Centro di Documentazione Giuridica – La Giurisprudenza che fa discutere: Insidie stradali, l’ipovedente attraversa con la pioggia e cade nella buca? Il risarcimento è a metà. Per la cassazione, le condizioni climatiche avverse rendono responsabile il danneggiato al 50%, a cura di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Buca su marciapiede

Se il pedone ipovedente nonostante la pioggia decide di attraversare comunque la strada e cade in una buca, il risarcimento è a metà. Lo ha confermato la Cassazione, con la sentenza n. 18463/2015, rigettando il ricorso della sfortunata protagonista del sinistro, una signora ipovedente che cadeva rovinosamente a terra per via di una buca di notevoli dimensioni presente sull’asfalto su una strada del territorio comunale. 

La signora trascinava in giudizio il comune chiedendo il risarcimento dei danni per le lesioni riportate ai sensi dell’art. 2043 c.c., ma anche se dall’istruttoria era emersa la presenza di un’anomalia sulla sede stradale, tale da rappresentare un pericolo per gli utenti, il fatto che, nonostante le condizioni climatiche avverse, l’ipovedente avesse deciso di attraversare, fa diminuire il risarcimento al 50%. 

Per la terza sezione civile, infatti, è vero che da una parte c’era il comportamento colposo del comune che aveva omesso di rimuovere l’insidia, ma dall’altra assumeva rilievo la condotta imprudente della signora, la quale, benché ipovedente aveva comunque consapevolmente attraversato la strada, “pur non essendo in grado di avvistare tutti gli eventuali ostacoli presenti sul suo tragitto”. 

E a nulla rileva che la buca, come dichiarato dal CTU, fosse di grandi dimensioni, coperta d’acqua e non avvistabile neanche da una persona con normale visibilità, la responsabilità del sinistro, hanno deciso gli Ermellini, va equamente ripartita tra comune e pedone.

Avv. Paolo Colombo

 

 

 

Centro di Documentazione Giuridica – I decreti attuativi del Jobs Act e le novità per il collocamento mirato, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Luci ed ombre

Il decreto legislativo attuativo del Jobs Act (legge n. 218 del 10 dicembre 2014) del 4 settembre u.s.  ha rivisto la procedura del collocamento mirato apportando sensibili modifiche al sistema per l’ingresso al lavoro delle persone con disabilità.

Le aziende potranno assumere tramite chiamata nominativa e godranno degli  aumenti degli incentivi se assumono persone con disabilità.

Il decreto del 4 settembre 2015 dal titolo  “Disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità” ha previsto, infatti  la razionalizzazione e la semplificazione dell’inserimento mirato delle persone con disabilità, al fine di superare i problemi di funzionamento che la disciplina vigente evidenziava.

Esso inoltre ha introdotto la possibilità per i datori di lavoro privati di assumere i lavoratori con disabilità attraverso la richiesta nominativa, anche se non possono effettuare l’assunzione diretta, in quanto comunque potranno essere assunti solo i disabili inseriti in apposite liste.

Interessante è anche la norma che ha introdotto la possibilità di computare nella quota di riserva i lavoratori disabili che abbiano una riduzione della capacità lavorativa di una certa entità sebbene  non siano stati assunti tramite le procedure del collocamento mirato.

Saranno quindi  conteggiati nella quota di riserva obbligatoria i lavoratori con una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60%, se fisica, o al 45%, se psichica, anche se non sono stati assunti tramite il collocamento obbligatorio.

Vantaggiosa per i datori di lavoro è pure  la modifica alla procedura per la concessione dell’incentivo per le assunzioni dei disabili, con la previsione di una corresponsione diretta e immediata dell’incentivo al datore di lavoro da parte dell’INPS mediante conguaglio nelle denunce contributive mensili.

Inoltre, sono stati rafforzati gli incentivi per l’assunzione dei disabili intellettivi e psichici, prevedendo una durata  degli stessi più lunga (fino a 5 anni).

Per scoraggiare le aziende che non rispettano l’obbligo di assunzioni riservate, rimane il regime delle sanzioni pecuniarie (multa di € 62,77 al giorno per le aziende non in regola)

In un precedente articolo a commento dei dati diffusi nell’ultima relazione del Parlamento sulla legge 68 si segnalò di come il numero degli iscritti agli elenchi unici provinciali del collocamento obbligatorio nel 2013, fosse sensibilmente aumentato sebbene gli avviamenti al lavoro delle persone con disabilità pari a  18.295 unità, avesse segnato un nuovo minimo storico rispetto al precedente dato del 2009 che aveva segnalato un numero di avviamenti pari a 20.830.

Si spera che le nuove regole volte ad incentivare la chiamata nominativa rispetto alla chiamata numerica, che tuttavia resta, possa agevolare, facilitandolo,  l’inserimento lavorativo dei disabili.

Fino a questo momento l’assunzione di lavoratori disabili avveniva tramite chiamata nominativa per le aziende da 15 a 35 dipendenti, (quindi con obbligo di assumere una sola persona disabile), e chiamata numerica (l’azienda fa riferimento alle liste di collocamento dei Centri per l’impiego) per le aziende con 36 dipendenti o più.

Nel caso di aziende da 36 a 50 dipendenti, il primo lavoratore disabile obbligatorio poteva essere selezionato con chiamata nominativa, mentre il secondo con chiamata numerica.

A partire dall’entrata in vigore del decreto, tutte le assunzioni potranno essere fatte con chiamata nominativa.

Inoltre il decreto legislativo di semplificazione, attuativo del Jobs Act, prevede che dal 1° gennaio 2017 i datori di lavoro che occupano da 15 a 35 dipendenti sono tenuti in ogni caso ad avere alle loro dipendenze un lavoratore con disabilità.

L’obbligo per le aziende di assumere un lavoratore disabile, scatta ancora solo per le aziende che hanno almeno 15 dipendenti. Ma la novità si sostanzia nel fatto che, mentre prima l’obbligo partiva solo in caso di nuove assunzioni, ora il semplice fatto di avere dai 15 ai 35 dipendenti impone al datore di lavoro di avere alle proprie dipendenze lavoratori disabili, secondo le quote di categorie protette stabilite.

