Leggibilità grafica – “Se non riesco a leggere non è solo colpa dei miei occhi”, Flavio Fogarolo

Autore: Flavio Fogarolo

Molte persone con difficoltà visiva, non solo ipovedenti in senso stretto ma anche semplicemente anziani o con qualche generico problema di vista, si trovano spesso nella spiacevole situazione di dover decifrare dei testi che risultano per loro inaccessibili.
«È scritto troppo in piccolo, non riesco a leggere» è l’osservazione più frequente.
In realtà il problema della dimensione dei caratteri, pur fastidioso, è quello che in qualche modo si potrebbe anche superare ad esempio semplicemente avvicinando maggiormente il testo agli occhi o ricorrendo a qualche strumento compensativo come delle lenti appropriate o uno dei vari ingranditori elettronici, portatili o da tavolo, attualmente disponibili.
Ma non sempre queste soluzioni funzionano, e non solo a causa della minorazione visiva: a volte la lettura rimane impossibile perché il testo è stato scritto male, con una grafica confusa o inutilmente elaborata, usando colori assolutamente inefficaci, scrivendo su materiali inadatti, che abbagliano o confondono. “Se non riesco a leggere non è solo colpa dei miei occhi” è il sottotitolo che abbiamo dato a una pubblicazione edita qualche anno fa dal Progetto Lettura Agevolata del Comune di Venezia1: se non si riesce a leggere è anche perché qualcuno, spesso solo per fare il creativo, ha aggiunto inutili ostacoli.
Il problema rientra, in generale, nel concetto di leggibilità grafica, ossia nell’insieme di accorgimenti che devono essere adottati per consentire l’accesso alla comunicazione visiva al numero maggiore possibile di persone. Sono principi noti da tempo ai grafici professionisti e pienamente applicati, ad esempio, in campo pubblicitario (nessuno si sognerebbe di progettare un logo commerciale con tratti sfumati, confusi, colori difficilmente percepibili…) eppure spesso del tutto ignorati in altri contesti ove una discutibile ricerca dell’eleganza formale e la creatività fine a sé stessa, unite ad una scarsa attenzione alle esigenze di chi vede poco, danno spesso come risultato una comunicazione grafica che crea enormi problemi a tante persone.
Le conseguenze di questa disattenzione sono molto soggettive e possono andare da un semplice senso di fastidio o affaticamento, anche momentaneo, all’impossibilità totale di fruire dell’informazione. Anche se solo nel secondo caso potremmo parlare di vere “barriere”, in realtà il problema coinvolge a diversi livelli moltissime persone con pesanti conseguenze: un testo che si legge con fatica diventa del tutto illeggibile quando l’illuminazione è carente, quando non ci si può avvicinare per vederlo meglio, se bisogna leggerlo al volo (pensiamo al nome della stazione in metropolitana) o semplicemente se gli occhi sono più affaticati del solito.
Il problema della leggibilità dei testi sta diventando negli ultimi anni sempre più rilevante, anche se ancora molto sottovalutato, per due ordini di motivi: da un lato l’aumento di popolazione, soprattutto anziana, con problemi di vista che non vuole però assolutamente rinunciare ad accedere all’informazione e ai servizi sia tradizionali (come leggere un libro) che innovativi (web e tecnologie, ad esempio), dall’altro le innumerevoli possibilità creative che hanno a disposizione oggi coloro che offrono, sia a livello professionale che amatoriale, comunicazione grafica e che, se mal usate, aumentano a dismisura i problemi. A tutti sarà capitato di strabuzzare gli occhi assistendo, magari dall’ultima fila, a una conferenza illustrata con slide dai colori assurdi, con elaborazioni che vorrebbero essere fantasiose ma che lasciano leggere poco o nulla.
A nessun editore, fortunatamente, è ancora venuta l’idea di stampare dei romanzi usando inchiostro grigio o carta colorata ma, chissà perché, nel web è considerato normale, oltre che molto elegante, proporre pagine con caratteri sfumati e lievi, colori tono su tono adatti forse per una cravatta o un foulard, ma improponibili in un testo destinato alla lettura.
Le regole della leggibilità grafica sono poche e tutto sommato abbastanza semplici.
Ecco, in breve, le principali:
1 – Evitare caratteri troppo piccoli e, tutte le volte che è possibile, dare la possibilità di leggere da vicino (come per un avviso, un orario ferroviario…) o di personalizzare l’ingrandimento (sito web, e-book…).
2 – Evitare i caratteri troppo sottili, inaccessibili a chi vede poco, ma anche quelli troppo grossi perché tendono a riempire i cosiddetti “occhi” delle lettere, ossia gli spazi interni, per cui gli utenti con difficoltà visiva riescono a cogliere bene solo il profilo esterno e confondono, ad esempio, una “o” con una “e”.
3 – Garantire che il testo sia correttamente percepito e distinto dallo sfondo, sia in termini di “luminanza” (chiaro-scuro) che di contrasto cromatico. Alcune coppie di colori sono assolutamente improponibili per tutti, altre creano difficoltà a molte persone.
4 – Attenzione alle elaborazioni grafiche: colori o bordi sfumati, ombreggiature, retinature, caratteri bizzarri… Vanno usate con moderazione e, soprattutto, buon senso e intelligenza, altrimenti diventano una barriera.
5 – Molti problemi nascono dalla sovrapposizione del testo a immagini sottostanti, fotografie, disegni, sfondi grafici di vario tipo. Se non vengono progettate bene, i risultati di queste produzioni sono spesso disastrosi per la leggibilità.
6 – Evitare caratteri troppo vicini tra loro, righe troppo fitte o troppo lunghe. Sconsigliato, se non per titoli o brevissime frasi, il testo centrato perché risulta più difficile capire quando e come si va a capo.
7 – Attenzione anche ai supporti usati e, soprattutto nella segnaletica, anche all’illuminazione: un pannello troppo lucido e riflettente con illuminazione diretta, un supporto trasparente o traslucido, un cartoncino bianco abbagliante…
Da osservare che quasi mai la leggibilità incide sui costi di produzione. Stampare un testo chiaro non costa un centesimo in più di uno confuso e illeggibile, è solo questione di cura e progettazione. Fa eccezione, se vogliamo, il caso di caratteri minuscoli usati a volte per ridurre il numero delle pagine o il formato di una pubblicazione, anche se c’è da chiedersi se un testo che non si può leggere possa davvero costituire un risparmio, o non sia di per sé stesso un inutile spreco.
Immagini e didascalie.
Scegliete voi quelle che ritenete più efficaci, è importante però che conserviate quelle in coppia (1, 2 e 4)

