È opinione comune che l’insegnamento del Braille ad età avanzata sia sì possibile e fattibile ma con risultati di praticità, velocità e dimestichezza non certo entusiasmanti. Ad età inoltrata la maggior parte ci rinuncia dato che la sensibilità delle dita risulta per così dire compromessa e non esercitabile più di tanto; non per tutti però. Prendiamo il caso di Antonio, 73 anni, una vita passata in fabbrica. Ora, si trova con una forte ipovisione, causa una maculopatia. Ha iniziato a frequentare alcuni anni fa la nostra sezione territoriale di Pordenone dell’U.I.C.I., prima per avere informazioni e supporti, poi per dare una mano, compatibilmente con le sue facoltà.
Si era iscritto ad un corso di alfabetizzazione Braille ma dopo un paio di lezioni ha abbandonato, restituendo tavoletta e punteruolo e decretando come impossibile da raggiungere il suo obiettivo, quello cioè non di imparare a leggere speditamente bensì di riconoscere almeno le lettere e capire come scriverle, interagendo così con l’acquisita competenza nel sovraintendere alle stampe Braille che da tempo, sempre in associazione, gestisce. Antonio infatti si rende disponibile ad avviare e seguire le apposite stampanti durante i processi di realizzazione per conto della nostra biblioteca e dell’intera sezione territoriale ma gli mancava un tassello, quello cioè di connettersi direttamente con i fogli scritti che uscivano e di dare loro una consecutio precisa in caso di bisogno o di intoppo tecnico.
Dennis, un suo quasi coetaneo ipovedente, piano piano lo ha convinto a riprovarci, con delle pillole di insegnamento ad personam che erogava a tempo perso tra un volontariato e l’altro e quattro chiacchere in compagnia. La riluttanza di Antonio si sgretolò col tempo e, ripresi i ferri del mestiere, con molta pazienza, dedizione e costanza, imparò l’alfabeto prima, a riconoscere le lettere poi, a scrivere qualche parola in seguito e a portarsi a casa, infine, qualche piccola rivista per carpirne il significato di qualche articolo.
Antonio è un esempio di come anche ad una certa età si possa e ci si debba provare. Si tiene in allenamento ed esegue i compiti che Dennis gli affida con zelo e soddisfazione.
Non si può certo pretendere che ad una certa età la sensibilità dei polpastrelli sia fresca e assorbente come quella di un bambino, tuttavia se ci si impegna un pochino e ci si crede si può ancora fare!
Bravo Antonio e…. bravo Dennis!
Il Braille può essere davvero ancora un’opportunità per tutti.
L’esempio di Antonio serva soprattutto ai giovani, ai ragazzi e alle loro famiglie che, a volte, non credono nel Braille come investimento imprescindibile di cultura, autonomia e manualità, considerandolo obsoleto, superato dalle moderne applicazioni informatiche.
Ad una certa età acquisire, per quanto si può, il Braille rappresenta anche un motivo di fiducia e autostima dovendo fare i conti con una disabilità progressiva e, magari, improvvisa.
Come è vero che talune persone che perdono la vista da anziani riescono ad utilizzare con buon profitto le tecnologie touchscreen, così risulta altrettanto vero che il Braille non costituisce un confine invalicabile e anagraficamente incontrovertibile. Allenare il tatto costituisce comunque motivo di riscatto sociale e personale, sentendosi parte di una realtà sì disagiata ma con risorse da sfruttare, in una condizione in cui l’autonomia personale resta una priorità ed un obiettivo inconfutabile anche nelle piccole cose come saper interagire, seppur minimamente, con quella grande rivoluzione culturale che ancora oggi il Braille rappresenta.
Inoltre, la continuità di un sapere e la sua applicazione personale è il giusto riconoscimento ed il più alto esempio valoriale che si possa riservare ai nostri padri che tanto hanno dato per la nostra categoria e per il suo affrancamento sociale.