Tale previsione normativa  viene estesa anche ai partiti, ai sindacati e alle associazioni senza scopo di lucro.

Queste in sintesi le novità introdotte dal decreto attuativo del Jobs Act in materia di collocamento mirato.

Il decreto presenta comunque non solo luci ma anche ombre. Malgrado i dati positivi segnalati va detto che rimane, comunque, l’amarezza per la mancanza di unità nel mondo delle persone disabili e per la completa noncuranza da parte del governo nel recepire le osservazioni che il Parlamento e un po’ tutte le associazioni disabili,  chi più chi meno, avevano formulato per migliorare il testo.

Probabilmente il decreto produrrà qualche assunzione in più di lavoratori disabili, ma altamente probabile, malgrado il previsto rafforzamento degli incentivi per i datori di lavoro, sarà la discriminazione dei lavoratori disabili più gravi.

 

Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica – La scala condominiale può restringersi legittima l’installazione di un ascensore per disabile, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Sentenza n. 16486/2015, la II sez. Civile della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ribadisce il concetto di solidarietà condominiale che impone un contemperamento di interessi, tra cui anche quello dei disabili al superamento delle barriere architettoniche. Pertanto con la sentenza n. 16486/2015, la II sez. Civile della Corte di Cassazione, ha deciso in merito al ricorso presentato dal proprietario e dall’usufruttuario di unità immobiliari site in un condominio.
I ricorrenti avevano contestato il contenuto e la validità di una delibera dell’assemblea condominiale che aveva statuito “la costruzione di un ascensore nel vano scale, mediante taglio e riduzione della larghezza della scala condominiale” per agevolare un condomino disabile.
I ricorrenti, ritenevano che la costruzione dell’ascensore, considerata innovazione di cosa comune, doveva essere decisa con una maggioranza qualificata pari a 666,6 millesimi e dunque non poteva essere approvata con il voto favorevole di tanti condomini rappresentanti 608,33 millesimi e con il loro dissenso come in realtà avvenuto.
I ricorrenti avevano lamentato inoltre che, a seguito dell’intervento di costruzione dell’ascensore, la larghezza minima della scala sarebbe stata pari a 72 centimetri, rendendo di fatto l’opera inservibile non permettendo il passaggio di almeno due persone e mettendo a rischio, in caso di pericolo o evacuazione forzata dell’edificio, il deflusso delle persone e l’accesso dei soccorritori.
La Cassazione, nel respingere il ricorso, ha richiamato il corretto giudizio di merito espresso dalla Corte di Appello, evidenziando come in tema di condominio degli edifici, il concetto di inservibilità della cosa comune “non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità”.

I giudici richiamano, inoltre, il principio di solidarietà condominiale, che deve trovare applicazione nel giudizio circa la possibilità che l’installazione di un ascensore possa recare pregiudizio all’uso o al godimento delle parti comuni da parte dei singoli condomini: la coesistenza di più unita immobiliari in un unico fabbricato rende necessario un contemperamento degli interessi per consentire una pacifica convivenza, tra i quali deve includersi anche “quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati”.

