Rinnovo convenzione con Unitelma Sapienza per il triennio 2018-2021

È stata rinnovata (fino al 19 novembre 2021) la convenzione con l’Università Unitelma Sapienza, che prevede per i soci Uici:
• tassa di iscrizione agevolata, anche per i fuori corso;
• borsa di studio totale per il secondo e terzo anno (esclusi i fuori corso), “qualora gli studenti acquisiscano il 60 per cento dei Crediti Formativi Universitari previsti per quell’annualità, e con una media non inferiore a 25/30” (i titolari di borsa di studio saranno tenuti al pagamento solo della tassa regionale).

Riferimento: Prot. Uici in arrivo 14460 del 12/11/2018.
Per usufruire delle condizioni della Convenzione (riservata a tutti i soci Uici, anche a quelli sostenitori) è necessario presentare alla Segreteria Studenti dell’Ateneo copia dell’Attestato di tesseramento Uici, che verrà rilasciato, a richiesta, dalla Sezione Uici presso cui ci si è tesserati.

Nel tempo, l’offerta formativa dell’Ateneo si è arricchita, andando oltre le Aree Giuridica ed Economica che restano, in ogni caso, il core di Unitelma Sapienza.
Tra i Corsi di studio, si può scegliere tra i seguenti:
Area Giuridica: Giurisprudenza (sei percorsi di studio), Scienze dell’Amministrazione (due percorsi di studio) e Corso magistrale in Management delle Organizzazioni Pubbliche e Sanitarie (tre percorsi di studio)
Area Economica: Economia Aziendale (due percorsi di studio) e Corso magistrale in Economia, Management e Innovazione (tre percorsi di studio);
Area informatica: Informatica (Corso inter-Ateneo con La Sapienza- Uniroma 1)
Area Psicologica: Scienze e Tecniche psicologiche (Corso inter-Ateneo con La Sapienza- Uniroma 1)
Area Archeologica: Classical Archaeology in lingua inglese (Corso inter-Ateneo con La Sapienza- Uniroma 1)
Nota bene: La didattica è completamente telematica, mentre gli esami verranno svolti in presenza a Roma presso la Città Universitaria La Sapienza- Uniroma 1, o, se si è più comodi, in uno dei Poli presenti sul territorio nazionale.

L’offerta formativa completa, comprensiva di Master di I e II livello e Corsi di formazione, è consultabile sul sito: https://www.unitelmasapienza.it/it
Si ricorda che Unitelma Sapienza è la sola università telematica direttamente legata alla più grande università pubblica italiana, La Sapienza- Uniroma 1, essendone socio di maggioranza.

Per maggiori informazioni e ulteriori dettagli, rivolgersi a:
Unitelma Sapienza
contatto telefonico al numero 06-81100288: dal lunedì al venerdì ore 9-13 e ore 14-17; e-mail a: info@unitelmasapienza.it

Uici Presidenza Nazionale
• Emanuele Ceccarelli al numero 06-69988312; e-mail a lavoro@uiciechi.it

Insegnanti e Docenti non vedenti in formazione e aggiornamento…, di Marco Condidorio

Giovedì 15 novembre alle ore 14:30, presso l’Istituto Francesco Cavazza avrà inizio la tre giorni di formazione e aggiornamento per oltre 15 docenti non vedenti e ipovedenti gravi.

Erano oltre quattro anni che i docenti non vedenti della scuola italiana attendevano questo momento di formazione e aggiornamento, finalmente offerto dall’I.Ri.Fo.R. nazionale e che avrà luogo nel prestigioso Istituto bolognese di via Castiglione.
L’Istituto Francesco Cavazza, fanno sapere i vertici di via Castiglione, è onorato di ospitare per la prima volta oltre quindici docenti provenienti da tutte le regioni italiane, al fine di consentire loro una tre giorni di formazione e aggiornamento sui temi più importanti, che toccano da vicino la professione docente e non solo.
Infatti per la prima volta un ex istituto per ciechi si offre quale struttura recettiva per lo svolgimento di un corso rivolto a docenti non vedenti.
L’organizzazione dell’Istituto ha permesso di allestire l’aula di informatica e le sale dove saranno tenute le lezioni, che terranno impegnati i docenti, per tre giorni nuovamente studenti, sulle tematiche più sensibili, tra cui l’accessibilità dei registri elettronici e dei testi scolastici, la normativa vigente afferente la scuola in particolare la legge 107/2015 e sulle tecniche e strategie per tenere la classe e svolgere le lezioni.
Ed infatti il titolo del corso è: la valorizzazione del docente e dirigente disabile visivo nel contesto normativo ed organizzativo, didattico, educativo e formativo della legge 107/2015
L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti ha investito tanto nella sua storia per la formazione dei futuri cittadini, così come oggi fa lo stesso I.Ri.Fo.R. nazionale.
L’I.Ri.Fo.R. ONLUS, Ente accreditato dal Ministero dell’Istruzione ai sensi del D.M. 177/2000, ha accolto la proposta delle commissioni nazionali, quella per la tutela dei diritti degli insegnanti e quella dell’Istruzione e Formazione, le quali hanno voluto fortemente questa opportunità formativa e di socializzazione delle più diverse tematiche afferenti le difficoltà della stessa professione, soprattutto quelle relazionali tra colleghi e studenti.
La professione docente non richiede, per il suo svolgimento, abilità fisico/sensoriali; in aula, di fronte agli studenti sono necessarie competenza, scioltezza, intuizione, empatia, professionalità ed un buon uso della dote più difficile, l’ascolto.
Non di meno sono importanti la capacità di sapersi porre, relazionare e, soprattutto condividere con studenti, colleghi e personale scolastico difficoltà soggettive e oggettive.
Molte sono le persone non vedenti che scelgono la carriera dell’insegnamento ma, non sufficientemente da catturare l’attenzione del ministero dell’istruzione sui temi più sensibili per noi docenti non vedenti o ipovedenti gravi e talvolta con minorazione aggiuntiva.
Come dire che dobbiamo ammettere che a fare la storia sono sempre le quantità e non le qualità, nel caso nostro le persone che hanno scelto l’insegnamento come professione.
Ma veniamo alle finalità di questo importante appuntamento con la formazione e l’aggiornamento:
il corso si propone di riportare al centro del dibattito sulla scuola, nuovamente la figura dell’insegnante attraverso una riflessione complessiva sulla situazione italiana, non solo dell’istituzione scolastica ma, dell’istruzione e dell’educazione in relazione alle esigenze dei docenti in situazione di cecità assoluta, parziale o di ipovisione grave, che vi operano. La disabilità verrà indagata nei suoi aspetti problematici e penalizzanti, ma anche presa in considerazione come valore aggiunto, specialmente sul terreno didattico e pedagogico. Verranno approfondite le strategie e le metodologie più adatte per affrontare gli aspetti relativi all’informatizzazione della scuola e verrà fatta una ricognizione delle principali forme di comunicazione messe in atto dagli studenti di oggi, soprattutto per quel che attiene ai linguaggi non verbali. Il tutto avendo come sfondo la normativa attualmente vigente, vedi per esempio la legge 107/2015
Gli Obiettivi specifici, per cui questa tre giorni può essere ritenuta a tutti gli effetti il modello per futuri progetti formativi che intendano rivolgersi a docenti o dirigenti non vedenti sono:
• “Conoscere meglio i propri diritti per un miglior esercizio dei propri doveri, diritti già normati e quelli per i quali, con l’apporto dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, si possa conseguire opportuna regolamentazione.
• Fare il punto sulla conoscenza e la pratica delle tecnologie informatiche e multimediali e verificarne sia il migliore uso sia il miglioramento dell’accessibilità
• Cogliere tutte le opportunità offerte dall’informatica per la gestione dei propri compiti burocratici e didattici.
• Mettere a fuoco i problemi relazionali con i colleghi (per i docenti) e con il personale dipendente (per i dirigenti scolastici)
• Comprendere l’odierna realtà adolescenziale e giovanile rispetto alle distorsioni indotte dalla minorazione visiva, approfondendo i linguaggi non verbali.”
Si sottolinea la mancanza, a questo seminario, dei dirigenti scolastici non vedenti che, nel passato hanno lavorato nella scuola italiana, con competenza e dedizione, lessico appropriato e autorevolezza.
Comunque, se è pur vero che fisicamente siamo una minoranza, dal punto di vista della dedizione, della professionalità, del credo personale e dell’entusiasmo, il docente rappresenta ancora oggi, per questa nostra società così fortemente concentrata sull’utilità immediatamente spendibile d’ogni cosa purché materiale, il contraltare dell’utilità medesima, ovvero sia siamo l’inutilità nel senso più profondo e bello del pensiero teoretico greco, che ha rivolto se stesso al vero senso delle cose, lasciando la ricerca dell’utilità all’altro, per l’altro, contemplando il senso per sé; e che, in questo esercizio volto al coglimento del vero sapere, la professione docente, sola trova se stessa e s’esplica!
Marco Condidorio

Istruzione – Primi passi del sodalizio tra MIUR e UICI, di Marco Condidorio

A breve presenteremo al Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca il bando per il concorso rivolto a tutte le scuole di ogni ordine e grado “la scuola siamo noi, io come Lucio” del Premio Lucio Carassale, che avrà cadenza triennale; inoltre, è prossima la convocazione e dunque l’insediamento del comitato paritetico previsto all’articolo quattro del protocollo d’intesa MIUR-UICI ed enti collegati.

La sottoscrizione del Protocollo d’intesa Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca con oggetto “Inclusione scolastica in rete per una istruzione, educazione e formazione per tutti i bambini, alunni e studenti ciechi assoluti, parziali e ipovedenti e/o con minorazione aggiuntiva: servizi e risorse in rete”, ha sancito quel sodalizio tra Ministero e territorio attraverso la rete di servizi tiflologici di cui l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti sarà garante per tutti gli alunni, studenti frequentanti la scuola d’ogni ordine e grado, assieme agli enti collegati: Biblioteca per ciechi e ipovedenti Regina Margherita di Monza, la Federazione nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, l’I.Ri.Fo.R. Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione per citare i più conosciuti.

