Riflessioni e proposte per la nostra Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, di Peppino Simone

Autore: Peppino Simone

Questo breve scritto rappresenta un contributo che desidero offrire alla riflessione di tutti coloro che intendono arricchire di contenuti e di suggerimenti il nostro dibattito.
Ritengo questa fase ancor più importante dello specifico momento congressuale che, come ben sappiamo, si caratterizza per dinamiche volte all’elezione dei gruppi dirigenti, più che alla focalizzazione dei temi e delle priorità nell’attività associativa.
Non si tratta, appunto, di caricare di eccessive aspettative il momento congressuale, ma molto più serenamente di rispondere ad un effettivo bisogno di fissare, innanzitutto per me stesso, alcuni indirizzi che ritengo fondamentali per orientare il nostro itinerario di riscatto umano e civile.
Quanto sinteticamente esporrò, non è il frutto accademico di un’analisi puramente astratta della condizione dei ciechi italiani, ma rappresenta il risultato di una trentennale intensissima attività associativa contraddistinta da un continuo, vivo contatto con i nostri soci, mai privo di rapporti istituzionali che, nei diversi ambiti di competenza, costituiscono l’approdo irrinunciabile per stabilizzare servizi moderni ed efficaci.
Se è vero che la gran parte dei nostri associati è costituita da non vedenti che hanno incontrato la cecità in età avanzata, ciò non ci deve mai far trascurare la formidabile tensione che in quasi un secolo di storia ha caratterizzato l’impegno dei dirigenti associativi succedutisi nei decenni alla guida dell’Unione: si è sempre ben compreso che l’istruzione, la formazione e la dignitosa conquista del lavoro costituiscono le uniche solide basi per il riscatto dei ciechi.
Sino quasi alla fine degli anni settanta del ‘900, vi era un assetto definito del sistema organizzativo che, pur con i suoi limiti, riusciva a fornire opportunità di cui tantissimi non vedenti hanno potuto godere.
Il caotico e non preparato passaggio al modello che semplicisticamente viene definito dell’inserimento e dell’integrazione scolastica, ha prodotto conseguenze devastanti nei percorsi formativi, nel trattamento degli effetti secondari della minorazione, con la totale sottovalutazione, o meglio, con l’assoluta incomprensione della necessità imprescindibile nella acquisizione di multiformi competenze ed abilità irrinunciabili per un giovane non vedente che voglia incamminarsi nel difficile percorso della vita solidificando la propria interiorità e strutturando le proprie abilità.
Il problema della formazione del personale educativo e formativo, si è trascinato e continua a trascinarsi in modo indecoroso da decenni con ricadute inaccettabili ormai su generazioni di giovani non vedenti e sulle loro famiglie.
Abbiamo sempre più la sensazione sgradevole di isolamento, di dispersione, approssimazione ed abbandono che, senza un instancabile impegno dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, ci farebbe precipitare agli albori dell’istruzione dei ciechi.
Occorre prendere definitivamente coscienza del piano inclinato su cui si sta precipitando e, comunque, come i rimedi che vengono prospettati spesso siano velleitari, inefficaci e ulteriormente peggiorativi.
Tante volte si ha l’impressione di una fatica di Sisifo: nessuno controlla nulla e del resto come potrebbe e che cosa dovrebbe controllare un’autorità priva di specifica competenza in tale ambito.
Le università italiane che un legislatore distratto e ignaro ha posto al centro del sistema formativo del personale, ne è priva quasi totalmente, non ha alcuna tradizione storicamente consolidata e concretamente verificata; quindi, manca di esperienza in materia, con la conseguenza di saltare a piè pari duecentocinquant’anni di riflessione teorica e metodologica, per non parlare della pratica didattica totalmente assente.
In tal senso non siamo mai riusciti a salvaguardare il formidabile patrimonio, prima ancora che materiale, soprattutto educativo dei nostri istituti. Era e continua ad essere in tali luoghi la leva da azionare per reindirizzare il sistema italiano dell’istruzione dei ciechi. Occorre pensare pragmaticamente ad un ruolo molto più attivo, autorevole e legalmente riconosciuto per tali istituti, a cui le scuole in maniera cogente devono riferirsi quando si tratta di educazione ed istruzione dei non vedenti.
