Il Tempo di Natale può essere, deve essere un’occasione per soffermarsi su ciò che siamo, sulla nostra tenuta valoriale, sulla nostra maturazione spirituale… Per quanto mi riguarda, in questo periodo, le riflessioni trovano agio nel tornare con la mente allo scorso 12 dicembre, a un momento vissuto insieme con mia moglie e con le Amiche e gli Amici dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti. Un momento, un incontro…
“Santità, Lei è una luce di speranza per noi e per il mondo intero”… Mentre gli rivolgevo queste parole, il Papa sorrideva… Io e Annamaria stringevano le sue mani… Gli avevamo detto pure altro, in quegli attimi: Francesco aveva ascoltato con attenzione, rispondendo con arguzia e affetto, dispensando quella speranza di cui egli è generoso elargitore…
Sì, lo so: ho iniziato questo racconto praticamente dall’epilogo, senza contestualizzarlo adeguatamente in ordine al tempo e allo spazio ove i fatti hanno trovato svolgimento, senza spiegare, insomma; chiedo venia, ma ha avuto il sopravvento la voglia di palesare subito la nostra gioia, la mia e quella di Annamaria, per aver nuovamente avuto l’opportunità e l’onore di incontrare da vicino Papa Francesco, di parlare con lui, di guardarlo nei suoi occhi pieni di umanità: gli stesso occhi che il pomeriggio dell’8 dicembre, davanti alla Statua dell’Immacolata, erano stati aspersi dalle lacrime… Quelle lacrime che più di ogni parola, di ogni discorso, di ogni gesto hanno veicolato in maniera forte, prorompente, cristallina un appello, un richiamo, un’esortazione di pace: pace per i popoli, pace per i bambini, pace per sempre…
Con nella mente tali pensieri e tali immagini, la mattina del 12 dicembre, io e Annamaria abbiamo lasciato il nostro hotel, nel centro di Roma, a pochi passi dal Teatro dell’Opera, culla di melodiosa bellezza, e ci siamo avviati verso la Città del Vaticano: Papa Francesco aveva concesso al Consiglio Nazionale e ai dirigenti territoriali dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti un’Udienza particolare nella Sala Clementina, all’interno del Palazzo Apostolico. Annamaria, essendo Consigliere Nazionale, era parte della delegazione e io, come suo consorte e accompagnatore, avevo nuovamente la possibilità di vivere un’esperienza che definire straordinaria mi appare banale… Si, nuovamente, ma di questo scriverò fra poco… L’appuntamento era in un settore del Colonnato di destra, in Piazza San Pietro, nei pressi del Portone di Bronzo, uno dei varchi d’ingresso del Palazzo Apostolico.
Siamo colà giunti, con un pò di anticipo rispetto all’orario prefissato per l’appuntamento, attraverso Via dei Corridori, costeggiando il celebre Passetto di Borgo, con le sue merlature, le sue arcate e i segni lasciati su di esso dalla Storia… Nel raccontare mi pare di essere ancora là… Le Mura Leonine sono foriere di suggestioni il cui respiro trae linfa nelle rimembranze degli anni passati, sui banchi di scuola, nelle aule dell’Università e sulla mia scrivania, ad appassionarmi agli studi storiografici; suggestioni che richiamano magnificenza e dramma, potenza e conflitto, genio e dominio, opulenza e saccheggio. Siamo sotto le Colonne con cui l’ispirazione del Bernini ha cinto la culla della cristianità: dopo gli opportuni controlli di sicurezza, attendiamo qualche minuto, insieme alle altre amiche e agli altri amici che fra poco varcheranno quella soglia. Quei minuti sembrano non passare mai: poi, ecco, un agente ci dà il via libera e iniziamo a salire per le scale… Superiamo il portone bronzeo, facciamo qualche metro in un arioso corridoio e percorriamo uno scalone elegante e imponente, che ci conduce nel Cortile di San Damaso, ove si affacciano le logge del Palazzo e al cui centro, in queste settimane, è stata assemblata una grande aiuola infiorata di rosso, a forma di stella su cui spicca un grande albero di Natale sobriamente punteggiato da sfere dorate e argentate. Anche otto anni addietro, prima di salire verso la Sala Clementina, ci eravamo ritrovati in questo luogo, seguendo un altro percorso: dopo essere entrati in Vaticano dalla Porta del Perugino, eravamo stati guidati, passando per Piazza Santa Marta, verso la Piazza del Governatorato, ove avevamo sostato qualche minuto, ammirando la Cupola di San Pietro da una prospettiva diversa rispetto a quella offerta dalla Piazza o da Via della Conciliazione e apprezzando la bellezza di quello spicchio dei Giardini Vaticani, con le architetture rinascimentali, i camminamenti ameni e le aiuole artisticamente ornate da elementi floreali, su tutte quella raffigurante, proprio di fronte al Palazzo del Governatorato, lo Stemma del Papa. Da qui, percorrendo la via del Governatorato, eravamo giunti nei pressi del Palazzo Apostolico, entrando infine, passando dall’ombra, stillante atmosfere che raccontano epoche trascorse, dei cavedi attigui, tra cui il Cortile Borgia, nel Cortile di San Damaso, ove mi trovo nuovamente oggi, otto anni dopo quella prima volta. Qui ci attende, nell’uniforme storica dalle bande blu, rosse e gialle, un Milite della Guardia Svizzera Pontificia, che, lentamente, ci guida verso uno degli accessi interni, da dove accediamo a un’altra scala, attraverso cui giungiamo all’ingresso della Sala Clementina. Lasciamo i soprabiti ed entriamo: la Sala è scintillante più del solito, con i suoi affreschi e i suoi marmi intarsiati, con il presepe che fa dolce mostra di sè sul lato destro, rispetto alla nostra posizione, a pochi passi dalla sedia ove prenderà posto il Santo Padre. Santo Padre il quale, ecco, arriva dalla stanza accanto, puntualissimo: ci viene incontro, lentamente, aiutandosi col suo bastone. Eccolo, è qui, sorridente, e noi siamo nuovamente al suo cospetto… Sì, nuovamente: io e Annamaria, infatti, avevamo già conosciuto alcune delle inesprimibili sensazioni che l’incontro con Papa Francesco riesce a suscitare… Le parole di Annamaria, al riguardo, sono, comunque, alquanto esplicative e significative: “l’incontro con Papa Francesco è qualcosa rispetto a cui le parole risultano insufficienti a offrire una descrizione capace di veicolare l’emozione e l’intimo trasporto che abbraccia la mente e il cuore in quegli attimi. Per me e mio marito Pierfrancesco non è stata la prima volta: il 13 dicembre del 2014 avevamo partecipato all’Udienza straordinaria che il Santo Padre aveva concesso al Consiglio Nazionale dell’UICI, anche allora nella Sala Clementina, in occasione della ricorrenza di Santa Lucia, mentre nel novembre del 2016 eravamo tra coloro i quali hanno affollato l’Aula Paolo VI, in occasione dell’incontro tra il Pontefice e i rappresentanti del Servizio Civile Universale. Di certo, l’Udienza del 2014 e quella dello scorso 12 dicembre, svoltasi anche questa volta in quello scrigno di arte e bellezza che è la Sala Clemetina,
restano i momenti che rendono lieto il nostro animo con particolare fervore e con intimo calore. Nel 2014 un caloroso saluto, accorato e sincero, lasciò il segno nei nostri sospiri, che furono pervasi di gioia sublime allorché avemmo la possibilità di andare verso il Santo Padre, di stringergli la mano, sfiorargli l’anello piscatorio, abbracciarlo, sussurrargli qualche pensiero copioso di speranza… E anche lo scorso 12 dicembre è stato così: la sua prolusione, col richiamo al valore universale della fragilità, ha regalato, nel nome della Santa siracusana, un raggio di luce più fulgido di quelli che accarezzavano una mattinata romana di fine autunno; raggio di luce che s’è trasfigurato in dolcissimo splendore quando, in prossimità della conclusione dell’Udienza, ci siamo incamminati nuovamente verso il sorriso di Papa Francesco, il quale, anche questa volta, mentre stringeva la mia mano e quella di Pierfrancesco, ha ascoltato con attenzione e pazienza le nostre parole, con le quali gli abbiamo ricordato il colloquio che ci aveva già donato otto anni addietro, con la medesima certezza di trovare comprensione, corresponsione e linfa morale traboccante di fiducia e speranza. Un ricordo e una speranza a cui Francesco ha risposto con la simpatia propria di quelle sensibilità capaci di entrare