1 In stazione o aeroporto è fondamentale poter consultare gli orari. Non si pretende che tutti siano a misura di ipovedente, basta ce ne sia qualcuno a cui ci si possa avvicinare, non solo quindi tabelloni appesi in altro e inaccessibili per chi vede poco (a destra stazione di Milano, a sinistra stazione di Padova).

2 Non è raro nei musei trovare didascalie quasi mimetizzate, con caratteri piccoli e colori lievi. Assolutamente inaccessibili per chi vede poco, sono di difficile lettura anche per i normali visitatori. (Museo Santa Giulia, Brescia)

Da evitare, soprattutto per segnalazioni importanti come in questo caso, la combinazione testo rosso su sfondo blu. Illeggibile per la maggior parte degli ipovedenti, lo diventano per tutti in caso di condizioni ambientali difficili o di pericolo, come oscurità e fumo. (Stazione Centrale di Bologna).

In molti casi la ricerca dell’eleganza formale va, purtroppo, a scapito della fruibilità dell’informazione, creando nuove e inutili barriere. Le foto rappresentano, prima e dopo, il recente intervento di restyling alle stazioni ferroviarie: il vecchio numero “6” del binario, ben contrastato e di discrete dimensioni, è stato sostituito da un pannello con un numero molto più piccolo e da uno enorme, ma illeggibile, con contrasti grigio-bianco troppo tenui (Stazione Santa Lucia di Venezia).
1 Il volume “Questione di leggibilità – Se non riesco a leggere non è solo colpa dei miei occhi”, a cura di L. Baracco, E. Cunico e F. Fogarolo, si può prelevare gratuitamente dal sito dell’Associazione Lettura Agevolata (www.letturagevolata.it).

La riabilitazione visiva rientrerà mai nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)? Ad oggi, la riabilitazione visiva in Italia resta un’opera incompiuta, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