Il problema è davvero complesso e richiederebbe ben più approfondita trattazione che sicuramente saremo in grado di sviluppare.
Noi ciechi che, grazie all’illuminata opera di uomini come Augusto Romagnoli, Paolo Bentivoglio, Enrico Ceppi e tantissimi altri tiflologi italiani ed europei, abbiamo acquisito una maturità teorica e dato vita ad esperienze d’avanguardia nel campo educativo, ci vediamo oggi letteralmente sommersi da improbabili ideologismi che si scontrano impunemente passo dopo passo con la realtà e resistono testardamente all’evidenza dei fatti.
Si riesce addirittura ad immaginare la corbelleria di utilizzare un simile personale di sostegno così maldestramente preparato, come fulcro della formazione di tutto il personale scolastico.
Poi, è preferibile tacere sulla totale assenza di una qualsiasi valutazione economico-finanziaria di tale impostazione.
Ovviamente, si fa gran confusione tra informazione, sensibilizzazione e formazione. Senza alcun dubbio risulta irrinunciabile il bisogno di un’alta scuola specialistica che, sul cammino tracciato dalla Scuola di metodo, possa ridare rigore, garanzie formative e fondarsi sul bisogno di ricerca aggiornata. Forse, è il caso di non moltiplicare in maniera spropositata gli enti autorizzati alla gestione della formazione. Le risorse umane e finanziarie devono essere gestite al meglio e, sullo stile della tedesca Blista, riportare ad unità ciò che è stato largamente disperso.
Ma, dove e quando i nostri ragazzi possono svolgere in modo sistematico e qualificato le attività non strettamente disciplinari scolastiche?
Come acquisire una graduale conquista volta all’autonomia personale?
Come potersi confrontare in maniera sistematica con altri non vedenti che in passato erano una risorsa ed uno stimolo formidabile per i più piccoli nell’indicare una via di riscatto e di emancipazione?
Noi minoranza delle minoranze dobbiamo ben capire il rischio che corriamo e, assolutamente, definitivamente rimboccarci le maniche, armarci del coraggio sorretto dall’intelligenza per tirarci fuori da questo mare magnum di inconcludenza e di declino.
Dato il numero esiguo dei casi, la loro dispersione territoriale e la sempre maggiore presenza di minorazioni aggiuntive, occorre comprendere che si rendono necessarie scelte identitarie di aggregazione che consentano di ottimizzare le scarse risorse.
Abbandoniamo il piccolo cabotaggio e valutiamo con maggiore umiltà le scelte operate negli altri paesi europei.
Nel frattempo strutturiamo servizi più interdipendenti ed interconnessi, innanzitutto stabilendo un rapporto più osmotico tra Biblioteca di Monza, Agenzia per la prevenzione e Federazione delle Istituzioni pro Ciechi, senza trascurare l’importanza dell’IRIFOR.
Non è proprio il caso di buttare braille a casaccio senza una continua consulenza scolastica ai ragazzi ciechi, ipovedenti, alle loro famiglie ed ai loro insegnanti.
Non è possibile produrre testi per ipovedenti senza un preventivo controllo oculistico-funzionale che possa seriamente indicare le caratteristiche di detto lavoro.
Quante volte ci è accaduto di constatare l’assurdità delle richieste scolastiche che è stato possibile correggere solo grazie alla competenza e sistematica attenzione critica dei nostri esperti!
Per quel che è stato possibile, la nostra ben solida consapevolezza ci ha sempre guidato nelle interlocuzioni istituzionali e sul nostro territorio regionale sono stati articolati servizi diffusi e multiformi che sorreggono i nostri ragazzi nella loro crescita e nei loro studi:
Sono state conquistate leggi regionali e stipulato convenzioni che, pur nei limiti della patologica, italica provvisorietà, abbiamo l’orgoglio di possedere, qualche volta anche rispetto a tante regioni settentrionali.
I nostri ragazzi sono seguiti a casa nelle ore pomeridiane da educatori da noi preparati, che spesso rappresentano l’unica àncora a cui aggrapparsi ed un veicolo di comunicazione e di guida nei confronti degli insegnanti di sostegno e curriculari.