Proprio sulla base di questi principi, rileva la Corte, nel caso di specie il provvedimento assembleare del condominio, riguardante l’installazione dell’ascensore, aveva tenuto conto delle esigenze di diversi condomini con disturbi alla deambulazione impossibilitati ad usare le scale, così come verificato da c.t.u. esperita in corso di causa, la quale aveva altre sì dimostrato la possibilità che le scale potessero venire efficacemente utilizzate senza problemi dai soccorritori, sia trasportando una sedia a rotelle che una barella, senza danni per l’infermo.
Pertanto, la Corte ha rigettato il ricorso liquidando le spese.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 maggio – 5 agosto 2015, n. 16486 Presidente Bucciante – Relatore Abete
Svolgimento del processo
S.G. , quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia minore, S.E. , nonché P.G. , rispettivamente usufruttuario e proprietario di unità immobiliari ricomprese nel condominio sito in (omissis) , proponevano impugnazione innanzi al tribunale di Chiavari avverso la delibera assunta in data 23.10.1999 dall’assemblea condominiale. Esponevano che con il voto favorevole di tanti condomini rappresentanti 608,33 millesimi e con il loro dissenso l’assemblea aveva deciso “la costruzione di un ascensore nel vano scale, mediante taglio e riduzione della larghezza della scala condominiale” (così sentenza d’appello, pag. 2). Esponevano ulteriormente che “la costruzione dell’ascensore era un’innovazione delle parti comuni che avrebbe potuto essere decisa con la maggioranza qualificata di 666,6 millesimi, prevista dall’art. 1136 5 comma c.c., ed inoltre che la riduzione della scala la rendeva inservibile o comunque ledeva il decoro architettonico” (così sentenza d’appello, pag. 2). Chiedevano pertanto che il tribunale invalidasse la delibera impugnata. Costituitosi, il condominio instava per il rigetto dell’esperita impugnazione. Deduceva che “la normativa sull’eliminazione delle barriere architettoniche permetteva di deliberare l’installazione” (così sentenza d’appello, pag. 2). Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 485/2002 il tribunale adito rigettava l’impugnazione e condannava in solido gli attori a rimborsare a controparte le spese di lite e a farsi carico delle spese di c.t.u.. Interponevano appello gli originari attori. Resisteva il condominio. Disposto ed espletato supplemento di c.t.u., con sentenza n. 366 del 16/24.3.2010 la corte d’appello di Genova rigettava il gravame e condannava in solido gli appellanti a rimborsare a controparte le spese del grado e a farsi carico delle spese di c.t.u.. Esplicitava la corte distrettuale che “l’installazione dell’ascensore, rientrando tra le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’art. 27 I comma della l. 118/1971 ed all’art. 1 primo comma del d.p.r. 384/1978, costituisce innovazione (…) ai sensi dell’art. 2 legge 13/89” (così sentenza d’appello, pag. 4). Esplicitava altresì che “la delibera impugnata (…) risulta presa con la maggioranza (…) prescritta dall’art. 2 della l. 13/89 di cui ai commi II e III dell’art. 1136 c.c.” (così sentenza d’appello, pag. 4); che “non può quindi configurarsi una violazione dell’art. 1120 c.c., poiché il detto art. 2 della l. 13/89 configura espressa deroga a tale norma, prevedendo le dette maggioranze anziché quella prevista dal quinto comma dell’art. 1136 c.c.” (così sentenza d’appello, pag. 4). Esplicitava ulteriormente che “dall’espletata c.t.u. è risultato che la larghezza della scala che rimane a disposizione per il transito è pari a 0,72 m., e consente il passaggio di una persona, non rendendo inutilizzabili le scale” (così sentenza d’appello, pag. 4); che “neppure è risultato alcun pregiudizio per alterazione del decoro architettonico” (così sentenza d’appello, pag. 5); che “l’art. 1120 II comma c.c. non prevede che debba derivare alcun vantaggio compensativo per taluno dei condomini, cui non giovi immediatamente e direttamente l’innovazione” (così sentenza d’appello, pag. 5); che “la prescrizione di larghezza minima della rampa di scale di m. 1,20 è applicabile nel caso di immobili di nuova costruzione, oppure di ristrutturazione di immobili, e cioè in casi diversi dalla fattispecie in esame” (così sentenza d’appello, pag. 5); che all’esito del supplemento di c.t.u. all’uopo disposto si era verificata l’insussistenza di qualsivoglia ostacolo all’eventuale passaggio di mezzi di soccorso. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso P.G. , S.G. ed S.E. ; ne hanno chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente provvedimento in tema di spese di lite. Il condominio di via (omissis) ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del grado di legittimità. I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il condominio di via (omissis) , del pari ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con l’unico motivo i ricorrenti deducono “violazione dell’art. 1120 II comma c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n 5 c.p.c.) circa un punto decisivo della controversia” (così ricorso, pag. 4). Adducono che “nel caso di specie la larghezza minima della scala sarebbe di 72 cm. (…), com’è pacifico” (così ricorso, pag. 5); che “è altrettanto pacifico (…) che una scala larga cm. 72 permetterebbe il passaggio di una sola persona, senza colli di dimensione anche minima” (così ricorso, pag. 5); che se è ragionevole supporre che “l’uso normale di una scala condominiale implica che sia possibile la discesa e la salita contemporanea di due persone, l’art. 1120 II comma c.c. non potrà che ritenersi violato” (così ricorso, pag. 6). Adducono, al contempo, che “la scala del condominio deve sempre e comunque permettere il contemporaneo deflusso delle persone e l’accesso dei soccorritori” (così ricorso, pag. 8); che “una scala di tal fatta è inservibile all’uso o al godimento perché non permette il normale accesso di condomini o visitatori che vogliano contemporaneamente entrare o uscire dalle abitazioni, ma anche per la sua pericolosità, visto il disagio che ne deriverebbe in caso di evacuazione forzata” (così ricorso, pag. 8). Il ricorso non merita seguito. Si rappresenta che con l’esperita impugnazione i ricorrenti sollecitano, sostanzialmente, questa Corte di legittimità a rivisitare il giudizio “di fatto” espresso nel caso di specie dalla corte di merito. Specificamente il giudizio formulato in relazione al limite – ex art. 1120, 2 co., c.c. – per cui l’innovazione non ha da rendere la parte comune dell’edificio inservibile all’uso ed al godimento anche di un sol condomino, limite che – tra gli altri – circoscrive la possibilità di deroga che l’art. 2 della legge n. 13/1989 prefigura in rapporto alle maggioranze per le innovazioni imposte dal combinato disposto degli artt. 1120, 1 co., e 1136, 5 co., c.c., nel senso cioè che l’innovazione ex art. 2 cit. può essere deliberata con le maggioranze meno gravose di cui ai co. 2 e 3 dell’art. 1136 c.c.. Propriamente il motivo involge gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c.. In tal guisa si risolve in una improponibile richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789), improponibile nei medesimi termini in cui questa Corte ebbe a reputare la richiesta sottesa alla propria pronuncia n. 12847/2007 che parte ricorrente cita a supporto della sua prospettazione (“la Corte di appello ha espresso un giudizio di merito incensurabile”, si legge testualmente nel corpo della motivazione della statuizione n. 12847/2008 di questa Corte). In ogni caso si rappresenta che l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte distrettuale risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente esaustivo e congruo sul piano logico – formale. In particolare si evidenzia che questa Corte di legittimità spiega quanto segue. Da un canto, che, in tema di condominio negli edifici, nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120, 2 co., c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità (cfr. Cass. 12.7.2011, n. 15308). Dall’altro, che in sede di verifica, ex art. 1120, 2 co., c.c., circa l’attitudine dell’opera di installazione di un ascensore a recar pregiudizio all’uso o godimento delle parti comuni da parte dei singoli condomini, è necessario tenere conto del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati (cfr. Cass. 15.10.2012, n. 18334). In questo quadro devesi rimarcare che la corte genovese ha fatto luogo a talune debite e concludenti puntualizzazioni. Per un verso, ha dato atto che all’esito del supplemento di c.t.u. appositamente disposto si è acclarato che “una sedia a rotelle, con accompagnatore, potrebbe essere introdotta nell’ascensore; che una sedia a rotelle potrebbe anche essere trasportata lungo le scale; che una lettiga – barella potrebbe essere trasportata, senza danno per l’infermo, lungo le scale” (così sentenza d’appello, pagg. 5-6). Per altro verso, ha dato atto che “dalle informazioni assunte dal c.t.u. è risultato che nello stabile vivano: condomini con disturbi alla deambulazione; una signora avanti con gli anni che non può utilizzare il proprio appartamento all’ultimo piano, non potendo fare le scale; un condomino infartuato con protesi tutoria; una signora di anni 90 impossibilitata ad uscire per l’impossibilità di usare le scale” (così sentenza d’appello, pag. 4). Il rigetto del ricorso giustifica la solidale condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al condominio controricorrente la somma di Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

