali e vaghe linee
programmatiche che si prestano alle più varie interpretazioni e concedendo in

sostanza una “delega in bianco” alla PCM per disciplinare una materia riservata alla
esclusiva competenza del legislatore statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m),
Cost.

“2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011 sotto il profilo della violazione del termine stabilito per l’emanazione del Decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Il d.p.c.m. impugnato risultava pubblicato il 24 gennaio 2014, ben oltre il termine

del 31 maggio 2012 previsto dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit., termine da considerare
perentorio in quanto legato all’emanazione di un regolamento attuativo e non
meramente esecutivo.
“3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 117 lettera m) della Costituzione”.
Ricordando il nuovo regime di competenze delineato dall’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit.
-anche ai sensi della pronuncia della Corte Costituzionale n. 297/2012 che lo
riguardava – per il quale le soglie di accesso alle agevolazioni vengono fissate dal
Presidente del Consiglio dei Ministri e non più da ciascun ente erogatore, risultava
illegittimo l’art. 2 del d.p.c.m. impugnato laddove prevedeva invece che gli enti
erogatori potevano individuare, accanto all’ISEE, altri criteri di ulteriore di selezione

volte ad identificare specifiche platee di beneficiari ed esercitando così una
competenza riservata allo Stato ai sensi del ricordato art. 117, lett. m), Cost.

“4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011, dell’art. 38 I comma della Costituzione, dell’art. 32 I comma della Costituzione
dell’art. 23 della Costituzione e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone

con disabilità stipulata a New York il 13.12.2006 e ratificata dalla Repubblica Italiana con la

legge 18/2009”.
Gli artt. 2, 3 e 6 d.p.c.m. cit. violavano la norma costituzionale, di cui al relativo art.
38, e la ricordata Convenzione di New York in quanto conteggiavano l’ISEE, anche
nel caso di disabili non autosufficienti, considerando l’intero nucleo familiare e

imponendo, in caso di ricovero in strutture assistenziali di disabili privi di ingenti

risorse proprie, il contributo economico all’intero nucleo in questione.

Ciò andava a ledere, nello specifico, il diritto e la dignità del disabile che si vedeva
ora costretto a chiedere aiuto alla famiglia di appartenenza, la quale doveva essere
invece oggetto di tutela da parte dello Stato secondo quanto impresso nella
Convenzione di New York.

Risultava, inoltre, la violazione dell’art. 32 Cost. in quanto risultava così precluso
l’effetto di garanzia di cure gratuite a persone in stato di indigenza, soprattutto se
colpite da patologie gravemente invalidanti e da non autosufficienza e destinatarie,
in quanto tali, del diritto di esigere direttamente prestazioni sanitarie e sociosanitarie,
ex art 3, comma 3, l..n. 833/1978 e art. 54 l. n. 289/2002, quali livello essenziale di
assistenza.
Tali disposizioni del d.p.c.m. impugnato non erano comunque coerenti con (o

autorizzate da)la delega di cui all’art. 5 d.l.n. 201/2011, in quanto il richiamo in tale

norma di rango legislativo alla necessità di tenere conto delle quote di patrimonio e
di reddito dei diversi componenti della famiglia non poteva che essere considerato
in contraddizione con la precedente normativa, con i principi costituzionali e la
Convenzione di New York sopra richiamati, che espressamente prevedono la

necessità di valutare il reddito del solo assistito, a meno di considerare l’art. 5 cit.

quale norma in contrasto con la Carta costituzionale per quanto sopra richiamato.

I soggetti ricorrenti lamentavano, infine, anche la violazione dell’art. 23 Cost.
laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza
autorizzazione legislativa.
3 Cost.
laddove il d.p.c.m. impugnato imponeva una prestazione patrimoniale senza
autorizzazione legislativa.

5) Ulteriore profilo del motivo di impugnazione sopra dedotto. Eccesso di potere sotto i profili della
irragionevolezza, della ingiustizia minifesta e dello sviamento dalla causa tipica”.

L’art. 6, comma 3, d.p.c.m. cit. considerava che l’ISEE doveva tenere conto anche

dei figli non conviventi nel caso di prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria
erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo (salvi casi di estraneità accertati
in sede giurisdizionale e dalla pubblica autorità competente) ma tale fattispecie non

era in alcun modo autorizzata dall’art. 5 d.l. cit. e causava una abnorme estensione
della nozione di “nucleo familiare”.

Anche la su ricordata deroga appariva illogica, in quanto si escludevano dal carico
del naturale obbligo di solidarietà i figli di cui non è riconosciuto il rapporto affettivo

o la prestazione di aiuti economici, con relativa prova a carico degli interessati,
tramite autorità giurisdizionali o amministrative, ben difficile da individuare e
definire.
“6) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 18/1980 e dell’art. 1 della
legge 508/1998.”

