Ma un Congresso è solo questione di numeri?, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

Ho letto con sommo interesse l’articolo di Mario Mirabile comparso su questo quotidiano; ne ho tratto motivi di condivisione ma anche qualche brividino. Dal punto di vista del noto principio “una testa un voto”, il suo discorso non fa una grinza, neppure un plisset: sulla base dei suoi numeri le piccole sezioni hanno una rappresentanza dei soci ampiamente sopravvalutata . A colpo d’occhio, pardon, d’orecchio, mi colpisce un poco che non venga proposto alcun correttivo, ma questo potrà essere trovato proseguendo la discussione. Il  quesito che mi provoca i brividini è invece su tutt’altro piano: il Congresso è  solo una questione di numeri? Messa così la domanda , potrei risultare non particolarmente presente a  me stesso, dato che tutti mi direbbero che ovviamente qualsiasi consesso democratico si basa sui numeri e se i numeri non rappresentano perfettamente il corpo totale si possono avere squilibri e  storture. Fin qui tutto bene, entro certi limiti sono totalmente in sintonia con questa visione. I limiti ai quali accenno non so se stiano a lato, sopra o sotto la questione e spero di riuscire a spiegarmi con soddisfacente chiarezza. Se l’unico compito del congresso fosse elettorale, il problema posto da Mario avrebbe una soluzione draconiana: raddoppiare la rappresentanza delle sezioni più grandi o dimezzare la rappresentanza delle sezioni piccole; ambedue le soluzioni foriere di qualche conseguenza forse indigeribili dal corpo associativo: il raddoppio delle rappresentanze porterebbe a congressi ancor più elefantiaci dei presenti, con gli aggravi di spesa e le difficoltà organizzative derivanti. Ma comunque, con un po’ di sacrifici magari sarebbe affrontabile. La riduzione alla metà della rappresentanza delle piccole sezioni potrebbe invece causare traumi più massivi con conseguenti mal di pancia generalizzati. Ma anche qui un consiglio nazionale votato al suicidio potrebbe adottare la misura, dato che con i congressi composti come ora alla votazione congressuale una proposta del genere passerebbe difficilmente. Ora arrivo al centro del discorso; il Congresso non ha solo una funzione elettorale, ma anche una funzione di creazione o modificazione di norme della vita sociale e la programmazione delle linee guida delle attività globali dei cinque anni successivi. L’approvazione di norme e linee è  certo sottoposta al principio di rappresentanza numerica ma non solo a questo, almeno a mio parere. Chi ha responsabilità dirigenziali nazionali e regionali sa benissimo quanta strada ci sia ancora da fare per ottenere omogeneamente in tutto il territorio nazionale una applicazione puntuale delle regole e una altrettanto puntuale persecuzione delle linee guida stabilite da un congresso; tutto questo non è  frutto di una generalizzata impreparazione della dirigenza territoriale, che pure in parte è reale, ma deriva anche in gran parte dalla condivisione piena e sentita delle regole e delle linee guida; chi le approva fino ad un certo punto o le ritiene pleonastiche, confuse o non adattabili alla realtà locale tende a svicolare; è fin troppo ovvio affermare che regole e linee saranno tanto più applicate fedelmente e precisamente quanto più la loro formulazione sarà stata condivisa da tutte le realtà anche quelle piccole o minime. Quindi una riduzione sostanziale della presenza congressuale di 66 sezioni temo porterebbe con se il rischio di abbassare la soglia di condivisione delle regole e delle linee guida sotto una soglia pericolosa, causata proprio dalla mancata partecipazione alla loro formulazione.Temo quindi che la soluzione al problema posto da Mario si riduca all’aumento di quasi il doppio delle rappresentanze delle grandi sezioni, se ce lo possiamo permettere dal punto di vista economico. Mi permetto di aggiungere un ulteriore motivo di riflessione su un tema affine; in ogni modo, nelle condizioni attuali, anche una proporzione uniforme tra rappresentanti congressuali e soci sarebbe reale e democraticamente pesante  se le assemblee sezionali non raggiungessero certi numeri? O se questi numeri fossero troppo bassi il problema del rapporto democrazia  versus numeri rappresentati  non sarebbe ugualmente falsato? Tra epidemia e il resto i numeri di questa tornata assembleare potrebbero non avere un valido valore statistico, ma andrà valutato attentamente il risultato dei mezzi che sono stati messi in campo per aumentare i numeri delle presenze assembleari, cioè le assemblee on line e il voto informatico, ma se non riusciamo ad apportare mutamenti sostanziali a questa situazione temo che anche con tutti i bilanciamenti congressuali possibili lo squilibrio della rappresentanza non sarà realmente superato alla radice.