Ma cos’è una partecipazione vera?, di Francesco Fratta

Autore: Francesco Fratta

Chi ha seguito le vicende associative e il dibattito sviluppatosi sulla lista uicicongresso e sul nostro giornale on line di quest’ultimo anno, avrà certamente notato, negli interventi di Nicola Stilla, il ricorrere di alcune parole come “collegialità”, “vera partecipazione”, “presidenzialismo” e simili, nonché il rammarico più volte espresso per non esser riusciti a pervenire ad una candidatura unica alla carica di Presidente Nazionale. Tuttavia, chi si sarebbe aspettato chiare delucidazioni circa il significato diciamo così “storico” di queste parole, cioè a quali circostanze e, soprattutto, a quali fatti verificabili e a quali elementi concreti facciano riferimento, fino ad ora non ha visto soddisfatta questa sua legittima curiosità. In attesa di risposte più esaurienti sul piano dell’ argomentazione e della ricostruzione “storica” da parte dell’interessato, proviamo a svolgere qualche considerazione sul senso di quelle parole impugnate come slogan nella campagna elettorale dal candidato Stilla. Anzitutto, cos’è precisamente accaduto per cui rammaricarsi il 15 settembre 2014 a Bologna, che ha sancito la fine dell’accordo che aveva portato all’elezione a Presidente di Mario Barbuto, il precedente 15 marzo?

C’ero anch’io quel giorno, e quando Nicola Stilla ha dichiarato che non era ulteriormente procrastinabile l’indicazione di un candidato unico alla Presidenza Nazionale e che a decidere fra Barbuto e lui, che comunque non intendeva rinunciarvi, doveva essere il gruppo di persone che si erano incontrate sempre a Bologna il 2 marzo per lanciare la candidatura di Mario Barbuto, ricordo che gli è stato fatto notare non solo che il gruppo del 2 marzo non aveva sufficiente titolo a scegliere il candidato presidente proprio perché non comprendeva una parte molto significativa dei diciamo sottoscrittori dell’accordo stesso, ma anche che l’indicare eventualmente, a più di un anno dal Congresso, la sua candidatura unica, avrebbe comportato la messa in fuori gioco immediata del presidente in carica, con gravissime conseguenze non solo per la gestione interna dell’Unione, ma anche per l’efficacia della sua azione politica nel momento in cui incombevano questioni serie come, tra le altre, la Legge di stabilità e il destino del Centro Polifunzionale.

Ricordo anche di aver detto che mi pareva incomprensibile proporre di convergere fin da subito sulla candidatura unica di Stilla, non essendo giustificabile un così repentino cambio di cavallo: con quale motivazione avremmo infatti dichiarato che Mario non andava bene?Ci si era tutti sbagliati il 15 marzo? Si potevano imputare gravi manchevolezze all’atteggiamento tenuto dal Presidente nei primi sei mesi del suo mandato? Quali? L’unica risposta, ripetuta ma non suffragata da prove e dimostrazioni di sorta, è stata la mancanza di collegialità, locuzione che è aleggiata anche durante le assemblee precongressuali, nella trasmissione del 17 settembre scorso e nell’articolo di Stilla che continua ad insinuare, tra l’altro, sulla presunta volontà accentratrice e il cosiddetto “presidenzialismo” rinvenibili nella bozza del nuovo statuto che, giova sottolinearlo, egli stesso ha contribuito a formulare senza muovere alcuna obiezione durante la sua stesura, a detta di tutti coloro che vi hanno partecipato direttamente. Ma che cosa esattamente egli e i suoi sostenitori intendano per “collegialità”, non è dato saperlo, così come non è dato sapere dove e quando tale collegialità sarebbe mancata nella gestione degli organi associativi da parte del Presidente Barbuto. E veniamo alla “vera” partecipazione: che cosa distingue una “vera partecipazione” da una partecipazione non vera? Neppure qui si specifica, però si insinua che i paladini della “vera” partecipazione e quindi del “vero” rinnovament,o sarebbero Nicola Stilla e i suoi sostenitori, ergo, per contro, chi non è con lui, come quelli del movimento UICI Rinnovamento (ma non solo) oppure, il presidente in carica Mario Barbuto, non sarebbero in realtà fautori di un “vero” rinnovamento.

Al di là del facile giochetto retorico, andiamo a guardare in concreto quali sono state le iniziative messe in campo e quali i metodi adottati. I sostenitori di Barbuto indìcono un convegno aperto a tutti (Napoli, novembre 2014) per dibattere e individuare alcuni punti programmatici, le cui bozze vengono elaborate da gruppi di lavoro pubblicamente annunciati. Il nostro candidato Presidente viene chiamato come gli altri a partecipare e a dare il suo contributo alla stesura del programma stesso, per cui scegliere di sostenere quel programma è tutt’uno col scegliere quel candidato presidente e viceversa. Questo cos’è: presidenzialismo, o non piuttosto autentica e trasparente partecipazione? Per contro, abbiamo un candidato Presidente come Peppino Simone che scrive il suo programma, sul quale chiede poi il consenso degli elettori, o un altro candidato presidente come Nicola Stilla, che lo fa elaborare da gruppi di lavoro che nessuno sa da chi siano costituiti, e ai quali non è possibile partecipare se non invitati. Sono questi il vero rinnovamento e la vera partecipazione? Da un lato abbiamo candidati consiglieri che si propongono liberamente e che decidono altrettanto liberamente di unirsi intorno a un programma che essi stessi hanno contribuito a elaborare e a un candidato presidente col quale si riconoscono reciprocamente, dall’altro candidati consiglieri indicati dal Consiglio Regionale di appartenenza il cui presidente si adoprerà per farli votare sulla base di accordi con altri Presidenti Regionali che procederanno nello stesso modo, secondo tradizione: io ti voto il tuo se tu voti il mio… e questo sarebbe il vero rinnovamento? Oltre tutto, mentre la stragrande maggioranza degli attuali candidati consiglieri – per lo più autocandidati – si sta facendo conoscere e si offre al confronto scrivendo nelle liste, pubblicando articoli e partecipando a trasmissioni radio, altri avvalendosi dell’attuale dettato statutario che prevede la formalizzazione della candidatura in sede congressuale, non si confrontano proprio con nessuno su idee e programmi, ma si preoccupano solo di strappare quante più promesse di voto possibili stipulando accordi di cui nessuno sa, né saprà mai niente. Scommettiamo che un certo numero di candidature salterà fuori soltanto pochissimi giorni prima del congresso? Saranno loro, forse, i veri fautori del rinnovamento?È a dir poco curioso che da un lato si chieda di fare come se le nuove norme sulla tutela delle minoranze contemplate dalla bozza di statuto, elaborata dall’apposita commissione, fossero già operanti ancorché non ratificate (vedi intervento di Nicola Stilla nell’incontro radiofonico del 17 settembre scorso), e dall’altro ci si richiami al dettato dello statuto vigente per rivendicare il pieno diritto di candidarsi all’ultimo, senza l’onere di un qualsiasi preventivo confronto con chicchessia. Quand’ero molto più giovane di adesso si soleva dire: “ciascuno è quel che fa, e non quello che dice di essere”!In conclusione un’ultima domanda al candidato Stilla: se è così convinto della ineluttabile necessità di candidarsi, perché non si è fatto avanti il 15 marzo 2014? Molto probabilmente avrebbe avuto i numeri per battere la concorrenza di Terranova; ora, invece, mi sa che dovrà cercarne il sostegno, sempre in nome del vero rinnovamento, naturalmente! Ai delegati del XXIII Congresso spetta comunque l’ultima parola, e mi auguro che sapranno distinguere tra rinnovatori vecchi e nuovi, veri e meno veri…