L’art. 4, comma 2, lett. f) d.p.c.m. cit. risultava illegittimo laddove includeva nel

computo ISEE i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di
debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, ricomprendendo
quindi indebitamente anche indennità finalizzate a fornire al disabile risorse
occorrenti per sostenere le maggiori spese in ragione della propria disabilità. Tra i
trattamenti considerati rientrerebbe, quindi, anche l’indennità di accompagnamento
di cui all’art. 1 l. 18/1980, posta a carico di persone che hanno subito gravi patologie

invalidanti e che è necessaria per le attività continue di assistenza di cui hanno
bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale. bisogno tali soggetti e non per incrementare il reddito personale.

“7) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DL 201/2011 convertito con la legge
214/2011. Eccesso di potere per irragionevolezza e disparità di trattamento”.

L’art. 5, comma 2, d.p.c.m. cit. si palesava illegittimo laddove utilizzava il valore
catastale ai fini IMU per determinare il valore reddituale dell’abitazione di proprietà.

La determinazione, in tal senso, appariva contraddittoria con il regime di detrazione,
pressoché integrale, del canone di locazione previsto invece nel precedente art. 4 e
comunque non sostenuta da alcuna disciplina nella fonte primaria.
In rapporto alla precedente regolamentazione, di cui al d.lgs. n. 109/1998, che
prevedeva il valore catastale ai fini ICI, l’attuale base di calcolo sul valore catastale

IMU si rilevava nettamente superiore, come da simulazione che i ricorrenti
illustravano in dettaglio.

“8) Violazione e falsa applicazione degli artt. 143 e 315 bis c.c.”

Il d.p.c.m. impugnato, nel non prevedere apposite detrazioni, non considerava che
il disabile grave, l’anziano malato cronico non autosufficiente e la persona colpita
da demenza senile richiedenti le prestazioni potevano dover far fronte talvolta

all’obbligo di mantenimento nei confronti del coniuge e dei figli sprovvisti di redditi

propri.

“9) Violazione dell’art. 38 I comma della Costituzione sotto il profilo della mancata previsione
dell’adeguamento delle franchigie al costo della vita. Eccesso di potere per irragionevolezza ed
ingiustizia manifesta”.
Le franchigie previste all’art 4 del d.p.c.m. cit., non considerando alcun
adeguamento al costo della vita, contrastavano con l’art. 38 Cost. e con il principio,

ormai generalizzato nel nostro ordinamento, della rivalutazione automatica delle
somme destinate ad assicurare l’effettiva realizzazione di esigenze sociali.

Si costitutiva in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministri, illustrando le
proprie tesi, orientate alla reiezione del ricorso, in note allegate da Uffici del M.E.F.
Alla camera di consiglio cautelare era disposto rinvio alla trattazione del merito.
In prossimità della pubblica udienza, le parti ricorrenti depositavano una memoria
ad ulteriore illustrazione delle proprie tesi, con riferimento ai motivi n. 4, 5 e 7.
Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio rileva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
L’art. 5 del d.l. n. 201/2011, nel testo derivante dalla legge di conversione n.
214/2011 e dal successivo d.l. n. 95/2012, conv. in l. n. 135/2012, recita
testualmente quanto segue: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze, da emanare, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio
2012, sono rivisti le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della
situazione economica equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile
che includa la percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle
quote di patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi
familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la
capacità selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita
sia in Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle
imposte relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di
prestazioni. Con il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le
provvidenze di natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più
riconosciute ai soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso.
A far data dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo
modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la

determinazione dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto

legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio
1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro 1999, n. 221. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro

dell’economia e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli
dell’ISEE, anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione
e gli enti pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate,

condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel

rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.
Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio
dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di
politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale
rassegnazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del

lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare,

previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 maggio 2012, sono rivisti le

modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’indicatore della situazione economica

equivalente (ISEE) al fine di: adottare una definizione di reddito disponibile che includa la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di
patrimonio e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi familiari,
in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico; migliorare la capacità

selettiva dell’indicatore, valorizzando in misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in
Italia sia all’estero, al netto del debito residuo per l’acquisto della stessa e tenuto conto delle imposte
relative; permettere una differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni. Con

il medesimo decreto sono individuate le agevolazioni fiscali e tariffarie nonché le provvidenze di
natura assistenziale che, a decorrere dal 1° gennaio 2013, non possono essere più riconosciute ai

soggetti in possesso di un ISEE superiore alla soglia individuata con il decreto stesso. A far data
dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione
dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221.
dai trenta giorni dall’entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di
dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione
dell’ISEE, attuative del decreto di cui al periodo precedente, sono abrogati il decreto legislativo 31
marzo 1998, n. 109, e il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 maggio 1999, n. 221.

Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia
e delle finanze, sono definite le modalità con cui viene rafforzato il sistema dei controlli dell’ISEE,

anche attraverso la condivisione degli archivi cui accedono la pubblica amministrazione e gli enti
pubblici e prevedendo la costituzione di una banca dati delle prestazioni sociali agevolate,
condizionate all’ISEE, attraverso l’invio telematico all’INPS, da parte degli enti erogatori, nel
rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni concesse.
Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione del presente articolo a favore del bilancio
dello Stato e degli enti nazionali di previdenza e di assistenza sono versati all’entrata del bilancio
dello Stato per essere riassegnati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’attuazione di

politiche sociali e assistenziali. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto
con il Ministro dell’economia e delle finanze, si provvede a determinare le modalità attuative di tale
riassegnazione”.
Ebbene, dall’articolato testo ora riportato non emerge la vaghezza e
l’indeterminatezza lamentate dai soggetti ricorrenti, atteso che il legislatore ha

chiaramente indirizzato il Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con i
Ministri evidenziati, a rivedere le modalità di determinazione e i campi di

applicazione dell’ISEE fondandoli essenzialmente sulla (ri)definizione di “reddito
disponibile” tale da includere somme e quote patrimoniali e di reddito di soggetti
familiari determinati, valorizzando la componente patrimoniale anche estera,
considerando le tipologie diverse di prestazioni.

La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 297/2012, ha inoltre evidenziato
che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato,
come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con
proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o
assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla
generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto
decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori
debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b)
introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c)
fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie
tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori
differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma
diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica
determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa,
infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto
concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione»,
che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso,
sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008;
ziato
che “Il denunciato art. 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, in particolare, ha affidato,
come visto, al Presidente del Consiglio dei ministri il compito di determinare con
proprio decreto quei peculiari LIVEAS afferenti a prestazioni o servizi sociali o
assistenziali che sono effettuati a richiesta dell’interessato, non sono destinati alla
generalità dei soggetti e sono, comunque, collegati nella misura o nel costo a
determinate situazioni economiche. La norma, infatti, prevede che il suddetto
decreto: a) determini il nuovo indicatore del reddito (ISEE) che gli enti erogatori
debbono prendere in considerazione per consentire l’accesso a servizi agevolati; b)
introduca indicatori diversi in ragione delle varie tipologie di prestazione sociale; c)
fissi la soglia di reddito richiesta agli interessati per ottenere l’accesso alle varie
tipologie di prestazioni sociali agevolate. La predisposizione di indicatori
differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma
diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica
determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa,
infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle
prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto
concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione»,
che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte indicato come rientrante nella
competenza esclusiva dello Stato (sentenza n. 232 del 2011; nello stesso senso,
sentenze n. 296, n. 287 e n. 203 del 2012; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008;

n. 383 e n. 285 del 2005).La norma impugnata, pertanto, costituisce espressione
dell’esercizio della competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di LIVEAS,
ai sensi dell’art. 117, secondo comma lettera m), Cost.”.

Da tale ricostruzione appare evidente la completezza della struttura del testo
legislativo di delega e la conformità dell’operato del legislatore, sotto tale profilo,
all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Non si rileva infatti la perentorietà del termine del 31 maggio 2012 richiamato
nell’art. 5 cit.

Secondo i principi giurisprudenziali in argomento e sotto un profilo sostanziale, un

termine può definirsi “perentorio” quando dalla sua scadenza deriva l’impossibilità

di compiere, anche in epoca successiva, l’attività amministrativa correlata,
implicandosi così l’estinzione del potere alla scadenza del termine. Un termine,
viceversa, può dirsi “ordinatorio” allorché la sua scadenza non fa venir meno il

potere di agire, fermo restando che -salva la possibilità di proroga a mezzo della
stessa fonte che lo aveva stabilito e, altresì, prima della sua scadenza -il mancato
rispetto di detto genere di termine può esporre a responsabilità colui che, in difetto
di legittima proroga, non lo abbia rispettato, e consente ai soggetti interessati (e
quindi legittimati perchè portatori di un interesse legittimo al rispetto del termine) a
esperire in giudizio ogni azione idonea a costringere l’obbligato a svolgere l’attività
dovuta (C.G.R.S., 19.4.12, n. 396).
Nel caso di specie non vi era alcuna previsione di estinzione del potere né era
definito il termine stesso come perentorio né era prevista alcuna conseguenza
sostanziale sulla sua inosservanza, così che il medesimo può definirsi meramente

ordinatorio e il suo mancato rispetto non comporta l’illegittimità dell’intero d.p.c.m.

impugnato, come invece prospettato dai ricorrenti (Cons. Stato, Sez. VI, 27.2.12, n.
1084).
Al Collegio non appare fondato neanche il terzo motivo di ricorso.
Nella suddetta sentenza n. 297/2012, la Corte Costituzionale ha precisato che “…la
competenza statale alla quale va ricondotta la normativa impugnata, concernente la determinazione
di livelli essenziali delle prestazioni, non attiene ad una «materia» in senso stretto, ma costituisce
una competenza esclusiva e “trasversale”, idonea a investire una pluralità di materie (sentenze n.
203 del 2012; n. 232 del 2011; n. 10 del 2010; n. 322 del 2009; n. 168 e n. 50 del 2008; n.

