Con riferimento alla lettera aperta inviata alla neo ministra Fedeli da numerosi insegnanti di sostegno, recentemente riportata in un articolo del Corriere della sera del 31 Dicembre 2016 dal titolo “Sostegno ai disabili, rivolta dei docenti contro la riforma in arrivo”, mi permetto di esternare ai nostri lettori alcune mie brevi considerazioni.
Innanzitutto, voglio subito precisare che tutte le informazioni finora fornite sulla riforma del sostegno ai disabili a scuola, una delle deleghe al governo previste dalla legge 107, sono solo indiscrezioni, anticipazioni, dichiarazioni. Eppure tali notizie sono state ugualmente sufficienti ad alimentare già forti malumori e tensioni (forse per ora un po’ troppo premature ed ingiustificate) da parte di circa 40 associazioni e decine di sigle di docenti per il sostegno, riunitesi nel gruppo dei cosiddetti “partigiani della scuola pubblica”.
Personalmente, non condivido i contenuti della loro missiva al Ministro, ritenendo invece assolutamente “indifferibile” e necessaria la riforma dell’attuale sistema italiano dell’inclusione scolastica.
A mio modesto avviso, infatti, la riflessione sull’imminente delega sul sostegno non può essere animata dalla voglia di “trincerarsi” nella tutela ad ogni costo dell’esistente o in rimpianti di un passato che poteva essere e che non è stato, come mi pare stiano facendo i promotori della sopraccitata “protesta”. Al contrario, essa deve essere ispirata dalla convinzione che, solo guardando avanti, anche se con “realismo”, si riuscirà finalmente a garantire il migliore futuro possibile all’inclusione scolastica degli alunni/studenti disabili italiani.
Entriamo dunque nel dettaglio delle eventuali criticità che, secondo i “partigiani della scuola pubblica, potrebbero scaturire dalla riforma in arrivo.
Uno dei punti “deboli” della riforma, secondo la loro opinione, sarebbe il cosiddetto «profilo di funzionamento», che dovrebbe servire a definire il numero di ore di assistenza per ogni studente con disabilità, e che, secondo la prima analisi del corpo docente specializzato, rischia di penalizzare fortemente i suoi bisogni, in quanto non terrebbe conto della “diagnosi funzionale” e del Profilo Dinamico Funzionale (PDF).
Al riguardo, mi permetto di osservare che lasciare che la definizione delle necessità di ore per il sostegno sia determinata da una diagnosi, come oggi avviene erroneamente il più delle volte e non dagli interventi didattici del PEI (Piano Educativo Individualizzato) e dunque da un progetto educativo “vero e proprio”, questo sì che è delegare alla sanità la principale prerogativa dell’educazione, quella didefinire i bisogni formativi dell’alunno.
Infatti, un’altra grave lacuna dell’emanando Decreto sull’inclusione, denunciata dagli insegnanti “partigiani” sarebbe il cambiamento di prospettiva per cui il docente per il sostegno diverrebbe una sorta di “tutor” iperspecializzato nell’assistenza ai disabili, ma non necessariamente un insegnante: tale nuovo approccio “paramedico” snaturerebbe la professionalità dell’insegnante di sostegno, collocandolo sullo stesso piano delle figure socio-sanitarie che già operano in contesti non scolastici con il ragazzo disabile.
In proposito, vorrei rappresentare agli amici docenti in “rivolta” che, proprio per porre finalmente rimedio alla precarietà di ruolo e funzione degli insegnanti per il sostegno, sulla base delle notizie finora trapelate, tramite la delega sull’inclusione, si andrebbe finalmente nella direzione di una loro formazione iniziale e continua, con specificità profonde e una conoscenza adeguata delle esigenze degli alunni disabili. Dunque, altro che non insegnanti od addirittura figure “medicalizzate”. Essi dovrebbero essere invece insegnanti “universali”, ma con una specializzazione sui temi dell’inclusione e sulle singole disabilità. Essi,quindi, assurgerebbero finalmente ad un ruolo ben definito e sarebbero in possesso di competenze pedagogiche, didattiche e metodologiche capaci di renderli un “supporto” efficace ai docenti curricolari ed agli Organi Collegiali nella progettazione, realizzazione, monitoraggio e valutazione di un’offerta formativa realmente “inclusiva”.
In particolare, per tutti i gradi di istruzione, per poter insegnare sul posto di sostegno, dovrebbe essere obbligatorio conseguire 120 crediti formativi universitari sull’inclusione scolastica (oggi si diventa docenti di sostegno con soli 60 Cfu, ovvero 1 anno di specializzazione).
Tutti i futuri docenti di ogni ordine e grado dovrebbero avere inoltre, nel loro percorso di formazione iniziale, crediti riguardanti le metodologie per l’inclusione.
Ma nel mirino degli insegnanti specializzati in subbuglio c’è anche la mobilità della riforma della Buona scuola, «che ha lasciato ben 50 mila studenti senza docente specializzato sul sostegno.
Su tale aspetto specifico, per dovere di cronaca, mi corre l’obbligo chiarire che tali procedure di mobilità non hanno nulla a che fare con la prossima riforma del sostegno.
Infatti, esse sono state l’errata soluzione adottata dal precedente Ministro Giannini, a seguito delle tantissime non ammissioni dell’ultimo concorso e dell’enorme domanda di insegnanti di sostegno (circa 120.000 in servizio di cui circa il 60% di ruolo), che hanno letteralmente mandato in tilt il sistema scolastico territoriale. Si ricordi in proposito la nota Protocollo n. 24306 del 1° settembre 2016, che recita testualmente: «In caso di esaurimento degli elenchi degli insegnanti di sostegno compresi nelle graduatorie ad esaurimento, i posti eventualmente residuati sono assegnati dai dirigenti scolastici delle scuole in cui esistono le disponibilità, utilizzando gli elenchi tratti dalle graduatorie di circolo e d’istituto, di prima, seconda e terza fascia».
Migliaia di cattedre di sostegno sono state perciò affidate a docenti senza alcun tipo di specializzazione, costringendo così le famiglie di persone con disabilità a ricorrere sempre più spesso ai giudici per dare un’istruzione ai loro figli.
Per la verità, contro queste “ambiguità” del sistema, pare che l’obiettivo “dichiarato” dell’emanando Decreto delegato sull’inclusione sia, oltre che quello di garantire una formazione specifica universitaria ai futuri insegnanti per il sostegno ed una maggiore specializzazione sulle singole disabilità a tutti i docenti attualmente in servizio (attraverso il “famoso” Piano Triennale di Formazione obbligatoria), anche e soprattutto quello di assicurare la continuità del diritto allo studio degli allievi disabili, facendo sì che gli stessi abbiano lo stesso docente per il sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione. Quindi il medesimo insegnante per il sostegno per i 5 anni di scuola primaria, per i 3 anni di scuola secondaria di I grado e per i 5 anni della scuola secondaria di II grado.