E’ un fatto di cronaca che in Italia vengano progettate strutture che poi non trovano mai utilizzo, restando incomplete e abbandonate, con un notevole sperpero di risorse. Per noi cittadini, è difficile ipotizzare altre cause che non siano riconducibili all’incuria e alla superficialità degli amministratori. In una parola: stupidità. Anche per quanto ci riguarda, nel nostro piccolo, stiamo assistendo a qualcosa di analogo. Vi spiego.
L’art. 26 della legge n.833 del 1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, prevedeva che a carico delle nascenti Unità Socio-Sanitarie Locali ci fosse la riabilitazione sensoriale; le nostre leggi sono spesso lungimiranti e ineccepibili, ma come afferma il proverbio, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E la burocrazia.
La riabilitazione sensoriale, infatti, è rimasta per molti anni solo sulla carta, finché, grazie alle pressioni della nostra Unione, nel 1997, con la legge n. 284, non vennero stanziati 5.000 milioni delle vecchie lire per la creazione e il potenziamento dei cosiddetti Centri di Educazione e Riabilitazione Visiva per Ipovedenti.
All’epoca, nel mondo occidentale, la riabilitazione visiva era ormai un fatto consolidato da circa un ventennio: come al solito, malgrado l’enunciazione del principio nella sopracitata legge n. 833, siamo arrivati tra gli ultimi. Fu sempre l’Unione, per prima, ad organizzare corsi specifici per formare i riabilitatori, sotto lo sguardo diffidente e scettico del mondo accademico.
Gli stanziamenti di cui alla legge n.284, sono stati regolarmente erogati dalle Regioni fino al 2013 per un importo complessivo di 80 miliardi di lire in sedici anni, su per giù pari ad attuali 41 milioni di euro. Dal 2013 l’importo è stato ridotto a circa 400 mila euro annui.
Ancorché i predetti stanziamenti, in molte realtà, siano stati utilizzati per impegni socio-assistenziali che non avevano nulla a che fare con la riabilitazione visiva, le risorse utilizzate per la creazione o il potenziamento dei Centri di Riabilitazione Visiva sono state notevoli: gli enti interessati hanno presentato numerosi progetti alle rispettive amministrazioni regionali; queste ultime hanno provveduto a concedere l’accreditamento e lo stanziamento delle risorse indicate nei preventivi per l’acquisizione della strumentazione destinata ai nascenti servizi.
Eccoci però giunti all’anello finale della catena: i centri nascevano ed erano dotati di strumentazione all’avanguardia, ma a mancare era una cosa fondamentale: la remunerazione degli addetti ai lavori, gli oculisti, i riabiliatori e il resto del personale. Ecco quindi la nostra opera incompiuta: somme importanti stanziate per il processo riabilitativo ed il materiale relativo sottoutilizzato per mancanza di fondi finalizzati all’attività e alla gestione ordinaria dei centri.
Questo è il quadro della situazione attuale. Ora, ciò che potrebbe sbloccarlo, è l’inclusione della riabilitazione visiva all’interno delle tariffe ambulatoriali (il cosiddetto LEA, Livelli Essenziali di Assistenza); ciò eviterebbe a tutte le strutture che oggi agiscono in convenzione con le ASL di arrabattarsi con modalità improprie per riuscire a sopravvivere.
Soprattutto grazie alle pressioni costanti della nostra IAPB e del Polo Nazionale di Servizi e Ricerca per la Riabilitazione Visiva, dopo vari incontri tra i Centri di Riabilitazione e il Ministero della Salute, sembra che il problema sia in via di soluzione. Dico sembra perché a data odierna la situazione non è chiara: in un primo momento, la riabilitazione pareva essere stata inclusa nel LEA, poi no; però a dicembre una funzionaria del Ministero della Salute ci diede conferma dell’inclusione, e del fatto che il decreto relativo al LEA sarebbe stato pubblicato a breve in Gazzetta Ufficiale. A tutt’oggi però non ce n’è traccia. Nemmeno il sottoscritto è riuscito ad avere la certezza che l’iter del provvedimento sia giunto a conclusione.
Torno a ribadire che notevoli risorse sono state stanziate, e che il materiale acquisito è sovente giacente presso le strutture o sottoutilizzato. Un’opera incompiuta, insomma.
Nei giorni scorsi, il Ministero della Saluto ha reso pubblica la relazione annuale al Parlamento relativa alla legge 284/97, un documento che descrive tutte le attività istituzionali messe in campo, durante l’anno, riconducibili alla gestione della prevenzione dell’ipovisione e della cecità.
E’ lo stesso Ministero, nelle conclusioni, a evidenziare la situazione di criticità del sistema, affermando: “Fintanto che le stesse attività di riabilitazione visiva non saranno ricomprese nei LEA, sicuramente la riduzione dei finanziamenti ai Centri, con drastica contrazione dell’erogazione dei fondi negli ultimi anni, sarà un forte elemento di criticità in quanto i Centri di Riabilitazione visiva, come richiesto dalla normativa, programmano tutte le attività sulla base dei finanziamenti che ricevono. Il taglio delle risorse quindi potrà impattare sulle prestazioni erogate e sui servizi offerti ai disabili visivi, in contrasto proprio con quanto richiesto a tutti gli Stati membri dall’OMS e dalla Convenzione ONU sui diritti dei disabili […]”
Dal 1978, anno di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale ad oggi sono trascorsi 38 anni (ripeto: 38!). Forse al 50° anniversario potremmo brindare alla conclusione della vicenda.
Mentre scrivo queste righe mi sovviene una battuta di Albert Einstein: “Esistono due cose infinite: una è l’universo, l’altra è la stupidità umana. Per quanto riguarda l’universo la questione è alquanto incerta…”.

Le mie rimembranze congressuali, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

I nuovi impegni dell’Unione a favore degli Ipovedenti
Da poche ore si è concluso il XXIII Congresso Nazionale della nostra Unione e mi giunge spontaneo ripensare ai quattro giorni trascorsi a Chianciano. Il mio pensiero vola indietro negli anni (tanti… fino a metà degli anni ’70!) quando partecipai al mio primo congresso e stentavo a comprendere i vari risvolti delle strategie che i candidati mettevano in campo per essere vincenti nella contesa.
Tanti congressi sono trascorsi da allora e l’esperienza maturata mi ha fatto meglio comprendere tutti i “dietro le quinte”. Tra l’altro, ho vissuto quest’ultima esperienza non da candidato, ma da invitato: ho potuto quindi seguire le strategie congressuali in veste di spettatore e questo, di certo, è stato divertente.
Ma veniamo ai problemi che riguardano la categoria degli ipovedenti: che cosa è emerso da quest’ultimo congresso? L’intenzione era di proporre una mozione congressuale concisa e con pochi punti, pienamente attuabili nel prossimo quinquennio; le esigenze incombono per dare risposte ad una categoria, gli ipovedenti, che pur a pieno titolo socia dell’Unione è sovente dimenticata dalla nostra dirigenza, perché le problematiche da affrontare sono difficili e le competenze specifiche mancano, anche perché pochi sono gli ipovedenti medio-gravi e lievi iscritti. Se vogliamo chiamarci “Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti” è però gioco forza dedicare attenzione a tutti coloro possono essere, a pieno titolo, soci della nostra associazione, senza discriminazioni.
Mi auguro che le indicazioni fornite dalla mozione congressuale potranno essere di stimolo anche alle nostre strutture periferiche per svolgere iniziative a favore della categoria. E attenzione: le problematiche oggi individuate non vanno considerate totalmente esaustive circa le necessità degli ipovedenti: bisogna aspettarsi che nei cinque anni di questo mandato altre necessità possano emergere. La società è in continuo movimento e ci offre sfide ogni volta nuove da affrontare.
Scorrendo gli elenchi degli eletti, appuro che molti di essi sono alla loro prima esperienza a livello nazionale; mi auguro che il loro entusiasmo da neofiti possa contribuire a risolvere i problemi di natura legislativa che riguardano non solo gli ipovedenti, ma anche i soci storici della nostra Unione. Da queste righe invio a tutti e tutte loro le mie più sincere congratulazioni con l’augurio di essere vincenti nelle battaglie che li attendono nei prossimi anni.