Tali educatori sono molto, dico molto più stabili degli insegnanti di sostegno, con i quali si ha sempre l’impressione di lavorare a vuoto, poiché quando si avvicinano le date per richiedere trasferimento, tutto sembra svanire.
I nostri giovani possono frequentare corsi di orientamento e mobilità, possono seguire studi musicali e vengono continuamente sollecitati ad acquisire buone competenze informatiche da noi ritenute basilari per l’autonomia negli studi e nel lavoro.
Tanti di loro svolgono pratiche sportive e partecipano a momenti di socializzazione che consentono incontri ed amichevoli scambi di esperienze e di consigli.
Come si può ben intendere, oggi tutto ciò rischia di essere distrutto o gravemente ridimensionato con conseguenze avvilenti, non solo per i ragazzi, ma per tutti i non vedenti che traggono beneficio e incoraggiamento dalle attività dell’UICI e delle sue organizzazioni collaterali.
Anche nella scelta degli studi superiori spesso si considerano prioritarie le necessità logistiche o si ritiene ininfluente tale scelta ai fini di un inserimento lavorativo già di per sé problematico.
In passato tali percorsi erano precisamente delineati; certo, oggi, possono esservi variazioni, novità possibili; ma sembra improduttivo un eccesso di disinvoltura nell’intraprendere gli studi superiori a causa di scarsa informazione sui rischi futuri.
Per i ciechi pluriminorati gravi, forse sarebbe il caso di un bagno di umiltà; dare a Cesare quel che è di Cesare e non avere la presunzione di poter fare noi ciò che non sappiamo e possiamo fare. Sarebbe anche molto peggio del pessimo che viene fatto dalle Università nella formazione del personale di sostegno.
Valorizziamo, incoraggiamo e sosteniamo le esperienze significative e irrinunciabili che tutti noi ben apprezziamo: è tempo di stabilire nella distinzione dei ruoli rapporti di profonda e stretta cooperazione e di reciproco aiuto con la Lega del Filo d’Oro. C’è troppa sofferenza da reggere e certe nostre angustie sono veramente ingiustificabili.
In tantissime occasioni il compianto prof. Banchetti con garbo, ma anche con grande rigore ci richiamava in tal senso.
Una tematica collaterale andrebbe messa a fuoco: trattasi delle attività formative gestite dall’IRIFOR.
Forse sarebbe opportuno un ripensamento generale del ruolo pur positivo svolto: si ha l’impressione di una mancanza di linee guida, ovviamente per nostri limiti di individuazione di percorsi formativi non troppo polverizzati. Se ne fossimo capaci, eviteremmo interventi a pioggia che non fruttano grandi benefici.
Nel campo lavorativo si è riscontrato un ostacolo insormontabile nell’attuazione del Decreto Salvi, con difficoltà di inserimento specialmente per le nuove professioni e, addirittura, la mancanza di una regolamentazione in materia.
L’attenzione agli orientamenti, agli strumenti e alle tempistiche comunitari sollecita improrogabilmente la strutturazione di gruppi di esperti nella materia in grado di rigorosa progettualità.
Patrimonio: come gestirlo al meglio?
Il patrimonio eventualmente utilizzabile deve rispondere al rispetto delle finalità del donante, anche per evitare contenziosi visto che è sotto la vigilanza del Ministero degli Interni.
Occorre valutare la fondatezza dell’emergenza e le responsabilità degli organi direttivi delle sezioni nello sperpero del patrimonio che, spesso discende dallo scadere dell’attività associativa.
Risulta opportuno migliorare le interne tecnologie ed ottimizzarle per conseguire una maggiore efficienza associativa.
A tale riguardo è opportuno uniformare gli atti amministrativi e realizzare un modello univoco delle deliberazioni attraverso una buona strutturazione delle procedure.
Alcuni aspetti del sistema elettorale andrebbero rivisti e occorrerebbe anche per le votazioni congressuali e nazionali potersi organizzare in liste di candidati.
Alcune imperfezioni linguistiche dello Statuto associativo andrebbero modificate per ridurre al minimo la possibilità di capziosità ed operare in un quadro di certezze.
Il presente documento scaturisce dalle numerose iniziative intraprese dalla Puglia che ha coinvolto l’intera base associativa, nonché dall’ultima Assemblea regionale dei Quadri dirigenti della Puglia.