Pertanto, la continuità didattica si dovrebbe realizzare attraverso quattro ruoli per il sostegno (infanzia, primaria, secondaria di primo grado e secondaria di secondo grado), in cui bisognerà permanere prima di transitare sul posto comune
Infine, i docenti “partigiani della scuola pubblica” lamentano che, senza aumentare le ore di sostegno (ne servirebbero almeno 18 a settimana), gli alunni/studenti con disabilità non avranno mai la possibilità di apprendere come gli altri.
Relativamente a quest’ultimo punto, a mio modesto avviso, il problema non sta nel numero di ore di sostegno (che stante così la situazione nell’attuale sistema educativo e formativo italiano è comunque importante), ma è quello di capire se, con la futura delega sull’inclusione ci sarà un’effettivo” cambiamento qualitativo.
Infatti, come riportato da uno studio diffuso dall’ISTAT qualche settimana fa, gli alunni italiani con disabilità che hanno frequentato le scuole primarie e secondarie nell’anno scolastico 2015-2016 sono stati 155.971, mentre gli insegnanti per il sostegno sono arrivati a quota 82.000, uno ogni due alunni disabili.
Eppure, nonostante assistiamo ad una crescita esponenziale del numero degli insegnanti specializzati, l’equazione “più sostegno = più inclusione” sembra non funzionare affatto nel presente “sistema d’istruzione” italiano.
Allo stato attuale, siamo effettivamente ancora costretti ad imbatterci il più delle volte in educatori e docenti con un’inappropriata preparazione ed una formazione inadeguata ad assicurare un’inclusione scolastica di qualità ai ragazzi con disabilità del terzo Millennio.
Il messaggio della “normale” Didattica inclusiva stenta ancora a decollare nella scuola italiana e ci scontriamo di sovente con interventi didattici inclusivi esclusivamente “episodici” e che hanno soltanto il carattere dell’urgenza e dell’emergenza e non del “contesto”.
Voglio dire che la sola assegnazione dell’insegnante di sostegno (anche con un numero congruo di ore) agli alunni/studenti con disabilità non è sufficiente a garantire il loro successo scolastico e formativo, se non affiancata da un contesto veramente “inclusivo”.
La nomina del docente per il sostegno con un numero adeguato di ore, seppur rappresentando un “sacrosanto” diritto assolutamente esigibile dai nostri ragazzi e dalle loro famiglie, da sola rischia di essere quasi inutile e di ripetere le “distorsioni” e gli sbagli dell’attuale modello dell’inclusione scolastica, che hanno finito per provocare i “deprecabili” fenomeni della “deresponsabilizzazione” dei docenti curricolari rispetto ai loro alunni con disabilità e la perversa “delega” al solo collega di sostegno dei loro insegnamenti e delle loro valutazioni.
Soltanto se la prossima delega sull’inclusione promuoverà l’organizzazione di un “contesto” veramente accogliente ed inclusivo, dove si “sfrutti” al meglio l’”organico potenziato” e dove il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) sia parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni scolastiche italiane e, dunque, anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa, si potranno realisticamente garantire per ogni allievo quelle condizioni di “pari opportunità” nel raggiungimento del massimo “possibile” dei traguardi individualizzati e personalizzati d’istruzione, tanto decantate dalla recente normativa italiana sull’autonomia scolastica.
Ai “partigiani della scuola pubblica” io suggerirei invece di puntare il dito contro l’unico “sesquipedale” errore strategico della futura delega sull’inclusione che mi sembra essere, senza timore di essere smentito, il totale mancato concreto coinvolgimento delle associazioni di e per persone con disabilità, delle loro famiglie e, soprattutto dei docenti per il sostegno nel suo iter di emanazione. Il mio auspicio è che il nuovo Ministro Fedeli assuma un atteggiamento più “partecipativo” ed ascolti di più chi questi problemi li vive quotidianamente sul campo.
Tuttavia, tale importante traguardo potrà essere perseguito, se si abbandoneranno finalmente posizioni preconcette di piccolo “cabotaggio”, nella consapevolezza che solo la collaborazione ed il confronto aperto tra tutte le parti interessate potranno rendere la via “inclusiva intrapresa dalla scuola italiana già quarant’anni fala strada maestra per l’educazione e l’istruzione di tutti e di ciascuno.
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Assegnate le borse di studio “Beretta-Pistoresi”
Espletate tutte le procedure, siamo finalmente in grado di comunicare gli esiti della XX edizione del concorso alle borse di studio “Lidia Teresa Beretta ed Elena Pistoresi”.
Con vero piacere, annunciamo, dunque, che il premio da 2.500,00 euro e i due premi da 1.500,00 euro, riservati ai Soci della nostra Unione che, nel 2015, hanno conseguito la laurea magistrale, la laurea e il diploma di istruzione secondaria superiore, sono stati assegnati agli eccellenti:
Angelica Pozza, della UICI di Vicenza, che ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Verona, la laurea magistrale in lingue e letterature comparate europee ed extra-europee, con 110 con lode e votazione media agli esami di 29,3.
Gaetano Cimmino, della UICI di Napoli, che ha conseguito, presso l’Università “Federico II” di Napoli, la laurea in culture digitali e della comunicazione, con 110 con lode e votazione media agli esami di 29,2.
e Catia Valenzano, della UICI di Bari, che ha conseguito la maturità presso il Liceo Scientifico “Ilaria Alpi” di Rutigliano (Bari), con 100 con lode e votazione media al primo quadrimestre di 9,3.
La borsa di studio di 1.500,00 euro, riservata ai diplomati di Conservatorio e non assegnata per mancanza di aspiranti, è stata ripartita in parti uguali tra il secondo, il terzo e il quarto classificato nella graduatoria dei “Laureati di primo livello”, in ragione del fatto i tre candidati hanno conseguito la laurea con 110 con lode ed hanno riportato, agli esami intermedi, una votazione media uguale o lievemente inferiore a 29 trentesimi. Si sono aggiudicati i tre premi:
Raffaele Antonio Mele, della UICI di Taranto, che ha conseguito, presso l’Università “Aldo Moro” di Bari, la laurea in scienze della comunicazione e animazione socio-culturale;
Fabio Serafini, della UICI di Teramo, che ha conseguito, presso l’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti e Pescara, la laurea in mediazione linguistica e comunicazione interculturale;
e Stefano Pirilli, della UICI di Novara, che ha conseguito, presso l’Università del Piemonte Orientale, la laurea in servizi giuridici per l’impresa.