Il 23 agosto u.s. è stato firmato il protocollo tra Miur e UICI ed enti collegati,traguardo storico, che pone al centro dei servizi tiflologici anzitutto l’alunno/studente in situazione di cecità assoluta, parziale e/o di ipovisione grave e comunque certificato alla luce della normativa vigente in materia di classificazione e certificazione della minorazione visiva legge 138/2001.
Perché possano trovare piena cittadinanza i principi ispiratori del sodalizio firmato in agosto, sarà necessario ripensare, pianificare e progettare, per poi realizzare nuovi e maggiormente efficaci percorsi di formazione e costruzione di servizi tesi a garantire figure professionali, non adattate ma, professionalmente pensate e costruite a partire dal curriculo attraverso cui sia possibile l’acquisizione del certificato attestante le conoscenze e competenze in campo tiflologico.
E così, la formazione specifica dei docenti curricolari e per il sostegno e degli educatori, quali professionisti della didattica e dell’educazione in favore dell’inclusione scolastica dei bambini, degli alunni e degli studenti ciechi assoluti, parziali e ipovedenti gravi e con minorazioni aggiuntive, non potrà che essere efficacie per ricerca, analisi, studio circa gli approcci metodologici afferenti la didattica e l’educazione e per l’utilizzo appropriato di materiali e strumenti secondo un approccio tiflologico.
Ma, anche gli strumenti e materiali ad uso e consumo degli alunni o studenti ciechi assoluti o ipovedenti gravi, richiedono una profonda analisi circa la loro destinazione che, se pure li inquadra secondo una classificazione meramente materialistica, rappresentano il fine o qualità definiti, quella cioè d’essere accessibili e fruibili dal punto di vista tiflologico e che a loro volta consentono l’accesso alla didattica, allo studio, dunque alla cultura, che significa anche libertà di pensiero e da una situazione di svantaggio sensoriale.
Ecco che, l’accessibilità e fruibilità, che rappresentano l’applicazione della normativa vigente in materia di accessibilità e fruibilità dei siti web e dei materiali per persone in situazione di minorazione visiva non possono restare mero annuncio della norma, solo per il fatto d’essere parte sostanziale della massima ma, debbono tradursi in azione e dunque Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, assieme all’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, proporranno al tavolo del comitato paritetico, di recente istituzione tra Miur e UICI, per effetto del protocollo, di tradurre in concreto quanto previsto dalla legge 4 del 9 gennaio 2004 pensata dal legislatore proprio per rispondere alle criticità afferenti la fruizione di piattaforme web, tecnologie e strumenti e materiali, tra cui i testi scolastici in forma digitale, accessibili per persone cieche assolute, ipovedenti gravi e/o parziali; quando parliamo di “fruibilità” bisogna intendere nel senso di “utilizzabilità in termini di accessibilità e fruibilità” delle tecnologie.
E tutto questo per comprendere che, alla luce delle innumerevoli criticità, manifestatesi nei più svariati ambiti della vita scolastica, lavorativa e sociale delle persone cieche assolute, ipovedenti gravi e/o in situazione di pluriminorazione,che hanno viste le stesse persone discriminate riguardo ai loro diritti si dovrà operare per la riaffermazione e garanzia di taluni principi:
quello di fruire, accedere liberamente e autonomamente all’istruzione, all’educazione, alla cultura e formazione e di consolidare l’uso e la diffusione di strumenti e tecnologie accessibili e fruibili per alunni e studenti ciechi assoluti, parziali o ipovedenti gravi come, libri di testo in Brailleo e in caratteri ingranditi per gli ipovedenti; come è noto, per gli alunni e studenti, la produzione dei testi scolastici dipende dalla scelta del consiglio di classe o dal dipartimento disciplinare e dall’approvazione del collegio docenti; modalità e tempi di questa procedura di selezione e scelta, spesso giunge troppo tardi agli enti preposti alla trascrizione in braille o in caratteri ingranditi. Tutto questo determina disagio per l’alunno o studente perché non ha al pari dei compagni di classe il libro sul banco a inizio anno.
Lo stesso dicasi per i docenti non vedenti o ipovedenti gravi che, sempre nei termini del diritto mancato, vi è quello all’uso delle tecnologie e ai siti web per ragioni lavorative, dunque per poter svolgere al pari dei colleghi la professione docente: Registri elettronici per i quali vi è l’obbligo di utilizzo da parte dei docenti, per tutte le ragioni di carattere giuridico, amministrativo e non ultimo di quelli di tipo didattico e legati alla programmazione disciplinare, giudizi e assenze; libri di testo, sia in versione cartacea che digitale, inutilizzabili e quindi non accessibili né fruibili per il docente cieco assoluto o ipovedente grave. E ancora, quello relativo all’uso autonomo, mediante strumenti e tecnologie appropriate per chi è cieco assoluto, ipovedente grave e/o con minorazione aggiuntiva, nel desiderio di volersi aggiornare al pari dei colleghi vedenti, per poter restare in graduatoria e acquisire ulteriori crediti/punteggi come ogni professionista della scuola e non rischiare d’essere emarginato o peggio, escluso da eventuali scelte del dirigente scolastico, possa invece concorrere in piena autonomia e libertà alla prova concorsuale, per se stesso e in funzione dell’avanzamento di carriera.
Purtroppo ancora oggi, il candidato non vedente o ipovedente grave corre il rischio di vedersi negato tale diritto di fronte all’inadempienza dell’istituzione pubblica, che lo pone dinanzi all’inaccessibilità delle piattaforme web, dove enti di formazione accreditati dal MIUR, tengono corsi i cui materiali sono, come le stesse piattaforme assolutamente preclusi ai docenti precari e non, che siano in situazione di cecità assoluta, parziale, ipovedenti gravi e/o con minorazione aggiuntiva.
A questo punto chiederemo a codesto Ministero l’opportunità di prevedere, nel bando di accreditamento, il “criterio di piena accessibilità e fruibilità” per candidati ciechi assoluti, parziali, ipovedenti gravi e/o con minorazione aggiuntiva, sia delle piattaforme web che dei contenuti corsuali, proposti da gli enti i quali, partecipano al bando di richiesta di tale accreditamento;
ciò eviterebbe ai candidati non vedenti o ipovedenti gravi l’umiliazione di sentirsi esclusi da quel diritto d’ognuno di poter partecipare in prima persona alla crescita del paese e conseguentemente alla propria; e, cosa imprescindibile per ogni paese civile che si rispetti, l’applicazione della normativa vigente in materia di accessibilità e fruibilità dei siti della pubblica amministrazione, conosciuta come legge Stanca n4 del 9 gennaio 2004.

L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, attraverso la rete dei servizi a sostegno dei bambini, alunni e studenti in situazione di minorazione visiva e del loro diritto allo studio;
con la cooperazione e la messa in campo delle figure professionali, che specificatamente operano nell’area delle tiflo-tecnologie, dell’informatica e dell’web;
mediante la cooperazione dell’Ente nazionale I.Ri.Fo.R. Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione, accreditato dal Miur;
grazie alla progettazione e realizzazione di percorsi formativi svolti dalle università, presso i dipartimenti di scienze della formazione primaria e/o dell’educazione attraverso master studiati e proposti dal Network per l’Inclusione scolastica, istituito dal Coordinamento degli enti dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti nell’aprile 2016, inserito nell’ipotesi di protocollo di intesa citato al punto (1) del documento, oggi sarà possibile avere figure professionali debitamente e specificatamente preparate per l’area del sostegno e dell’educazione in favore dei bambini, alunni e studenti ciechi assoluti, parziali e ipovedenti.

L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti chiederà a Codesto Ministero il riconoscimento/accreditamento di queste figure, nell’ipotesi di istituzionalizzarne il percorso formativo (curricolo), che possa trovare così una propria e legittima collocazione nell’offerta formativa dei percorsi universitari.

In ragione di quanto scritto sin qui e nella consapevolezza che, oggi sia l’intesa tra gli enti MIUR e UICI a rendere fattiva l’inclusione scolastica di tutti i bambini, alunni e studenti frequentanti la scuola pubblica d’ogni ordine e grado che si trovino in situazione di minorazione visiva,l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti rinnova a tutte le strutture, partner della rete dei servizi a favore dell’Istruzione, della Ricerca e per la formazione tiflopedagogica, la cooperazione politica ed operativa proposta attraverso il protocollo di intesa per favorire e realizzare nei tempi e nelle modalità, secondo gli approcci metodologico-didattici, tiflologicamente studiati; idonei aconsentire per ogni discente il pieno raggiungimento degli obiettivi scolastici, alla luce di una istruzione libera e di una educazione adeguata alle esigenze, senza alcuna limitazione alle potenzialità e aspirazioni personali; valorizzando così attitudini e scelte dell’alunno e dello studente, qualsiasi sia la minorazione visiva in cui egli è costretto a vivere.

Istruzione – Quando è utile la presenza in aula dell’assistente di base?, di Marco Condidorio

Oggi trattiamo la figura dell’assistente di base, altrimenti conosciuta anche come assistente per il sostegno igienico-personale e/o sanitario e per l’autonomia motoria e accompagno.
Diverse sono le ragioni per cui richiedere l’assistente di base, figura normata dalla legge e regolamentata in ogni regione, non solo per il fatto che la stessa svolga una assistenza piuttosto delicata, ma anche perché immaginiamo quante sono le figure professionali a ruotare attorno all’alunno/studente durante la sua permanenza a scuola, in aula: docente curriculare; quello per il sostegno didattico; il più delle volte l’educatore tiflologico o assistente alla comunicazione e quando indispensabile, anche l’assistente di base.
Quali sono i compiti dell’assistente di base?
Quando è utile prevederne la presenza e per quante ore?
A chi risponde questa figura professionale?
Quale deve essere il suo curriculo formativo?
Chiunque può essere assistente di base?