Centro di Documentazione Giuridica – Agevolazioni fiscali quando l’erede o il donatario è disabile, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

In questi ultimi anni le leggi emanate in materia tributaria si sono dimostrate sempre più sensibili ai problemi dei disabili, ampliando e razionalizzando le agevolazioni fiscali per loro previste.
Infatti anche se con la legge n. 286 del 2006 (di conversione del decreto legge n. 262 del 2006) e la legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), sono state reintrodotte l’imposta sulle successioni e sulle donazioni se il beneficiario è una persona portatrice di handicap.
È noto che le persone che ricevono in eredità o in donazione beni immobili e diritti reali immobiliari devono versare l’imposta di successione e donazione.
Per il calcolo dell’imposta sono previste aliquote differenti, a seconda del grado di parentela intercorrente tra la persona deceduta e l’erede (o il donante e il donatario).
La normativa tributaria riconosce però un trattamento agevolato quando a beneficiare del trasferimento è una persona portatrice di handicap grave, riconosciuto tale ai sensi della legge n. 104 del 1992, indipendentemente dal vincolo di parentela.
In questi casi, infatti, è previsto che l’imposta dovuta dall’erede, o dal beneficiario della donazione, si applichi solo sulla parte della quota ereditata (o donata) che supera l’importo di 1.500.000 euro.
Le donazioni a favore di disabili
Anche se la donazione è “gratuita” non è comunque priva di costi, che variano a seconda del grado di parentela tra donatario e donante; sono infatti previste delle franchigie (soglie che se non superate non prevedono alcun costo) e aliquote diverse che rendono tassabili le parti donate che superano il loro valore.
La tassa è a carico del donatario, cioè di colui che riceve la donazione, e segue la tabella sulle successioni: 1. Moglie, figli e discendenti in linea retta: Aliquota 4% e franchigia sino a 1.000.000 euro 2. Fratelli e sorelle: Aliquota 6% franchigia 100.000 3. Parenti fino al 4°: Aliquota 6% senza franchigia 4. Tutti gli altri: Aliquota 8% senza franchigia.
Il trattamento fiscale delle donazioni dipende quindi dal rapporto di parentela intercorrente tra il donante e il beneficiario e dal valore della donazione.
Solo se la donazione è verso soggetti portatori di handicap, riconosciuti in base alla L. 104 del 1992, anche senza vincolo di parentela, la franchigia sale a 1.500.000 un milione e mezzo di euro al disotto della quale, in caso di prima casa, non sarà dovuta alcuna imposta di donazione e le imposte di trascrizione e catastali resteranno fisse a 168 euro. Nel caso di immobili diversi dalla prima casa invece l’imposta diventa proporzionale con una aliquota del 4%.

Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica – Il contrassegno europeo sarà disponibile dal 15 settembre 2015, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

A partire dal prossimo 15 settembre sarà a disposizione, anche in Italia, il nuovo “tagliando europeo”. Esso sarà di colore azzurro e sostituirà quello vecchio di colore arancione.
Il contrassegno europeo è stato introdotto dalla raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea n° 98/376/CE del 4 giugno 1998, alla quale anche il nostro paese si è adeguato con il Decreto del Presidente della Repubblica n.151 del 30 luglio 2012. che ha modificato anche gli articoli di riferimento del nostro C.d.S.
Il nuovo pass consentirà a un disabile italiano, che ha diritto a particolari agevolazioni nel paese in cui risiede, di godere dei benefici offerti ai disabili anche negli altri paesi dell’Ue in cui si sposta. Esso sarà plastificato e presenterà il simbolo internazionale di accessibilità bianco su fondo blu; inoltre per la prima volta, saranno inserite, sul suo retro per tutelarne la privacy, anche le foto e le firme degli aventi diritto.
La sua validità sarà quinquennale, a meno che non sia a tempo determinato per invalidità temporanea del richiedente e dovrà essere esposto, in originale, nella parte anteriore del veicolo, in modo che sia chiaramente visibile per eventuali controlli.
Il nuovo contrassegno europeo di parcheggio per disabili, azzurro, così come quello italiano (arancione) prima rilasciato, è strettamente personale e non cedibile, non è vincolato ad uno specifico veicolo e consente varie agevolazioni, sia per quanto riguarda la sosta sia per la circolazione
Esso faciliterà notevolmente la libera circolazione e l’autonomia dei disabili nell’Unione Europea e consentirà alle persone con deambulazione sensibilmente ridotta e ai non vedenti di poter parcheggiare la propria automobile in appositi spazi dedicati ai disabili e di accedere a zone della città europee generalmente vietate al traffico.

Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica – La riforma della Pubblica Amministrazione riceve l’ok definitivo. Ecco i punti principali, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Il Senato ha approvato martedì 4 agosto u.s. il DDL in materia di riforma della P.A,. Tra le misure approvate, cui segue un breve excursus, se ne evidenziano due di rilievo per la tutela e l’inserimento lavorativo dei disabili.
Consulta per i lavoratori disabili
Le pubbliche amministrazioni con più di 200 dipendenti dovranno nominare un responsabile dei processi di inserimento per le persone in stato di disabilità al fine di garantire una maggiore integrazione nell’ambiente di lavoro e la garanzia del diritto all’accomodamento.
L’emendamento approvato stato sostenuto fortemente dalla deputata Pd, Chiara Gribaudo.
La Consulta per i lavoratori disabili sarà un utile strumento per l’inclusione lavorativa dei disabili grazie ai piani di azione mirati, che coinvolgeranno attivamente le amministrazioni pubbliche, i sindacati e le associazioni di categoria.
L’introduzione della Consulta riveste notevole importanza e si pone quale strumento compensativo ai decreti attuativi del Jobs Act che modificano la legge sul collocamento obbligatorio.
Obbligo annuale di trasmissione per le P.A. delle “scoperture” dei posti riservati ai lavoratori disabili
Le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo annuale di trasmettere al Governo e al centro per l’impiego territorialmente competente, le “scoperture” dei posti riservati ai lavoratori disabili per legge. Tale dichiarazione, inoltre, dovrà essere integrata da un preciso impegno relativo ai tempi e alle modalità di copertura della quota di riserva per i disabili prevista dalla normativa vigente, nel rispetto dei vincoli normativi assunzionali.
Si spera che tale misura sia utile a frenare il mancato rispetto della normativa a tutela delle assunzioni dei disabili nelle amministrazioni pubbliche. Spesso le P.A. non hanno chiara indicazione dei posti disponibili. In caso di mancato invio della dichiarazione o di mancato avviamento dei lavoratori segnalati da parte del centro per l’impiego territorialmente competente si prevedono ora “adeguate sanzioni” a carico dei responsabili nelle amministrazioni pubbliche.
LICENZIAMENTI Quando scatta un’azione disciplinare non si potrà più concludere tutto con un nulla di fatto, la pratica dovrà essere portata a termine senza escludere il licenziamento. Quanto alla diatriba sull’articolo 18, la reintegra resterebbe.
NUMERO UNICO PER EMERGENZE Basterà chiamare il 112 per chiedere aiuto in ogni circostanza. L’idea è quella di realizzare centrali in ambito regionale che, raccogliendo la richiesta, siano in grado di smistarla al servizio interessato.
LIBRETTO CIRCOLAZIONE AUTO. Si apre al trasferimento del Pubblico registro automobilistico (Pra), retto dall’Aci, al ministero dei Trasporti, a cui fa capo la Motorizzazione. Un’unica banca dati per la circolazione e la proprietà, con un solo libretto.
CONCORSI P.A. Nelle prove non mancherà mai un test sull’inglese.
VOTO MINIMO LAUREA Non ci sarà più una soglia sotto la quale si è fuori dalle selezioni pubbliche. L’obiettivo è dare più importanza alla valutazione in sede di concorso..
PAGAMENTI bollette I pagamenti verso la P.A, come bollette e multe, potranno avvenire anche ricorrendo al credito telefonico (ricaricabili o abbonamenti) purché si tratti di micro-somme (presumibilmente sotto 50euro). Il versamento potrà quindi essere eseguito con un semplice sms.
SCOMPARE FORESTALE – RIORDINO FORZE.
Il ddl pone le basi per l’assorbimento della Forestale in un’altra forza (con tutta probabilità i Carabinieri), così da portare i corpi da 5 a 4. Si prevede inoltre un riordino di tutte le forze. STRETTA SU DIRIGENZA.
Anche i capi diventano licenziabili se valutati negativamente. Ma pur di non essere mandati a casa potranno optare per il dimensionamento. Gli incarichi non saranno più a vita (4+2 anni) e scatta la revoca in caso di condanna della Corte dei Conti. A proposito è stato aggiunto un intero articolo dedicato al processo contabile.
TUTTI I DIRIGENTI IN UN UNICO BACINO
E’ previsto un solo ruolo (seppure diviso su tre livelli: statale, regionale, locale) senza più distinzione tra prima e seconda fascia. Si va verso una quota unica (intorno al 10%) per l’accesso di esterni. La figura del segretario comunale è superata.
SU ASSENZE MALATTIA POTERI ALL’INPS
Niente più finti malati. Per centrare l’obiettivo le funzioni di controllo e le relative risorse passano dalle Asl all’Inps. Vengono poi posti dei paletti per il precariato. C’è anche un passaggio per favorire la staffetta generazionale, ma a costo zero.
MAGLIE PIU’ LARGHE PER PENSIONATI P.A.
Il tetto di un anno vale solo per i ruoli direttivi. Le altre cariche sono comunque consentite, ma resta il vincolo della gratuità.
SCURE SU PARTECIPATE
Verranno ridotte e si prevede un numero massimo di ‘rossi’ dopo cui c’è la liquidazione, possibile anche il al commissariamento. Si prevede il dimezzamento delle camere di commercio.
SFORBICIATA SU PREFETTURE
Si va verso un taglio netto che potrebbe portare anche a un dimezzamento, quel che ne rimarrà andrà a finire nell’Ufficio territoriale dello Stato, punto di contatto unico tra P.A. periferica e cittadini. Si farà piazza pulita degli uffici doppioni tra ministeri e Authority. Si tratta di interventi di Spending Review che si ritrovano anche nella riduzione alla spesa per intercettazioni.
PRATICHE DIMEZZATE PER GRANDI OPERE
Un ‘taglia burocrazia’, al fine di semplificare ed accelerare, fino al dimezzamento dei tempi, le operazioni in caso di rilevanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale. Scatta la possibilità di attribuire poteri sostituitivi al premier.
SILENZIO ASSENSO TRA AMMINISTRAZIONI
In caso di contese tra amministrazioni centrali su nulla osta e altri concerti sarà il premier a decidere, dopo un passaggio in Cdm. E’ fissato anche un tetto per ottenere il sì: massimo 30 giorni, che diventano 90 in materia di ambiente, cultura e sanità. Sulla stessa linea le misure per sbloccare la conferenza dei servizi.
GHIGLIOTTINA SUI DECRETI
Una forbice che mira a sbrogliare la matassa di rinvii a provvedimenti attuativi. Tutto passa per una delega al Governo, chiamato a fare una cernita sugli ultimi tre anni (esclusi i dlgs).
POTERI A PALAZZO CHIGI
Verranno precisate le funzioni di palazzo Chigi per il mantenimento dell’unità di indirizzo. Un rafforzamento della collegialità che si ritrova anche nelle nomine di competenza, in modo che le scelte passino per il Cdm. La delega riguarda pure la definizione delle competenze in materia di vigilanza sulle agenzie fiscali (come le Entrate).
UNO STATUTO E UN NUOVO CAPO PER P.A. DIGITALE.
Arriva la ‘carta della cittadinanza digitale’, con il Governo delegato a definire il livello minimo di qualità dei servizi online. A guidare la svolta digitale ci penserà un dirigente ad hoc.