Indipendentemente dall’esito della selezione, tutti i concorrenti hanno concluso gli studi con risultati buoni o, addirittura, ottimi.
Salutiamo, perciò, con uno scrosciante applauso:
Elisa Mutti della UICI di Brescia; Gioele Costantini della UICI di Venezia; Federico Bassani, Viviana Franchini e Maria Clara Ori della UICI di Roma; Luigia Vivenzio della UICI di Napoli; Gianluca Madio della UICI di Bari; e Maria Lucia Barbera e Maria Ellenia Calvino della UICI di Catania.
Cogliamo l’occasione, per dare pubblico riconoscimento ai vincitori ed ai concorrenti della passata edizione del concorso, rimasto oscurato dalle vicende congressuali dello scorso inverno.
Salutiamo, quindi, con una ola da stadio i vincitori delle borse di studio “Beretta-Pistoresi 2015”:
Samanta Seno, della UICI di Bergamo, che ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, la laurea magistrale in antropologia culturale ed etnologia, con voti 110 con lode e votazione media agli esami di 29,6.
Manuela Migliorati, della UICI di Bergamo, che ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Bergamo, la laurea in filosofia, con voti 110/110 con lode e votazione media agli esami di 29,0.
Antonella Fraccalvieri, della UICI di Bari, che ha conseguito, presso il Conservatorio di Musica “Niccolò Piccinni” di Bari, il diploma accademico di canto, con voti 9/10 e votazione media agli esami intermedi di 8,0.
Caterina Tramontana, della UICI di Sondrio, che ha conseguito la maturità presso il Liceo Scientifico Statale “Carlo Donegani” di Sondio, con 100 e votazione media al primo quadrimestre di 9,2.
e Michele Mele, della UICI di Salerno, che ha conseguito, presso l’Università degli Studi di Salerno, la laurea magistrale in matematica, con 110 con lode e votazione media agli esami di 29,2 e che ha ricevuto un premio fuori concorso per aver conseguito il titolo in una disciplina scientifica e per aver concluso gli studi universitari di secondo livello a soli ventitré anni.
Un caloroso applauso, infine, a tutti i partecipanti alla selezione del 2015:
Silvia Battaglio della UICI di Torino; Marta Zaro della UICI di Varese; Paolo Molteni della UICI di Como; Stefania Scelza della UICI Milano; Francesca Alberti Di Benedetto della UICI di Mantova; Federico Lazzaroni della UICI di Udine; Filippo Taddei della UICI di Firenze; Giulia Coltelli della UICI di Pisa; Denny Rinaldi della UICI di Arezzo; Lucia Di Mascio della UICI di Pescara; Francesca Santoro della UICI di Roma; la già menzionata Luigia Vivenzio della UICI Napoli; Marco Maenza della UICI di Barletta; Nicolò Fiume e Diego Sergio Orlando della UICI di Bari; Maria Aita della UICI di Siracusa; Giovanna Corraine della UICI di Nuoro e Maria Angelica Nioi della UICI di Cagliari.
L’arte di essere, di Alfio Pulvirenti
La fondazione Roma Sapienza in collaborazione con l’università di Roma ha ideato e portato avanti il progetto “L’arte di Essere”, con l’obiettivo di sensibilizzare i giovani ai temi della disabilità.
L’iniziativa ha coinvolto, attraverso la diffusione di un annuncio pubblico, i licei e gli istituti superiori di Roma, chiamati a collaborare attivamente per la realizzazione del progetto.
Gli studenti liceali sono stati invitati a partecipare all’iniziativa attraverso l’invio di bozzetti realizzati su supporto cartaceo e ispirati al tema della disabilità.
Guardare la disabilità attraverso gli occhi dei giovani rappresenta un momento di riflessione su quanto è stato realizzato per migliorare lo stile di vita di uomini e donne diversamente abili.
Sensibilizzare gli studenti liceali e universitari a temi così fortemente delicati è un principio di speranza per un futuro che sia più attento al valore della vita di ogni singolo individuo.
Presso la fondazione Roma Sapienza sono pervenute ben 26 opere da cinque istituti superiori romani, quali liceo scientifico e linguistico “Ascanio Landi”, l’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “J. Von Neumann”, il Liceo Ginnasio Statale “Orazio”, il Liceo classico e Scientifico Statale “Socrate”, l’Istituto Professionale Statale “Stendhal”.
Le opere sono state esposte sabato 3 dicembre 2016 nella sala Odeion Museo dell’Arte Classica, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Sapienza di Roma.
La visita delle opere è stata preceduta dalla conferenza tematica, durante la quale Germana Lancia, responsabile dello sportello dell’università Sapienza, Roma, dedicato ai diritti degli studenti Diversamente abili, ha presentato il suo volume intitolato “La via Crucis della disabilità”. Il testo è accessibile ai non vedenti in quanto l’autrice ha fatto realizzare il volume in formato audio. Il CD porta l’etichetta tipografica con le immagini di copertina.
I Lavori sono stati moderati dal Prof. Folco Biagini, Presidente della Fondazione Roma Sapienza. Sono intervenuti: Eugenio Gaudio, Magnifico Rettore, Anna Paola Mitterhofer, delegato per le iniziative in favore degli studenti diversamente abili, Marcello Barbanera, direttore del Museo dell’Arte Classica, Corrado Moretti, Pediatra d’urgenza e terapia intensiva pediatrica, Mario Morcellini, Pro Rettore alle comunicazioni istituzionali.
Al termine dei Lavori, il Prof. Folco Biagini, Presidente della Fondazione Roma Sapienza, ha ringraziato i dirigenti scolastici interessati e ha consegnato il certificato di riconoscimento del merito ad ogni studente, autore delle opere esposte.
E adesso, quale futuro per la delega sull’inclusione?, di Gianluca Rapisarda
Prima dell’attuale crisi di Governo, in occasione di un recente incontro con i sindacati, il Miur aveva annunciato che avrebbe messo mano alla legge delega sull’inclusione entro la fine dell’anno.
Trattasi naturalmente della delega prevista dal comma 181 della legge n.107/2015 – lettera c): promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità e riconoscimento delle differenti modalità di comunicazione.
Durante la riunione di cui sopra, l’Amministrazione aveva fornito informazioni puntuali soprattutto su:
1. ruolo del personale docente di sostegno;
2. revisione dei criteri di inserimento nei ruoli del sostegno didattico;
3. revisione delle modalità e dei criteri relativi alla certificazione.