Ricorderemo tutti che il primo segmento dell’inclusione scolastica consiste nell’avere personale formato e competente; ed infatti la scuola ha il compito di prevedere corsi di formazione per gli addetti all’assistenza di base.
Il 30 novembre 2001 con la nota 3390, il Ministero dell’Istruzione, oltre a fornire un quadro completo su quelli che sono gli aspetti normativi afferenti i servizi di assistenza ed educativi, evidenzia la centralità del lavoro di rete, quello che avrebbe dovuto realizzarsi, allora e che ancora oggi non abbiamo, a causa della loro mancata scrittura e conseguente realizzazione e cioè “gli accordi di programma” previsti dalla legge quadro 104/92 tra la scuola, gli enti locali e le associazioni.
L’assistenza di base concorre con quella didattica ed educativa alla luce, evidentemente del progetto unitario con tutti gli attori e le figure professionali del percorso di inclusione, scritto entro la cornice didattico-educativa del PEI.

Ma andiamo con ordine: Anzitutto, al di là della certificazione rilasciata dall’ASL di competenza, che stabilisce la necessità di affiancare all’alunno/studente l’assistente di base, per le diverse ragioni di cui vedremo più avanti, i genitori hanno il diritto di presentare la reale condizione di bisogno a cui l’assistente di base dovrà adeguare il proprio intervento che, lo evidenzio con assoluto intento formativo ed informativo, dovrà tener conto della dignità della persona e del rispetto dei tempi e delle richieste del discente medesimo, soggetto dell’intervento di assistenza igienico-personale o sanitaria o motoria piuttosto che di accompagno negli ambienti della struttura scolastica, dentro e fuori la stessa.
Ecco che quindi, il dialogo con i genitori è fondamentale per apprendere e comprendere il tipo d’approccio, quale metodologia più consona risponda all’intervento sull’alunno/studente.
Nulla centra con l’età o che l’alunno/studente sia nelle condizioni di intendere e volere piuttosto che altre situazioni fisico-intellettive, per ogni bambino, alunno o studente in situazione di cecità assoluta, di ipovisione lieve o grave e/o con minorazioni aggiuntive, l’intervento igienico-personale e sanitario richiede, oltre alle competenze proprie del ruolo, anche “l’empatia”; attitudine all’approccio immediato, non mediato con la persona che, per certi versi dipende parzialmente o totalmente da noi, non solo nell’istante dell’intervento ma, evidentemente lungo tutto l’arco temporale riferito alla sua permanenza a scuola, quando cioè il genitore, generalmente la mamma, è lontano dal luogo scolastico e pertanto non può soccorrere in aiuto in nessun caso.
Ma perché è così importante l’empatia in chi svolge il servizio di assistente di base?
Semplicemente perché nel momento del bisogno, fisiologico, fisico, materiale, il bambino, l’alunno o studente è solo; chi lo circonda, docenti, compagni di classe, non sempre conoscono i suoi bisogni, né dunque li sanno interpretare o comprendere.
E, cosa da non trascurare, anche per una propria dignità, sia la famiglia che lo stesso alunno o studente, potrebbero aver fatta esplicita richiesta di non diffondere le ragioni per le quali sia presente l’assistente di base.
E, elemento assolutamente da non trascurarsi, perché riguarda la soggettività della persona bisognosa, la stessa potrebbe avvertire forte imbarazzo negli istanti di richiesta di fronte ad una o un compagno con i quali ha legato particolarmente.
Nel contesto scuola, ambiente di tutti per tutti, ogni giorno quanti alunni e studenti soffrono in silenzio l’incompetenza e l’indelicatezza delle figure assegnategli talvolta con indifferenza e fretta, subendone tutta l’imposizione?
Molti sono i segnali che possono rappresentare la fenomenologia di quel che è il disagio dell’alunno o studente. Tocca agli insegnanti di classe o ai compagni, talvolta, di farsi carico delle criticità e riferirne a chi ha le competenze amministrative sul servizio, compresi gli stessi genitori.
Le mansioni dell’assistente di base, definito così per il fatto che la sua azione si riferisca a bisogni, che potremmo definire primari sono per esempio: accompagnare al bagno; aiutare a lavarsi le mani o altre parti del corpo; aiutare la persona durante il pasto, disporre gli oggetti sulla tavola o nel vassoio; e tutte le azioni riferite al momento del pranzo; entrare, uscire dalla struttura scolastica, muoversi dentro gli spazi della scuola; somministrare farmaci su precise indicazioni dei genitori, che a loro volta seguono un programma di somministrazione deciso dal personale medico;
Non va trascurato, mai, quanto l’intervento della figura professionale sia strategica per la crescita e la maturazione della persona e che la stessa abbia il più delle volte, piena cognizione del valore di quanto si stia facendo per la sua dimensione umana, di alunno o studente.
Perché questa sottolineatura?
Semplice, come scritto sopra, l’alunno o studente non sempre, pur avendone consapevolezza, riesce a dare voce ai propri bisogni né a quanto egli si senta gratificato per la soddisfazione degli stessi.
Quanto riusciamo a cogliere dell’emozioni, dei sentimenti, di ciò che prova la persona in situazione di disabilità fisica, sensoriale o entrambe?
E comunque, anche qualora dovessimo trovarci di fronte ad un bambino, alunno o studente in situazione di ridotta capacità cognitiva o gravi compromissioni intellettive, tali da comprometterne l’attività di apprendimento, l’attenzione e la cura per la persona e il rispetto della dignità, ivi compresa la sfera emotiva, vanno valorizzate e interpretate nel rispetto anzitutto della persona.
Ecco perché, al di là delle competenze professionali squisitamente tecniche, operative vi deve essere anche l’attitudine all’empatia e al rispetto.
Il dirigente scolastico, assieme alla famiglia, con tutti gli attori del processo, attuato ai fini dell’integrazione ha anche il ruolo di motivare il personale e di prevederne un intervento appropriato e costante, salutare e relazionale.
Mai sporadico, ridotto, demotivato, legato alle risorse economiche; ridurre l’intervento di base alla cornice economica, significa venir meno all’esercizio del diritto allo studio che, ai me può solo tradursi in violazione del diritto all’espressione della persona e alla sua libertà.
Il dirigente scolastico ha tutti gli strumenti normativi e obblighi etico-morali per attuare ogni tipo di servizio in favore del discente in situazione di cecità assoluta, parziale o di ipovisione lieve o grave, magari con minorazione aggiuntiva.
La stessa sentenza della cassazione n. 22786/16, ,pone un obbligo da parte dei collaboratori sull’assistenza materiale, su cui ancora oggi si attende un risvolto di carattere giuridico; e ciò nonostante, la stessa è comunque in vigore.

Catania – Istruzione e inserimento scolastico dei bambini e ragazzi con disabilità visiva, di Anna Buccheri

L’azione dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Catania tra competenza e accompagnamento