162 e n. 94 del 2007; n. 282 del 2002). Detta peculiare competenza comporta «una forte
incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8
del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale
collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010;
incidenza sull’esercizio delle competenze legislative ed amministrative delle regioni» (sentenza n. 8
del 2011; n. 88 del 2003), tale da esigere che il suo esercizio si svolga attraverso moduli di leale
collaborazione tra Stato e Regione (sentenze n. 330 e n. 8 del 2011; n. 309 e n. 121 del 2010;

n. 322 e n. 124 del 2009; n. 162 del 2007; n. 134 del 2006; n. 88 del 2003), salvo che
ricorrano ipotesi eccezionali (nella specie non sussistenti) in cui la determinazione dei livelli
essenziali delle prestazioni (LEP) «non permetta, da sola, di realizzare utilmente la finalità […]
di protezione delle situazioni di estrema debolezza della persona umana», tanto da legittimare lo
Stato a disporre in via diretta le prestazioni assistenziali, senza adottare forme di leale
collaborazione con le Regioni (sentenza n. 10 del 2010, a proposito della social card, ricondotta ai
LEP e messa in connessione con gli artt. 2 e 3, secondo comma, Cost.). Proprio in ragione di tale
impatto sulle competenze regionali, lo stesso legislatore statale, nel determinare i livelli essenziali
delle prestazioni sanitarie o di assistenza sociale, ha spesso predisposto strumenti di coinvolgimento
delle Regioni (nella forma dell’«intesa») a salvaguardia delle competenze di queste. Nella specie,
non è dubbio che la determinazione dell’ISEE, delle tipologie di prestazioni agevolate, delle soglie
reddituali di accesso alle prestazioni e, quindi, dei LIVEAS incide in modo significativo sulla
competenza residuale regionale in materia di «servizi sociali» e, almeno potenzialmente, sulle
finanze della Regione, che sopporta l’onere economico di tali servizi. È, dunque, evidente che la
suddetta determinazione dell’ISEE richiede la ricognizione delle situazioni locali e la valutazione
di sostenibilità finanziaria, tramite acquisizione di dati di cui gli enti erogatori delle prestazioni
dispongono in via prioritaria.
Sulla base di tali premesse (che, nel caso di specie, rinvenivano la necessità della leale

collaborazione Stato/Regione nell’attuazione dell’art. 5 cit.) deve leggersi il contesto
in cui è inserito l’art. 2 richiamato dai ricorrenti.
Tale norma deve essere interpretata sotto tale profilo, laddove prevede e “fa salve”
le competenze regionali in materia di formazione, programmazione e gestione delle
politiche sociali e socio-sanitarie e “le prerogative dei comuni”. La norma di cui a

tale art. 2, poi, specifica con attenzione che “…In relazione a tipologie di prestazioni che
per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono
In relazione a tipologie di prestazioni che
per la loro natura lo rendano necessario e ove non diversamente disciplinato in sede di definizione
dei livelli essenziali relativi alle medesime tipologie di prestazioni, gli enti erogatori possono

prevedere, accanto all’ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di

beneficiari, tenuto conto delle disposizioni regionali in materia e delle attribuzioni regionali
specificamente dettate in tema di servizi sociali e socio-sanitari. E’ comunque fatta salva la
valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare attraverso l’ISEE.”
Da ciò ne consegue che l’ISEE oggetto dell’art. 5 cit. è ben differenziato e
identificato nella sua sostanza ed è prevista per gli enti regolatori – nell’ambito della
ricognizione delle “situazioni locali” anche di ordine finanziario – solo la possibilità
di prevedere criteri “ulteriori” – e non integrativi – di selezione unicamente della
platea dei beneficiari e ciò in relazione alle attribuzioni regionali specificamente
previste in materia di assistenza socio-sanitaria, secondo il su ricordato riparto di cui
alla sentenza della Corte Costituzionale n. 297/12.
Non è, dunque, prevista alcuna elaborazione di criteri “paralleli” o “alternativi”
all’ISEE, come ritenuto dai ricorrenti, ma unicamente la possibilità di allargare la

platea dei beneficiari mediante criteri ulteriori, che non si sovrappongono o
sostituiscono l’ISEE, ma lo integrano secondo le attribuzioni regionali specifiche e
facendo comunque salva – come ribadito esplicitamente dal ricordato art. 2 – la
“valutazione della condizione economica complessiva del nucleo familiare
attraverso l’ISEE”, a conferma della circostanza per la quale è comunque l’ISEE il

nucleo valutativo imposto per determinare la condizione economica di riferimento.
Né è provato, comunque, che tali ulteriori criteri – ancora da adottare da parte degli
enti erogatori -siano già ora lesivi per i disabili rappresentati dai soggetti ricorrenti,
per cui emerge anche un profilo di carenza di interesse alla proposizione del motivo.