Irifor Trentino – Prima Giornata provinciale dell’Ipovedente

La Cooperativa Sociale IRIFOR del Trentino Onlus, insieme alla sezione di Trento dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e alla sezione italiana dell’Agenzia Internazionale per la Prevenzione della Cecità (IAPB Italia Onlus), istituisce la Prima Giornata provinciale dell’Ipovedente, con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sulla delicata tematica delle persone, appunto, ipovedenti.
Sabato 24 ottobre si celebra dunque questa prima giornata provinciale in Piazza Duomo, a Trento, dalle 10.00 alle 16.00. Sarà presente l’Unità Mobile Oftalmica della Cooperativa, il camper attrezzato ad ambulatorio oculistico itinerante, che offrirà screening visivi gratuiti, per cui sarà possibile prenotarsi già dalle 10.00 del mattino. La piazza centrale di Trento ospiterà anche il Dark on the Road, la roulotte adibita a bar al buio, per regalare alla popolazione l’esperienza di sorseggiare una bevanda nell’oscurità, sotto la guida di camerieri ciechi e ipovedenti alla scoperta della disabilità visiva e alla riscoperta del potere degli altri sensi. Verrà inoltre predisposto un breve percorso che chiunque potrà fare, con l’ausilio del bastone bianco, utilizzando degli occhiali speciali che simulano le diverse patologie visive e permettono di capire quali difficoltà si trova quotidianamente a dover affrontare un ipovedente. All’interno del gazebo presente in piazza, verrà infine distribuito materiale informativo, fornito dalle realtà trentine e dalla IAPB Italia Onlus.
“Si tratta di una giornata che abbiamo deciso di dedicare all’ipovedente – dichiara il presidente IRIFOR Ferdinando Ceccato – poiché la società spesso non conosce queste patologie, che permettono di fare alcune cose ma ne precludono altre. Mettersi nei panni di chi vive tutti i giorni questa condizione è utile a far capire molte cose”.
Anche Dario Trentini, presidente dell’UICI di Trento, spiega come quest’iniziativa sia davvero importante: “Rappresentiamo l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti e sentiamo forte l’esigenza di far conoscere l’ipovisione, nelle sue infinite forme e con le sue peculiarità per trasmettere informazione e permettere ai partecipanti di guardare oltre alla disabilità per comprendere davvero la persona ipovedente”.
Tutta la popolazione è invitata!

L’attività della Commissione Ipovedenti nei prossimi cinque anni: obiettivi, criticità e proposte, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

Siamo ormai alle porte del prossimo Congresso della nostra Unione, in occasione del quale verranno rinnovate le cariche associative e le varie commissioni predisporranno un documento programmatico dell’attività da svolgersi nel mandato 2015-2020.
Rileggendo la relazione programmatica predisposta nel 2010 dalla Commissione Ipovedenti, mi sono reso conto che molte delle iniziative là prospettate, allo stato attuale, non hanno trovato realizzazione; la responsabilità è duplice: non possiamo attribuirla interamente agli interlocutori istituzionali, sebbene da sempre abbiano una conoscenza approssimativa del fenomeno dell’ipovisione e delle esigenze della categoria, ma dobbiamo riflettere anche sull’efficacia dei nostri programmi e sulle forze che riusciamo mettere in campo. In tal senso, e volendo anche tener conto dalla scarsa cultura sull’ipovisione esistente nella nostra società, ritengo che solo un programma chiaro, concreto, realistico e dal carattere strettamente “operativo” possa garantire risultati altrettanto tangibili.
E’ a conoscenza di tutti e di tutte l’estrema difficoltà che l’economia occidentale, e in particolare la nostra, sta vivendo: le risorse che il governo può mettere a disposizione per il sociale saranno pure scarse, ma è nostro dovere progettare ed avanzare le richieste che riteniamo indispensabili per la categoria degli ipovedenti, frustrata da sempre dall’incomprensione di chi governa.
Alcuni esempi circa lo stato dell’arte: con la legge 284/97 erano stati stanziati 5.000 milioni delle vecchie lire per la creazione e il potenziamento dei centri di riabilitazione visiva, risorse che con la finanziaria di due anni orsono sono state taglieggiate, riducendo il contributo a circa quattrocentomila euro; ciò ha messo in seria discussione il funzionamento di tanti centri di riabilitazione visiva che con fatica e fantasia le nostre strutture avevano contribuito a realizzare. Secondo esempio, il nomenclatore tariffario delle protesi: è immodificato da oltre tre lustri ed include strumentazione vetusta, che non tiene conto delle attuali tecnologie e della legge 138/2001.
Potrei continuare, perché l’elenco delle criticità è ampio, ma preferisco focalizzarmi su una raccomandazione rivolta alla futura dirigenza della nostra Unione, ovvero quella di stare vigili circa le iniziative governative per far sì che non vengano sottratte altre risorse ai già scarsi servizi oggi esistenti a favore delle persone ipovedenti.
Quindi, primo, non regredire! Secondo, proporre interventi atti a migliorare l’esistente tenendo però conto della loro fattibilità imminente e concreata. Essere incisivi e pratici, insomma, qualità decisive in un mondo che gira sempre più in fretta e non lascia spazio alla vaghezza.
Se le sfide sono tante, la probabilità di vincerle dipende anche dal selezionarle commisurate alle proprie capacità, e dall’affrontarle con le giuste armi e la giusta preparazione: ciò significa soprattutto essere al passo coi tempi ed avere il polso dei cambiamenti, seguire con attenzione il progresso tecnologico ed essere addentro alla complessità sociale che si fa ogni giorno più intricata.
Detto questo, buon lavoro a chi parteciperà al XXIII Congresso Nazionale!