Con la riproposizione di progetti già avviati e attuati, “testati”, si potenzia l’attività svolta tradizionalmente dalla Sezione Territoriale UICI di Catania per il sostegno scolastico a bambini e ragazzi con disabilità visiva, grazie al lavoro congiunto della Commissione Istruzione e della Commissione Pluriminorati, entrambe coordinate dalla Presidente della Sezione, Prof.ssa Rita Puglisi. Il doppio coordinamento favorisce l’interscambio, la continuità e la sinergia che si traducono in un’azione a più ampio raggio coprendo l’intero spettro delle problematiche dell’inserimento scolastico (assicurando anche il supporto pomeridiano) e non solo, con l’intento di migliorare continuamente i servizi anche grazie a contributi pubblici e alla collaborazione con la Stamperia Regionale Braille di Catania.
La cura per l’intero percorso di crescita del bambino comincia con un’attenzione particolare all’intervento precoce (incluse stimolazione basale e idrostimolazione), alla presa in carico cioè quanto più anticipata che consente di supportare da subito le famiglie accompagnandole nel difficile compito dell’educazione di un bambino che richiede strategie diversificate e ha bisogno rispetto ad un coetaneo vedente di tempi diversi per l’apprendimento delle competenze utili per costruire le sue esperienze di vita e l’autonomia personale. Vulnerabilità, incertezza e paura infatti caratterizzano le famiglie. Sono sempre lì, membri aggiunti del nucleo familiare, le tengono in uno stato di allerta continua. Appena te ne dimentichi, ti colgono di sorpresa.
Il Progetto Braille per bambini/ragazzi disabili visivi di età compresa tra i 3 e i 15 anni ha due finalità principali: far imparare il Braille a chi non lo conosce e consolidare l’apprendimento per chi già possiede competenze di base.
Il Progetto Aptica e potenziamento grafo-motorio attua interventi di stimolazione globale puntando in particolare sull’acquisizione e sull’affinamento della percezione aptica, dell’uso cioè consapevole del tatto che non è il semplice toccare, ma si traduce in conoscenza, in approccio conoscitivo, in “carezza epistemica”, parole che racchiudono sia l’aspetto cognitivo che quello emozionale, aspetti entrambi intrinseci all’atto di conoscere. Il progetto si distingue per la specificità degli obiettivi perseguiti: sviluppo nel bambino della capacità di esplorare consapevolmente la realtà attraverso l’uso dei sensi vicarianti (tatto, olfatto, gusto e udito); utilizzo funzionale, in caso sia presente, del residuo visivo per favorire l’acquisizione di una corretta organizzazione spaziale e di un’adeguata coordinazione visuo-motoria. Entrambe le competenze sono indispensabili per la rappresentazione grafica che genera abilità di letto-scrittura e di migliore e più ragionata attività linguistica perché rende possibile un’assimilazione più profonda e strutturata del simbolo corrispondente al suono delle parole sia nell’analisi (la lettera, la sillaba) sia nella sintesi (la parola stessa).
Il Progetto Libera…Mente! Alla conquista del tempo libero nasce dall’ascolto dei dubbi e delle preoccupazioni dei genitori rispetto al futuro dei propri figli in un’ottica di preparazione/avviamento al lavoro per ragazzi pluriminorati che hanno completato il loro percorso scolastico. Si lavora con un piccolo gruppo di 8-10 ragazzi (disabili visivi e non) provenienti da Istituti alberghieri del catanese e con conoscenze di base sulle modalità di preparazione e di presentazione dei cibi, di accoglienza, di servizio ai tavoli, di apparecchiatura della tavola. Il progetto si muove su due livelli: la possibilità per i ragazzi di mettere a frutto gli studi condotti realizzando praticamente esperienze per le quali hanno acquisito competenze specifiche; una pianificazione a più lungo termine finalizzata a creare per i ragazzi una effettiva autonomia e uno sbocco lavorativo che li faccia sentire realizzati non trascurando l’aspetto fondamentale di un’integrazione e di una soddisfacente socializzazione attraverso uscite serali e pomeridiane. Il progetto persegue quindi una triplice finalità: consolidamento, realizzazione, socializzazione. Il progetto si svolge presso il Lido Le Palme di Catania che mette a disposizione ormai da anni la sua cucina e i locali annessi avendo sviluppato un’attenzione particolare per le tematiche connesse alla disabilità visiva e garantendo accoglienza e sicurezza. I ragazzi si muovono in questi spazi ormai con naturalezza e consapevolezza in assoluta tranquillità garantita anche dalla presenza di tutor e di operatori oltre lo chef che lavorano in sinergia affinché i ragazzi imparino le tecniche per preparare pasta, pane, pizza, dolci, marmellate.
Il Progetto Natural…Mente! Alla scoperta della natura vuole promuovere il benessere psicofisico dei minori pluriminorati che ancora frequentano la scuola. Infatti un altro volto dell’esclusione è quello che nega il divertimento e comporta la rinuncia alla dimensione ludico-ricreativa. Il progetto inoltre scaturisce dalla riflessione che si prevedono molto spazio e molte professionalità per la riabilitazione, ma troppo poco si lavora per la socializzazione, l’ambito ricreativo e l’espressione del sé. In tale prospettiva sono state pensate proposte ludico-ricreative in grado di motivare i bambini e i ragazzi e di dar loro una sensazione di benessere derivante dalla capacità di distendersi e di eliminare motivi di tensione sia psicologica sia fisica padroneggiandola e diventando capaci di reggerla. Lo stato di benessere viene peraltro raggiunto attraverso attività che comunque agiscono in funzione di rinforzo su abilità già esistenti in un clima di serenità e di piacevolezza che asseconda, supporta e promuove la socializzazione. Sono tra l’altro previste passeggiate con percorsi sensoriali alla riscoperta della natura.
I progetti Braille, Aptica e potenziamento grafo-motorio e Natural…Mente! Alla scoperta della natura hanno come sede di svolgimento la Sezione Territoriale UICI di Catania. Gli operatori impiegati in tutti e quattro i progetti (educatori, tutor e assistenti alla comunicazione) sono altamente qualificati e hanno esperienza nel settore ormai comprovata e consolidata.
L’efficacia migliorativa dell’intervento educativo è la cifra che spinge a sperimentare, progettare e verificare nella consapevolezza che i bambini e i ragazzi sono soggetti plastici, menti assorbenti, e che l’apprendimento è fattore generativo di nuovi apprendimenti se si agisce con professionalità rispondendo ai bisogni educativi e nel rispetto di stili e modalità di approccio conoscitivo.

Istruzione – Binomio professionale tra l’educatore tiflologico e il docente per il sostegno didattico, di Marco Condidorio