Infondato si palesa anche il quarto motivo di ricorso sulla circostanza di conteggiare
l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile
in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa
l’ISEE considerando l’intero nucleo familiare, anche in caso di ricovero del disabile
in strutture residenziali diurne o continuative.
Come evidenziato dal Consiglio di Stato (Sez. III, sent. 14.1.14, n. 99) la normativa

di riferimento “…individua l’insieme dei soggetti cui sono posti i doveri di

solidarietà e di assistenza verso il disabile, connessi ai restanti compiti propri del
nucleo familiare di appartenenza, dal momento che, come la Corte costituzionale ha
sottolineato nella sentenza n. 296 del 19.12.2012, la previsione di una
compartecipazione ai costi delle prestazioni di tipo residenziale, da parte dei
familiari, può costituire un incentivo indiretto che contribuisce a favorire la

permanenza dell’anziano presso il nucleo familiare ed è, comunque, espressiva di un

dovere di solidarietà che, prima ancora che sulla collettività, grava anzitutto sui

prossimi congiunti”.

Ebbene, in tal senso non si individua alcuna discriminazione nei confronti dei
disabili in quanto non risulta impedita nei confronti di costoro, se non
autosufficienti, l’accesso alle cure sanitarie, ai sensi degli artt. 32 e 38 Cost., in quanto
la disciplina in materia di ISEE comprende la componente sociale che non può

essere né scissa né oscurata da quella sanitaria, facendo di quest’ultima l’esclusivo

parametro di riferimento al quale ancorare, anche sul piano costituzionale, la
valutazione della normativa in materia (Cons. Stato, Sez. III, n. 99/14 cit.).
Né può invocarsi la violazione della Convenzione di New York del 13 dicembre
2006.
Sempre nella medesima sentenza n. 99/14 cit. il Consiglio di Stato, con
argomentazioni che il Collegio richiama facendole proprie, ha precisato che tale

Convenzione “…non esclude che alla relativa spesa partecipi, foss’anche per una
piccola frazione, pure l’assistito o chi per lui” (Cons. St., sez. III, 3.7.2013, n. 3574).
Né ciò comporta, ha osservato la Sezione, alcun vulnus alla dignità dell’assistito,

giacché la di lui situazione di intrinseca debolezza va salvaguardata anche, per
quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il
favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il
Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in
contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi
valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal
proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà
familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere
di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà
familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli
Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di
quanto sia possibile e secondo quanto afferma la stessa Corte costituzionale, con il
favorire la permanenza di questi presso il nucleo familiare. In ogni caso ritiene il
Collegio che la considerazione del reddito dei familiari ai fini ISEE non si ponga in
contrasto con il complessivo significato delle disposizioni della Convenzione di
New York del 13 dicembre 2006 e, in particolare, con gli artt. 3, 9 e 19, laddove essi
valorizzano la posizione individuale del disabile anche indipendentemente dal
proprio nucleo familiare. Al riguardo non può sottacersi che il dovere di solidarietà
familiare costituisce una ulteriore guarentigia, per il malato, che si affianca al dovere
di solidarietà sociale e che tale fondamentale e primario dovere di solidarietà
familiare si esprime anche nella considerazione, da parte dell’ordinamento dei singoli
Stati, del reddito dei parenti prossimi al fine di determinare la quota assistenziale di

compartecipazione dell’assistito al mantenimento presso una struttura
sociosanitaria. Tale è del resto l’orientamento del più recente legislatore nazionale
che, con l’art. 5 del d.l. 201/2011, convertito in l. 214/2011, ha previsto che, nel

fissare il nuovo indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), occorra
adottare una definizione di reddito disponibile che includa la percezione di somme,
anche se esenti da imposizione fiscale, e che tenga conto delle quote di patrimonio
e di reddito dei diversi componenti della famiglia nonché dei pesi dei carichi

familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico.”.
Non si rileva, infine, la violazione dell’art. 23 Cost, in quanto non risulta imposta

alcuna prestazione ma solo una rideterminazione della distribuzione sociale di
obblighi di solidarietà.
Gli argomenti di cui alla precedente trattazione portano anche a ritenere infondato
il quinto motivo di ricorso, in quanto il dovere di solidarietà familiare sopra
richiamato non può essere limitato ragionevolmente ai soli figli conviventi né pare
impossibile fornire la prova della deroga per estraneità del figlio in termini di

rapporti affettivi ed economici, visto l’esplicito richiamo alla pubblica autorità

competente e alla sede giurisdizionale, soggetti che operano in maniera idonea a
fornire ogni documentazione necessaria.
Per mera linearità espositiva, il Collegio ritiene di passare ad esaminare gli ulteriori

motivi di ricorso di cui riconosce l’infondatezza.