in profonda empatia con gli interlocutori, riuscendo a elargire il fresco ottimismo che nella Parola di Gesù ha la propria fonte. Quell’ottimismo e quella freschezza valoriale che Papa Francesco non si stanca di somministrare, di distribuire col suo sorriso, con le sue parole, con quegli occhi scintillanti d’Amore… Quegli occhi, quelle parole, quel sorriso con cui, mentre ci allontanavamo, dopo avergli detto nuovamente ciò che Egli è per noi e, ne siamo certi, per tutto il mondo, ci ha salutato con calore giocondo, dandoci appuntamento al prossimo incontro”. Annamaria racconta bene… È riuscita a porre in evidenza gli elementi pregnanti di quei momenti… Io ancora ho negli occhi e nella mente il suo sguardo sorridente, a pochi centimetri dai nostri respiri: il Pontefice, seduto sulla scranna, posta in posizione leggermente rialzata, rispetto al variopinto pavimento, su un tappeto purpureo, davanti al monumentale camino, conversa amabilmente con noi, invitandoci ad avere fede e a non rinunciare ai nostri sogni, che nella preghiera potranno trovare il sospirato coronamento. Come otto anni addietro mi colpisce la capacità di ascolto che quest’uomo, anziano e tuttavia giovane nella sua attitudine ad infondere forza e fiducia, riesce a palesare con aulica semplicità. Il tempo passa presto, ora, vola: la melodiosa bellezza di cui scrivevo poco fa, in riferimento alla magia della musica quando si promana dal proscenio, si trasfigura nei tratti e nella voce di questa figura, in cui il candore delle vesti è specchio di un animo che ha come anelito precipuo il donarsi agli altri, chiedendo in cambio, unicamente una cosa: “Per favore, non dimenticatevi di pregare per me”, ha esortato nel concludere la catechesi. Il Santo Padre, nel richiamarsi diverse volte a Santa Lucia, la quale “ci ricorda col suo esempio che la più alta dignità della persona umana consiste nel dare testimonianza alla verità, seguendo la propria coscienza costi quello che costi, senza doppiezze e senza compromessi”, in linea con la condotta propria di chi vuole “stare dalla parte della luce, servire la luce, come evoca il nome stesso Lucia”, ha focalizzato la sua attenzione sulla società italiana: una società che “ha bisogno di speranza, e questa viene soprattutto dalla testimonianza di persone che, nella propria condizione di fragilità, non si chiudono, non si piangono addosso, ma si impegnano insieme agli altri per migliorare le cose. Santa Lucia, in effetti, viene descritta proprio così: come una donna giovane e inerme che però non cede alle minacce e alle lusinghe, anzi, risponde con coraggio e tiene testa al giudice che la interroga. Con la protezione e l’esempio di Lucia, andate avanti!” Ora che io e Annamaria siamo vicini a Lui queste parole ancora echeggiano nel nostro animo e, dopo una breve conversazione che serberemo gelosamente per sempre nel Cuore, e con il pensiero che si è soffermato sulle persone a cui vogliamo bene, a me viene naturale dirgli ciò che ho scritto poco fa: “Santità, Lei è una luce di speranza per noi e per il mondo intero”… Sì, Egli sorride e mentre, nell’allontanarci, lasciamo scivolare lentamente le nostre mani sulle sue, avvertiamo un’intima sensazione di pienezza: pienezza di felicità, di armonia, di melodiosa bellezza, per usare un’espressione già precedentemente adoperata e decisamente congrua a rendere, almeno parzialmente, l’idea delle emozioni che hanno illuminato quei momenti; una melodiosa bellezza che inonda i nostri sensi, i miei e quelli di Annamaria. Usciamo dalla Sala Clementina con una certezza: la pienezza interiore che avvertiamo, che sentiamo in questo momento ci aiuterà ad assaporare appieno quel grande dono che è la nostra esistenza. Quel dono che questo periodo ci induce a vivere con lo spirito in cui si estrinseca la nostra Umanità: “Il Natale del Signore è il Natale della pace” afferma San Leone Magno (Sermo 6, in Natività Domini)… “Natalis Domini Natalis est pacis”, si legge sul retro di una pregevole immaginetta – ritraente il dipinto “Adorazione dei Pastori”, opera