Francesco Fratta

Lettera aperta al Presidente Barbuto, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Caro Presidente, questi ultimi mesi sono stati per me molto difficili e di grande e profonda “sofferenza”.
Infatti, l’onestà, la trasparenza e la correttezza nell’agire associativo ed ancor prima amministrativo che tu da grande mio “maestro” mi hai insegnato e che io, grazie ad i tuoi sempre cari e preziosi consigli, ho cercato di mettere in pratica, sono stati ultimamente fortemente e strumentalmente messi in discussione.
E’ inutile che io ti rammenti tutte le “vicissitudini” e “tribolazioni” che ho attraversato di recente nell’assolutamente “gratuito” svolgimento del mio incarico di Presidente del “glorioso” Istituto per ciechi “Ardizzone Gioeni” di Catania. Tutto ciò a causa di una vera e propria “consorteria” che non ha fatto altro che spargere quotidianamente veleno ed innalzare sistematicamente sospetti sul mio conto anche con l’esecrabile uso di “riprovevoli e calunniosi” esposti anonimi .
Evidentemente, l’opera di risanamento e di rinnovamento dell’Ardizzone Gioeni da me esperita, sulla scorta anche e soprattutto dei tuoi “unici” insegnamenti morali ed etici, ha dato e procurato tanto fastidio a chi ha invece cercato di ostacolarmi ed osteggiarmi in tutti i modi possibili ed immaginabili (leciti ed illeciti).
Ma la classica “goccia che ha fatto traboccare il vaso” è stata l’imminente apertura del Centro per ciechi pluriminorati dell’Istituto Ardizzone da me fortemente voluto contro tutto e tutti.
Tale Centro per ciechi pluriminorati, infatti, sarebbe un vero e proprio “fiore all’occhiello” non solo dell’Istituto per ciechi catanese, ma dell’intera Sanità siciliana e di tutto il Sud Italia, in quanto trattasi di una struttura di oltre 2000 metri quadrati, dotata di strumenti, attrezzature ed ambulatori all’avanguardia, con cortili, giardino esterno ed ampio parcheggio, e vedrebbe all’opera un’equipe multidisciplinare davvero unica nel suo genere dalle nostre parti.
Ma soprattutto, come tu mi hai sempre e reiteratamente inculcato nella mente e nell’anima, darebbe la possibilità di diventare finalmente “soggetti di diritto” a quei soci che noi dell’UICI dobbiamo considerare la nostra assoluta PRIORITA’: I ciechi pluriminorati!
Questa nobile “mission”, pensavo forse ingenuamente avrebbe promosso quella voglia di collaborare, quella determinazione e fiducia “cieca” reciproca che a noi della Federazione ed ai Direttori Nazionali dell’Unione, trascinati da te, ha consentito il “meraviglioso” successo del Centro polifunzionale per ciechi pluridisabili di Roma ormai di prossimo allestimento. Ed invece niente di tutto questo!
Infatti il Centro di cui sopra del Gioeni di Catania si è paradossalmente trasformato, scusandomi il “bisticcio di parole”, nel centro della discordia, accendendo invidiucce, gelosie ed appetiti vari che hanno provocato l’immobilismo dell’Istituto etneo e soprattutto la mia ingiusta “rimozione”.
Prova di tale grave torto arrecatomi è l’ordinanza 717 del 24 Settembre scorso del Tar di Catania, con la quale è stato ufficialmente dimostrato come il provvedimento della mia decadenza dall’Ardizzone Gioeni fosse illegittimo e basato su una relazione che, non volendo entrare nel merito, è a dir poco “lacunosa e carente” sotto diversi ed importanti aspetti. Insomma, il Tar Catania, accogliendo il ricorso dei miei legali, ha finalmente fatto GIUSTIZIA!
A questo punto, al Presidente Barbuto, che nell’immaginario collettivo di noi “giovani” minorati della vista italiani, rappresenta il SIMBOLO del rinnovamento, il CAMPIONE del cambiamento ed il nostro LEADER indiscusso, io chiedo con forza che intervenga con tutta l’autorevolezza ed il carisma che gli sono riconosciuti unanimemente. Basterebbe una tua lettera ufficiale all’Assessorato Regionale della Famiglia perché provveda senza indugi e senza se e ma alla reintegrazione immediata del Consiglio d’amministrazione del Gioeni di Catania, nominando contestualmente i due componenti il C.d.a., le cui designazioni giacciono inspiegabilmente sul tavolo della Regione Sicilia dal mese di Febbraio scorso. Aurelio Nicolodi era solito affermare che il riscatto dei ciechi dipende solo dai ciechi e, con la reintegrazione richiesta, tornerebbero a fare parte del C.d.A. tre componenti minorati della vista su quattro con tutto quello che di favorevole ne conseguirà per la nostra categoria e per il rilancio definitivo dell’Istituto.
Ti ricordo, infine che oltre a due componenti non vedenti ancora in carica, il terzo privo della vista (uno dei due consiglieri in pectore) è stato indicato dal consiglio regionale UICI Sicilia e da me più volte tanto formalmente quanto inutilmente sollecitato.
Con l’occasione data dalla presente lettera aperta, allo scopo di allargare il respiro della stessa, desidero invitarti alla conclusione della vicenda relativa al reale numero di soci iscritti ad alcune sezioni provinciali siciliane di cui nel recente passato ti sei occupato, senza che la direzione nazionale abbia assunto, come suo preciso dovere, alcuna posizione definitiva. Giunge voce che sarebbe stato stabilito il termine del 30 settembre p.v. come data di scadenza per la presentazione dei report ufficiali di tale delicata attività di accertamento. Non ti sembri peregrino evidenziare come il differimento della risoluzione di tale vicenda potrebbe riflettersi negativamente sulla regolarità del prossimo congresso di Chianciano cui potrebbero partecipare delegati non aventi diritto.
Convinto che anche tu condividi l’importanza delle due questioni in oggetto ed in attesa del Tuo benevolo e sollecito riscontro, Ti porgo cordiali saluti.