Per continuare il nostro percorso informativo/formativo, attraverso questi brevi istanti di riflessione su quelle che sono le risorse strumentali, professionali, umane ed economiche, utilizzabili per la progettazione e realizzazione dei percorsi di inclusione scolastica in favore dei nostri alunni/studenti in situazione di cecità assoluta, di ipovisione lieve o grave/o con minorazione aggiuntiva, oggi mi occuperò in questo articolo del binomio educatore-docente per il sostegno didattico.
Non tralasciando mai, però che, il nucleo d’ogni azione didattica ed educativa, di servizio tiflologico, abilitativo riabilitativo, è il fanciullo, l’alunno e lo studente, con la pienezza della personalità, della dignità e del diritto ad essere trattato e di sentirsi prima d’ogni cosa, prima di qualunque azione, anzitutto persona con diritti di cui, dai genitori alle figure professionali della scuola, degli operatori di qualsiasi istituzione, educativa, formativa, riabilitativa, sanitaria, professionale, politica tutti debbono assumere personalmente l’esercizio e la garanzia, a tutela dell’alunno o studente in primis, poi per la famiglia e la scuola.
L’esercizio del diritto, d’ogni diritto, come per il dovere, risulta impossibile nel suo compimento se chi lo esige non sia debitamente dotto in ciò per cui chiede e lotta. Un fanciullo va istruito in tal senso, sino all’età matura in cui giungerà consapevole solo se e soltanto qualora abbia avuto adulti responsabili e dotti.
Qual è il ruolo dell’educatore tiflologico in aula?
Quale la sua origine e in quale documento ne viene previsto l’intervento in favore dell’alunno/studente?
È sempre utile la sua azione educativa?
Quali sono i compiti dell’educatore tiflologico?
Egli può sostituirsi all’azione didattica del docente per il sostegno?
Può svolgere azioni afferenti interventi di assistenza di base?
Queste e molte altre domande di cui ci occupiamo in questo spazio dedicato all’analisi degli interventi educativi in aula e rispetto alla continuità educativa presso il domicilio dell’alunno/studente.
Iniziamo col dire che il docente e l’educatore hanno contratti diversi e, per usare un termine conosciuto ai più, hanno un datore di lavoro differente: il docente è assegnato dall’ufficio scolastico regionale ed è a tutti gli effetti dipendente del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca; il docente per il sostegno didattico, inoltre ha la contitolarità della classe con i colleghi di materia o con le maestre.
Partecipa alla valutazione pari ai colleghi del consiglio di classe.
L’educatore tiflologico o assistente alla comunicazione e per l’autonomia, previsto dall’art.13 com.3 della legge 104/92 è contrattualizzato dall’ente locale, comune, provincia o città metropolitana, dipende dal grado di scuola in cui ci troviamo, non dall’ordine.
Non ha alcun ruolo sulla classe ma, per contratto è affidato esclusivamente all’alunno/studente; il suo datore di lavoro è l’ente locale, Comune, Provincia, l’ambito territoriale o ATS; diversamente dal docente per il sostegno didattico.
Entrambe le figure debbono essere richieste dalla scuola in tempi e con modalità differenti ma, questo sì, con la medesima finalità: contribuire al successo formativo dell’alunno/studente consentendogli cioè di poter esercitare il proprio diritto allo studio usufruendo delle conoscenze, delle competenze e della professionalità di entrambe.
Chi dialoga con la famiglia dell’alunno/studente?
Entrambe le figure professionali ma, e su ciò ci fermiamo un istante, alla luce di un piano condiviso col consiglio di classe e in particolare col docente per il sostegno didattico assegnato all’alunno/studente.
Il dialogo con i genitori è delicato e strategico anche per le finalità didattiche ed educative che ci si è prefissati, riportate proprio nel PEI. La sovrapposizione o peggio la contraddizione di quanto svolto col nostro alunno/studente dall’una piuttosto che dall’altra figura, rischia confusione e determina un certo discredito dannoso, sia per il discente che per l’una o l’altra parte quale componente dinamica del percorso inclusivo.
La relazione professionale tra le due figure è auspicabile in ogni fase di costruzione del percorso scolastico inclusivo in quanto lo stesso viene pensato e progettato in favore del discente e non quale piattaforma sindacale per la rivendicazione di spazi e competenze.
Vi sono docenti sul sostegno didattico che per curriculo e formazione professionale nascono come educatori o assistenti alla comunicazione; viceversa, vi sono educatori tiflologici o assistenti alla comunicazione che per curricolo e formazione professionale avrebbero dovuto essere docenti per il sostegno didattico ma, per ragioni legate al mondo del lavoro, non lo sono.
Quali sono i compiti dell’assistente alla comunicazione e per l’autonomia o dell’educatore tiflologico nel caso di alunni non vedenti, ipovedenti lievi o gravi?
L’educatore, diversamente dal docente assegnato sul sostegno didattico, esercita il compito educativo volto all’acquisizione dell’autonomia da parte del discente in relazione alla conoscenza e all’uso di strumenti, materiali e tecnologie, che gli consentano d’essere, per l’appunto autonomo, indipendente nello studio.
L’autonomia che persegue il docente sul sostegno didattico è invece quella afferente all’acquisizione di un metodo da parte del discente, che lo renda appunto capace di sviluppare una didattica autonoma nello studio fuori dalla classe.
Lo studio autonomo, privilegio oggi per pochi studenti, rappresenta l’esercizio della capacità acquisita di sviluppare un percorso di apprendimento in modo autonomo svincolato da qualsiasi sostegno ma in linea con quanto ha appreso grazie al sostegno didattico; e, autonomo nell’uso dei materiali e delle tecnologie per aver avuto un buon percorso educativo in riferimento agli strumenti per lo studio o l’esercizio.
L’assistente o l’educatore tiflologico possono sostituirsi all’azione didattica del docente curricolare o a quella del docente per il sostegno didattico?
Assolutamente no!
Le competenze debbono essere esercitate dalle singole figure in relazione ai compiti e ruoli per i quali sono titolati a stare in aula, con gli alunni o accanto all’alunno/studente.
Ciò non significa che non vi possa essere un assistente o educatore con competenze didattiche disciplinari o specifiche, afferenti cioè al tipo di disabilità propria del discente; ma, per la serenità dello stesso alunno/studente e di quella della famiglia, al fine di mantenere vivo un dialogo tra professionisti dell’educazione, l’esercizio dei compiti affidati deve essere rispettoso anzitutto degli apprendimenti e dei bisogni educativi propri dell’alunno/studente.
Comportamenti o atteggiamenti troppo rigidi, contrastanti e contraddittori rischiano d’essere lesivi del medesimo diritto all’istruzione e dell’educazione.
Chi dà consulenza circa gli ausili, strumenti o materiali e tecnologie da utilizzare?
Solitamente la consulenza tiflologica riguardo agli strumenti didattici è definita dall’educatore tiflologico o assistente alla comunicazione e per l’autonomia. Ecco perché nel suo curriculo formativo, dunque anche in quello professionale, debbono essere acquisite e specificate le conoscenze e competenze nel campo delle scienze tiflologiche: tiflo-tecnica, tiflo-didattica e tiflo-informatica.
Le figure educative, comprendendo fra queste anche quella dell’assistente alla comunicazione, infelicemente definita così, almeno riguardo agli alunni/studenti ciechi assoluti, ipovedenti lievi o gravi e magari in situazione di ulteriore minorazione aggiuntiva, hanno la possibilità d’essere utilizzati per percorsi educativi extra scolastici, per esempio a casa il pomeriggio; l’importante, non mi stancherò mai di evidenziarlo, sempre e soltanto in linea col programma scolastico in condivisione col docente curricolare e di quello per il sostegno didattico.
La presenza di troppe figure in aula, sul medesimo alunno/studente e nel medesimo istante educativo, determina confusione per tutti, in particolare per il discente; oltre ad un dispendio di risorse umane e professionali che, attorno all’alunno svaniscono.
Diversamente dal docente per il sostegno didattico, il quale si deve relazionare con tutti i colleghi di classe e non, l’educatore tiflologico, o assistente alla comunicazione, deve rapportarsi con il docente per il sostegno, al massimo anche con quello curriculare e lavora esclusivamente con l’alunno per il quale è stato chiamato dalla scuola e per effetto di una programmazione individualizzata riguardante l’alunno o studente.
Qualche volta i genitori confondono le due figure?
Purtroppo sì, la scuola stessa crea confusione e trasmette la stessa alle famiglie dei bambini, alunni e studenti ciechi assoluti, ipovedenti gravi e lievi e/o con minorazioni aggiuntive.
La confusione genera anche l’interpretazione secondo cui le ore di sostegno didattico possono essere distribuite a piacimento, pur di coprire l’intero monte ore di lezione settimanale previsto per quell’anno scolastico.
I bisogni educativi, dei nostri alunni o studenti, spesso lasciamo che vengano trasformati da aule scolastiche in aule di tribunale a danno tutto dei nostri figli, della loro crescita e maturità. Ed invece, quei bisogni educativi, che sono d’ogni alunno o studente, dovrebbero essere l’aula quale habitat naturale per la loro crescita, il loro sviluppo umano e sociale.
In conclusione, l’educatore tiflologico o anche l’assistente alla comunicazione e per l’autonomia, ha compiti di affiancamento alla struttura scolastica durante l’anno di permanenza dell’alunno o studente in situazione di cecità o ipovisione grave o lieve per sostenerlo nei processi educativi di conoscenza e esercizio all’uso dei materiali, degli strumenti e tecnologie utili allo studio.
Questo significa che entrambi possono essere presenti, in quanto l’una non sostituisce l’altra funzione educativa, l’una per la didattica, l’altra per la conoscenza dei materiali e strumenti.
Per esempio l’assistente o educatore, non può avere la responsabilità della classe e conseguentemente non può in alcun momento sostituire il maestro o docente in quanto è a questi ultimi che gli alunni sono affidati. In altri termini, non solo le due figure professionali possono essere compresenti ma il loro impegno deve essere ben definito e devono essere altrettanto chiari i confini dell’intervento didattico da quello specificatamente educativo esercitato dall’educatore tiflologico o assistente alla comunicazione.
Ricordo come l’azione didattica si avvale e integra necessariamente, completandola con quella educativa.
Qual è la sede per pianificare la presenza e l’intervento delle figure quali l’educatore o l’assistente alla comunicazione?
Gli addetti ai lavori conoscono bene il luogo di discussione: è il GLHO, gruppo di lavoro handicap operativo.
Di norma, per utilizzare il lessico caro alla normativa, si riunisce due volte l’anno. L’assistente educativo è previsto dall’articolo 13 della legge 104/92. Il reclutamento, la formazione e la gestione dell’assistente sono, generalmente oggi, compito dell’ente locale: comune, provincia o città metropolitana, ATS.
Tuttavia, corre l’obbligo ricordare che il Dirigente scolastico, oggi più che mai, ha la responsabilità dell’utilizzo dell’educatore nell’ambito dell’organizzazione e della gestione dell’inclusione scolastica, in particolar modo il personale educativo-assistenziale è tenuto ad agire, in momenti collegati e distinti, ma non separati rispetto a momenti specifici del personale docente generalmente può operare sia in presenza che in assenza del personale docente.
Chi redige il programma educativo, diremo tecnico-strumentale e afferente ai materiali didattici per la conoscenza e l’uso da parte del discente?
L’educatore tiflologico o, qualora vi sia, anche l’assistente alla comunicazione e per l’autonomia. Infatti è l’educatore a costruire in accordo con i docenti in classe, un proprio piano di lavoro all’interno del Piano Educativo Individualizzato per l’alunno in situazione di cecità assoluta, ipovedente grave o lieve; deve evitare una gestione puramente assistenziale, per quella c’è il personale dedicato, quello per l’assistenza di base, se prevista perché richiesta dalle condizioni specifiche del discente;
E, qualora il dirigente Scolastico lo ritenga opportuno, l’educatore partecipa attivamente ai lavori di messa a punto del profilo dinamico funzionale e del piano educativo individualizzato;
ovvio che lo stesso debba garantire il massimo di segretezza professionale per tutto quanto si riferisce alle informazioni sull’alunno in situazione di cecità assoluta, di ipovisione lieve o grave e magari con minorazione aggiuntiva.
Con chi deve rapportarsi l’educatore o assistente alla comunicazione?
L’educatore/assistente alla comunicazione deve interagire con le altre figure professionali presenti nell’ambito scolastico: anzitutto, qualora sia presente per esigenze dell’alunno/studente, deve confrontarsi e operare in accordo con l’assistente di base, poi con i docenti curriculari, con il docente per il sostegno didattico, col personale ATA. Tale dialogo inter-professionale e umano va stabilito poi col personale dei servizi del territorio.
In un confronto sano e rispettoso delle parti, con la cooperazione anche dei genitori dell’alunno/studente, deve proporre quanto ritenga utile, opportuno e vantaggioso per l’alunno in situazione di disabilità visiva afferente il percorso inclusivo.
Il suo ruolo gli impone un atteggiamento etico-professionale per cui dovrà mantenere sempre attivo il dialogo e collaborare con la struttura scolastica per ciò che afferisce l’ambito delle attività progettate dalla scuola in cui opera.
Ogni figura dovrebbe poterlo fare ma, certamente l’educatore ha il dovere di formarsi e aggiornare le proprie conoscenze per fortificarle sino a renderle competenze.

Tra i doveri dell’assistente alla comunicazione o educatore tiflologico, per il fatto di trovarsi in una struttura educante con funzioni amministrative, deve sottoscrivere quella che si chiama dichiarazione di responsabilità con la quale si impegna a ufficializzare la sua presenza a scuola, quando entra ed esce.
Qualsiasi diatriba tra lui e il docente curriculare piuttosto che con quello per il sostegno didattico, andrebbero risolte di fronte al dirigente scolastico o alla figura strumentale che segue specificatamente l’area, per l’esecuzione del PTOF, piano triennale dell’offerta formativa, il PAI, Piano Annuale per l’Inclusione.
Il bambino, l’alunno o lo studente non sono un puzzle per cui possiamo permetterci di incastrare le tesserine attraverso tutti i tentativi immaginabili e impossibili ma, persone che a pari di tutti gli altri alunni e studenti hanno il diritto di partecipare alla vita scolastica avendo pari opportunità didattiche, educative ed emotive, oltre che affettive.