di Orazio Zecca, ammirabile nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore – che ci viene consegnata nel corridoio adiacente alla Sala. Un dono gradito, che conserveremo con cura… Gradimento pari a quello di otto anni addietro, quando, al termine dell’Udienza, ci avevano donato una coroncina, custodita in una bustina verde con sopra stampato lo Stemma stilizzato di Papa Bergoglio; quello stemma che parla di un uomo, d’una vocazione, d’una missione… Uno stemma, che lo accompagna fin dalla sua consacrazione episcopale, improntato alla semplicità: lo scudo blu, con la base inferiore circolare, è sormontato dai simboli della dignità pontificia, con la mitra al posto della tiara, collocata tra due chiavi, una d’oro, l’altra d’argento, incrociate e annodate da un cordone rosso; al suo interno, in alto, campeggia l’emblema della Compagnia di Gesù: un sole raggiante e fiammeggiante caricato dalle lettere, in rosso, IHS, un monogramma, acronimo di “Iesus Hominum Salvator” (IHS), con lettera H sormontata da una croce e con, in punta, i tre chiodi in nero. Sulla parte bassa dello scudo, si trovano la stella, in questo caso a otto punte, tante quante le beatitudini, e il fiore di nardo, con la stella che simboleggia, secondo l’antica tradizione araldica, la Vergine Maria, madre di Cristo e della Chiesa, mentre il fiore di nardo fa riferimento a San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Nella tradizione iconografica ispanica, infatti, San Giuseppe è raffigurato con un ramo di nardo in mano. In tal modo, il Papa ha inteso esprimere la propria particolare devozione verso la Vergine Santissima e San Giuseppe. Infine, il motto “miserando atque eligendo”, è stato inserito in un cartiglio bianco con bordi rossi, posto alla base dello scudo. Il motto del Santo Padre Francesco, “guardò con sentimento d’amore e lo scelse” è tratto dalle Omelie di San Beda il Venerabile, sacerdote, il quale, commentando l’episodio evangelico della vocazione di San Matteo, scrive: “Vidit ergo lesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi). Omelia, questa, che è un omaggio alla misericordia divina ed è riprodotta nella Liturgia delle Ore della festa di San Matteo e che riveste un significato particolare nella vita e nel percorso spirituale di Francesco. Infatti, in occasione della festa di San Matteo dell’anno 1953, il giovane Jorge Mario Bergoglio provò, all’età di 17 anni, la presenza benevola, nella sua vita, di Dio, il quale con sguardo amorevole, lo chiamava alla vita religiosa, sull’esempio di Sant’Ignazio di Loyola. Tale stemma, unitamente alla firma autografa del Papa, “Franciscus”, è anch’esso stampato, senza i colori, sul retro dell’immaginetta che ci hanno donato al termine dell’Udienza… Lo Stemma che, dopo aver temporeggiato qualche altro minuto nel Cortile di San Damaso – giusto il tempo di aspettare Chiara e un’altra Annamaria, due nostre amiche che hanno partecipato all’incontro, insieme con noi, e di fare qualche foto nelle vicinanze dell’Albero -, scorgo di nuovo, stavolta nella cura della sua colorazione, su uno dei muri delimitanti i gradini da dove questa mattina siamo saliti con l’animo sospeso tra la gioia e l’impazienza… Ora, scendendo, dopo aver vissuto uno dei momenti più intensi della mia esistenza, questi spazi, da cui sono passato circa due ore addietro, e che già conoscevo, essendo da qua disceso successivamente all’Udienza del 2014, mi appaiono nuovi, ancora più belli e luminosi di prima… Le ombre dell’animo, che in certi frangenti sono più tenebrose di quelle alberganti nei cavedi a cui ho fatto cenno poco fa, appaiono dissolte da una fiducia che scalda più di un astro del cielo, di quel firmamento dove è assiso Colui che dona Luce e Speranza alle donne e agli uomini volenterosi nel cercare il senso autentico del cammino terreno e dell’essere, nel suo complesso… Quella speranza che il suo Vicario ha dispensato poco fa a tante amiche e a tanti amici, ad Annamaria, la metà del mio cielo, e pure a me, che non sempre cerco la via della gioia piena con