Vivere l’Unione attivamente, di Francesca Misseri

Autore: Francesca Misseri

Sebbene sono iscritta all’Unione dal ’69, solo da una quindicina di anni sono attivista. Premetto che ho sempre seguito la politica Unionale, proprio per questo ho sempre riscontrato tante criticità, cosa importante che non mi faceva decidere ad impegnarmi attivamente. Sono sempre stata molto critica, onestamente non per il gusto di farlo, ma di una critica costruttiva. Questa Unione così burocratizzata, pesante come un pachiderma. Questo Statuto capestro, soggetto apparentemente a frequenti cambiamenti di congresso in congresso, ma di fatto sempre capestro! Associazione tanto, troppo centralizzata, con un presidente troppo rappresentante legale, fino al punto di non fidarsi dei propri tecnici facenti parte delle commissioni di categoria. In questi quindici anni ho vissuto l’Unione da dirigente, ho cercato di spingere per il cambiamento, purtroppo con un solo risultato, quello di essere stata considerata scomoda, onesta, ma pur sempre scomoda!  La realtà Unionale vissuta da me a livello locale, ha quasi sempre costituito potere frenante per le mie attitudini. Ciò nonostante, ho cercato, non con poco sforzo,  di dare priorità all’Unione alla causa di questa nostra associazione, che tanti dicono di servire, mentre nella realtà  spesso accade il contrario! Negli ultimi 5 anni ho ricoperto il ruolo di Consigliere delegato nella sezione di Ragusa, non solo sulla carta, come purtroppo fanno tanti dirigenti, ma ho cercato di addentrarmi studiando e documentandomi  su come si amministra un’azienda, che ovviamente non si differenzia molto dall’amministrare un’associazione come la nostra. Con spirito di servizio mi sono predisposta ad imparare ciò che ho potuto su questa materia ostica, almeno per me, visto che svolgo un lavoro totalmente diverso, dove neanche lontanamente si tratta di amministrazione come quella di un CDA. Ho deciso di candidarmi per puro spirito di servizio, per contribuire e restituire all’Unione ciò che mi ha permesso di imparare, per la gratitudine per avermi permesso di diventare cittadina tra i cittadini attraverso la formazione tramite lo studio ed il lavoro. Chi mi conosce sa quanto  io non sia avvezza a portare avanti ruoli figurativi, non amo collezionare incarichi, solo per il gusto di fregiarsi   di ciò per puro narcisismo. Fino ad oggi l’Unione ha sempre cercato di bloccare le teste troppo pensanti, con il risultato di mettere in fuga  persone  che avrebbero voluto e potuto rappresentare l’associazione rafforzandone l’immagine, probabilmente  si sarebbe potuta evitare questa ingente emorragia di soci, anche perché la concezione di vivere l’associazione da dirigenti, che via, via, è andata radicandosi e stata quella del feudalismo. Mi si conceda questo dire, non me ne vogliate per questa  crudezza. Auspico pertanto, un vero ed autentico cambiamento, lasciamo che avvenga questa svolta epocale; occorre l’impegno di tutti per chiudere seriamente questo trentennio.

Francesca Misseri

I Crocevia, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

In un recente passato si era creata fra le sezioni dell’Unione Italiana Ciechi una sorta di gara intesa a ottenere nell’ambito di ciascuna circoscrizione il maggior numero di vie dedicate a «noi» cioè a personaggi che avevano avuto un ruolo nel miglioramento delle condizioni di vita dei non vedenti in Italia e nel mondo.
Ora mi rifaccio alla memoria, agli atti e configuro un quadro che si attiene alla sezione Unione Italiana Ciechi di Milano e quindi alla nostra Città.
In verità nel corso degli anni in relazione alle celebrazioni del nostro movimento erano intervenute sollecitazioni della Presidenza nazionale intese a ottenere vie intitolate ai personaggi che hanno reso grande la nostra Unione. Per quanto mi concerne la più sospirata e sofferta, vi erano state pressioni dalla Presidenza nazionale perché l’evento avvenisse entro una data prevista, è stata la via dedicata a Paolo Bentivoglio, uno dei fondatori della nostra Unione e secondo presidente nazionale dell’Associazione. Quel giorno, ne è ancora vivo in me il ricordo, l’evento è avvenuto contestualmente alla data di una assemblea sezionale: Paolo Bentivoglio – educatore – è in zona Forze Armate.
Un pullman ha trasferito un gruppo di ciechi: discorsi di circostanza del sindaco, di assessori, corona di fiori, applausi e un poco di commozione per me che ho effettuato un breve discorso di circostanza.
Le altre dedicazioni che ora elenco per storia e cronaca sono avvenute quasi per forza di inerzia quando cioè alle autorità competenti erano venute a noia le sollecitazioni dell’Unione di Milano. Avevamo richiesto nella circostanza del 150o dalla morte di Louis Braille che gli fosse intitolata Via Mozart nella quale ha sede l’Unione Ciechi di Milano e un’entrata del plesso del nostro Istituto dei Ciechi, la risposta … intitolate l’Istituto dei Ciechi a Braille.
Non sarebbe stato male, ma…
Ad un certo punto quando eravamo per tornare a rinnovare la richiesta ecco a renderci conto che un’intitolazione era già stata dedicata a Luigi Braille (zona Chiesa Rossa) gli è toccato, guarda la fantasia degli amministratori un… vicolo cieco.
Proseguendo nella mia ricerca vengo a imparare che pure Aurelio Nicolodi, primo Presidente e fondatore dell’Unione Italiana Ciechi ha la sua brava via (zona fra Affori e Bovisa) in verità un poco periferica ma si sa le vie assolutamente centrali toccano solo ai Cardinali.
Una recentissima intitolazione non ancora neppure inserita negli annuari è stata fatta per ricordare un cieco di guerra di recente scomparsa: medaglia d’oro Vincenzo Capelli (Piazza Gae Aulenti) una zona di recente realizzazione di gran struscio.
Conoscevo molto bene Vincenzo Capelli aveva in gran stima l’Unione; aveva perso la vista sul fronte greco era in possesso di un diploma di massofisioterapista conseguito all’Istituto dei Ciechi di Firenze. Vincenzo Capelli aveva ricoperto diversi incarichi nell’Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra; aveva vissuto intensamente gli anni bui della nostra città, conosceva particolari inediti che non mi ha mai potuto svelare relativi alla tragica morte del cieco di guerra Medaglia d’Oro della Repubblica Sociale Italiana Carlo Borsani freddato su un marciapiede della nostra città con il proprio cane guida.
A Limbiate la via nella quale ha sede la scuola Cani Guida dei Lions è intitolata a Maurizio Galimberti (aviatore) divenuto cieco per un incidente aviatorio e per diversi anni Presidente dell’Unione Italiana Ciechi di Milano, gli sono stato fedele vicepresidente.
Non sempre eravamo d’accordo sulle decisioni da prendere, io per portarlo a condividere le mie tesi gli dicevo: «ascolta la tua coscienza», e lui che coscienza sporca che ho. E io di rimando ognuno ha la coscienza che si merita.
Era ingegnere uomo estremamente colto da lui ho imparato tante cose compresi l’atteggiamento e la postura da assumere quando in qualche circostanza mi era stato dato l’incarico di portare la bandiera italiana con insegne della nostra Associazione.
Galileo Galilei, cieco di Arcetri una via ormai datata nella toponomastica della nostra città (zona stazione centrale).
E’ morto nel 1642, ha perso la vista per aver scrutato a lungo l’Universo.
Anche Galileo come gli altri si è sacrificato per il miglioramento delle nostre condizioni di vita di tutti.
Mario Censabella