Istruzione – Il binomio didattico tra docente disciplinare e quello per il sostegno…, di Marco Condidorio

Cosa fa in aula il docente?
Per rispondere alla domanda proviamo a individuarne l’origine:
La famiglia chiede insistentemente ore di sostegno nella certezza di poter assicurare così il diritto allo studio del proprio figlio ma, davvero è così?
La risposta è sì! Ma, evidentemente non in senso assoluto e comunque vi sono variabili da cui dipende il successo scolastico del nostro discente: i tempi d’assegnazione del docente per il sostegno; la formazione specifica dello stesso e le competenze educative oltre a quelle didattiche; la motivazione del docente a restare sul sostegno o comunque le ragioni della scelta e l’attitudine all’esercizio dell’empatia.
Il docente sul sostegno didattico, si sostituisce al collega di materia?
Certo che no!
Debbono assolutamente cooperare e relazionarsi entrambi con l’alunno/studente.
Chi fa e cosa?
Il docente per il sostegno didattico deve vigilare affinché sia attuato il PEI in tutte le sue parti e deve garantire quanto previsto nel documento ai fini dell’integrazione scolastica del discente.
Attua la didattica appropriata all’esigenze del discente e assicura una metodologia di valutazione degli apprendimenti ai fini dell’attestazione delle conoscenze e delle competenze acquisite dall’alunno/studente.
Non si sostituisce all’assistente alla comunicazione o per l’autonomia né al personale ausiliario; figure quest’ultime di cui si deve comunque e sempre prevedere l’intervento nel PEI.
L’assistente alla comunicazione o per l’autonomia ex lege 104/92 art.13 com.3 non svolge alcuna attività didattica disciplinare, ma di supporto e guida alla comunicazione.
Per alunni/studenti in situazione di cecità assoluta, di ipovisione grave o lieve la figura è l’educatore tiflologico, esperto in scienze tiflologiche di cui parleremo; oggi solitamente si fa riferimento, per i nostri alunni/studenti alla figura dell’assistente alla comunicazione.
La famiglia vive direttamente preoccupazioni e timori, per cui la domanda “Cosa faccia il docente in aula” deve poter essere esplicata sondando tutte le sfaccettature interne ed esterne al mondo della scuola, ma senza perdere mai di vista il significato didattico ed educativo che svolge il professionista quale docente.
Qualsiasi sia la ragione per cui un docente è in aula, quella dominante riguarda comunque la trasmissione dei saperi quali contenuti delle diverse discipline: italiano, storia, matematica, geografia, educazione motoria, musica; insomma, opera al fine di trasmettere contenuti mentali da sé al discente, da una testa ad un’altra.
Non li racconta semplicemente ma, adotta un metodo che chiamiamo “didattica”.
C’è differenza tra il docente disciplinare e quello per il sostegno?
Sostanzialmente no.
Entrambi trasmettono contenuti disciplinari da una persona ad un’altra, da loro al discente ma, evidentemente con metodologie differenti ovvero con didattiche afferenti, il primo alla disciplina, il secondo all’alunno o discente in situazione di disabilità.
Il docente di italiano avrà necessariamente una didattica attraverso cui impartire i contenuti disciplinari: per esempio la didattica che poggia sul criterio fono-sillabico/ortografico: didattica che si basa sulla sillaba in quanto facile da isolare. Generalmente consiste nell’associare ad ogni sillaba un simbolo figurativo.
O, il metodo globale: caratterizzato dall’enfatizzazione di una lettura il cui fine sia la comprensione del testo o parola letta.Il metodo presenta alcune difficoltà tra cui quella di un accesso diretto al lessico, tema su cui mi riservo di discuterne dettagliatamente in una sede dedicata specificatamente alla didattica della letto/scrittura.
Il docente per il sostegno dovrà applicare una didattica specifica che, nel rispetto di quella proposta dal docente disciplinare, afferente appunto alla materia di italiano per esempio, tenga conto delle criticità sensoriali e/o fisiche che di fatto impediscono all’alunno/studente di ricevere in modo paritario i medesimi contenuti trasmessi ai suoi compagni, con tempi però diversi e tecnologie appropriate alle sue stesse potenzialità.
Il docente per il sostegno dunque svolge attività didattica disciplinare, sì ma, con l’impiego di strumenti e/o tecnologie utilizzabili direttamente dall’alunno/studente per cui lo stesso, autonomamente poi sia nella condizione di gestire quanto appreso per potersi esercitare e mostrare così il proprio percorso di apprendimento ed essere valutato dall’insegnante per il sostegno e dai colleghi di materia.
Il momento della verifica, infatti, è assolutamente decisivo ai fini della valutazione degli apprendimenti che, nel caso di un alunno o studente cieco assoluto, ipovedente lieve o grave saranno resi manifesti agli occhi dei docenti attraverso metodologie e strumenti direttamente fruibili ed utilizzabili dall’alunno o studente in situazione di minorazione visiva, fosse anche solo la sua stessa voce o mani che scrivono utilizzando strumenti tecnologici appropriati, vedi la dattilo Braille o il pc munito di display Braille.
Sorge spontanea la domanda: chi educa l’alunno/studente alla conoscenza e all’uso degli strumenti e dei materiali affinché sia autonomo pari ai compagni?
Come detto sopra, Lo vedremo oltre.
Torniamo al docente per il sostegno di cui a questo punto sottolineiamo il termine “didattica”. Perché?
Semplice quanto essenziale, perché il docente per il sostegno è docente per il sostegno alla didattica specifica.
Sottolineare poi il ruolo del docente per il sostegno didattico rispetto al contesto classe è assolutamente necessario alla comprensione del concetto di “sistema didattico-educativo” nel quale opera, non solo il docente per il sostegno didattico, ma anche quello curricolare.
Le due figure si completano o e non si sostituiscono, come già scritto, rispetto alla specificità dei ruoli anzi, evitando ogni tipo di delega, i risultati migliori in termini di apprendimenti li raggiungono solo nella cooperazione e nell’esercizio della professione docente attraverso una sintesi didattica che rispetti e operi in funzione dei tempi e degli apprendimenti d’ogni singolo discente, compreso quello in situazione di minorazione sensoriale e/o con minorazione aggiuntiva.
Il docente dunque ha competenze didattiche sì, ma anche educative in quanto dev’essere competente nell’educazione dei sentimenti e delle emozioni, la letteratura per esempio è generalmente un modello di didattica nel senso che presenta sottoforma di poesia, racconti situazioni emozionali di diversa natura.
E così, il nostro docente di sostegno alla didattica, non ha solo il ruolo di trasmettere contenuti disciplinari, ma anche di educare il discente all’esercizio del sé in relazione al mondo con la conoscenza di questi.
Ecco, il discente deve poter costruire due mappe essenziali per la crescita e la sua maturità: quella cognitiva e quella emotiva.
Per quella cognitiva necessita di una didattica specifica, non speciale; un approccio metodologico rispettoso dei tempi e delle sue potenzialità; di una didattica pensata quasi su misura ma che lo lasci libero ed autonomo nella elaborazione dei contenuti trasmessi dal maestro, dal docente; la didattica, quando appropriata non condiziona ma consegna; attraverso l’insegnamento di contenuti specifici il discente acquisisce un sapere che, se sta percorrendo adeguatamente il proprio cammino di alunno/studente potrà diventare il bagaglio culturale da cui attingere per e in ogni occasione della vita.
Mentre la didattica non appropriata non consegna, ma segna e dunque condiziona il discente ad un “sentire del mondo” alterato rispetto alla realtà, relegandolo ai margini di un analfabetismo cognitivo ed emotivo.
Ecco perché il docente per il sostegno didattico, pari al docente di materia, deve possedere quella formazione utile per essere un buon insegnante.
Relativamente alla mappa emotiva, cioè per la costruzione della capacità di conoscere e gestire l’emozioni, l’insegnante deve agire sul ciò che del mondo noi cogliamo, sentiamo, ovviamente dopo averci guidati nella comprensione di ciò che il mondo è e di come e cosa conosciamo.
In sintesi, è l’insegnante a determinare il valore esecutivo o passivo di queste due dimensioni:
quella cognitiva: come e cosa conosciamo del mondo, il modo in cui conosciamo il mondo medesimo;
e quella emotiva: il modo in cui risuonano dentro di in noi gli eventi del mondo, quel che lo stesso mondo ci trasmette.
Non è sufficiente la mera trasmissione di un contenuto, ma la comprensione e l’effetto dello stesso in noi, nella mente e di quanto rimbalzi nel cuore.
L’insegnante curriculare, così pure quello per il sostegno didattico, hanno il ruolo di far conoscere l’emozioni e di guidare il discente nella gestione e differenza che tra l’una e l’altra passa nei diversi istanti della quotidianità.
Giunto ai dieci, undici anni un alunno è pronto ad assumere il ruolo di studente e di passare dunque alla scuola secondaria di primo grado.
Il sostegno didattico consegna nel tempo al discente la capacità di accogliere, elaborare e restituire contenuti disciplinari: la fisica, la matematica, la geometria piana e solida, l’esplorazione di cartine geografiche fisiche e politiche, la letteratura, le lingue straniere saranno contenuti filtrati attraverso un metodo, che egli stesso avrà acquisito e imparato a gestire, quello di saper intuire, cogliere, analizzare, disporre in sequenza logica,comprendere e di fare sintesi dei singoli concetti per sistemare nella propria mente le nuove conoscenze. Dunque non più un sostegno didattico, ma la capacità di applicare un metodo didattico, acquisito, per fruire di qualsiasi sapere.
Lo studente ben equipaggiato, in quanto possiede un sufficiente bagaglio di esperienze cognitive ed emotive, potrà superare ogni tipo di sfida, sia disciplinare, didattica che emotiva.
Diversamente non sarà in grado né di scegliere e né di discriminare un tipo d’azione da un’altra.
Non saprà emozionarsi perché non riconoscerà le emozioni, perché nessuno lo ha mai saputo o voluto guidare nella costruzione della mappa emotiva.
L’insegnante è colui il quale incide l’animo del discente; colui che segna il nostro cammino, lo segna nel bene e nel male.
Ogni animo ha avuto almeno un maestro che lo abbia forgiato alle conoscenze del mondo e delle leggi che lo governano come per esempio, quello di causa-effetto, di non contraddizione.

Istruzione – Istituito il servizio ProntoScuola!