Angelo Mombelli

Le distrofie corioretiniche ereditarie, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Riportiamo un abstract dell’intervento della Dott.ssa Teresa Mattina, Direttrice del Centro Malattie rare del Policlinico di Catania, tenuto lo scorso 28 Giugno all’Istituto per ciechi “Ardizzone Gioeni”, in occasione del Convegno “Diagnosi clinica e terapia genica delle malattie retiniche, organizzato dalla sede territoriale Sicilia dell’Associazione Retina Italia Onlus.
Ci auguriamo che le notizie in esso contenute siano utili ed interessanti per i nostri tanti lettori retinopatici.
Buona lettura!

Le distrofie corioretiniche ereditarie.
Le distrofie corioretiniche ereditarie sono patologie genetiche che determinano una progressiva perdita della vista fino alla cecità.
Esistono forme in cui la patologia oculare costituisce una manifestazione clinica isolata in un individuo per altro sano, e forme sindromiche, nelle quali altri organi o apparati sono coinvolti.
Dal punto di vista delle modalità di trasmissione ereditaria esistono patologie autosomiche dominanti, in cui la patologia si trasmette da un genitore affetto ai figli con un rischio del 50%, autosomiche recessive (più frequenti), in cui i genitori sono clinicamente sani, ma entrambi portatori del gene mutato, X-linked (legate al sesso) in cui la mamma portatrice sana può trasmettere la mutazione alle figlie, che saranno portatrici sane, e ai figli maschi che invece manifesteranno la malattia. Esistono anche forme mitocondriali, trasmesse esclusivamente dalla madre.
I geni responsabili di queste patologie sono numerosi ed il quadro clinico non è sempre così distinto da rendere facile sospettare il gene responsabile. È, quindi, molto importante definire nella maniera più chiara e dettagliata possibile il quadro clinico, non solo oculare prima di affrontare la diagnosi genetica.
Prima dell’esecuzione di qualsiasi test genetico è necessaria l’esecuzione di una consulenza genetica.
Dal punto di vista pratico il paziente che giunge alla consulenza genetica con una diagnosi clinica precisa, può essere indirizzato all’esecuzione del test genetico idoneo, se questo è disponibile. Il paziente con una diagnosi incerta o incompleta, viene invece indirizzato all’esecuzione di ulteriori accertamenti atti a definire dettagliatamente il quadro oculare, a chiarire se si tratti di un quadro isolato o sindromico ad esempio con l’esecuzione di accertamenti che riguardano altri organi: esami audiologici, vestibolari, visita cardiologica ed ogni altra visita specialistica sia utile per completare la definizione completa del quadro clinico. Un analogo studio in altri componenti della famiglia, può essere necessario per consentire al genetista di definire le modalità di trasmissione ereditaria. Va tenuto presente che nel caso di un paziente la cui famiglia non ha mai presentato in precedenza altri casi con la stessa patologia, (casi sporadici) qualsiasi modalità di trasmissione ereditaria è possibile.
L’esecuzione del test genetico può richiedere molto tempo. Molte patologie, anche se caratterizzate da un quadro clinico ben definito, possono essere il risultato di mutazioni riguardanti uno più geni diversi (sono geneticamente eterogenee), pertanto il laboratorio è costretto ad eseguire l’analisi di un gene adottando tecniche diverse e, talvolta, a procedere con analisi di una serie di geni che vengono studiati in successione uno dopo l’altro.
Da pochi anni è diventato possibile studiare simultaneamente un grande numero di geni, anche l’intero genoma, in tempi brevi e con costi relativamente bassi.
L’adozione di queste tecniche (next generation sequencing o NGS) però ha portato ad evidenziare che in ogni individuo sono presenti mediamente circa 20.000 mutazioni, molte di queste sono prive di significato clinico, altre conferiscono all’individuo le sue caratteristiche personali e la sua unicità, altre sono responsabili di segni clinici ed è necessaria una specifica competenza del genetista biologo per definire il gene responsabile di una specifica patologia. Per il gran numero di variazioni da prendere in considerazione prima di porre una diagnosi è necessario che i pazienti da indirizzare a questa tipologia di test siano selezionati da clinici esperti e che i test vengano eseguiti presso laboratori di sicura qualità.
Dopo l’esecuzione di qualsiasi test genetico il risultato viene consegnato accompagnato da una consulenza genetica che chiarisce il significato e i limiti del test e del suo esito sia che questo sia positivo (patologico), che negativo (normale).
Qualsiasi risultato deve essere riconsiderato dopo qualche tempo in quanto potrebbero esservi al riguardo nuove importanti conoscenze, e un test negativo potrebbe essere ripetuto con altre modalità tecniche.
Il fatto che i progressi nel campo della clinica, delle tecniche diagnostiche, nelle modalità di analisi genetica siano andati di pari passo con l’avanzare della capacità di comunicazione e di scambio scientifico, rende spesso non necessario compiere i cosiddetti viaggi della speranza per poter affrontare il corretto iter diagnostico con tecniche di avanguardia.
A che serve eseguire i test genetici? A completare la diagnosi, a verificare i rischi di ricorrenza, ad attuare la prevenzione della ricorrenza, ma soprattutto serve a comprendere i meccanismi attraverso i quali il quadro clinico si è determinato. Capire i meccanismi patogenetici è di grande aiuto per la ricerca scientifica clinica tesa a sperimentare nuovi farmaci.
È fondamentale comprendere che i tempi per le analisi e per la sperimentazione delle terapie possono essere lunghi, che non tutto quello che è possibile reperire su internet è scientificamente affidabile, che fidarsi di persone con competenze certificate dalla pubblicazione di risultati scientifici su riviste accreditate è importante, che aderire alla ricerca scientifica seria è ESSENZIALE per il progredire della ricerca clinica.