FREEDOM OF INFORMATION ACT ITALIANO
Tutti avranno il diritto di accedere, anche via web, a documenti e dati della P.A. Si spalancano gli archivi pubblici, ma restano dei limiti.

Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica – La riforma della scuola e la disabilità, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

*****
Dopo la firma del Presidente della Repubblica è arrivato in Gazzetta Ufficiale il testo di riforma della scuola.
La legge n.107 del 13 luglio 2015 è stata pubblicata infatti il 15 luglio u.s. e la “Buona Scuola” è diventata ufficialmente legge.
Partirà, il piano di assunzioni, il potenziamento dell’autonomia, l’aumento di responsabilità per i dirigenti scolastici, mentre con i decreti attuativi da emanare si attuerà il nuovo sistema di formazione e di reclutamento dei docenti nonché nuove regole saranno definite per il diritto allo studio e la qualità dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità.
Fondamentali sono i comma 180 e 181 della legge, con i quali il Parlamento delega l’esecutivo a legiferare individuandone i contenuti e le materie.
Anche per quanto attiene alla disabilità, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della legge (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti) il Governo dovrà definire i punti previsti dal comma 181 e attuare la «promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione».
Importante sarà la ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno “al fine di favorire l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, anche attraverso l’istituzione di appositi percorsi di formazione universitaria”. L’insegnante di sostegno avrà una maggiore e più specifica qualificazione e il riconoscimento del suo ruolo sarà tutt’altro che marginale.
Infatti a decorrere dal prossimo concorso pubblico per ciascuna classe di concorso o tipologia di posto possano accedere alle procedure concorsuali per titoli ed esami, esclusivamente i candidati in possesso del relativo titolo di abilitazione all’insegnamento; inoltre per i posti di sostegno per la scuola dell’infanzia, per la scuola primaria e per la scuola secondaria di primo e di secondo grado, sarà bandito apposito concorso riservato solo i candidati in possesso del relativo titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità.
Il Governo dovrà inoltre intervenire anche per garantire la continuità del diritto allo studio consentendo allo studente disabile di fruire dello stesso insegnante di sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione. Ciò sarà possibile introducendo un vincolo che impedisca il passaggio ad altre classi di insegnamento dopo essere entrati in ruolo come insegnanti di sostegno.
Altro punto di rilievo per gli allievi disabili è quello con cui si prevede un intervento normativo del governo affinché sia effettivamente garantita l’istruzione domiciliare per gli alunni “che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 12, comma 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.”. Vale a dire per quei minori con disabilità “temporaneamente impediti per motivi di salute a frequentare la scuola, sono comunque garantite l’educazione e l’istruzione scolastica.”
Interessante è anche la previsione contenuta al comma 24 con cui si è sottolineato come “l’insegnamento delle materie scolastiche agli studenti con disabilità è assicurato anche attraverso il riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione” (senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica).
Inoltre la legge autorizza il dirigente scolastico, nell’ambito dell’organico dell’autonomia assegnato e delle risorse, anche logistiche disponibili, a ridurre il numero di alunni per classe rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente (DPR 20 marzo 2009, n. 81) per migliorare la qualità didattica anche in rapporto alle esigenze formative degli alunni con disabilità.
Si spera che tale previsione venga concretamente attuata al fine di evitare il dilagante fenomeno delle cd. classi pollaio.
Tutte le disposizioni approvate relative alla disabilità si pongono sullo stesso solco della proposta di legge (giacente alla Camera con numero A.C. 2444) promossa dalle Federazioni delle associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari.
Si auspica pertanto che tale atto possa ottenere per effetto dell’emanata riforma nuovo impulso per l’approvazione definitiva o quanto meno confluire nei correlati decreti legislativi di attuazione.
Le disposizioni della Proposta come le commentate norme della “Buona Scuola” tendono a favorire la continuità didattica, oggi frenata dal diffuso precariato, creando degli appositi ruoli per i docenti per il sostegno, prevedono anche l’obbligo di riduzione del numero di alunni per classe e del numero di alunni con disabilità nella stessa classe, nonché l’obbligo di formazione iniziale e in servizio dei docenti sulle didattiche inclusive, cioè quelle che consentono davvero di migliorare l’efficacia didattica nei confronti delle persone con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali (BES).
In merito poi ai docenti disabili coinvolti nel piano assunzione previsto dalla riforma, in attesa che venga formulato il parere già richiesto al Miur relativamente all’applicazione a livello nazionale delle riserve dei posti (es. legge 68 del 1999 e legge 407 del 1998) si ritiene che comunque valga e prevalga la normativa speciale sulla legge 107 del 2015.
Pertanto conservano valore gli art.21 e 33 della legge 104 (scelta della sede e rifiuto del trasferimento), nonché l’art.61 comma 3 della legge 270 del 1982 che prevede “nei concorsi a cattedra il 2% dei posti messi a concorso, e comunque non meno di due posti, è riservato ai concorrenti non vedenti, salvo diverse disposizioni di maggior favore previste da leggi speciali”.