la dovuta determinazione e con la congrua convinzione. Ora, però, qualcosa sta cambiando… L’intima pienezza di cui ho già scritto non è una mera espressione verbale… È tangibile, vera, grazie a questo Papa l’ho già conosciuta ed essa sta incidendo sul serio nel mio cammino interiore, che vivo con trasporto, pur senza rinunciare alle mie idee: idee proprie di un credente che, tuttavia, non abbandona una prospettiva laica nell’ambito della mondanità e delle scelte… Idee, che, sovente, mi hanno condotto su posizioni non esattamente coincidenti con quelle sostenute dal magistero della Chiesa… Da quasi dieci anni non è più così: anzi, il più delle volte, le mie idee sull’esistente trovano corrispondenza nella lettura che la Chiesa quotidianamente suggerisce, ove è preminente l’attenzione ai fenomeni di povertà, sfruttamento, diseguaglianza e marginalizzazione sociale ed esistenziale, attanaglianti la storia del genere umano… Un mutamento non da poco, rispetto a cui fondamentali sono risultate e risultano l’opera e l’insegnamento donati quotidianamente al mondo da Papa Francesco, il quale riesce a parlare alla contemporaneità con fermezza non disgiunta da una profonda umanità e una spiccata simpatia – come ho avuto modo di sperimentare direttamente -, rendendo palese la sublime validità della Novella rispetto alla necessità di trovare valori e punti di riferimento
solidi nel caotico e contraddittorio incedere della nostra epoca… Al riguardo, nel 2014, poche ore dopo l’Udienza, attingendo con la penna nella mia passione per la poesia, dedicai alcuni versi a Papa Francesco e a “La Dolcezza di un Incontro”:
Al di quest’altro anno vesperare,
di tanti momenti al ricordo sovviene:
ma su tutti persevera il brillare
di un momento in cui ai sensi viene
di commuoversi e di esultare
all’amore candido che contiene
la dolcezza e l’amicale parlare
col sorriso che la voce sostiene
d’un fratello lieto di portare
a chi s’appropinqua al suo bene
il tesoro di pregare et sperare
nella luce che ci scalda insieme
dalla sede de lo infinito albeggiare…
A Papa Francesco, grati per tanto Amore.
Oggi, dopo il secondo incontro, quei versi mi risultano più attuali di allora, li sento miei più di allora, perché vedo più chiaro di allora, perché riesco a vedere dentro di me e, nella ricerca di senso e verità, a guardare oltre me, cercando la poesia in ogni giorno… Poco prima di varcare la soglia del Portone di Bronzo e di imboccare in senso discendente l’ultima rampa che ci condurrà nuovamente sotto al Colonnato, all’esterno del Palazzo Apostolico, vedo, riposte sugli appositi sostegni fissati al muro, alcune delle alabarde in dotazione alla Guardia Svizzera: esse, unitamente all’imponenza delle Mura Leonine e alle suggestioni che questi luoghi suscitano, ove spicca la magnificenza dei Palazzi, delle Opere d’Arte e della Basilica che, tra poco, visiterò nuovamente, sono manifestazione di quella tradizione in cui l’istituzione ecclesiastica affonda le proprie radici… Quella tradizione che Papa Francesco è riuscito a mettere in comunicazione, sul piano dei valori universali, col mondo dei nostri giorni, dei nostri momenti, dei nostri pensieri, delle nostre parole, facendo comprendere anche a me, e non solo perché ho avuto la possibilità e l’onore di ascoltare direttamente la sua voce, di stringere la sua mano, di guardarlo negli occhi, che l’insegnamento del Vangelo, ieri come oggi, promana un un’essenza rivoluzionaria, la più rivoluzionaria di tutte, ovvero l’Amore, e che la preghiera non è un accessorio della nostra vita: essa è la Vita che ritrova la strada della felicità, della melodiosa bellezza che riempie il nostro sentimento e che ci fa stare bene con gli affetti, con la famiglia, con gli amici, con le persone che amiamo.
Sì, è proprio così: “Santità, Lei è una luce di speranza per noi e per il mondo intero”… Quando il suo sorriso abbraccia le nostre emozioni…
Nell’attimo in cui gli rivolgiamo le parole ove si riverberano le Speranze che albergano nel Cuore…
Grazie di Cuore, Santità!
Pubblicato il 05/11/2023.