Invito ai candidati al Consiglio Nazionale, di Francesco Busetti, Silvana Piscopo e Giovanni Taverna

Autore: Francesco Busetti, Silvana Piscopo e Giovanni Taverna

I sottoscritti invitano tutti i candidati al consiglio nazionale a collaborare per costruire un insieme di proposte programmatiche comuni da sottoporre al congresso. La proposta di collaborazione si basa sui seguenti presupposti:
E’ ilCcongresso che ha l’obbligo e il potere statutario di approvare il programma del prossimo quinquennio, pertanto tutte le proposte individuali avanzate dai singoli consiglieri in pectore e dai candidati presidenti nazionali hanno puro significato di proposte che devono necessariamente integrarsi con quelle emergenti dal congresso.
– La consuetudine democratica ispirandosi ai principi della nostra carta costituzionale garantisce la possibilità di costituire forme di aggregazione, compresi gruppi omogenei e unitari  che si riconoscano in ideali, valori, programmi a sostegno e promozione di una linea politica associativa sostenendo il proprio candidato presidente eletto dal congresso unitamente ai delegati che liberamente hanno aderito al gruppo per il governo e le iniziative e risposte ai bisogni e alle esigenze dell’associazione.
Si ritiene pertanto sommamente opportuno che la preminenza congressuale sia rimarcata e rinforzata dalla condivisione di un programma comune da parte di un gruppo di candidati consiglieri che manifestano in tal modo una coesione basata su ipotesi concrete di soluzione dei problemi piuttosto che su apparentamenti e accordi impropri e non previsti dallo statuto.
Le proposte sottoscritte da un gruppo di candidati e sottoposte al dibattito congressuale hanno anche il senso di garantire maggiormente che gli eletti in consiglio non vi giungano ognuno con un suo programma personale, magari da sovrapporre a quello uscito dal congresso, ma che i futuri consiglieri si applichino a dar corso ai dettami congressuali programmatici nei quali potranno riconoscere anche, almeno in parte, punti derivanti dalle loro proposte, e assicurino inoltre una solida base numerica in appoggio allo svolgimento del programma stesso.
Ovviamente si reputa del tutto positivo che i candidati mantengano la piena libertà di occuparsi prevalentemente di campi di loro particolare interesse o di quelli ove le loro competenze individuali siano più sviluppate. Peraltro si ritiene di dover fornire comunque una base di proposte da integrare, soppiantare o ampliare prendendo come base della discussione sia i programmi individuali finora pubblicati sia le schede programmatiche emerse nel corso del convegno di Napoli del 2014, che saranno messe a disposizione di tutti gli aderenti all’iniziativa.
Infine, per trasparenza e chiarezza nei confronti dei delegati al congresso si richiede di indicare la preferenza per il candidato Mario Barbuto, con il quale si concorderanno le proposte programmatiche, mettendo in condizione il congresso di valutare senza opacità il candidato presidente, i consiglieri che intendono sostenerlo e le proposte programmatiche che il congresso è chiamato ad approvare.
Le adesioni possono essere inviate agli indirizzi mail che trovate dopo le firme, possibilmente entro il 27 settembre p. v. .

Busetti, Piscopo, Taverna

busetti.francesco@gmail.com
silvanapiscopo@alice.it
giovanni.taverna@alice.it

Presentazione candidatura a consigliere nazionale XXIII Congresso, di Simona Zanella