Il neuro-modulatore a micro-corrente.La tecnologia offre strumenti che consentono agli ipovedenti una migliore qualità della visione, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

Nei giorni scorsi, mi sono recato presso la clinica oculistica dell’ospedale San Paolo di Milano per una visita di controllo al termine della quale l’amico oculista mi ha chiesto se avevo mai sperimentato il trattamento con un nuovo strumento, disponibile presso la struttura ospedaliera, che avrebbe – forse – potuto migliorare il contrasto della mia visione. Mi ha garantito che il trattamento è sicuro al 100%: in alcuni casi ha consentito ai pazienti l’allargamento del campo visivo e sembrerebbe utile anche per prevenire alcune forme di maculopatia.

Da una parte, avendo io uno scotoma centrale e non avendo la macula, ho appurato di essere escluso dalle suddette casistiche; dall’altra parte sono sempre alquanto restio ad effettuare trattamenti sull’unico occhio di cui dispongo nel timore di ricadute negative sul mio già scarso residuo visivo.

Le rassicurazioni del medico mi hanno però convinto ad effettuare ugualmente il trattamento.

Mi è stato applicato un elettrodo sul dorso della mano e un altro sull’occhio interessato che è stato tappato completamente. Il trattamento è durato circa venti minuti, durante i quali vedevo flash luminosi di diversa intensità e frequenza. Inizialmente, l’intensità degli stimoli luminosi era troppo elevata, per cui mi è stata ridotta e da allora l’unico fastidio che ho provato è stato un leggero formicolio alla mano sulla quale era fissato l’elettrodo.

Tolta l’occlusione all’occhio, il mondo mi è apparso improvvisamente in technicolor: la luce era più viva, i contorni degli oggetti più delineati e la ricchezza dei colori era indubbiamente migliore rispetto a prima. Il miglioramento del contrasto, ho notato, ha incrementato anche la qualità della la mia visione notturna, permettendomi una maggiore libertà di movimento in quegli spazi nei quali sovente ho avuto spiacevoli incontri ravvicinati con ostacoli di vario genere (e di cui ho più volte riferito in passato su queste pagine). La durata del effetto benefico, mi hanno detto, varia da patologia a patologia, con un minimo 24 ore dal trattamento; personalmente ho trovato giovamento per oltre 48 ore. Ovviamente il trattamento è ripetibile a piacere.

Lo strumento di cui stiamo parlando si chiama Scyfix 700, ed è un neuro-modulatore a micro-corrente. Da oltre due anni è sul mercato statunitense ed oggi è disponibile anche in Italia. E’ stato progettato per migliorare la qualità della visione delle persone affette da patologie che interessano il tappeto retinico. Per dare un esempio: coloro che sono affetti da glaucoma non possono trarre beneficio dal trattamento, mentre coloro che sono affetti da degenerazione maculare o da retinite pigmentosa etc… etc… sì.

Le prime applicazioni possono svolgersi gratuitamente presso le strutture ospedaliere che dispongono dello strumento, ma successivamente un privato, acquistando direttamente il macchinario, può gestire autonomamente i trattamenti, a casa, calibrando la terapia sulle proprie esigenze e specificità.

Elencati gli aspetti positivi, eccone qualcuno negativo: dopo il trattamento il mio scotoma centrale mi è parso più evidente; mi è stato precisato che durante la terapia a questo problema si può anche ovviare, ma c’è da dire che ciascuno ha strategie proprie per aggirare in autonomia criticità di questa natura; il secondo problema, questo più oggettivo, riguarda il costo dell’apparecchio che è allo stato attuale di 5.000,00 euro. Il costo potrà sembrare elevato, ancorché la spesa sia detraibile con specifica dichiarazione dello specialista (oculista): ognuno di noi potrà fare una personale valutazione sul rapporto costi/benefici.