Il ruolo dei docenti per il sostegno dovrebbe essere ridefinito (dopo le dimissioni del premier Renzi il condizionale è d’”obbligo”) nella direzione di una loro formazione iniziale e continua, con specificità profonde e una conoscenza adeguata delle esigenze degli alunni disabili. Nel dettaglio, per tutti i gradi di istruzione, per poter insegnare sul posto di sostegno, dovrebbe essere obbligatorio conseguire 120 crediti formativi universitari sull’inclusione scolastica (oggi si diventa docenti di sostegno con soli 60 Cfu, ovvero 1 anno di specializzazione). Tutti i futuri docenti di ogni ordine e grado dovrebbero avere inoltre, nel loro percorso di formazione iniziale, crediti riguardanti le metodologie per l’inclusione.
Quanto alla revisione dei criteri di inserimento nei ruoli del sostegno didattico, l’obiettivo dichiarato dall’uscente Sottosegretario Faraone era quello di garantire la continuità del diritto allo studio degli allievi disabili, facendo sì che gli stessi abbiano lo stesso docente per il sostegno per l’intero ordine o grado di istruzione (quindi il medesimo insegnante per il sostegno per i 5 anni di scuola primaria, per i 3 anni di scuola secondaria di I grado e per i 5 anni della scuola secondaria di II grado).
Relativamente alla certificazione della disabilità, dovrebbe continuare ad essere effettuata dalle attuali commissioni mediche, ma con specialisti adeguati ai minori ossia pediatri e non geriatri. La stessa commissione, poi, integrata da personale scolastico, dovrebbe procedere ad una valutazione “diagnostico-funzionale”, in modo da definire la gravità della disabilità in rapporto alla scuola.
La summenzionata delega prevede anche altri aspetti quali:
– l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni scolastiche, sanitarie e sociali, tenuto conto dei diversi livelli di competenza istituzionale;
– la previsione di “indicatori di qualità” per l’autovalutazione e la valutazione dell’inclusione scolastica;
–la revisione e la razionalizzazione degli organismi operanti a livello territoriale per il supporto all’inclusione (CTS, CTI e CTR), con la costituzione di appositi Centri per l’Inclusione Scolastica;
– la previsione dell’obbligo di formazione iniziale e in servizio per i dirigenti scolastici e per i docenti sugli aspetti pedagogico-didattici e organizzativi dell’integrazione scolastica;
– la previsione dell’obbligo di formazione in servizio per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, rispetto alle specifiche competenze, sull’assistenza di base e sugli aspetti organizzativi ed educativo-relazionali relativi al processo di inclusione scolastica;
– la previsione della garanzia dell’istruzione domiciliare per gli alunni che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 12, comma 9, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Fin qui l’operato del Governo Renzi, anche se forse sarebbe più opportuno parlare solo di buone intenzioni considerato che, nonostante le sue rassicurazioni sulla pubblicazione della Delega sull’inclusione entro la fine dell’anno, l’unica cosa certa per noi persone con disabilità è che, prima delle sue dimissioni del 7 Dicembre u.s., quella “bozza” noi non l’avevamo ancora “vista” e che sul tema si era fatto finora solo “tanto rumore per nulla”.
E adesso, quale futuro per la delega sull’inclusione?
Innanzitutto, a scanso di equivoci, voglio subito precisare di non essere pregiudizialmente e pretestuosamente contrario ai principi ispiratori contenuti nella bozza di delega sull’inclusione proposta dall’uscente esecutivo che, anzi, condivido in buona parte.
Tuttavia, ritengo che essa fosse viziata da un “peccato originale”, perché pretendeva di “rivoluzionare” il sistema del sostegno, senza cercare un rapporto stretto e fattivo ed un coinvolgimento concreto di chi i problemi della scuola e dell’inclusione scolastica li vive sulla “propria pelle” ed in prima persona, come fanno quotidianamente le famiglie dei nostri alunni/studenti e le Associazioni di e per le persone con disabilità.
L’inclusione non può prescindere dallo sforzo collaborativo del MIUR, che deve essere sempre in grado di confrontarsi “a tutto tondo” e di attivare sinergie positive e cercare sintonie strategiche con tutto il contesto scolastico (dunque anche con gli allievi disabili, con i loro genitori e con chi li rappresenta), senza sconfinamenti in campi altrui e nell’unico interesse del loro diritto allo studio.
Non credo che, con il nascituro Governo, il processo di riforma del sostegno che si stava cercando di attuare si arresterà. Anzi, sono convinto che esso vada finalmente rafforzato e corroborato con il concorso e la partecipazione più ampia e collegiale possibile. L’inclusione scolastica, infatti, riguarda tutti, nessuno escluso.
Solo tenendo costantemente presente tale principio “supremo, qualsiasi Governo che verrà, sarà in grado di non proporci più soluzioni “solipsistiche” ed esclusivamente “emergenziali” sul sostegno, ma potrà finalmente promuovere una riorganizzazione strutturale, funzionale ed efficace del processo inclusivo degli allievi con disabilità del nostro Paese.
Il “regalo” di Natale più bello che auspico per le Associazioni di e per disabili è che, nell’ambito del prossimo Esecutivo, il nuovo Ministro per l’istruzione, l’Università e la ricerca riscopra la capacità “contrattuale” di coinvolgere e collaborare con tutte le componenti interne ed esterne della scuola, nel rispetto delle diverse competenze e funzioni, rivelandosi così determinante per il raggiungimento di risultati di qualità nell’erogazione dei servizi a supporto dell’inclusione scolastica, garantendone l’uniformità su tutto il territorio nazionale.
“Niente su di noi senza di noi”: è questo il motto del movimento internazionale delle persone con disabilità. Ed ancora “i disabili, come protagonisti delle loro vite, partecipi delle scelte politiche ed attori delle decisioni su di loro”. Ebbene, è giunto il momento di passare da questi “ammirevoli” slogan alle prassi operative in quanto, senza il nostro “modesto” ma competente contributo, qualsiasi Governo, di qualsivoglia “colore” politico, tenderà a considerare sempre l’inclusione scolastica come un “adempimento formale”, o peggio ancora, un mero procedimento contabile, basato soltanto sulla quantificazione numerica delle ore del sostegno. Devono essere, invece, gli interventi, le risorse, il piano sul ragazzo ed il “contesto nel loro insieme a dare misura della qualità dell’integrazione scolastica. Non solo quantità, quindi, ma anche e soprattutto “qualità del sostegno.
Tuttavia, il miracolo di questo obiettivo sarà possibile realizzarlo se sia al MIUR, sia all’interno delle nostre organizzazioni si smetterà di pensare una volta per tutte che non esistono un “io” ed un “tu, separati tra loro, ma solo un “Noi”.
Infatti, cooperando e lavorando insieme, potremo fare in modo che il Piano annuale dell’inclusività non sia, come adesso si verifica di sovente, solo un aspetto residuale e marginale del PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa). Al contrario, esso ne deve diventare parte integrante, retro-agendo sulle “ordinarie” pratiche didattiche, riorientando positivamente il percorso d’istruzione di ogni studente ed assicurando in siffatto modo il successo formativo di tutti e di ciascuno.