Autore: Simona Zanella

Con questa mia lettera sono a presentare ai membri del congresso nazionale dell’Unione Italiana dei ciechi e degli Ipovedenti la mia candidatura per il Consiglio nazionale dell’Associazione che sarà da Voi eletto.
Sono Simona Zanella; sono affetta da glaucoma congenito che mi ha portato all’età di 13 anni a passare dalla condizione di ipovedente grave a quella di cieco assoluto. Ho 45 anni, sono residente a Feltre in provincia di Belluno. Ho conseguito il diploma presso l’Istituto magistrale Vittorino da Feltre e ho frequentato l’università di Padova nel corso di laurea in pedagogia con indirizzo filosofico. Sono socia dell’U.I.C.I praticamente da sempre e dai miei 24 anni in poi ho ricoperto ruoli dirigenziali in Associazione.
Ho ricoperto nei vari mandati la carica di consigliere provinciale per la sezione di Belluno o di vicepresidente della stessa occupandomi prima del settore dei giovani e in seguito di quello per le pari opportunità seguendo contemporaneamente il comitato per l’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali dando attenzione negli ultimi anni al settore cani guida.
In questi vent’anni sono stata ininterrottamente anche rappresentante regionale per la mia sezione nel Consiglio regionale U.I.C.I. del Veneto nel quale ho curato gli stessi settori prima elencati nel corso degli anni. Ho ricoperto per l’ultimo anno e mezzo circa la carica di Vicepresidente regionale seguendo più da vicino il settore trasporti e mobilità e le problematiche legate al cane guida.
A livello provinciale mi sono dedicata alla sensibilizzazione verso le persone con disabilità visiva dei bambini e dei ragazzi nelle scuole di vari ordini intrattenendo numerosi incontri dove ho cercato di far conoscere agli alunni le difficoltà ma soprattutto le potenzialità dei non vedenti per far si che le barriere psicologiche e culturali cadano grazie a una migliore conoscenza della disabilità stessa. Significative in questo ambito sono state le lezioni tenute presso la facoltà di infermieristica di Feltre aventi lo scopo di avvicinare i futuri infermieri alla disabilità visiva per una migliore accoglienza e presa in carico del malato non vedente in ospedale.
Ho collaborato a lungo con l’amministrazione del Comune di Feltre per il posizionamento di percorsi tattilo-plantari e di semafori sonori in città in modo da agevolare la mobilità autonoma di ciechi e ipovedenti.
Mi sono occupata dell’organizzazione di svariate cene al buio prestando anche la mia opera di volontaria come cameriera riscontrando grande interesse nella cittadinanza e trovando soddisfazione nei risultati per l’opera di sensibilizzazione ottenuta. Ho organizzato eventi, in collaborazione con la Scuola Triveneta cani guida di Selvazzano, incontri aventi al centro il cane e le sue abilità in favore dell’uomo, in primis il cane guida, attirando l’attenzione non solo di centinaia di persone ma anche della stampa e delle televisioni locali.
In ambito regionale sono stata promotrice della campagna “non tutti sanno che…” composta di volantini e vetrofanie in varie lingue, rivolta ai negozianti, agli albergatori, ai ristoratori finalizzata a far meglio conoscere la legge che tutela il libero accesso del cane guida e del cieco in tutti i luoghi aperti al pubblico. La campagna si è potuta realizzare grazie a una parte di fondi da me fatti arrivare in Consiglio regionale in seguito alla denuncia di un episodio di discriminazione che ho subito essendomi stato vietato l’ingresso in un ristorante perché accompagnata dal mio cane guida. Un’altra parte di quel denaro ha finanziato degli incontri per i genitori di bambini non vedenti.
Sono stata una delle organizzatrici della manifestazione presso la stazione ferroviaria di Montebelluna “Un treno per tutti”, dove si reclamava la libertà di movimento per le persone con disabilità anche nelle stazioni minori ancora prive di qualsiasi accorgimento per il superamento delle barriere di tutti i tipi e di assistenza del personale sia di Trenitalia che di R.F.I. In seguito a questa manifestazione la stazione è stata dotata di percorsi per i non vedenti e di servizio di accompagnamento.
Dall’ottobre 2014 ad oggi, sono stata tra gli ideatori e promotori di un’iniziativa chiamata “Fotografa l’Impostore!”. Abbiamo raccolto da tutta Italia migliaia di testimonianze fotografiche relative al malcostume di chi parcheggia negli stalli per portatori di handicap senza averne diritto. Abbiamo contribuito con questa iniziativa a far parlare del problema. Sono usciti diversi servizi televisivi, molti articoli su vari quotidiani anche nazionali e dell’iniziativa si è occupata anche Slash Radio, nonché una puntata di “Vediamoci alla Radio”.
Non essendo stata eletta nel consiglio provinciale dell’unione di Belluno, da aprile 2015 ad oggi proseguo nella mia opera di sensibilizzazione sulle tematiche a me care collaborando con il coordinamento Handicap di Belluno e con la sezione di Treviso, dell’UICI per la quale svolgo a tutt’oggi l’incarico di responsabile per i cani guida e la mobilità e con la quale collaboro nell’ambito di un progetto finanziato da Coop Adriatica, grazie al quale andiamo nelle scuole a parlare di limiti e potenzialità delle persone con disabilità della vista.
Offro al Presidente, chiunque sia eletto, la mia esperienza e le mie competenze, maturate in oltre vent’anni di lavoro all’interno dell’Unione. Sono convinta che l’Unione, in un contesto nel quale sempre di più sono messi in discussione diritti e conquiste che avevamo dati per acquisiti, debba dotarsi di strumenti adatti per tornare ad essere quell’associazione di rivendicazione e difesa che chi ci ha preceduto aveva contribuito a costruire. Dobbiamo passare dalla logica del bisogno a quella del diritto ed è a questi principi guida che ispirerò il mio operato in seno al Consiglio nazionale, se i Signori Delegati al XXIII Congresso dell’UICI vorranno concedermi la Loro fiducia e la Loro preferenza.
Cordialmente, Simona Zanella.

Quali titoli ho scelto per il Congresso, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

In continuità con l’attività associativa di questi ultimi 5 anni, ho deciso di proporre al XXIII Congresso del prossimo novembre la mia candidatura al Consiglio Nazionale.
Ciò che ritengo importante fare per il bene dell’Unione e, soprattutto, per il benessere degli ipovedenti e dei ciechi italiani lo potete leggere nel programma pubblicato nell’area del sito dell’Unione dedicata ai contributi delle candidate e dei candidati; in queste pagine, invece, vorrei cercare di trasmettervi i principi ed i valori ispiratori di quanto ho scritto nel documento programmatico.
E’ infatti relativamente semplice focalizzare i problemi da affrontare e individuare delle soluzioni, che spesso sono, se non uguali, molto simili a quelle proposte dagli altri candidati: la differenza sta nello spirito con cui si mettono in pratica tali soluzioni.
A tal fine, nella speranza di riuscire a chiarire qual è l’Associazione che vorrei e qual è l’animo con cui intendo affrontare il compito di Consigliere Nazionale se sarò eletta, ho deciso di condividere con voi le preferenze che ho espresso per la scelta del titolo del Congresso: esse, infatti rispecchiano fedelmente il modo con cui mi sono sempre occupata – anche da un punto di vista professionale – delle questioni inerenti la vita delle persone con deficit visivo.

“La persona… al centro”
Questa è stata, ed è tutt’ora, la mia prima scelta perché credo fortemente che rappresenti il punto cruciale.
L’U.I.C.I. – e di conseguenza i suoi rappresentanti – si debbono adoperare per far comprendere alla società civile che, prima di essere ciechi o ipovedenti, siamo Persone (non è un caso che l’abbia scritto con la lettera maiuscola).
Fermarsi alla disabilità, non solo esclude la possibilità di riconoscere la persona nella sua globalità, ma dà anche origine a tutti quei pregiudizi e stereotipi che fanno tanto male… soprattutto a coloro che sono più fragili.
Solo se sapremo trasmettere questo messaggio sarà più facile superare le barriere culturali con le quali ci troviamo quotidianamente a combattere e che rendono la nostra vita, già complicata dalla minorazione visiva, ancora più faticosa.