ProntoScuola! Al numero 06 6998 8387!
Presso la Presidenza Nazionale dell’Unione è istituito da oggi il Servizio ProntoScuola.
Il servizio riguarda gli alunni e gli studenti in situazione di disabilità visiva anche con eventuali minorazioni aggiuntive i quali, in tanti, troppi, soffrono delle inadempienze più disparate e subiscono le discriminazioni peggiori:
– ritardo nell’assegnazione del docente per il sostegno;
– scarsa formazione dei docenti assegnati;
– mancata consegna dei testi scolastici entro l’inizio delle lezioni;
– inserimento in classi superiori ai 20 alunni, sino a numeri improponibili e fuori dalle norme;
– servizi insufficienti e/o male organizzati: trasporti, materiale didattico inesistente, obsoleto o inadeguato;
– difficoltà nel dialogo scuola-famiglia;
– e tanto, tanto altro ancora…

Da oggi, la Presidenza Nazionale mette a disposizione ProntoScuola!
Un servizio telefonico di consultazione e di informazione che cercherà di contribuire ad alleviare il disagio dei nostri ragazzi e di dare più celere soluzione ai tanti problemi che insidiano il percorso di inclusione scolastica.
Il servizio, per il momento, sarà attivo tre giorni la settimana:
martedì 15.00 – 18.00
mercoledì 15.00 – 18.00
giovedì 9.00 – 12.00

Le persone interessate (genitori, insegnanti, operatori, ecc…) potranno formulare quesiti su tutti gli argomenti e rappresentare le varie criticità da affrontare, in particolare:
– trascrizione testi scolastici;
– certificazione e PEI;
– piano Individuale;
– assegnazione insegnanti di sostegno e altri operatori;
– formazione docenti per il sostegno;
– progetti in favore dell’inclusione scolastica promossi dal MIUR;
– prove Invalsi, percorsi didattici e strumenti;
– progetti Indire;
– alternanza scuola-lavoro;
– normativa vigente in materia di inclusione scolastica;
– e ogni altra problematica individuale o di gruppo.
Il servizio ProntoScuola! Prevede anche una segreteria telefonica attiva dal lunedì al venerdì che consentirà di lasciare messaggi e segnalazioni in attesa di essere richiamati.
Marco Condidorio e Marinica Mecca, rispettivamente coordinatore e segretaria della commissione nazionale istruzione, sono responsabili del servizio e risponderanno al telefono negli orari indicati, oltre che elaborare e dare risposte alle segnalazioni in segreteria telefonica.
Raccomandiamo conversazioni brevi e segnalazioni rapide così che il servizio possa svolgersi in modo snello e senza eccessivo ingolfamento di linee telefoniche.
Il primo anno avrà carattere sperimentale e ci darà maggiori strumenti di valutazione per una eventuale stabilizzazione del servizio per il futuro.

Tecnologia e tifloinformatica: la tecnologia assistiva come supporto alla didattica inclusiva – seconda parte, di Franco Lisi

In quale modo la tecnologia continuerà ad essere al servizio dell’uomo? Quali saranno i parametri qualitativi di domani? Quanto e in che modo svolgerà un ruolo a compensazione delle disabilità? La progettazione di una tecnologia facile, “amichevole” e sempre più autonoma è fuor di dubbio indicatore e cartina di tornasole dell’evoluzione delle dinamiche relazionali uomo-macchina. Vero è che più il rapporto uomo-device sarà basato prevalentemente su comandi gestuali impartiti a distanza e il solo pensiero sarà scintilla e causa di un evento esterno indipendente, tanto più il senso della vista manterrà la supremazia sugli altri sensi. Avrà dunque termine lo scontro sensoriale in atto oppure la multisensorialità, intesa come larga banda attraverso cui interagire con le “cose”, continuerà ad essere oggetto di attenzione da parte dei ricercatori? Ad ogni modo, più lo strumento tecnologico si affrancherà dall’uomo tanto più questi gli cederà potere di scelta e di azione. L’uomo avrà “schifo” persino di toccare ciò che è frutto della sua creatività, ciò di cui si serve. L’uomo prenderà le distanze da ciò che è il risultato della sua ricerca e da ciò che inventa, da ciò di cui non potrà più comunque fare a meno. In quest’ultimo scenario, allora, l’uomo non guarderà al visivo come strumento per “manipolare” il mondo, ma sarà schiacciato, soverchiato, dominato, sarà, in una sorta di ribaltamento dei ruoli, pilotato dalla tecnologia, dalla robotica, dall’intelligenza artificiale, da ciò che egli stesso ha realizzato per sua stessa mano ed intelligenza. La disabilità e la tifloinformatica troveranno ancora posto lungo l’asse tecnologia-didattica digitale? Potranno le tecnologie avanzate del futuro “normalizzare” ogni forma di disabilità? Ma cos’è la normalità? Ed esiste una normalità? Avrà ancora senso ragionare di didattica inclusiva?

Abbiamo imparato a dirci che nessuno può essere considerato normale. Forse, neghiamo la normalità perché non accettiamo la nostra diversità.

“La normalità – sottoposta ad analisi aggressive non meno che la diversità – rivela incrinature, crepe, deficienze, ritardi funzionali, intermittenze, anomalie. Tutto diventa eccezione e il bisogno della norma, allontanato dalla porta, si riaffaccia ancora più temibile alla finestra. Si finisce così per rafforzarlo, come un virus reso invulnerabile dalle cure per sopprimerlo. Non è negando le differenze che lo si combatte, ma modificando l’immagine della norma”. Cit. “Nati due volte” Pontiggia.

Se la norma si configura come pluralità di differenze, non possiamo permettere, tuttavia, che alcuno si dimentichi dei bisogni specifici delle persone che vivono in uno stato di permanente difficoltà, per condizioni fisiche, mentali, ambientali o sociali, che comportino svantaggi ed emarginazioni. E’ importante altresì riconoscere la necessità di non permettere al deficit di oscurare il valore della persona nella sua essenziale umanità, sottolineando le abilità, valorizzando le potenzialità di ogni individuo, richiamando il concetto tanto avverso quanto interessante di “diversabilità”. La pedagogia speciale si sta occupando, alla luce dei cambiamenti sociali e culturali in atto, anche dello studio, della ricerca e della presa in carico e cura delle situazioni di vulnerabilità causate non solo da fattori biologici, ma anche personali, sociali, culturali e ambientali. Ricerca inoltre i modi possibili per favorire una riorganizzazione positiva della vita, con l’osservazione e lo studio degli atteggiamenti di resilienza ovvero la resistenza psicologica alle avversità, che rappresenta una nuova prospettiva verso la disabilità e l’handicap. Se si vuole lavorare nell’interesse della persona disabile, non si può partire dalle competenze burocratiche, bisogna partire da lui, crescere con lui, seguirlo in tutto il continuum della sua esistenza, individuando per lui e con lui il suo “progetto di vita”.

È peraltro da scongiurare “la tragedia della modernità: come nel caso dei genitori nevrotici e iperprotettivi, spesso chi cerca di aiutarci finisce per farci più male. Se quasi tutto ciò che è calato dall’alto (top-down) rende fragili, impedendo l’antifragilità e la crescita, d’altro canto con la giusta quantità di stress e disordine tutto ciò che viene dal basso (bottom-up) fiorisce. Lo stesso processo di scoperta è condizionato dall’antifragile arte di sperimentare e da un’aggressiva assunzione di rischi, piuttosto che dall’aver ricevuto un’istruzione regolare (e lo stesso vale per l’innovazione o il progresso tecnologico). Cit. “Antifragile” – Nassim Nicolas Taleb.

Spesso attribuiamo la causa della nostra fragilità totale unicamente a quelle 3 lettere del prefisso “dis”, “calato dall’alto”, che rappresenta la negazione o la privazione di una qualsivoglia condizione di abilità. L’oppressione di quella parolina ci pervade e ci tiene compagnia dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina, ci soverchia tutti i giorni della nostra vita: cresce, vive e se ne va con noi. Come combattere la fragilità? Come rifuggirla? Esiste il suo opposto funzionale? Esiste davvero un antidoto efficace?
Cerchiamo riparo in situazioni ed eventi esterni a noi, indipendenti da noi. Le nostre generazioni, ad esempio, trovano per lo più momenti di sollievo e conforto salvifici nel rincorrere gli ultimi ritrovati tecnologici: improvvisate sperimentazioni, test senza un dichiarato scopo, promesse vaghe, si rivelano spesso specchi per allodole; l’inconscio bisogno di riprendere un po’ di fiato trascorrendo brevi istanti di evasione si traduce in rapida delusione e inevitabile rammarico; siamo chiamati a conoscere aggeggi di dubbia utilità, ausili spesso solo tali sulla carta, ultime versioni di software talvolta peggiorative; ogni volta siamo attratti con lo stesso immutato ardore e rinnovata speranza, disposti a donare la nostra unicità di persone con tutte le loro inestimabili differenze in nome ed in cambio di una uguaglianza fatta di ipotetiche pari, fugaci opportunità; ogni volta, quasi ogni volta, riprecipitiamo giù, quando qualcosa o qualcuno mette in luce i nostri limiti, fisici o sensoriali, pronti però a ripartire, questa volta, dalla nostra segreta fortezza fatta di fatiche mai dichiarate, di sconfitte mal digerite, d’intime frustrazioni alquanto corrosive. Affrontare con avvedutezza gli ostacoli della vita, reagire prontamente agli imprevisti, abituarsi alla disabitudine, sono alcune fondamentali leve dalle quali può lievitare la crescita personale di un qualsiasi individuo, disabile o no.

Di certo, i dispositivi tecnologici sono ormai considerati vitali per tutti, dallo smartphone al personal computer; è fuor di dubbio che non riusciamo ad immaginare un mondo privo di tecnologia! Il confine infatti tra mondo reale e virtuale è alquanto aleatorio. Muoversi con la consapevolezza di poter sbagliare, di mettere il piede in fallo, di cadere senza appiglio, sono rischi che ormai fanno parte della nostra stessa esistenza, con i quali dobbiamo imparare a convivere fino a farceli amici.
Ecco ancora una qualità, un’altra abilità da migliorare! Ci viene in aiuto ancora una volta Nassim Nicolas Taleb con il suo illuminante lavoro.

“L’antifragilità va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l’antifragile migliora. Questa qualità è alla base di tutto ciò che muta nel tempo: l’evoluzione, la cultura, le idee, le rivoluzioni, i sistemi politici, l’innovazione tecnologica, il successo culturale ed economico, la sopravvivenza delle aziende, le buone ricette (per esempio il brodo di pollo o la bistecca alla tartara con un goccio di cognac), lo sviluppo di città, civiltà, sistemi giuridici, foreste equatoriali, la resistenza dei batteri… persino la vita della nostra specie su questo pianeta. Ed è l’antifragilità a determinare il confine tra ciò che vive ed è organico (o complesso), come per esempio il corpo umano, e ciò che è inerte, per esempio un oggetto come la graffettatrice che abbiamo sulla scrivania”.

