Percorro senza fretta i portici nel cuore del centro della mia città, in questa limpida mattina d’agosto. L’aria è tiepida, piacevole dopo la calura africana dei giorni scorsi.
Spazzolo con il bastone bianco la pietra dura del selciato di corso Vittorio Emanuele secondo, facendo un po’ Di rumore, il giusto, quel tanto da far spostare chi a la sventura di incrociare un retinopatico con un campo visivo ingannevole e capriccioso.
Passo davanti alla sezione territoriale della nostra associazione e procedo verso il mio obiettivo.
Attivo il secondo semaforo sonoro per attraversare via san secondo, mi dispiace come sempre notare la mancanza di percorso tattile a terra, ma purtroppo sotto i portici è difficile intervenire. Ascolto con soddisfazione il suono intermittente del semaforo ottenuto con tanta fatica, proprio sotto la sede dell’Unione.
Mentre mi dirigo verso via sacchi, noto con disappunto il groviglio di tavolini sotto il porticato, che si sono estesi come dei biscioni per molti metri, dheors concessi per la crisi post covid, limitando l’utilizzo della guida naturale. Con qualche difficoltà guadagno via sacchi, anche qui semaforo sonoro fresco fresco, a pochi metri da punti strategici per l’accesso alla stazione ferroviaria di Porta Nuova.
Attraverso la via con calma, godendomi il traffico rallentato d’agosto.
Approdo al percorso l. v. e. (loges vettor evolution) che fiancheggia la stazione così famigliare. Il comitato autonomia e mobilità che coordino, ha contribuito alla sua progettazione.
Una signora anziana con il suo bastone di sostegno mi affianca e mi supera. accelero il passo seguendo i binari del percorso e la supero a mia volta per questioni di orgoglio urbano, poi mi sento ridicolo: facile battere una persona anziana, con difficoltà ben più gravi delle mie nel muoversi. Arrivo davanti alla fermata della metro di fronte alla stazione, ma devio verso il percorso parallelo che mi porterà a prendere il 35 bus di superficie, gettando lo sguardo prima a sinistra, verso il bel giardino della stazione di piazza Carlo Felice, con le sue fontane e laghettini, poi a destra, lungo il bel porticato della stazione di testa appena restaurato.
Lancio un pensiero preoccupato all’atrio tutto transennato per creare i flussi in entrata e in uscita allestito in questa fase di emergenza Covid, sconvolgendo la logica dei percorsi che finalmente erano stati completati fin sulle banchine, su via sacchi, e davanti al giardino, con collegamenti sotterranei alla metro, dopo anni di mail, sopralluoghi e confronti con Grandi Stazioni, Rete Ferrovie Italiane e Comune di Torino.
Speriamo che il Virus molli la presa, fra i tanti effetti collaterali mi rattrista la riduzione della libertà di movimento di chi non vede.
Mi attesto sulla palina della fermata, passa un bus l’autista apre e suggerisce il numero e mi fa salire dalla porta anteriore, concessione avuta dall’azienda torinese di trasporti in deroga ai protocolli che indicano la salita posteriore.
Noto soddisfatto che la formazione sul personale sulla quale tanto abbiamo insistito, funziona. Salgo e subito constato che nonostante le numerose segnalazioni, la sintesi vocale che annuncia le fermate previste, nei nuovi mezzi Mercedes, non funziona ancora nonostante la rete G.P.S.
Il bus gira subito a destra in via Nizza, osservo dal mio sedile lo scorrere della lunga doppia pista ciclabile che ha rivoluzionato chilometri di questo tratto di città, fino in piazza Carducci.
Anche in questo caso siamo stati coinvolti nella progettazione, di percorsi tattili e semafori sonori, che servono oltre 80 attraversamenti, su 600 incroci totali: altro bel pezzo di accessibilità raggiunto.
Supero piazza Carducci e sfilo a fianco del grattacielo in costruzione nell’ex area lingotto che ormai svetta nel cielo azzurro, alto 39 piani , che accoglierà tutti gli uffici sparsi della regione Piemonte. Un percorso L.V.E. collegherà una nuova stazione metro, Italia 61, e la stazione ferroviaria del lingotto, ad un centro congressi e giardini annessi, parte integrante del grattacielo, in questo caso lavorando con il comitato regionale autonomia. Alle mie spalle alcuni passeggeri discutono, scommettendo sui ritardi della messa in opera di questo grattacielo in costruzione dal 2014. Inevitabile ripensare ai verbali, dei sopralluoghi, alle mille riunioni. Il profilo avveniristico di quest’area si sta delineando con precisione, fra il fiume Pò, la collina e il quartiere che ha abbandonato la sua vocazione storico industriale. Scendo dal bus dopo pochi isolati per fare un giro nel cantiere del nuovo capolinea della metro, Piazza Bengasi, che entrerà in esercizio forse nella primavera prossima.
Mi accoglie un architetto di Infra to., società che gestisce la metropolitana di superficie e sotterranea, con cui collaboro ormai da anni nell’impegnativa impresa di rendere la metropolitana di Torino un luogo completamente accessibile a tutti coloro che ne fruiscono in linea con il principio internazionale dell’accessibilità per tutti, codificato nelle linee guida del U.D.L. (Universal Design for Learning guidelines).
Penso soddisfatto che la fermata metro Italia 61 e quella che sto esplorando (Bengasi) le abbiamo portate a casa.
I percorsi in superficie nella grande piazza, adibita ad area mercatale al confine fra Torino e Nichelino, sono puntuali e precisi, collegano le scale della metro e l’ascensore alle fermate dei bus di superficie, agli attraversamenti con semaforo sonoro e all’area taxi adiacente, nonché ai primi edifici utili come guida naturale. Mentre parlo con l’architetto Dhebora Lamberti, una strana sensazione mi assale.
Ho percorso senza volerlo vent’anni di storia dell’accessibilità della mia città, senza contare altri cantieri e quartieri, un mosaico, un puzzle che l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ha saputo, tramite i suoi soci più impegnati, portare a termine.
I progetti in cantiere ormai sono esecutivi, i giochi nel bene e nel male sono fatti, in questa parte dell’ex capitale d’Italia. Trattative lunghe con ferrovie, regione, comune, Società di trasporti, privati, tecnici, ingegneri e architetti che rendono concrete e fruibili le norme di legge e le esperienze di anni dei cittadini non vedenti. Bel modo di festeggiare il centenario della nostra associazione.
Cari padri fondatori, ovunque voi siate, spero che tutto ciò vi renda orgogliosi. Chissà dove ci porteranno fra altri cento anni le fermate della metropolitana.