Verso il centenario, di Massimo Vita

Pensando al centenario che festeggeremo il prossimo anno, mi tornano in mente tante storie; molte le ho vissute personalmente, altre come spettatore. La prima tessera l’ho ricevuta dalle mani del preside Nicola Castellucci quando frequentavo la scuola media all’Istituto Martuscelli di Napoli nel lontano 1976, ma allora mi diceva poco o nulla. Poi la decisione di trasferirmi dalla mia famiglia in quel di Torino nel 1978 per frequentare l’Istituto magistrale. Qui l’incontro che ha segnato la mia vita associativa e non solo. Mi recai alla sezione di Torino perché avevo bisogno di strumenti per studiare e Tomatis Enzo mi supportò in modo straordinario. Iniziai a frequentare la sezione, il gruppo sportivo e le assemblee e mi interessai ai temi associativi. Mi accorgo che molti temi di oggi esistevano anche allora. Si parlava di come coinvolgere di più i ciechi, di come dialogare con le istituzioni, di come lavorare con le altre associazioni e si discuteva dello Statuto. Poi, appena raggiunta la maggiore età, mi arrivò, da Tomatis la proposta di entrare in Consiglio. Quando espressi le mie perplessità legate alla mia inesperienza, Enzo mi disse: “Sei giovane e imparerai”. Nel 1980 entrai in Consiglio e nella prima seduta mi ritrovai circondato da personaggi che vivevo come degli esempi: Paschetta, Fratta – che era al primo incarico associativo come me – Freccero, Fresia, Salatino e altri amici. Fu una esperienza molto istruttiva ma anche molto impegnativa. Enzo disse a noi novelli consiglieri: “Giovani, ricordate che dovete dare ciò che vi è stato dato”.

Fu per me un messaggio che ancora oggi mi guida e che mi fa agire in modo da servire la causa associativa e non servirmi dell’associazione. Seguendo Enzo partecipai alle numerose manifestazioni di protesta a Roma. Ricordo l’esperienza di Sala Borromini e la visita in delegazione con Schiavone presso la sede della Democrazia Cristiana; la manifestazione che vide fermati alcuni dirigenti dal Commissario Stella davanti a Palazzo Chigi; poi con Tommaso Daniele durante il governo Berlusconi e tanti altri momenti vissuti a Tirrenia. Lasciato Torino nel 1985 e, ritornato nella terra natia in provincia di Salerno, cercai di inserirmi, non senza difficoltà, nella sezione di Salerno. Per molti anni ho vissuto i Congressi dall’esterno dato che non ho trovato posto tra i delegati fino al 2010 a Chianciano. Quel Congresso ha dato il via a un profondo cambiamento dell’Associazione o quantomeno ci ha provato. Ho vissuto da dirigente territoriale il passaggio dalla presidenza Daniele alla presidenza Barbuto e poi il cammino verso il Congresso del 2015. Quel Congresso ci ha dato uno Statuto rinnovato e snellito ma soprattutto è stato il primo congresso con due aspiranti alla Presidenza. Un Congresso di passaggio e come tutti i momenti interlocutori, anche nel nostro Congresso non fu possibile spingere fino in fondo l’acceleratore. La riflessione sullo Statuto, pur profonda, non ha inciso sul modello organizzativo di cui ho già trattato in un precedente articolo. Nel prossimo Congresso dovremo affrontare gli aspetti riguardanti le incompatibilità che, a mio avviso, sono troppo stringenti e mettono in seria difficoltà le strutture territoriali. Dovremo sviluppare meglio la tematica del riassetto territoriale delle nostre strutture favorendo accoppiamenti e riaggregazioni per snellire la macchina organizzativa a favore di un sempre più efficace contatto con le persone e il territorio.

Penso si dovrà rivedere la composizione delle Direzioni Regionali e Nazionale perché, a mio avviso, dovrebbero essere composte da persone indicate dal Presidente Nazionale e non necessariamente prese dal Consiglio Nazionale. Oltre ai temi statutari, dovrebbero essere trattati i temi dell’istruzione e della formazione. In merito al tema della istruzione ci dobbiamo interrogare sul sistema formativo che il nostro paese ha costruito e dobbiamo farlo a partire dagli interrogativi che più volte il Presidente Nazionale ha posto nei suoi interventi. Siamo sicuri che questo sistema sia davvero il meglio che possiamo avere per i nostri ragazzi? Io credo che una riflessione approfondita possa servire anche nel confronto con il governo affinché si costruiscano percorsi più chiari e più rispondenti alle esigenze di una formazione più efficiente e davvero di qualità. La scuola non può accogliere tutti e non a tutti i costi. Quanti nostri ragazzi procedono con percorsi differenziati rispetto ai programmi istituzionali, quanti ragazzi arrivano al diploma non potendolo utilizzare a fini professionali? In merito alla formazione professionale dobbiamo ripensare i percorsi abilitanti calibrandoli alle esigenze del mercato e della disabilità visiva.

Il Congresso del Centenario, ci deve impegnare seriamente per produrre scelte e linee di azione il più concrete possibili e qualitativamente importanti. Se dovessimo commettere errori correremo il rischio di perdere un treno importante e potremmo condannare l’associazione al declino. Per sbagliare il meno possibile ci vogliono questi ingredienti: collegialità, determinazione, costanza e continuità.

Dovremo essere meno burocratici e più squadra, meno formali e più concreti, aprendoci alla modernità per non perdere il treno che porta verso il futuro. Non dobbiamo disperdere la memoria ma da questa dovremo ripartire per aprirci concretamente a tutte quelle risorse umane che esistono nel nostro mondo e che, spesso, tropo spesso sono ai margini o fuori dalla nostra organizzazione.

Concludo questo contributo con un auspicio: Spero che l’associazione si ritrovi intorno a un progetto condiviso e non si arrovelli intorno ai nomi o, peggio, alle poltrone. L’anno del centenario lo vorrei poco celebrativo e molto riflessivo. Con i piedi nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro come diceva il buon Pierangelo Bertoli.