Soltanto una leadership educativa e “partecipativa” così forte sul tema dell’inclusione da parte del nuovo Governo può far si che l’interazione scuola- famiglia- Enti locali- Soggetti ed Associazioni del territorio (anche di e per persone con disabilità) non si riduca a prassi stanche e sterili, ma rappresenti un importante momento di condivisione ed impegno comune.
Collaborare con le università per formare professionalmente figure di supporto per gli alunni ciechi e ipovedenti, di Silvana Piscopo e Mario Mirabile
La Sezione provinciale di Napoli dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, impegnata in modo continuo e multilaterale, sui problemi dell’inclusione scolastica dei ragazzi ciechi ed ipovedenti, venerdì 25 novembre ha incontrato studentesse e studenti della facoltà di Scienze dell’educazione presso l’Università degli studi Suororsola Benincasa di Napoli.
Tale incontro, frutto di una lunga e proficua collaborazione tra l’Uici napoletana e l’università, rappresenta una prima tappa di un programma di formazione che scaturisce dalla piena consapevolezza del ruolo che noi dell’UICI siamo chiamati a svolgere nel processo di trasformazione in atto dell’intero sistema scolastico e dell’importanza che rivestono le facoltà universitarie di Pedagogia, Scienze dell’educazione, Scienze della formazione, Psicologia, per tutto quanto attiene la professionalità di educatori-assistenti alla comunicazione e l’autonomia; docenti di sostegno; operatori con competenze tiflologiche; tiflologi.
Con convinzione, perciò, il presidente della Sezione di Napoli dott. Mario Mirabile e la responsabile per l’istruzione e la formazione prof.ssa Silvana Piscopo, si sono immediatamente rapportati alle studentesse e agli studenti che il professor Ciro Pizzo, nel corso di sua titolarità disciplinare “i modelli sociali delle disabilità” aveva previsto di affidarci per una prima lezione.
Abbiamo scelto la procedura del dialogo attivo fra noi e gli studenti per promuovere relazione di reciprocità, domande, reazioni;
Mario Mirabile, dopo una breve presentazione della mission dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e l’informazione sui servizi che l’associazione è in grado di offrire anche con l’apporto della Biblioteca Regina Margherita, della Federazione pro ciechi e degli altri enti collegati, si è direttamente messo in gioco: attraverso la propria esperienza di vita attiva, le inevitabili alternanze esistenziali, ha evidenziato come si può conquistare l’autonomia organizzativa; una buona capacità di indipendenza nella gestione del quotidiano; un grande senso di appartenenza alla comunità attraverso l’impegno associativo che, in qualità di presidente di una sezione di oltre 2000 soci, richiede sensibilità, attenzione costante alle tante e diverse problematiche umane e, dunque, offre anche l’opportunità di imparare ad ascoltare e a far tesoro di tutte le altrui esperienze.
Silvana Piscopo ha affrontato, più specificamente, la relazione che gli studenti presenti potrebbero avere con l’inclusione scolastica degli allievi con le varie disabilità visive: la variabile della disabilità connessa ai contesti, la comunità scolastica come e quando può divenire inclusiva, cosa deve sapere e saper fare chi voglia intraprendere il percorso per svolgere attività educativa, di assistente all’autonomia e alla comunicazione, cosa potrà fare il consulente tiflologico. Queste sono state le coordinate da cui sono poi scaturite domande dal pubblico attento e motivato del quale hanno fatto parte anche il professor Pizzo, titolare del corso sui modelli sociali delle disabilità e la prof.ssa Carmela Pacelli, responsabile del servizio di Ateneo per le disabilità(SAAD) dell’Università degli Studi Suororsola Benincasa di Napoli.
Un’esperienza certamente positiva e arricchente per tutti; così l’hanno definita entrambi i professori con i quali ci siamo impegnati a continuare a svolgere incontri formativi e di sensibilizzazione.
Nuova Carta del prof e “vecchi” problemi di accessibilità, di Gianluca Rapisarda
Nella serata del 12 novembre abbiamo avuto la notizia che la card del docente è ormai in dirittura d’arrivo.
Non si tratterà di una card fisica, come una carta di credito o un bancomat, ma di un “borsellino elettronico” e dunque virtuale. I particolari non sono ancora del tutto chiari, ma il meccanismo dovrebbe essere all’incirca questo: per poter acquistare un certo servizio o un oggetto il docente dovrà accedere al portale unico www.cartadeldocente.istruzione.it sul quale dovrebbero essere disponibili i vari tipi di servizi (per il momento il portale non è ancora attivo) Per poter accedere al portale è però necessario preliminarmente registrarsi allo SPID (Sistema Pubblico di Identità digitale).
E a questo punto nascono le prime difficoltà e i primi intoppi. Sullo SPID è possibile ottenere l’identità digitale utilizzando una delle 4 procedure disponibili: InfoCert, Poste Italiane, Sielte o TIM. Utilizzando InfoCert è necessario disporre di un PC con webcam (ma il servizio è a pagamento, 20 euro, anzi 19,90 per la precisione); si può anche andare di persona presso un Centro InfoCert ma in tal caso ci si dovrà spostare di cento chilometri o anche più dalla propria città (per esempio in Piemonte c’è un solo centro a Torino, in Sardegna l’unico centro si trova in provincia di Sassari)
In alternativa ci si può registrare tramite Sielte ID, del tutto gratuito (ma è necessario avere una casella di posta certificata che costa pochi euro all’anno se acquistata presso un provider privato e che è gratuita se richiesta ad un ufficio postale). Anche l’uso del portale di TIM prevede qualche sbarramento non da poco: per poter ottenere l’identità digitale è infatti necessario disporre di una CNS (carta nazionale dei servizi), oppure di una firma digitale, da acquistarsi presso un provider privato, oppure di una carta di identità digitale (non tutti i Comuni sono attrezzati per rilasciarla). E c’è un’altra piccola sorpresa: per chi usa TIM il servizio è gratuito se ci si registra entro il 31 dicembre prossimo; l’identità digitale è gratuita per due anni ma poi andrà pagata sottoscrivendo un abbonamento annuale. E veniamo alla registrazione attraverso Poste Italiane.