Giuseppe Simone
detto Peppino
Candidato alla Presidenza Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS

Lettera aperta di un associato Uici, di Vezio Bonera

Autore: Vezio Bonera

Gentile signora Beatrice,
come vede non la chiamo né signor Ministro né Onorevole perché preferisco rivolgermi alla Sua sensibilità di donna al di sopra del suo ruolo istituzionale.
Io sono un novantenne ipovedente ma non mi rivolgo a Lei per chiederLe qualcosa di personale, ma per parlarle di centinai di bambini colpiti da una patologia che rischia di compromettere fino a conseguenze estreme la loro vista.
Le sto parlando di cataratta congenita un male che colpisce i piccoli al momento della nascita, e in quanto classificato tra le malattie “rare” sottovalutato del servizio sanitario. Ma definire “rara” una patologia che colpisce mediamente un bimbo ogni duemilacinquecento nati lo ritengo quanto meno azzardato.
Se Lei pensa che basterebbe un semplicissimo test, non invasivo e di un costo irrisorio, l’esame del riflesso rosso, per evitare le conseguenze di un intervento tardivo e che questo test viene effettuato obbligatoriamente solo in un paio di regioni, potrà capire l’angoscia di tante famiglie che causa una diagnosi molto tardiva temono che i loro figli siano menomati visivamente per il resto della vita.
Oltretutto bambini in gravi difficoltà che avrebbero il diritto di usufruire della legge 104, almeno nel periodo delle cure che comportano interventi chirurgici ripetuti, spesso vedono respinte le loro domande perché nella commissione giudicante manca la presenza di un oculista e purtroppo chi dovrebbe dare il giudizio non è competente in materia.
Io, gentile signora, sono iscritto alla Unione italiana ciechi, e siamo in molti, ma mi piange il cuore al pensiero che i nostri associati possano aumentare di numero con l’ingresso di bambini solo perché una grave malattia è stata sottovalutata colpevolmente.
I bambini, non dimentichiamolo mai, sono il nostro futuro, il futuro della nostra nazione e hanno il diritto di essere tutelati.
Io per tutto quanto le ho esposto Le chiedo solo di incontrare una delle centinaia di mamme di bimbi colpiti da cataratta congenita, ce ne sono diverse anche a Roma.
In tal modo Lei potrebbe conoscere a fondo il problema che sommariamente io Le ho esposto ed intervenire con la Sua sensibilità di donna, ma in questo caso anche di rappresentante delle Istituzioni.
Sono certo di ricevere da Lei una risposta con le indicazioni per un incontro con una o più mamme dove e quando Lei riterrà opportuno.
RingraziandoLa di cuore per la Sua cortese attenzione con sincera stima Le porgo i miei più cordiali saluti.
Vezio Bonera

Alla faccia delle pari opportunità!, di Elena Ferroni

Autore: Elena Ferroni

Ciao a tutti!

Io sinceramente non mi sento per niente discriminata. Se il lavoro di questo ufficio di presidenza così maschile non ci piacerà, allora sì che potremo farci avanti sia le 7 donne che i restanti consiglieri.
Ma, correggetemi se sbaglio, si può lavorare anche non facendo parte dell’ufficio di presidenza, maschi o femmine è uguale, no?
E poi, non dovrebbero essere le dirette interessate a lamentarsi? Ebbene io non mi lamento!

Buone cose a tutti e buon lavoro a chi ne ha voglia!
Elena

Alla faccia delle pari opportunità, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Quando sento parlare di pari opportunità da parte di certi personaggi, mi viene da pensare che costoro si riempiono la bocca con una espressione che conoscono poco o per nulla.
Le pari opportunità si rispettano e si assicurano con le azioni concrete e non dileggiando le scelte altrui.
Nel caso del nostro consiglio regionale, abbiamo sette donne e tutte valide al di la delle differenze di pensiero ma alcune hanno rinunciato alla loro presenza nell’ufficio di presidenza, un’altra, ha detto che non aveva tempo e che era troppo scomodo per lei partecipare e la presidente uscente non condivideva, come altri, legittimamente la scelta del presidente.
Dunque, vorrei invitare il collega Rafanelli a raccontare le cose come stanno e lo rassicuro perchè l’operato del nuovo ufficio di presidenza saprà essere rispettoso di tutti e di tutte in concreto e non a chiacchiere.