In particolare, per quel che riguarda il settimo motivo di ricorso, il Collegio ritiene
legittimo l’art. 5, comma 2, del d.p.c.m. impugnato laddove utilizza il valore catastale
IMU per valutare il patrimonio immobiliare.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri non ha potuto che tenere conto

dell’aggiornamento complessivo della normativa fiscale e catastale (quest’ultima in
via di definizione esecutiva) vigente nell’ordinamento. Risultano comunque dei
temperamenti, in ordine alla valutazione dei solo 2/3 dell’abitazione principale, nel
rispetto dell’impulso di cui all’art. 5 d.l. n. 201/2011 a valorizzare “in misura
maggiore” la componente patrimoniale, sia in Italia che all’estero, pur con
l’attenuazione dovuta dall’identificazione di agevolazioni fiscali.

La complessa simulazione contenuta nel ricorso, quindi, non può rilevare sotto il
profilo di cui al presente motivo, perché richiama l’intera situazione personale legata
all’applicazione del nuovo indice “ISEE” e non contiene una rivalutazione

proporzionale con la situazione precedente e il calcolo del patrimonio immobiliare
su base ICI, comunque non più in vigore e non più invocabile.
Parimenti infondato è l’ottavo motivo di ricorso.
Il dovere di solidarietà familiare sopra richiamato non può che essere interpretato
unitariamente, così che la compartecipazione al calcolo reddituale per coniugi e figli
conviventi deve essere uniforme. Ciò nel rispetto dell’art. 5 d.l. n. 201/2011 cit. che
impone di tenere conto dei pesi dei carichi familiari e ferma restando la facoltà, pure

sopra ricordata, di cui all’art. 2 d.p.c.m. cit. di consentire agli enti erogatori criteri
ulteriori di selezione accanto all’ISEE.

Infondato è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve
intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di
revisione e aggiornamento delle franchigie e detrazioni, sia su impulso della stessa
Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel
tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio
riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt.
3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale
è anche il nono motivo, in quanto l’esposizione normativa deve
intendersi allo stato attuale e non è prevista alcuna esclusione della possibilità di
revisione e aggiornamento delle franchigie e detrazioni, sia su impulso della stessa
Amministrazione che delle parti sociali interessate, al fine di renderle efficaci nel
tempo.
Premesso ciò, resta da esaminare il sesto motivo di ricorso, di cui il Collegio
riconosce invece la fondatezza.
Un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 5 d.l. cit. rispetto agli artt.
3, 32 e 38 Cost., ad opinione del Collegio, comporta che la disposizione la quale

prevede di “…adottare una definizione di reddito disponibile che includa la
percezione di somme, anche se esenti da imposizione fiscale…valorizzando in
misura maggiore la componente patrimoniale sita sia in Italia sia all’estero…” debba
essere nel senso per cui la volontà del legislatore coincideva con la necessità di
eliminare precedenti situazioni ove si rappresentavano privi di reddito soggetti in
realtà dotati di risorse, anche cospicue, ma non sottoponibili a dichiarazione IRPEF.

A tale scopo possono essere richiamati i redditi prodotti e tassati all’estero (ed ecco
il richiamo alla componente patrimoniale sita all’estero di cui all’art. 5 cit.), le

pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato estero (Città del Vaticano),
i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che
percepisce assegno di mantenimento di figli.
Più che da un risparmio di spesa, tale impostazione normativa era orientata a
rispettare un principio di uguaglianza e proporzionalità, ai fini del rispetto dell’art.
38 Cost., legato all’”emersione” di situazioni solo apparentemente equivalenti ad

assenza di reddito effettivo.
Il d.p.c.m., quindi, per non incorrere nella violazione di legge e nella ancor più diretta
violazione delle norme costituzionali sopra richiamate, avrebbe dovuto dare luogo
a disposizione orientate in tale senso, approfondendo le situazioni in questione ed

aprendo il ventaglio delle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini elle possibilità di sottoporre la componente di reddito ai fini

ISEE a situazioni di effettiva “ricchezza”.
Con la disposizione di cui all’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. cit., invece, la
Presidenza del Consiglio ha disposto che “Il reddito di ciascun componente il nucleo

familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti…f) trattamenti assistenziali, previdenziali

e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche,
laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo di cui alla lettera a);”, vale a dire nel

reddito complessivo IRPEF.

Ebbene, la genericità e ampiezza del richiamo a trattamenti “assistenziali,
previdenziali e indennitari” comporta indubbiamente che nella definizione di
“reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit. sono stati considerati tutti i proventi che
l’ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche

economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie.
Non è dato comprendere per quale ragione, nella nozione di “reddito”, che
dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla
componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti
riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle

situazioni di “disabilità”, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS

alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi
da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da
indennizzo ex ll. nn. 210/92 e 229/05.
Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono

costituire “reddito” in senso lato né possono essere comprensive della nozione di
“reddito disponibile” di cui all’art. 5 d.l. cit., che proprio ai fini di revisione dell’ISEE
e della tutela della “disabilità”, è stato adottato.
Né può convenirsi con l’osservazione secondo cui tale estensione della nozione di
“reddito disponibile” sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata

dall’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero
l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova
’introduzione nello stesso d.p.c.m. di deduzioni e detrazioni che ridurrebbero
l’indicatore in questione a vantaggio delle persone con disabilità nella nuova

disciplina.