Per poter utilizzare questa modalità è necessario avere un conto corrente postale avere a disposizione il Bancoposta e il relativo lettore. Disponendo di tutto ciò ho provato a registrarmi (per la verità con la mia compagna vedente e non da solo) ed è andato tutto abbastanza bene, fino a che la piattaforma non le ha chiesto un indirizzo PEC. Bisognerà inoltre verificare se le altre 3 procedure, oltre alle criticità che vi ho sopra descritto, non presenteranno anche ulteriori problemi di accessibilità per noi disabili visivi. Insomma, vuoi vedere che, in qualità di direttore scientifico I.Ri.Fo.R., devo proporre un corso di formazione per docenti non vedenti per poter partecipare alle nuove attività di formazione promosse dal MIUR? Spero di sbagliarmi e di non essere costretto, invece, come invocato da Giovanni Taverna e da Silvana Piscopo, a chiedere agli amici del gruppo OSI una mano d’aiuto per sbrogliare questo nuovo “pasticcio” della scuola italiana.
In tal caso, saremmo di fronte ai “soliti” problemi di accessibilità delle varie piattaforme digitali del MIUR e di tutti gli altri principali Dicasteri, che forse a questo punto richiederebbero l’indifferibile apertura di un “tavolo” tecnico permanente con il Governo che, supportato a livello interministeriale da nostri esperti possa finalmente garantire davvero il diritto alle pari opportunità ed all’accessibilità di tutte le persone con disabilità visiva del nostro Paese.
UICI Firenze – Disponibilità quaderni ad alta visibilità
Come noto, il bambino ipovedente alle prese con l’apprendimento della scrittura deve affrontare, oltre al normale impegno sostenuto da tutti i suoi coetanei, un ulteriore sforzo per percepire i riferimenti grafici spaziali che aiutano nell’organizzazione della pagina e nel mantenimento del necessario ordine, costituiti dalle varie rigature e quadrettature del foglio. Spesso, inoltre, i bambini ipovedenti con minorazioni aggiuntive non sono in grado di rispettare gli spazi delle righe e dei quadretti convenzionali.
Al fine di rispondere ai bisogni di questi due gruppi di alunni, la sezione di Firenze della Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ha fatto realizzare quaderni di sei tipologie differenti, i quali possono essere utilizzati da bambini e ragazzi ipovedenti di ogni ordine e grado di scuola.
I quaderni che proponiamo hanno, infatti, le seguenti caratteristiche generali:
– righe e quadretti in grigio molto marcato, con spessore della traccia leggermente maggiorato;
– carta bianco avorio opaca gr. 90 di buona qualità per evitare che la scrittura traspaia sul retro, specie con l’utilizzo di pennarelli o di strumenti grafici con tratto spesso ed evidente;
– 48 fogli per quaderno;
– dimensione A4, per evitare differenziazioni non necessarie rispetto alle dimensioni dei quaderni comunemente in uso adottate;
– copertine con colori vivaci differenziati per tipologia.
I “Quaderni ad alta visibilità” nascono dall’esperienza dei professionisti che operano all’interno del Centro per la Riabilitazione Visiva “Carlo Monti” e al Centro di Consulenza Tiflodidattica di Firenze e saranno disponibili presso la nostra sezione da Settembre 2016.
Le sei tipologie individuate sono le seguenti:
– 2 formati standard: quadretto da 1 cm (solitamente usato in prima e seconda elementare) e riga da 8 mm (solitamente usata dalla quarta/quinta elementare in poi)
– 4 formati “speciali” che non esistono attualmente in commercio:
– quaderni a righe di seconda elementare con binario centrale più evidente e con abolizione delle righe verticali, che costituiscono un elemento visivamente poco utile; i quaderni a righe di seconda vengono solitamente utilizzati anche in sostituzione di quelli a righe di terza che hanno un binario molto stretto
– quadretti da 7mm, più piccoli di quelli da 1 cm, che seguono l’evoluzione naturale della scrittura senza costringere tuttavia l’alunno ipovedente a scrivere troppo in piccolo per non compromettere la rilettura
– quadretti da 1,5 cm per le macro-grafie, utili per quegli alunni che presentano, oltre alla problematica visiva, anche lievi deficit motori e/o disabilità intellettive
– righe da 1,5 cm, con righe di confine molto evidenti, per gli alunni di cui sopra.
I quaderni hanno un costo di € 2 ciascuno
È possibile ordinarli già da ora, contattando la nostra sede via e-mail o via telefono ai seguenti recapiti:
uicfi@uiciechi.it
Tel. 055 580319
Per l’ordine sarà necessario indicare:
– nome e indirizzo per la spedizione;
– Recapito telefonico in caso di eventuale ulteriore necessità di contatto;
– quantitativo richiesto per ogni tipologia di quaderno.
“Chi vede poco spesso non si nota, per cui l’ipovedente è un cittadino senza patria.
Il nostro quaderno vuole essere un piccolo ponte perché gli altri ci vedano per quello che siamo: persone con qualche difficoltà in più, perché la loro vista è difettosa, e perché gli altri non lo sanno.
Fra la disabilità e la divers-abilità la differenza la fa l’aiuto giusto, e il nostro quaderno, per tanti bambini potrà essere proprio l’aiuto che ci vuole!”
Istruzione – Una sfida che non possiamo perdere, di Luciano Paschetta
In questi giorni abbiamo letto quotidianamente agenzie di stampa che sottolineano la mancanza di docenti di sostegno (e quando ci sono la loro non specializzazione), Conseguenza: le famiglie vengono invitate a tenere a casa i loro figli con disabilità in attesa che la situazione del personale si “normalizzi”. Prima accusata la legge 107 sulla buona scuola, dimenticando che se è vero che le difficoltà nell’avvio dell’anno scolastico quest’anno sono state acuite dall’intrecciarsi di regole del nuovo ed il vecchio sistema di mobilità del personale in particolare in riferimento ai vincitori di concorso. A chi semplicisticamente ritiene responsabile di tutto la legge 107 sulla “buona scuola” va anche ricordato che gli effetti sull’inclusione di questa legge sono, al momento, nulli : le nuove norme previste, demandate ad un decreto delegato, non sono ancora state emanate. La causa profonda di quanto sta accadendo agli alunni con disabilità viceversa sta nella pericolosa “deriva” verso la delega del disabile al docente di sostegno interpretato come il “garante” dell’inclusione, che ha ormai pervaso il nostro modello e che, tra l’altro, per la scolarizzazione dei nostri ragazzi ha creato più danni che vantaggi.
I ritardi di questi giorni nelle nomine hanno solo reso evidenti e messo a nudo le contraddizioni dell’attuale modalità di realizzare ‘l’integrazione degli alunni con disabilità. La contraddizione avverso la normativa: la legge fa obbligo alla scuola di accettare tutti gli alunni con disabilità, nessuna norma subordina la loro accettazione in classe alla presenza o meno del docente di sostegno, ma una contraddizione ancora più grave la rileviamo rispetto ai principi pedagogico didattici che stanno alla base della corretta cultura dell’inclusione : impedendo all’alunno con disabilità di frequentare se manca il docente di sostegno, di fatto si legittima, che ai docenti titolari non competa insegnare all’alunno con disabilità e che non siano loro i responsabili del suo apprendimento, quasi egli appartenesse ad una scuola “altra”.