Massimo Vita

Alla faccia delle Pari Opportunità, di Virgilio Moreno Rafanelli

Autore: Virgilio Moreno Rafanelli

Il 17 maggio 2015 alle ore 10,00 presso i locali del Consiglio Regionale Toscano dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus via Fibonacci n. 5 Firenze, si è tenuta la seduta di insediamento del neo eletto Consiglio Regionale alla autorevole presenza del rappresentante della direzione nazionale del sodalizio per il territorio della Toscana, Dott. Salvatore Romano.
Dopo i preliminari da “oggi le comiche” si è proceduto alla elezione dell’Ufficio di presidenza Regionale, Presidente, Vice Presidente, Consigliere delegato ed altri due componenti:
cinque persone, non ci credete, incredibile ma vero sono risultati eletti tutti i maschietti, neanche una donna eppure nel consiglio regionale ve ne sono ben sette. Sull’argomento, l’autorevole rappresentante evidentemente in altre faccende affaccendato o immerso in chissà quali pensieri, non ha avuto nulla da osservare, beh care donne del Consiglio Regionale Toscano dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus, adesso non vi resta che avere pazienza, aspettare cinque anni e sperare che nella prossima legislatura vi siano uomini meno avidi di poltrone e di potere per poter così tornare a dare il vostro prezioso insostituibile e originale contributo alle attività dell’Ufficio di presidenza. Per adesso non ci resta che augurare ai neo eletti maschietti buon lavoro ovviamente rigorosamente, tassativamente e tristemente al maschile.

Virgilio Moreno Rafanelli

Conferenza e mostra dello scultore non vedente Andrea Bianco

Il giorno 4 giugno, alle ore 15.30 presso la sala Urania al piano terra del Centro Ciechi San Raphael in vicolo Bersaglio a Bolzano, lo scultore non vedente Andrea Bianco terrà una conferenza e di seguito esporrà le sue opere.
Si parlerà di accessibilità, formazione tecniche e possibilità artistiche.
I lavori saranno visibili e toccabili fino al giorno 7 giugno su prenotazione.

Per informazioni telefonare a Gitzl Elisabeth: 0471 442399

Per visite: 347 2546031
www.biancoandrea.it

Armando Veronese: chi è costui? E’ una persona che merita di essere ricordata (di Francesca Biasiotto)

Autore: Francesca Biasiotto

Il cav. Uff. Armando Veronese, nei primi anni 50, costituì a Vicenza la sottosezione dell’ Unione Italiana dei Ciechi, dipendente dalla sezione di Padova.
Riuscì a rimediare una sede in uno squallido stanzone senza riscaldamento, coadiuvato da sua moglie Milli e dall’impiegata Maria Rossi che, quando lavorava, non guardava l’orologio.
Soltanto anni dopo si trasferì in una stanzetta dove il poco spazio rendeva difficoltoso muoversi ma, in compenso, c’era una stufa a legna.
Nel 1970, divenuto nel frattempo presidente sezionale, la stima che con la sua intensa attività si era meritato presso enti e politici gli consentì di reperire i fondi per la costruzione di una nuova, ottima sede.
Non era ambizioso e tanto meno carrierista; uscì dalla sua provincia soltanto per partecipare a congressi nazionali dell’U.I.C.I e quando accettò, per tre anni, l’incarico di commissario ad acta presso la sezione di Venezia.
Armando distribuì il suo tempo tra famiglia, lavoro e Unione, sempre disponibile a dialogare con i soci anche in casa propria.
Un non vedente in possesso di laurea o diploma non rimaneva disoccupato a lungo, né mancava la vigile attenzione di Armando affinché ognuno si sentisse a suo agio nell’ambiente di lavoro.
Armando credeva nella dignità di chi non possiede il dono della vista; rifuggiva dall’assistenzialismo. “I diritti- diceva- vanno conquistati con le capacità personali, non devono essere regalati per pietismo”.
Fu convinto sostenitore dell’inclusione scolastica ancor prima che la legge la consentisse, tanto che appoggiò l’iniziativa del presidente sezionale prof. Francesco Barausse, il quale inserì nella scuola di tutti tre bambini ciechi come uditori.
Fece parte del C.P.A.B.P., la commissione che, presso l’I.N.P.S, esaminava le pratiche previdenziali.
Fu apprezzato organista in varie chiese e, presso la Libera Scuola di Musica, impartì lezioni di pianoforte a ragazzi ciechi, mentre i più piccini partecipavano a incontri di Musica Insieme.
Durante la presidenza del prof. Francesco Barausse, Armando, come vice-presidente, fu il collaboratore su cui più si poteva contare.
Animato da una fede profonda, occupò cariche anche nel M.A.C.
Negli ultimi tempi, benché non coprisse da cinque anni una carica associativa, frequentò regolarmente la Sezione come collaboratore fino a due settimane dalla sua scomparsa.
Il cav. Uff. Armando Veronese si accasciò dolcemente e ci lasciò in pochi minuti il 9 novembre 2014. Il 7 dicembre avrebbe compiuto 87 anni.
I soci rimpiangono di Armando il calore umano, lo stimolante ottimismo e la forza spirituale.