Tale tesi non tiene conto dell’effettiva volontà del legislatore, costituzionalmente

orientata e tesa a riequilibrare situazioni di carenza fittizia di reddito e non ad

introdurre specifiche detrazioni e franchigie su un concetto di “reddito”

(impropriamente) allargato.
Non è dimostrato, in sostanza, che le compensazioni di cui allo stesso art. 4 d.p.c.m.
siano idonee a mitigare l’ampliamento della base di reddito disponibile introdotta né

che le stesse possano essere considerate equivalenti alla funzione sociale cui danno
luogo i trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a
qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche per situazioni di accertata

“disabilità”.

Alla luce di quanto detto, quindi, il d.p.c.m. impugnato si palesa illegittimo laddove

prevede al richiamato art. 4, comma 2, lett. f), una nozione di “reddito disponibile”
eccessivamente allargata e in discrepanza interpretativa con la “ratio” dell’art. 5 d.l.

cit.
L’Amministrazione dovrà quindi provvedere a rimodulare tale nozione valutando
attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale,
previdenziale e indennitario e orientandosi anche nell’esaminare situazione di

reddito esistente ma, per varie ragioni, non sottoposto a tassazione IRPEF.
Per quanto dedotto, quindi, il ricorso deve essere accolto solo in parte.
Le spese del giudizio possono eccezionalmente compensarsi per la novità della
fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi
di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla l’art. 4, comma 2, lett. f), d.p.c.m. n.
159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione. 159/2013 impugnato. Salve ulteriori determinazioni dell’Amministrazione.

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 novembre 2014 con
l’intervento dei magistrati:
Raffaello Sestini, Presidente FF
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/02/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Chiusura versione HTML Internet Banking MPS – Un grave disservizio per i clienti non vedenti a partire dal 24 Febbraio 2015, di Marina Zucconelli e Luigi Loglisci

Autore: Marina Zucconelli e Luigi Loglisci

Scriviamo queste brevi osservazioni, oltre che per nostro conto, anche a nome di diverse altre persone: clienti, dipendenti o ex dipendenti della Banca Monte dei Paschi di Siena, sia non vedenti, che ipovedenti.

Se altri, lette le nostre note, condivideranno quanto da noi evidenziato, ci auguriamo vorranno anch’essi scrivere, come abbiamo già fatto noi, al servizio reclami della banca, affinché chi di competenza abbia riscontri in numero tale da essere indotto a prendere nella debita considerazione le criticità da noi segnalate.

reclami@mps.it
sino ad ora sia gli ipovedenti che i ciechi assoluti
hanno sempre potuto usufruire senza difficoltà, del servizio Internet Banching di MPS, che a differenza di altre banche, ha sempre tenuto conto delle esigenze dei disabili visivi, mettendo a disposizione un sito perfettamente accessibile ed user friendly, in particolare per il servizio di Internet Banking il che ha consentito finora a noi tutti di svolgere in autonomia e senza particolari difficoltà la totalità delle operazioni disponibili per gli utilizzatori del servizio in parola.
Da un paio di anni circa, oltre alla versione tradizionale, in HTML, esiste anche la versione PasKey, che francamente, dopo qualche prova,
abbiamo preferito non utilizzare, riscontrandone da subito le criticità e difficoltà e potendo comunque continuare a usufruire della versione HTML, del tutto gestibile e perfettamente adatta alle nostre esigenze.