Scuola “altra” la cui presenza sembra essere stata in qualche modo “riconosciuta” quando per l’inclusione degli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali anziché chiedere alle scuole la progettazione di un P.T.O.F inclusivo (Piano triennale dell’offerta formativa) si è richiesto loro la redazione di un documento separato in riferimento all’inclusione: il P.A.I. (Piano annuale per l’inclusione) quasi che si trattasse di qualcosa particolare al di fuori del PTOF. Tutto ciò evidenzia lo stato di “malessere” della nostra scuola nei confronti della scolarizzazione degli alunni con disabilità e come questo sia causato dalla “distorsione” del nostro attuale modello di inclusione che, sempre più incentrato sul docente di sostegno, si allontana sempre più dai principi della “uguaglianza di opportunità”,, della “scuola per tutti e per ciascuno “, della “progettazione for all” e, dal contesto culturale nel quale ci riconoscevamo “tutti uguali, tutti diversi”, che, negli anni ‘70’, aprì la scuola di tutti a tutti. Questo modello di inclusione che fa del docente di sostegno il “garante” dell’inclusione è destinato a far fallire il processo stesso di integrazione: l’inclusione ha alla base la relazione positiva con l’altro (compagni, docenti e personale tutto), in attività comuni in gruppo, questo non lo garantisce il docente di sostegno ma il “contesto”.
Senza un contesto scuola inclusivo che favorisca rapporti positivi con i compagni, dove il docente titolare si occupa dell’alunno con disabilità, dove il disabile partecipa alle iniziative di pos ed extra scuola con i compagni, dove i vari ambienti siano accessibili, così come i libri ed i documenti, dove egli possa trovare gli strumenti ed i sussidi che gli permettano di seguire in pari opportunità, o comunque secondo le sue possibilità, l’attività didattica, è difficile si sviluppi un positivo processo di inclusione. Garante dell’inclusione non è e non può essere il docente di sostegno, ma un contesto che sa accogliere in pari opportunità l’alunno con disabilità e ne favorisce l’inclusione nelle diverse attività.
Noi come associazione, nonostante l’impegno, non potremo incidere più di tanto sul cambiamento della organizzazione della scuola, ma possiamo e dobbiamo fornire il necessario sostegno alle scuole per renderne il “contesto” inclusivo per i ragazzi con disabilità visiva fornendo il nostro competente supporto. All’interno delle nostre diverse istituzioni : Federazione delle istituzioni pro ciechi, Biblioteca Regina Margherita, IRIFOR e UICI sono presenti competenze e servizi che possiedono le potenzialità per farlo. Il Network, voluto dalla nostra presidenza nazionale, dopo aver messo a fuoco i principali problemi e definito le linee di intervento, ha oggi davanti a sé la sfida più importante: tradurre le idee in prassi, sviluppando un “sistema” nazionale di sostegno alle famiglie ed alle scuole. All’interno delle nostre diverse istituzioni sono presenti competenze, strumenti, buone prassi ed eccellenze, spesso sconosciute a genitori e scuole, si tratta di farle “uscire dall’oblio”, condividerle ed organizzarle in una rete strutturata a livello nazionale capace di interagire con le scuole, gli altri centri di supporto all’inclusione previsti dal MIUR: CTS e CTI e gli altri servizi del territorio. Una rete, che, definita la mappa delle strutture e delle competenze presenti, messa insieme e condividendo risorse e strategie, realizzi un “servizio nazionale di sostegno all’inclusione”. Un servizio che partendo dalle attuali risorse presenti sul territorio (Centri tiflodidattici, ex istituti per ciechi, Cooperative per l’assistenza tiflopedagogica, stamperie braille, centri di ipovisione, BIC, Museo Omero, sedi UICI e IRIFOR con specifici servizi di supporto all’inclusione, ecc.) “li riorganizzandoli in un unicum”,, ne definisca il livello dei servizi erogati sulla base di alcuni criteri quali ad es. le competenze tiflodidattiche e tifloimformatiche, i sussidi ed i materiali didattici disponibili, la capacità di formazione tiflopedagocica, il numero e la qualifica degli operatori, le strutture (aule e attrezzature), individuando: Centri di sostegno di base di I libello, Centri di sostegno più specializzati di II livello, Centri di eccellenza riferiti a specifiche competenze a livello nazionale, capaci di fornire percorsi formativi avanzati e/ sussidi particolari.
Un servizio nazionale per l’inclusione che a sua volta “entri” nella rete dei servizi offerti da altri enti (associazioni e organizzazioni di disabili, enti pubblici, cooperative, consorzi socioassistenzali, ecc.). Un portale dove il tutto venisse presentato in modo organico, potrebbe essere la vetrina della nostra proposta per far conoscere e offrire ai genitori, ai docenti ed agli operatori tutti, quel “sostegno al contesto”, famigliare, scolastico e sociale capace di renderlo inclusivo per i nostri ragazzi e attento ai loro bisogni. Concretamente avremo una organizzazione strutturata che ci consentirà di proporci alle scuole per incontrare i consigli di classe e agli operatori delle realtà locali che erogano servizi integrativi ed orientarli verso il servizio più idoneo che potrà aiutarli a costruire percorsi socioeducativi mirati al piano sviluppo del ragazzo con problemi di vista.
Potremo organizzare ai diversi livelli (provinciale, regionale o nazionale (attività di formazione qualificata per genitori e per docenti, ma anche per educatori ed assistenti. Potremo fornire agli altri servizi territoriali per la disabilità presenti sul territorio la informazioni necessarie per orientare genitori e scuole a rivolgersi al nostro sevizio. Sapremo indicare a docenti, genitori e educatori all’autonomia e alla comunicazione ed agli assistenti domiciliari dove trovare e come utilizzare i necessari sussidi per lo studio, per l’autonomia personale e per il gioco ed il tempo libero; come avere a disposizione una audioteca dove trovare audiolibri, riviste e quotidiani. Realizzare un servizio nazionale per il sostegno all’inclusone delle persone con disabilità visiva, questa la sfida che ci viene dalla situazione della nostra scuola, alla quale siamo chiamati a rispondere, per farlo non sono necessari interventi “esterni”, o legislativi, né delibere di enti locali, dipende solo dalla capacità e dalla volontà delle nostre diverse istituzioni di “fare squadra”, superando personalismi e individualismi, mettendo in comune esperienze, competenze e risorse, lavorando insieme su obiettivi comuni. Questo lo spirito che ha caratterizzato i primi passi del gruppo di lavoro del Network )e, chi ben incomincia E che serve per vincere la sfida dell’inclusione reale per i nostri ragazzi, una sfida che non possiamo permetterci di perdere.