Francesca Biasiotto

Contributo dei lettori, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Qualche considerazione su “Labuonascuola” che, in vero, tanto buona non mi pare.
Dopo la fase delle presentazioni molto ad effetto, le consultazioni diffuse in rete, i documenti redatti da studenti, insegnanti, direzioni scolastiche regionali, le grandi speranze alimentate per i numeri rilevanti di assunzioni ed altro ancora, il d.d.l targato Renzi-Giannini, è approdato in Parlamento ed è nel pieno della discussione che, ci auguriamo, ne migliori i punti di criticità.
Ho dato una lettura un po’ veloce all’intero disegno di legge e sono alquanto preoccupata per come viene affrontato il capitolo “inclusione degli allievi con disabilità”
Quali, in sintesi, le ragioni di tali preoccupazioni?-si parla di educazione inclusiva e, certamente, tale principio dovrebbe esaltarmi, non solo perché includere significa creare tutte le condizioni favorevoli per la crescita armonica ed omnilaterale delle persone con disabilità visive e in generale, valorizzarne le capacità cognitive, espressive, creative, relazionali, operative, ma anche perché una scuola inclusiva, allineandosi agli orientamenti educativi e formativi di altri paesi della U.E., dovrebbe aprire anche ai nostri ragazzi ciechi ed ipovedenti prospettive di vita e di lavoro più ampie e proporzionate alle capacità e desideri di indipendenza personali;
e, allora, cosa c’è che non va?
non va il fatto che una così importante scommessa è affidata, ancora una volta, alle prestazioni dei docenti di sostegno senza alcuna puntualizzazione sui contesti classe, consigli di classe, coordinazioni laboratoriali e quant’altro costituisce il corpo teorico e pratico dell’inclusione. Nulla di concreto ho trovato, nel corso della lettura, sul cosa e come innovare per rendere pienamente accessibili laboratori, biblioteche, aule multimediali e tutto quanto costituisce base concreta alla crescita formativa, culturale e relazionale dei nostri studenti, ma in generale di tutti i ragazzi in età scolare dall’infanzia all’adolescenza;
attraversando articoli, commi e richiami a precedenti leggi, nonostante le varie indicazioni di finanziamenti per l’edilizia, nulla viene esplicitato per il superamento delle barriere architettoniche; l’elenco di quello che non ho trovato e che avrei voluto o meglio, dovuto, stante la sostituzione del termine integrazione scolastica con quello di inclusione, è ancora lungo e non riportabile in uno spazio, coerentemente limitato di un contributo al giornale: mi resta, dunque, solo un accorato appello a tutta la forza dell’Uici perché assuma una iniziativa politica significativa con un confronto con il governo, la commissione cultura della camera, affinché questo disegno di legge, nel corso del dibattito parlamentare, venga emendato, magari anche attraverso il recepimento di parti significative della proposta di legge Fand e Fish già da tempo giacente in parlamento. :

“Un invito originale”, di Patrizia Onori

Autore: Patrizia Onori

La ricezione dell’invito alla partecipazione della presentazione del libro “La mia storia ti appartiene 50 persone con disabilità si raccontano” per mercoledì 15 aprile 2015 presso una delle aule del Senato, ha stimolato in me una grande curiosità ed un particolare interesse, poichè nel volume, tra gli altri, sono stati inseriti alcuni tra i miei scritti.