A questo punto, mi è venuta un’idea futuristica: tutte le nostre sezioni hanno estreme difficoltà ad avvicinare ed associare le persone ipovedenti. Perché non organizzare, presso le nostre sedi, questo tipo di trattamento, con il supporto degli oculisti di fiducia? Il trattamento potrebbe essere svolto a fronte di un piccolo contributo da parte degli interessati, per ammortizzare la spesa iniziale legata all’acquisto del neuro-modulatore.

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, si dice, ma valutare questa opportunità può incrementare sensibilmente il numero dei soci. Ad ogni buon conto fornisco di seguito l’e-mail del dott. Leonardo Colombo, medico responsabile dell’ambulatorio per le distrofie retiniche e del dott. Paolo Ferri responsabile dell’ambulatorio di ipovisione e riabilitazione visiva dell’ospedale San Paolo ai quali, chi è interessato, potrà rivolgersi per chiedere ulteriori informazioni circa lo strumento e la terapia: distrofie.retiniche@ao-sanpaolo.it paolo_ferri_r9@libero.it

Ultima informazione: mi è stato riferito che è in arrivo un nuovo marchingegno in grado di aumentare sensibilmente anche l’acuità visiva; se la sperimentazione darà esito positivo, non mancherò di riferirlo. Per ora, resta fantascienza.

La donna del mistero, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

La sciagurata abitudine di tanti vedenti di non farsi riconoscere in modo adeguato da noi ipovedenti

Qualche giorno fa, mentre mi recavo a compiere una commissione, nel passare davanti al portone del medico di famiglia, venni intercettato, con un roboante “Buongiornooo!”, da una misteriosa signora. Dal suo modo di appellarmi sembrava essere una vecchia conoscenza, ma io non ricordavo per niente quando, come e dove l’avessi conosciuta. Pensai potesse essere una paziente del medico con la quale, in una lontana occasione, durante le lunghe attese in sala d’aspetto, avevo avuto una di quelle anonime conversazioni sui rispettivi stati di salute. Io, ipovedente con un basso residuo visivo, solitamente riesco a distinguere una persona dalla sua conformazione fisica generale, perché i lineamenti del viso risultano sfuocati e non distinguibili; ovviamente, quando conosco bene una persona, mi è sufficiente il saluto per riconoscerla, ma in certi casi questo non basta, ed allora la situazione si fa ostica.
In effetti, è una maledetta, e diffusa, abitudine di molte persone vedenti quella di abbordare noi ciechi ed ipovedenti senza farsi riconoscere chiaramente, supponendo che il loro timbro di voce sia più che sufficiente ad identificarli: mi succede sovente di incontrare persone per strada che conosco e che mi fanno un cenno di cui non mi accorgo, con il risultato di sembrare scortese per non aver restituito il saluto. Mi è capitato nel passato che alcune persone abbiano smesso di salutarmi per questo! E’ decisamente una mancanza di cultura circa i minorati della vista, quella di approcciarsi in maniera sbagliata ad una persona con problemi visivi; per un cieco assoluto la questione non ammette dubbi, ma per chi come me e tanti altri pur avendo un basso residuo visivo, riesce a muoversi in autonomia, la situazione è alquanto antipatica e conduce sovente ad esiti imbarazzanti.
Torniamo alla donna del mistero che incontrai davanti al portone del mio medico: senza attendere una mia risposta, ha iniziato a raccontarmi la storia della sua vita. Ha quarantasette anni, il suo mestiere è quello della parrucchiera, il marito l’ha abbandonata quattro mesi fa perché frequentava una donna più giovane, e la solitudine è per lei insostenibile. Mi ha quindi invitato a bere un caffè da lei e, di fronte al mio diniego (avevo da fare!), mi ha preso sotto braccio trascinandomi all’interno del portone. Dopo avermi accompagnato all’ascensore mi ha riferito che abita al primo piano e che la porta del suo appartamento è quella di centro. Visto il mio recalcitrare mi ha fatto promettere che nel pomeriggio sarei passato a prendere il famoso caffè. Per liberarmene le dissi di sì, e a fatica riuscii a guadagnare la libertà, nonostante lei tentasse di placcarmi davanti all’uscita. Un fatto è certo: ancora oggi, non ho la più pallida idea di chi sia. Di sicuro, la prossima volta che mi recherò dal medico di famiglia, mi farò accompagnare da mia moglie come guardia del corpo. Io, d’altronde, sono come l’arma dei carabinieri: fedele nei secoli!
Qualche giorno dopo, raccontando l’episodio ad un mio caro amico non vedente al quale è rimasta la curiosità di come fosse andata la faccenda del caffè, appreso che alla fine il caffè non l’avevo mai bevuto, mi ha detto che ero tutto scemo e mi ha chiesto se potevo cortesemente fornirgli l’indirizzo della signora…

La prevenzione è sempre di attualità, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

L’arrivo dei migranti sulle nostre coste implica specifiche iniziative di prevenzione delle malattie della vista