Ora sul sito MPS si viene avvisati da qualche tempo che dal 24 febbraio questa versione del servizio verrà chiusa.
abbiamo pertanto provato a cimentarci con la versione PAS key che a breve sarà la sola disponibile e ci siamo trovati davvero in grande difficoltà.
Probabilmente la scelta sarà dovuta a fattori estetici, in quanto la versione grafica sarà più accattivante e intuitiva per chi vede, ma meraviglia molto che non si sia pensato minimamente al disagio che questo stravolgimento comporta per chi non vede e si trova a fare i conti con una drastica riduzione della propria autonomia.
A maggior ragione ciò stupisce da parte di Banca Monte Paschi che è sempre stata la prima a farsi carico dei problemi e delle esigenze dei disabili.
Avendo una discreta esperienza come utilizzatori, ma non la competenza per descrivere dal punto di vista tecnico quali siano le difficoltà riscontrate, faremo degli esempi di situazioni appurate
da alcuni di noi, sia non vedenti che ipovedenti.
Volendo visualizzare la situazione del conto corrente, se con l’HTML ciò avveniva molto semplicemente e velocemente, in questo caso occorre impiegare parecchi minuti ed effettuare ripetutamente diversi tentativi per arrivare allo scopo e risulta poi impossibile salvare quanto visualizzato, cosa che, in precedenza, era, al contrario, molto agevole. sono stati altresì compiuti a più riprese,
Vari tentativi, finalizzati a vedere il saldo della propria carta prepagata, risultati inutili e chi ha provato alla fine ha dovuto desistere.
Come se ciò non bastasse, chi è intestatario di più conti correnti o anche della prepagata Spider che appare come ulteriore conto corrente, non riesce a
scegliere, ad esempio, su quale conto addebitare la ricarica di un cellulare.
Provando a scaricare i documenti online, si riesce apparentemente a farlo, anche se per arrivare al punto il cammino è parecchio tortuoso, ma alla fine i documenti salvati non si trovano più nè sul pc, nè fra quelli da consultare.
Altre operazioni più importanti, ovviamente, non si prova nemmeno a farle, nel timore, non avendo più il pieno controllo della situazione, di commettere errori dovuti non alla nostra imperizia, ma alla scarsa per non dire quasi nulla gestibilità ed usabilità di Pas Key con i nostri ausili assistivi.
Come si comprenderà per noi l’ideale sarebbe il mantenimento in parallelo di entrambe le piattaforme, ma se ciò davvero fosse impossibile, sarebbe almeno auspicabile una revisione di Pas Key con la consulenza di tecnici specializzati nell’accessibilità dei siti Internet, per persone disabili della vista.
A conclusione di questo breve scritto ribadiamo l’invito a quanti dovessero aver riscontrato le medesime criticità da noi esemplificate, a scrivere, onde dar maggiore forza e visibilità alle nostre istanze.

Isernia: Seminario-Giornata Studio “DAL BRAILLE TRADIZIONALE A QUELLO MULTIMEDIALE DELLE NUOVE TECNOLOGIE DIGITALI: tavoletta e Hi-tech a confronto”- Isernia 27 febbraio 2015, a cura dell’Uici Isernia

Autore: a cura dell'Uici Isernia

Si comunica che  in occasione dell’VIII Giornata nazionale del Braille l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus di Isernia organizza il Seminario-Giornata Studio dal titolo: “DAL BRAILLE TRADIZIONALE A QUELLO MULTIMEDIALE DELLE NUOVE TECNOLOGIE DIGITALI: tavoletta e hi-tech a confronto”.

Il Seminario -giornata studio si svolgerà presso l’Aula Magna dell’ITIS “E. Mattei”, Viale dei Pentri – 86170 ISERNIA, dalle ore 9.00 alle ore 13.00 del giorno 27 febbraio 2015.

Durante i lavori saranno consegnati i riconoscimenti al merito di chi si è particolarmente distinto per la vicinanza e il sostegno alla Dirigenza dell’UICI Onlus di Isernia.

Il Programma
– ore 9.00  registrazione dei partecipanti, saluto delle autorità e dei rappresentanti istituzionali dell’Associazione
– ore 9:30 Saluto e intervento del Presidente nazionale dell’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, Mario Barbuto
– ore 10:00 Avv. Paolo Colombo, Responsabile del Centro di documentazione giuridica Gianni Fucà: “Normativa di tutela del non vedente”
– ore 10:20 Prof. Marco Condidorio, presidente regionale UICI Onlus Molise e Direttore I.Ri.Fo.R. Onlus Molise : “Dal significato storico dell’invenzione di Louis Braille: l’approccio tiflologico e didattico del codice per i docenti di sostegno”
– ore 10:40  Dr.  Sabato De Rosa, Assistenza e Consulenza Ausili e Tecnologie Informatiche Servizio Tiflotecnico “Cavazza” , “Il Braille per e su dispositivi mobili”.
ore 11.00 Coffee break
– 11:20 Antonio Maggiore, Presidente della Cooperativa sociale “Centro italiano tiflotecnico” di Lecce: “Strumenti per l’autonomia e stampante braille”
– 11:40 Dr. Salvatore Romano, Componente della Direzione Nazionale UICI: “Gli Ausili e  Progetto Mercurio della Apple rivolto ai sordo-ciechi”
– 12: 00 Dr. Michele Corcio, vice presidente IAPB e Consigliere nazionale dell’UICI: “Attività riabilitativa per gli ipovedenti: realtà e problematicità”.
ore 12.20  Dibattito e  conclusioni
Si informano i partecipanti che in concomitanza al Seminario – Giornata Studio è allestita nei locali adiacenti alla Sala Convegni la mostra tiflo-tecnica e informatica dedicata agli ausili per l’autonomia delle persone in situazione di cecità assoluta e ipovisione.

Inoltre,  per chi lo richiede sarà possibile ritirare l’attestato di partecipazione per uso di certificazione e/o come richiesta  di crediti scolastici.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare la segreteria dell’Unione isernina ai seguenti recapiti: tel. 0865 415084 oppure scrivere a uici-isernia@legalmail.it.”