Paolo Colombo

Centro Documentazione Giuridica – Il minore disabile a cui non sono garantite le ore di sostegno non ha diritto al risarcimento del danno se non ne fornisce la prova, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Il Consiglio di Stato ritorna ad occuparsi delle ore di sostegno per gli allievi disabili e con sentenza della VI Sezione n. 3400 dell’ 8 luglio 2015 annulla la condanna al risarcimento del danno a carico di una scuola media in favore di un allievo disabile che non aveva avuto nel corso dell’anno scolastico le ore di sostegno previste.
Il motivo della decisione si fonda sul presupposto che il danno dubito dall’allievo disabile non è stato provato con le opportune allegazioni probatorie.
Il consiglio di Sato rifacendosi a consolidati principi della Cassazione civile in ordine al riparto dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.), ha quindi sostenuto che il danno va comunque provato da colui che ne chiede il risarcimento.
Diciamo che fin qui nulla di strano, sebbene il Tar in primo grado avesse , pur in difetto di specifica allegazione da parte dei genitori ricorrenti, ritenuto il danno in re ipsa e condannato l’Amministrazione al pagamento di € 5000,00 a favore della famiglia del ragazzo disabile.
Occorre invece segnalare che l’aspetto interessante della sentenza è dato dalla motivazione laddove la Corte arriva a sostenere che “ il diritto particolare all’assistenza scolastica non è un diritto incondizionato (dovendo coniugarsi e essere posto in giusta e ragionevole proporzione con le esigenze generali rivenienti dalla limitatezza delle risorse finanziarie degli istituti scolastici”.
Definire il diritto all’assistenza scolastica degli allievi disabili come un diritto non incondizionato è cosa gravissima. È a dire poco sconcertante porre in conflitto il principio di parità del bilancio elevandolo a principio di rango costituzionale e porlo in contrasto con altri principi contenuti nella Carta delle Leggi, quali il diritto allo studio e alla salute.
In buona sostanza ancora una volta le ragioni economiche prevalgono sui diritti costituzionali e in particolare dei più deboli.

Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica – Per gli alunni disabili si auspica l’intervento del governo per garantire l’assistenza

L’anno scolastico si è appena concluso e si pone nuovamente il problema delle competenze economiche per l’assistenza scolastica degli studenti disabili.
La legge n.56 del 2014 aveva assegnato alle regioni il compito di deliberare entro il 31 dicembre 2015 a chi dovessero essere attribuite le competenze, sottratte alle province in materia di assistenza scolastica dei disabili. Ad oggi pochissime regioni hanno deliberato in proposito e quante lo hanno fatto non hanno comunque individuato con chiarezza il destinatario di tali competenze tra regioni, città metropolitane, consorzi di comuni, singoli comuni.
Inoltre il budget economico a disposizione risulta inferiore rispetto a quello attribuito negli anni passati alle province.
L’assistenza scolastica dei disabili è un elemento fondante del processo inclusivo che le scuole statali devono garantire e la confusione in merito alla mancata assegnazione di competenze sul personale scolastico che si occupa degli alunni con disabilità, all’incertezza del servizio di trasporto gratuito a scuola e all’eliminazione delle barriere architettoniche ancora presenti in molte scuole induce a temere una vera e propria interruzione di pubblico servizio in quelle regioni dove le giunte regionali (entro il 30 giugno u.s.) non hanno provveduto a decidere e a stanziare i fondi necessari.
Anche quest’estate si avvertono dunque gli effetti della legge Delrio e le famiglie dei disabili andranno in vacanza senza sapere chi assisterà a scuola i loro figli.
Le associazioni di categoria preannunciano interventi incisivi, se entro fine agosto le giunte regionali non avranno preso decisioni a riguardo e stanziato i fondi necessari per garantire l’assistenza scolastica agli studenti disabili, nei loro riguardi sarà possibile non solo la denuncia per interruzione di pubblico servizio ma, sarà chiamato in causa anche il governo affinché si avvalga, ai sensi dell’art. 120 cost. dei poteri di intervento sostitutivo nei confronti delle regioni inadempienti dal momento che il diritto al trasporto scolastico, all’assistenza scolastica ed all’eliminazione delle barriere architettoniche la Corte Costituzionale ha considerato livelli essenziali relativi alle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica – La disciplina della firma del non vedente tra presente e futuro, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