Similmente antifragile è colui che ha imparato a lottare strenuamente senza risparmio per conquistare oggi un pezzetto di integrazione sociale, per poi all’indomani farselo sciogliere tra le mani come neve al sole; riafferrarlo ancora e poi di nuovo vedere svanire i propri sforzi il giorno successivo… Combattere i pregiudizi più intimi, le convinzioni più radicate, le false credenze più diffuse, presuppone forza di volontà, perseveranza, determinazione, decisamente altro e di più del saper resistere. Ad esempio, l’applauso di quando attraversi l’incrocio “alla grande” schivando le auto e azzeccando il passaggio tra le aiuole dello spartitraffico oppure l’ovazione corale di quando imbocchi la scala della metropolitana senza fallire il primo scalino, perdono di spontaneità e di gratitudine al primo “oh” urlato allorché sbatti contro un palo, lì, per caso oppure ti adagi su di una bicicletta mal posta sul marciapiedi; il consenso di stupore che si coglie nel salire in scioltezza i gradini del tram si trasforma in solidarietà compassionevole quando vieni assalito dai numerosi e rumorosi benefattori sempre pronti a cederti il posto a sedere; la meraviglia smisurata di come accarezzi lo schermo di uno smartphone si alterna allo scetticismo nel momento in cui il software di navigazione ci fa sbagliare percorso o numero civico, quasi che in fondo la colpa sia da ricondurre all’utilizzatore. L’integrazione sociale serpeggia tra il caso, la casualità, il disordine, la volatilità e i fattori di stress: l’integrazione sociale non è lineare ed è anche per questa ragione antifragile, si evolve alla stregua dei sistemi più complessi.

Il ragionamento calza alla perfezione affrontando le tematiche segnatamente correlate all’inclusione scolastica. Vi è la tendenza a generare reazioni a catena che escono dal controllo e riducono, o perfino annullano, le certezze di una oculata pianificazione, provocando quindi eventi fuori misura. Se da un lato il mondo odierno sta senz’altro accrescendo le proprie conoscenze tecnologiche, dall’altro, paradossalmente, rende le cose molto più imprevedibili. Ora, per ragioni connesse all’aumento di ciò che è artificiale, all’allontanamento dai modelli ancestrali e naturali e alla perdita di robustezza causata dalle complicazioni che si incontrano creando qualsiasi cosa, il ruolo degli eventi rari (“Cigni neri” Taleb) sta assumendo sempre più importanza. Inoltre, siamo vittime di una nuova malattia, la neomania, la quale ci porta a costruire sistemi vulnerabili alla stregua del Cigno nero nel nome del «progresso».
Il percorso dell’inclusione scolastica oscilla in continuazione e si appoggia, ora sul pilastro tecnologico e dell’accessibilità al digitale e al materiale di studio, un po’ meno sul pilastro dell’orientamento e della mobilità, talvolta sul pilastro della relazione con i compagni e con gli insegnanti, molto raramente sul pilastro dell’indipendenza e della libertà di pensiero.
Ricercare un equilibrio che favorisca una crescita armonica dello studente significa contemplare l’imprevisto, accettare il rischio, mettere in luce punti di potenziale vulnerabilità. Per questa prospettiva occorrerebbe una inequivocabile convergenza interdisciplinare fra le componenti che concorrono al processo inclusivo, la qual cosa non è scontata per molteplici ragioni: diverse sensibilità individuali, differenti livelli di conoscenza delle implicazioni correlate alla disabilità visiva, visioni diverse dei processi educativi, problematiche inerenti alle difficoltà di tipo organizzativo concernenti gli incontri di confronto e di pianificazione. Proteggere i nostri ragazzi dalle insidie del sistema equivale, d’altra parte, a conservare lo status quo e ad optare per la via più facile, quella cioè della rassegnazione al loro futuro di permanente fragilità. Come siamo fieri ed orgogliosi del nostro operato di tutor quando il nostro studente (modello o cavia) dà prova di saper utilizzare la tastiera di un computer a 10 dita, di saper aprire con presunta rapidità una cartella o un documento digitali, di saper far scivolare con destrezza due dita sullo schermo piatto di un dispositivo interattivo; come siamo contenti… Urliamo per questo al successo inclusivo! Così, in qualche modo, siamo ahimè colti di sorpresa, ci deresponsabilizziamo e non sappiamo meravigliarci neppure più dinanzi alla scarsa autonomia che egli mostra nel riporre in modo maldestro la “cavetteria” e tutta la tecnologia di cui dispone nello zainetto oppure di fronte allo smarrimento che vive nel tentativo di raggiungere la porta di uscita dell’aula. Come sappiamo profondere elogi in abbondanza nel vederlo navigare tra intestazioni e tabelle con buona disinvoltura presentandolo come un piccolo fenomeno, così non siamo in grado di dargli suggerimenti appropriati e fornirgli strategie efficaci e metodologie adeguate al momento di rielaborare e di concettualizzare i contenuti della pagina.

Le dinamiche che sottintendono questo composito sistema sono parallele, interdipendenti, talora si compenetrano; una lettura che non sia superficiale può avvenire compiutamente da un acuto osservatore esterno in grado di coglierne gli effetti generali o, comunque, richiede uno scambio consapevole condotto costantemente dal gruppo degli operatori. L’insegnamento dell’informatica e la possibilità di accesso a strumenti tecnologici, da soli, non determineranno la bontà di un percorso di inclusione così come la relazione con uno, due compagni non indurrà a persuadere che il nostro allievo si senta a proprio agio nelle attività di gruppo. L’inclusione scolastica è la somma degli istanti che costituiscono una parte della nostra vita! Avremo creato condizioni di vera inclusione solo quando nei nostri ragazzi i momenti di autentica serenità prevarranno su quelli difficili. La fonte dell’umana gioia consiste nel sentirsi liberi da ogni paura, ansia, stress, frustrazione e non fa preoccupare di nulla; la fonte dell’umana gioia è quando ciò che fai ti tranquillizza e ti insegna qualcosa, continuamente; quando ti senti bene ogni volta che commetti un errore, perché sai che stai imparando qualcosa. Le sensazioni che sapremo far loro provare influiranno sulla loro salute, sulla loro autostima, sulla qualità delle relazioni che sapranno tessere con gli altri e sulla loro vita. Che siano quindi meravigliose!
Disciplina, sforzo, determinazione, tre qualità le cui ricompense saranno sorprendenti!
Una didattica, per poter essere definita per tutti, deve avere tra gli obiettivi primari quello di stimolare gli studenti a darci dentro per ottenere qualsiasi cosa desiderino; ad essere orgogliosi di se stessi e darlo a vedere; ad avere il controllo di ogni cosa che fanno e che devono fare; ad amare la vita e adorare di stare in compagnia. I momenti difficili sono, appunto, solo momenti che ti fanno diventare persona migliore. In fondo in fondo, occorre sapere che quegli istanti servono per imparare delle preziose lezioni. I nostri ragazzi si sentiranno realmente felici, rilassati, fiduciosi, centrati e lucidi riguardo ad ogni cosa quando sapranno godere della loro libertà. Ci sarà integrazione totale quando saranno tutti individualmente liberi, non prigionieri cioè dei propri limiti fisici, ma soprattutto dei limiti dei propri pensieri, della propria mente. Solo allora potremo sostenere che avranno raggiunto la piena integrazione sociale e inclusione scolastica; solo allora potremo apprezzare gli effetti di una didattica inclusiva.

L’insegnamento dell’utilizzo ancorché basico del personal computer e della tecnologia assistiva avrà tanto più raggiunto il suo scopo inclusivo quanto più saprà richiamare, ricomprendere e contemplare i valori appena menzionati. Un insegnamento privo della competenza info-tiflo-pedagogica si muoverà nella direzione contraria e correrà il rischio di erigere nuove e vecchie barriere attorno al nostro allievo gettandolo nell’isolamento più opprimente, impregnato di rassegnazione, vana fatica, frustrazione. Una preparazione professionale approssimativa del tiflo-informatico e una improvvisazione metodologica possono dar origine nel discente ad irreparabili sensazioni di sfiducia nelle proprie capacità, generando tra l’altro un rifiuto per la materia che si protrarrà nel medio-lungo periodo. Un sistema di inclusione scolastica che intenda ambire ad elevati parametri qualitativi, allontanandosi dallo spettro della regressione storico-politica di nuove forme di emarginazioni coatte, dovrà potersi sviluppare all’insegna della trasparenza e di un costante confronto tra figure esperte, in presenza di regole certe. Diversamente, si accompagneranno le famiglie e i loro ragazzi verso una trappola che rilascerà i suoi segni negativi più indelebili.

“Le cose che imparate a scuola non sono che l’inizio. Il vero laboratorio comincia quando ve ne andate.” Richard Bandler.

Intanto, non ci rimane che riversare la speranza e la fiducia nei nostri ragazzi che, da soli, sono costretti a porre rimedio alle incapacità e alla vanità di noi adulti.
Alcuni versi di una poesia scritta da un poeta inglese molto malato sul letto d’ospedale racchiudono magistralmente un insegnamento che dovrebbe essere il riferimento di ogni materia; si dice che Nelson Mandela nei suoi 27 anni di malattia la recitasse, la interpretasse per darsi forza e coraggio:

“non importa quanto stretto sia il passaggio, quanti castighi ci possano essere nella vita, ma che voi siate, ragazzi, padroni del vostro destino e capitani della vostra Anima.”

Buon cammino, ragazzi, buon cammino!

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