“Innanzitutto cittadini”
L’indicazione di questo titolo deriva sostanzialmente dalle stesse motivazioni che mi hanno portato a scegliere il titolo precedente, con una piccola ma significativa aggiunta:
l’essere cittadini tra i cittadini ci garantisce sicuramente dei diritti, ma ci attribuisce anche dei doveri… ed è importante non venir meno ad essi.
Non è accettabile pretendere il rispetto dei nostri diritti senza assolvere ai nostri doveri, dunque non possiamo pensare che a solo titolo della minorazione tutto ci sia dovuto.
Non è così che deve funzionare: se vogliamo che gli altri ci considerino cittadini tra i cittadini, noi dobbiamo fare la nostra parte (ovviamente ognuno sulla base delle proprie capacità).
Per le stesse ragioni, un altro titolo che mi piace è: “Nella società per i nostri diritti e i nostri doveri”.

“Insieme per una società inclusiva e solidale”
Ciò che mi ha attratto di questo titolo è il concetto di “unità).
Per creare una società inclusiva e solidale è importante agire insieme, dialogando e superando le diversità di idee, e quando superare le differenze non è possibile, fare in modo che esse non costituiscano un ostacolo alla comunicazione ed un motivo di scontro.
Dobbiamo metterci al fianco delle altre associazioni di e per persone con disabilità, degli altri movimenti sociali e, in generale, delle altre realtà del terzo settore, al fine di lottare insieme per la difesa dei diritti di tutti.
L’unificazione della FAND e della FISH costituirebbe un importante passo in questa direzione, ma sarebbe importante essere solidali anche con altre fasce deboli della popolazione (penso ad esempio ai lavoratori in genere, i quali vedono spesso violati i propri diritti).
Il dialogo ed il superamento delle differenze deve, a mio avviso, essere un obiettivo da perseguire anche all’interno del nostro sodalizio: troppe volte, infatti, la differenza di opinioni viene considerata un elemento di rottura anziché un’opportunità di arricchimento reciproco.
Per tutte queste ragioni, un altro titolo che mi piace è: “Dalla differenza delle idee all’unità dell’azione”.
Katia Caravello
Cell. 3773048009
Email: caravello.katia@gmail.com

Perché mi voglio candidare, di Annamaria Palummo

Autore: Annamria Palummo

Mi autocandido alle elezioni per il Consiglio Nazionale dell’UICI perché vorrei dare il mio contributo alla causa che ci vede impegnati con il nostro sodalizio.
L’esperienza maturata sul campo delle politiche sociali, sia come rappresentante politico a livello locale, sia come rappresentante sindacale a livello regionale, nonché l’esperienza professionale come consulente commerciale e come docente di tiflopedagogia presso l’UNICAL mi ha consentito di avere diverse fotografie delle relazioni umane e del come queste si intersecano con le logiche di governo e di cura al fine di condividere con passione e rispetto la politica associativa, assumendomi delle responsabilità, che, devo dire, non sono state leggere, sia come consigliere provinciale prima che come presidente regionale poi.
La conoscenza dei governi locali, coniugata con l’analisi dei bisogni espressi dalla base associativa, mi ha portato negli anni a considerare l’associazione uno strumento indispensabile nella rivendicazione dei diritti e nella conferma delle azioni necessarie per la progettazione di una giusta politica del welfare in materia di handicap.
Il coinvolgimento di ogni singolo associato nelle diverse fasi della sua esistenza e la risposta in termini di servizi e azioni, a supporto dei suoi bisogni espressi e intercettati, credo che siano state e saranno il must della dirigenza e il perno su cui costruire il cambiamento dell’organizzazione, pena il depauperamento degli iscritti e la perdita di valore della nostra storia.
Volere un’altra associazione con una nuova dirigenza, a valle della celebrazione del prossimo Congresso, non significa superare l’ordine esistente, piuttosto spostare l’obiettivo verso nuovi traguardi, perché l’oggi è deficitario di alcuni punti, che a mio avviso debbono essere contemplati, se si vuole sfidare il sistema politico sociale attuale, visti i continui attacchi e le continue invasioni di campo sul tema dei diritti e delle tutele, nonché sul sistema di cura e solidarietà .
Il contesto di riferimento è ricco di aspetti dicotomici, nei quali la nostra politica ha trovato il limite della forza d’impatto comunicativo e dell’agire rispetto agli intenti nazionali piuttosto che locali; un tema ridondante, ad esempio, è stato quello dei falsi ciechi, che a mio avviso ci ha proiettato negativamente nell’immaginario collettivo
Se da un lato assumiamo le direttive europee in tema di diritti esigibili, contemplando inclusione, pari opportunità e garanzie sociali, dall’altro, invece, cozziamo con sistemi di governo locali, che agiscono per moto proprio, non tenendo nella giusta considerazione le impostazioni nazionali o sovranazionali; questo succede a scuola, nelle ASL, nelle province o ex province, con ripercussioni non più sanabili, in termini di forza nell’agire e nel pretendere progetti di vita rispondenti alle aspettative.
Succede anche nei nostri piccoli contesti sezionali, ove le risorse scarse e la mancanza di supporto delle istituzioni locali inducono i dirigenti a portare avanti uno status quo privo di prospettiva, con una sofferenza della capacità rappresentativa che rasenta il niente.
Questo non è humus per garantire la cultura dell’autonomia: così si toglie spazio alla cultura del BRAILLE delle tecnologie assistive, del libro parlato ovvero ad ogni azione che ha come fine quella di facilitare il disagio provocato dalla privazione della vista.
Mettere a nudo le diverse sfaccettature della crisi del sistema sociale nazionale e della crisi economica, che ormai da legittimazione al processo di deresponsabilizzazione attivato da qualsiasi attore politico, può diventare un esercizio utile per ricostruire gli elementi fondanti della nostra mission, ossia ci aiuta a capire cosa possiamo esigere con la nostra nuova eventuale organizzazione, come interagire con il sistema politico nazionale, quanto scambio attivare con le altre organizzazioni, perché stimolare un dibattito interno sui nostri diversi livelli di rappresentanza e in ultimo, non certo per ordine d’importanza, quale modello associativo può sfidare l’anomia che vige all’interno del nostro perimetro.
Concepire delle strategie alternative al nostro ormai superato modo di confrontarci circa il volere, anzi il pretendere, un miglioramento delle nostre esistenze, sia in termini di qualità della vita, sia in termini di prospettiva, ci deve far riflettere in ordine alla necessità di creare nuovi percorsi per non rimanere fuori da tutto.
Penso al lavoro come diritto costituzionale, che ormai è diventato un lusso per pochi ciechi ed ipovedenti; penso all’istruzione, che dipende dai singoli dirigenti e dall’ostinazione delle famiglie e delle sezioni locali che presidiano i processi di inserimento, al fine di garantire didattica, testi e sostegno; penso alla sanità, che non offre le stesse cure e gli stessi protocolli; penso alle nuove tecnologie, che possono essere fruite solo nell’ordine delle soluzioni trovate negli altri contesti; penso alle prassi di rimanere iscritti all’associazione solo fino al completamento della pratica burocratica dell’iter di riconoscimento della disabilità.
Insomma, al pari delle fasi storiche già archiviate positivamente, rispetto a quanto l’associazione abbia dato e fatto, ci sono da esplorare e attivare nuove strategie, per non annullare quanto registrato e soprattutto per implementare la nuova piattaforma rivendicativa, che vede nella generazione dei giovani ciechi ed ipovedenti disoccupati e poco istruiti il culmine dell’interesse politico e nella resistenza sociale, rispetto all’abbattimento delle barriere architettoniche ed informatiche, l’annichilimento del nostro impegno.
Certamente non sono depositaria del potere di cambiare il mondo, ma sono un operatore dotato di buona volontà, che si auspica di poter lavorare con una squadra pronta alla sfida ma anche al confronto, alla strategia di gruppo, alla lotta, alla solidarietà. Una squadra che dovrà essere valorizzata e rispettata dalla base associativa e che dovrà trovare conciliazione con la leadership, considerato che la nostra organizzazione è sempre stata un modello democratico rappresentativo, identificata dalla linea del suo presidente.
Per quanto attiene alle competenze ed esperienze maturate, che metto a disposizione, rimando al mio Curriculum Vitae, agli articoli di stampa e agli atti pubblicati sul sito dell’UICI Calabria per il periodo in cui ho avuto l’onore di rappresentare la nostra associazione a livello regionale.
Un impegno a cui voglio dare ulteriore continuità, per l’inclusione, per le pari opportunità, per il diritto di tante donne, uomini, bambini a vivere un’esistenza in cui il buio degli occhi sia illuminato dalla luce della solidarietà.