E’ cronaca di tutti i giorni l’arrivo sulle coste italiane di migranti che fuggono dai propri paesi natali funestati da guerre e povertà, costretti a cercare in Europa quella speranza di una vita migliore, spesse volte delusa, ma che appare comunque l’unica alternativa possibile.
Non voglio entrare nel merito delle diverse contrapposizioni che animano la nostra politica sull’argomento, ma voglio stigmatizzare alcune ricadute che questo esodo comporta. Nei paesi di origine dei migranti, la sanità è un fatto molto diverso da come lo intendiamo noi: mancano medici specializzati, strumentazione, medicinali e spesso anche una vera e propria cultura a riguardo. Anche se i migranti partono in piena salute, il lungo viaggio che compiono risulta terribilmente debilitante e porta a contrarre malattie di vario genere.
Ed ecco arrivare sulle nostre coste persone portatrici di patologie che nel mondo occidentale spesso sono un lontano ricordo; parlo di patologie di tipo infiammatorio e infettivo, quale ad esempio la tubercolosi, ma sicuramente anche di patologie che riguardano l’apparato visivo. In questo occorre essere pragmatici: se i migranti permangono nel nostro paese o in paesi dell’Europa, la loro salute è un fatto che ci riguarda da vicino: essi hanno diritto a quell’assistenza che l’ONU e le leggi internazionali prevedono.
Il problema è che se non curiamo per tempo le loro patologie, ci troveremo a dover provvedere ad essi non più come soggetti idonei ad esercitare una qualunque attività lavorativa, e quindi a contribuire all’economia italiana, ma come invalidi: tutti noi siamo ben coscienti quanto costi un soggetto cieco alle finanze pubbliche.
Ritengo quindi che sia un dovere non solo civico, ma anche pratico provvedere a far sì che le patologie di cui gli immigrati sono portatori siano prontamente curate grazie all’indiscussa bontà del nostro sistema sanitario. Se così faremo, il risultato sarà che avremo delle persone in grado di portare indiscutibilmente un contributo all’economia, lavorando ed integrandosi nel tessuto sociale.
La dichiarazione di indipendenza di una nazione fondata sull’immigrazione, nel 1776, recitava: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”. Proprio nel, seppur faticoso e non sempre lineare, rispetto di questi principi, offrendo cioè le stesse opportunità a tutti, gli Stati Uniti d’America sono diventati una potenza mondiale, per ricchezza e progresso. La diversità evidentemente è una ricchezza, ma occorre anche essere lungimiranti perché di questa ricchezza si possano cogliere i frutti.
Angelo Mombelli

Le ricerche nel campo dell’ottica, di Angelo Mombelli

Autore: Angelo Mombelli

Presentato un prototipo di lenti ingrandenti che potrebbero cambiare la nostra quotidianità.

Oggigiorno a disposizione degli ipovedenti esistono svariati strumenti che consentono di aumentare l’acuità visiva utilizzando sistemi ingrandenti di vario tipo, garantendo una maggiore autonomia nella deambulazione e nella quotidianità.
Le leggi fisiche inerenti l’ottica, sulle quali questi sistemi si basano, sono ormai conosciute da tempo e fanno parte della storia… o della leggenda. La leggenda narra infatti che Nerone, per meglio vedere quanto avvenisse nell’arena guardasse attraverso un rubino per ingrandire le immagini. Al campo della storia appartiene invece l’invenzione del laser: teorizzato nel 1917 da Albert Einstein, questo fascio di luce monocromatico, coerente ad alta brillanza è utilizzato oggi in un’infinità di settori, compresa l’oftalmologia.
Molta è la strada percorsa da Nerone ad Einstein, ma le leggi dell’ottica non sono cambiate; ancorché siano straconosciute, le applicazioni di esse in ambito tecnologico riescono ancora oggi a sorprendere: il 13 febbraio 2015, a San José, in California, in occasione dell’American Academy of the Advancement of Science, sono state presentate lenti a contatto dotate di un sistema hi-tech che consente di ingrandire le immagini di quasi tre volte. Il prototipo può lavorare in abbinamento con un paio d’occhiali intelligenti che rispondono a comandi palpebrali: se l’occhio destro viene strizzato l’immagine viene ingrandita, mentre se lo si fa col sinistro l’immagine torna alla propria grandezza naturale. Il prototipo è stato pensato per i portatori di degenerazione maculare legata all’età, ma, a mio avviso, è estendibile a tante altre patologie che minano la visione dei soggetti che ne sono portatori. Allo stato attuale, comunque, gli aspetti da migliorare sono tanti, in primis la qualità dell’immagine, ancora troppo bassa, e la tollerabilità da parte dell’occhio, ma la strada sembra quella giusta: il sistema, un domani, potrà sostituire l’impianto del minitelescopio galileiano nell’occhio, ben più invasivo rispetto alle lenti in questione.
Nel leggere la comunicazione in proposito, mi è venuto da sorridere, perché ho immaginato di girare per strada strizzando gli occhi in continuazione. Effettivamente le nuove tecnologie spesso cambiano i nostri piccoli gesti quotidiani, dando vita a nuove abitudini, che col tempo entrano a far parte degli usi e costumi di un’epoca: ad esempio, nei primi tempi nei quali era diffuso l’utilizzo dei cellulari con l’auricolare, vedere persone girare per strada e parlare da sole generava un effetto semi-comico, oggi è la cosa più normale del mondo: nessuno di noi lo trova stravagante. Allo stesso modo, un domani potremmo trovare del tutto usuale incrociare individui che strizzano gli occhi per ingrandire le immagini. Un consiglio però ai futuri utilizzatori delle lenti: fate attenzione a chi guardate mentre strizzate l’occhio!
Angelo Mombelli