La Legge 3 febbraio 1975, n.18, stabilisce che la firma apposta su qualsiasi atto, senza alcuna assistenza, dalla persona affetta da cecità, è vincolante ai fini delle obbligazioni e delle responsabilità connesse.
Tuttavia, il non vedente ha la facoltà di farsi assistere durante la sottoscrizione da altra persona cui egli accordi la necessaria fiducia, oppure di fare redigere a questa l’atto medesimo.
La persona che presta assistenza nel compimento di un atto deve apporre su di esso, dopo la firma del cieco, la propria, premettendo a essa le parole ‘’ il testimone’’; la persona che partecipa, invece, alla redazione dell’atto deve apporre su di esso, dopo la firma del cieco, la propria, premettendo le parole ‘’ partecipante alla redazione dell’atto’’.
Quando la persona affetta da cecità non è in grado di apporre la firma, effettua la sottoscrizione con un segno di croce; se non può sottoscrivere neppure con il segno di croce, ne è fatta menzione sul documento con la formula ‘’impossibilitato a sottoscrivere’’.
In entrambi i casi, il documento è perfezionato con l’intervento e la sottoscrizione di due persone designate dal non vedente e di sua fiducia.
Alla luce della vigente normativa il non vedente in quanto persona pienamente capace di agire può sottoscrivere atti privati in autonomia, l’unica eccezione è riconosciuta per quanti sono in possesso di una carta di identità con la dicitura “impossibilitato” alla voce firma del titolare. Per loro anche quegli atti libera espressione dell’autonomia negoziale si perfezionano necessariamente con l’intervento e la sottoscrizione di due persone in qualità di testimoni.
In questo caso la firma dell’atto si sostanzierà nel cd. crocesegno. Dunque il cieco o l’ipovedente che non sappia apporre la propria sottoscrizione se non con il crocesegno, può validamente apporlo su qualsiasi atto, in quanto egli è perfettamente capace di agire, ma dovrà crocesegnare in presenza di due testimoni.
Le disposizioni della legge 18 del 1975 si applicano esclusivamente alle scritture private, restando esclusi gli atti pubblici, che per la loro natura devono essere redatti dal pubblico ufficiale.
In tali casi i disabili visivi devono necessariamente essere assistiti da due testimoni, tale circostanza è resa obbligatoria dall’art. 48 della legge notarile del 1933, la cui abrogazione non è intervenuta malgrado il successivo intervento del legislatore operato dalla legge n. 18 del 1975.
In particolare, qualora un cieco sia parte nella formazione di un atto notarile è necessaria la presenza dei due testimoni come disposto dall’art. 48 della legge n. 89 del 1913 (Legge notarile) e non anche quella degli assistenti.
Tanto è vero ciò che il notaio, al fine di evitare qualsiasi ipotetico profilo di responsabilità, da’ espressamente menzione nell’atto del fatto che il cieco rinuncia ad avvalersi degli assistenti previsti dalla legge n.18/1975.
D’altra parte, quando si verte in tema di atto pubblico, la natura dello stesso, rende l’intervento e la firma degli ausiliari privi di qualsiasi funzione, pratica o giuridica.
Quanto sopra trova costante conferma nella Giurisprudenza sia di merito che di legittimità.
Il convincimento espresso si fonda, non solo sull’interpretazione letterale dell’art. 48 della legge n. 89 del 1913 (Legge notarile) così come riformato dal comma 1 dell’art. 12 della legge 28 novembre 2005 n. 246 (“oltre che in altri casi previsti per legge, è necessaria la presenza di due testimoni per gli atti di donazione, per le convenzioni matrimoniali e le loro modificazioni e per le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni nonché qualora anche una sola delle parti non sappia o non possa leggere e scrivere ovvero una parte o il notaio ne richieda la presenza. Il notaio deve fare espressa menzione della presenza dei testimoni in principio dell’atto.”) e s.m.e i., ma soprattutto sull’interpretazione logica del combinato della normativa in parola che rende incompatibile con la natura e la struttura dell’atto pubblico la disposizione di cui all’art. 4 della legge n. 18 del 1975 (cfr. Cass. Civ. n. 15326 del 2001: “è incompatibile con la natura e con la struttura dell’atto pubblico la disposizione di cui all’art. 4 della legge n. 18 del 1975 in tema di assistenza a persona non vedente nella partecipazione ad atti documentali, potendo riguardare l’intervento e la firma dei due ausiliari del cieco (previsti dal secondo comma della norma in parola) la sola scrittura privata; pertanto, la validità dell’atto pubblico va valutata con riferimento all’art. 51, n. 10, della legge notarile n. 89 del 1913 il quale stabilisce che il requisito formale (previsto a pena di nullità) della sottoscrizione della parte può venir meno solo nel caso di impossibilità (e non, come nella specie, di difficoltà) a sottoscrivere”; Trib. Napoli sent. 22.06.2000: “è esclusa l’applicabilità agli atti pubblici della l. 3 novembre 1975 n. 18 (provvedimenti a favore dei ciechi). Infatti, l’intervento e la firma dei due ausiliari ivi previsto non riveste, in atto proveniente da notaio, alcuna funzione, pratica o giuridica. Compito proprio degli stessi, difatti, è di agevolare il cieco nella redazione del documento, mentre in materia di atti pubblici è solo ed esclusivamente il notaio a poter indagare sulla volontà negoziale delle parti (ed il cieco è parte), darne conto e riprodurla in atto, nonché far menzione, corredandola dei motivi, dell’impossibilità per il cieco di sottoscrivere”.
Inoltre va detto che oggi le nuove tecnologie consentono ai disabili visivi di creare un testo e di sottoscriverlo senza la mediazione di terzi, tuttavia la sottoscrizione dei contratti, delle istanze rivolte alla pubblica amministrazione, dei documenti in generale, nonché il controllo della sottoscrizione autografa di terzi, costituiscono ancora insuperabili ostacoli che limitano concretamente la loro autonomia che potrà rafforzarsi solo grazie a ulteriori e normativi innovativi.
Attualmente è all’esame della Camera dei deputati la proposta di legge n. n. 2941 “Disposizioni per il riconoscimento della firma mediante apposizione dell’impronta digitale per le persone affette da disabilità motoria che, a causa di infermità gravemente invalidanti, non possono avvalersi dell’uso delle mani”.
In merito a tale proposta di legge l’UICI si sta prodigando con un intervento volto ad aggiungere nel titolo della proposta Disposizioni per il riconoscimento della firma mediante apposizione…….mani l’inciso: o mediante firma digitale per i ciechi ed ipovedenti;
nonché all’art. 1 l’introduzione di un secondo comma, con la seguente previsione: “altresì le persone cieche ed ipovedenti possono apporre la propria firma digitale ai contratto e agli atti notarili. Pertanto viene abrogato l’art.48 della legge notarile.
Ove la proposta venisse approvata con la possibile estensione delle norme in essa contenute anche ai non vedenti si potrebbe finalmente realizzare quella piena autonomia contrattuale per i non vedenti che attualmente è soffocata dall’obbligo per la stipula di atti pubblici di due testimoni.
L’uso della firma digitale, infatti, esclude possibili contraffazioni della firma e darebbe la possibilità anche a quei non vedenti che presentano l’annotazione sulla propria carta di identità “impossibilitato alla firma” una partecipazione diretta alla stesura dell’atto.
Si attendono inoltre anche i positivi esiti di un intervento di modifica al Decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 110 in materia di ammodernamento dell’Ordinamento del Notariato, volto a prevedere l’obbligatorietà per i notai di redigere e di rogare atti pubblici o di autenticare scritture private con modalità e in formato elettronico, ove tra le parti vi sia un non vedente.
Attualmente, infatti, per effetto del decreto n.110/2010 i comparenti hanno facoltà di scegliere e di richiedere al notaio di stipulare l’atto negoziale di proprio interesse con le forme dell’atto notarile in formato elettronico al posto di quello cartaceo solo su richiesta e conseguente consenso di tutte le parti interessate (comparenti e notaio).

Paolo Colombo