Annamaria Palummo

Democrazia fittizia e presidenzialismo reale, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

Mi scuso con il presidente Stilla per la parafrasi del suo titolo. Non lo faccio per spregio, anzi lo ringrazio per aver suscitato un problema stuzzicante, anche se partendo da analisi esattamente opposte alle sue.In primis mi permetto di affermare che il parere sullo statuto di un candidato presidente anche di notevole caratura vale esattamente 1 su 280, cioè esattamente quanto quello del più sconosciuto dei delegati. Non si tratta di una macroscopica offesa, si tratta di semplice evidenza della norma statutaria, poiché lo statuto lo approva il congresso e un candidato presidente ha il diritto di esprimere la sua opinione esattamente alla pari con tutti gli altri delegati. Dirò di più. Se per ventura il congresso approvasse uno statuto che non piacesse per nulla al presidente eletto, questi non potrebbe fare altro che attuarlo scrupolosamente, con buona pace delle sue opinioni personali, pena il palese rifiuto di aderire alle prescrizioni statutarie e congressuali, con conseguenze facilmente immaginabili. Se non erro, il candidato Stilla chiama a dimostrazione del suo assunto di una deriva presidenzialista le nuove norme per le elezioni sezionali. Anzi dipinge a tinte fosche il tentativo di mettere un uomo ed una squadra al comando come tradimento della democrazia rappresentativa. Qualche malalingua ha già sbottato che tali osservazioni non risultano ne dai lavori di commissione o di consiglio nazionale, ove pure Stilla era presente. Deploro vivamente questi commenti, perché ritengo del tutto legittimo che il presidente Stilla possa cambiare idea, o farsene una più precisa, lo dica pubblicamente e senza remore, come già accaduto nel 2014 su altro tema .Respingendo quindi tutti i commenti che non portano espressioni razionali, mi affretto a proseguire. Personalmente,1 su 280 anch’io, ritengo positiva la nuova modalità per eleggere il presidente sezionale. Ci lamentiamo da anni della disaffezione che i soci mostrano rispetto alle assemblee sezionali e non si capisce perché renderle più cogenti debba essere un vulnus alla democrazia rappresentativa. Non comprendo infatti cosa possa esserci di più rappresentativo e democratico della possibilità che sia l’intero corpo sezionale a decidere chi dovrà guidarlo. Uomo solo al comando? Dittatore in pectore? Ma il consiglio sezionale non è stato abolito! Anzi, qualora si manifestino tendenze strane è in grado , tramite dimissioni, di mandare a casa dittatorelli e affini. Contrariamente , se permettete, a quanto accaduto fino ad oggi, con lo statuto attuale presentato come campione di tradizione democratica, che per garantire un minimo di ricambio dirigenziale ha dovuto stabilire per norma un limite di 3 mandati. Siamo proprio sicuri che le più che ventennali presidenze sezionali sparse per tutta Italia siano stati chiari esempi di democrazia rappresentativa? Rappresentativa di cosa?. Mi permetto di affermare che in troppi casi si è trattato invece di presidenzialismo reale, di permanenza al vertice ad ogni costo, cioè esattamente un uomo solo al comando con una piccola squadra di emuli, cioè esattamente quel che il presidente Stilla vorrebbe evitarci. Non vi sto raccontando favole. Nomi e città sono nella memoria di tutti noi. Malgrado tutto questo, arrivo a dire che se il congresso non approvasse le nuove procedure non griderei allo scandalo o al tradimento perché ritengo questo tema una parte ridotta dell’intera impalcatura descritta dalla bozza del nuovo statuto. La bozza va però valutata nella sua interezza senza far assurgere un singolo particolare a parametro unico di giudizio. Secondariamente, riprendendo le mie frasi iniziali, aggiungo che non voterò certo un presidente nazionale basandomi sul fatto che sia favorevole o meno alla elezione diretta del presidente sezionale: è materia di congresso non di decisione presidenziale e tutte le opinioni sono quindi ugualmente rispettabili con l’aggiunta che un presidente nazionale dovrà mettere in atto anche le disposizioni che personalmente non gli piacciono. Quel che però mi colpisce particolarmente nell’articolo del presidente Stilla è la palese difesa di alcuni comportamenti che vengono definiti “legittimi”; tra questi sicuramente il più estroso è la legittimità da attribuirsi al fatto che il territorio, leggi regione, desideri inviare in consiglio nazionale “persone di fiducia”. Fiducia di chi? Del presidente regionale, di una maggioranza consiliare? Questa è democrazia rappresentativa? Soprattutto, perché i regionali hanno necessità di avere ciascuno il proprio fiduciario all’interno del consiglio nazionale? Non vi sono già i presidenti come membri di diritto? Per caso qualche presidente regionale ha la convinzione che se non riesce a portare in consiglio nazionale un certo numero di fiduciari la sua regione sarà penalizzata rispetto alle altre? O magari qualcuno è convinto che avendo suoi rappresentanti diretti in consiglio sia possibile avere qualche rappresentante di propria fiducia in direzione, permettendo così di indicare propri conterranei alla direzione di questo o quello, pena il voto contrario a provvedimenti proposti da altri. Democrazia rappresentativa anche questa o spartizione correntizia degli organi direttivi e degli enti collegati?Ma tutte queste sono solo mere ipotesi vero? Nella tradizione democratica garantita dallo statuto vigente non è mai accaduto nulla di simile, vero? Sulle altre “legittimità” pretese non mi soffermo neppure, perché delineano sinceramente un quadro ove è facilissimo trovarsi davanti ad un pantano di accordi, consorterie, mercatini, che possono accadere o non accadere, ma che il presidente Stilla non può ignorare e che troppo spesso affiancano le legittime ricerche di voti senza che nessuno faccia nulla per contrastarle. Dimenticavo! Tra i comportamenti legittimi mi piacerebbe sapere se si inseriscono anche la distribuzioni di 12 tipi di tredicine diverse da votare per delegazioni, al solo scopo di eludere la norma statutaria che salvaguardia le minoranze nel consiglio nazionale. Nel 2010 al congresso era presente anche il presidente Stilla e mi auguro che in omaggio alla democrazia rappresentativa non abbia distribuito quei foglietti. Mi chiedo e vi chiedo: è questa la tradizione democratica che dobbiamo salvaguardare per non essere sommersi da “un uomo e una squadra”, magari dichiarate apertamente, trasparentemente dotate di un programma esposto preventivamente al Congresso? Questa credo sia la sfida vera. La tradizione democratica contrapposta al presidenzialismo UICI l’ha superata decenni fa, facendo troppo spesso vincere talora una forma di presidenzialismo come attaccamento al potere, tal’altra una democrazia dichiarata assoluta e poi negata nei comportamenti. Non facciamoci intrappolare da generiche affermazioni di filosofia politica, guardiamo ai fatti. Tutti, possibilmente.
Giovanni Taverna