Istruzione – Riflessioni ad Alta Voce, di Giuseppe Fornaro
Bambini di 5 anni portati in braccio a scuola, ragazzi adolescenti vestiti dalle madri, giovani uomini imboccati dai padri.
Di queste scene se ne vedono sempre più frequentemente, persone disabili, per lo più’ bambini, adolescenti, giovani, capaci di potersi muovere, nutrirsi, pensare e decidere secondo gusto, completamente sostituiti dalle famiglie. Ciò che maggiormente lascia amareggiati è la disinvoltura con cui questi giovani sono rassegnatamente abituati. Proiettati con la mente chissà dove, mentre alzano un braccio per essere vestiti o aprono la bocca per essere imboccati. Giovani perfettamente in grado di curarsi di se,nel rispetto dell’handicap senza un minimo accenno di ribellione..
Perché non lo fanno?
Perché nel tempo in cui questi ragazzi hanno reclamato il diritto all’autonomia, piangendo e arrabbiandosi per i loro tentativi falliti, sono stati interpretati con l’ingiusto parametro “dell’impossibilitato“, dimenticando di insegnare loro, invece, come sarebbe stato possibile fare da soli. È su questo parametro che i bambini, poi diventati adolescenti ed oggi adulti, si sono sentiti giudicati e da li, hanno ritenuto inutile la loro ribellione, abituandosi a non approfittare della gioia di fare da soli, di superare la difficoltà e fare nuove scoperte. L’autonomia è una richiesta naturale che appartiene ad ognuno di noi quando ad un certo punto della vita sentiamo una spinta dall’interno che ci spinge a fare da soli, al pari di camminare è un percorso che va guidato dai genitori o chi li sostituisce. Una richiesta spesso male interpretata, ritenuta nel migliore dei casi, un capriccio o un bisogno da soddisfare in fretta. Quei momenti però, diminuiscono di frequenza lasciando spazio all’abitudine di essere accudito e gli stimoli all’autonomia non saranno più percepiti, ritenuti come un ingiustificato ammonimento di chi ha sempre fatto per lui. I gesti quotidiani che possono essere svolti in autonomia diventano incombenze pesanti e difficili da risolvere e al loro posto subentra la richiesta, sia essa esplicita o frutto di una tacita aspettativa consolidata dalle abitudini. Poi arriva il giorno in cui il genitore, stanco o invecchiato prende coscienza di avere un figlio adulto che non regge il confronto con una buona parte di coetanei disabili quando si tratta di autonomia. Tutto questo per cosa? Per non alzarsi mezz’ora prima al mattino, per non arrivare a casa un po’ più tardi, per non aggiungere ansie genitoriali a quelle che già ci sono per condizione. Eppure io sono fortemente convinto che i sacrifici che i genitori devono compiere siano la necessaria componente al raggiungimento dell’autonomia e l’autostima che devono essere riconosciute anche alle persone disabili.
Scuola: ottimismo della volontà per il futuro, realismo della ragione per il presente, di Silvana Piscopo
Ad oltre una settimana dall’inizio dell’anno scolastico, si moltiplicano gli ostacoli al diritto allo studio di tanti alunni ciechi ed ipovedenti nelle scuole di ogni ordine e grado; in molte regioni si sta procedendo a nominare sui posti di sostegno docenti carenti, o addirittura privi di titoli specialistici, segno, questo, di una concezione puramente riempitiva e, perciò stesso, antipedagogica e, contraria al rispetto dei diritti di crescita culturale degli allievi, perché ridotti a persone da assistere, invece che ragazzi da valorizzare in base alle capacità; la continuità educativa si sta riducendo ad uno slogan cui più nessuno crede: eppure la legge 107, ormai in vigore da un anno, non solo introduceva elementi interessanti che riaprivano un dibattito pedagogico, culturale, organizzativo; ma, come spesso accade nella nostra bella e, al tempo stesso, frammentata Italia dei campanili e municipi, la sovrapposizione di interessi delle varie parti in causa, le lentezze burocratiche, il prevalere dell’immagine di velocità a fronte della sostanza delle reali necessità, stanno severamente compromettendo ogni cosiddetta buona intenzione, creando sconcerto e approfondendo solchi tra città e città, regioni e regioni, allargando le fasce di marginalizzazioni soprattutto per ragazzi e famiglie che dovrebbero ricevere sicurezza e garanzie.
Si aggiunga la totale incertezza che permane circa i servizi basilari per andare a scuola, studiare a casa, acquisire gli strumenti per imparare ad essere autonomi o migliorare le proprie esperienze di relazione; non so cosa accada nelle regioni del nord, ma qui in Campania e, mi risulta in altre regioni del sud, non ci sono impegni concreti circa i trasporti per andare a scuola e ritornare a casa, non ci sono criteri per l’attivazione dell’assistenza post-scolastica, né, tantomeno per gli assistenti educativi e alla comunicazione.
Auspico che almeno siano state regolarizzate le convenzioni per le trascrizioni dei testi scolastici e che, ove ciò sia avvenuto, la biblioteca nazionale regina margherita faccia ogni sforzo per fornire i libri in tempi tali da poter essere utilmente funzionali alle necessità di studio dei destinatari.
A fronte di una situazione tanto pesante per i nostri ragazzi e le loro famiglie: possono bastare le lettere che facciamo alle istituzioni competenti che continuano ad ignorare le richieste e tergiversare in quei vaghi incontri che si risolvono con promesse generiche?
Possono bastare le volenterose rassicurazioni di tanti dirigenti periferici che tentano di evidenziare quanto si sta cercando di fare con la preparazione del network per l’inclusione,
quando ti viene richiesto che senza trasporti e senza assistenza allo studio domestico un figlio di famiglia monoreddito, a scuola non può andare?
Ci abbiamo creduto nelle mozioni congressuali e, personalmente, voglio continuarci a credere ed è per questo che contribuisco a dare ciò che posso all’Uici: però occorre pensare ad azioni politiche che coinvolgano ragazzi e genitori nelle trattative con le istituzioni, rendere più snelle le procedure di questi incontri, spesso troppo chiusi nel ristretto giro dei presidenti vari, avere una maggiore fiducia nelle persone che collaborano nei gruppi di lavoro, ripensare alla funzione delle commissioni, al loro grado di autonomia, o alla loro sostituzione ove si ravvisi che servono solo a fare da orpello o a corrispondere ad una necessità di compensazione per persone che non abbiano avuto altri ruoli soddisfacenti nelle compagini associative.
Sono guidata dalla passione per la crescita culturale e l’inclusione sociale di tutti, ma voglio continuare ad impegnarmi senza mai rinunciare allo spirito critico e costruttivo.
Silvana Piscopo