Lettera aperta ai candidati presidenti, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Cari candidati, vi ho ascoltati nella trasmissione del 16 settembre e, poiché tutti e 3 avete sollecitato la partecipazione attiva di espressione, pensiero e proposta, eccomi qui: ho apprezzato l’impegno che avete assunto di garantire un dibattito precongressuale e congressuale basato sul rispetto reciproco e, dunque senza ricorrere ad una propaganda volta al discredito tra i competitori; questo , però, non mi pare l’abbiate concretamente applicato da subito, perché avete parlato di un momento di grandi speranze tradottosi nell’elezione del presidente Barbuto, e, poi, una grande tempesta di fine estate del 2014 che avrebbe provocato dolore, delusione e, mi auguro, non altro, al candidato presidente Nicola Stilla; e qui comincio a disorientarmi: se vi rispettate e ci rispettate: perché usate la tattica del dire e non dire? io che non sono delegata, che per parecchi anni mi sono comportata solo da socia informata dell’Uici, che mi sono riavvicinata solo dopo le conclusioni del xii congresso da cui è nato il movimento uicirinnovamento, che, dunque, non ho partecipato a ipotetiche trattative, così come tanti altri che pure avranno seguito il vostro dire e non dire, cosa abbiamo dovuto arguire dalle sofferenze partecipateci dal candidato stilla, l’imbarazzo del presidente Barbuto, i sorrisi del candidato Simone? Ho capito che l’ipotesi avanzata dal presidente Barbuto di costruire una sintesi tra voi 3 per guidare l’associazione dal congresso ormai alle porte, fino alla completa definizione dello statuto sociale che sarà approvato in questa tornata congressuale, quindi per un tempo determinato tra i 20 e 24 mesi, non trova la disponibilità di Nicola Stilla che, come comunicato, farà conoscere il proprio programma di conduzione dell’Uici, dopo il 3 di ottobre, ma, per contro, non ho capito come, perché e da cosa si dissocia dall’attuale presidente per essere motivato a decidere di candidarsi in alternativa, così come non l’ho capito per Peppino Simone.
Io, come penso altri, avrei voluto sapere, visto anche che si discute di democrazia rappresentativa, o di presidenzialismo, se una tale discussione sia riferibile ad un concetto di apparato, ad un metodo di governo, all’introduzione di sostanziali azioni di trasformazione dell’associazione da struttura rigida e piramidale in una Uici che si apre a tutte le istanze associative del pianeta disabili, ma anche a tutte le organizzazioni sociali, sindacali, datoriali; avrei gradito capire in quale misura verranno valorizzati tutti i consigli dal nazionale ai sezionali cui, invece del potere propositivo e deliberativo, viene, tranne poche eccezioni, assegnato un ruolo ratificatorio; mi sarebbe piaciuto sapere cosa si pensa di fare per tutelare tanti di noi di fronte alla continua violazione delle leggi in materia di autonomia, mobilità, lavoro, ecc.
Personalmente mi sono impegnata nuovamente nell’Uici e, nella fattispecie, nel consiglio provinciale della sezione di Napoli dove vivo ed ho aderito alla proposta di candidarmi in aprile perché mi riconoscevo nel programma della lista guidata da Mario Mirabile che oggi è il presidente e con il quale posso lavorare senza nascondere convergenze e divergenze; attualmente mi sono resa disponibile per la candidatura al consiglio nazionale, perché mi riconosco nel modo di lavorare dell’attuale presidente Barbuto del quale auspico la riconferma; tuttavia, indipendentemente dai risultati delle elezioni del consiglio, sarò presente per qualsiasi contributo che mi verrà richiesto ma a patto che chi dirigerà la nave, lo farà da timoniere e non da padrone.

Silvana Piscopo