Chiamai immediatamente il mio accompagnatore ed insieme decidemmo di partecipare all’evento.

Decisione presa, evviva!

Notificai la mia adesione all’incontro via mail agli ideatori della pubblicazione del volume e, dato che per entrare in Senato c’è bisogno di un precedente accreditamento, comunicai anche la partecipazione di coloro che mi avrebbero accompagnato, che comunque mi hanno accompagnato e che ringrazio, il mio accompagnatore Roberto Bevilacqua, mia madre ed il mio amico Tommaso Luna il quale ha voluto essermi vicino in questo pregevole momento.

Nei giorni precedenti l’incontro, il tempo sembrava non trascorrere mai ma, d’un tratto, ecco giungere il giorno tanto atteso, così, partendo con la macchina da Latina città in cui vivo e lavoro, arrivammo a Roma e raggiungemmo il luogo che ospitava lo straordinario avvenimento.

Dopo i dovuti controlli burocratici, eccoci finalmente entrare presso il Senato della Repubblica, nella Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro e, dopo una consueta ma comprensibile attesa, l’inizio dell’incontro ha avuto luogo con la presentazione del libro da parte degli ideatori della pubblicazione del volume ed in seguito con la proiezione della video mostra intitolata “la mia immagine ti appartiene”.
Un momento particolarmente toccante però, l’abbiamo vissuto durante la lettura di attori professionisti i quali, esponendo estratti di brani tratti dal libro, con la loro singolare espressività, hanno dato luogo ad un’eccezionale interpretazione regalando al libro un’ulteriore forza rendendo alle storie immagini fotografiche attraverso la loro voce.
Dopo l’intervento dei relatori Luca Pancalli Presidente Comitato paralimpico, Vincenzo Falabella Presidente FISH, Raffaella Rinaldi Curatrice d’arte, prima di terminare l’incontro, il moderatore Roberto Fantini Educatore ai Diritti Umani per Amnesty International, ha comunicato ai partecipanti la possibilità di poter prendere la parola così, dopo aver prima ascoltato l’intervento di una signora che giustamente reclamava i diritti della figlia disabile di 47 anni ricoverata in un centro di accoglienza, anche se non è stato assolutamente facile, ho preso la parola descrivendo un po’ il significato dei miei racconti inseriti nel libro e soprattutto, l’importanza che hanno avuto e che tutt’ora hanno le persone descritte nelle mie storie.
Approvazione da parte degli ospiti per il mio intervento, durante il quale ho invitato il mio amico Tommaso Luna ad esprimere le sue considerazioni, così, dopo il mio contributo, anche Tommaso ha espresso le sue significative e rilevanti riflessioni.
Tornando a Latina, in macchina abbiamo espresso le nostre osservazioni riguardo l’incontro, il quale ha lasciato sicuramente in noi emozioni incancellabili.
Dalla vita ho avuto ogni cosa ed ho vissuto momenti indimenticabili come questo, perciò, anche se le parole non bastano a descrivere gioie indefinibili, ho semplicemente provato a condividere l’avvenimento di un’occasione speciale e certamente memorabile.

Patrizia Onori.

Ricordi d’infanzia, di Michele Sciacca

Autore: Michele Sciacca

Nel 1949, mia madre acconsentì che io facessi da accompagnatore a un certo Spinella di Macchia di Giarre, che era un uomo privo di vista ma colto e poliglotta. Lo Spinella era padrone di una grossa bottega alimentare gestita dalla moglie e di un grande vigneto di uva bianca e nera da cui ricavava dell’ottimo vino che vendeva ai commercianti di Riposto. Il mio compito era di accompagnarlo nella vigna e al cinema di Giarre. La stradina che conduceva alla vigna presentava numerose piccole buche, che per lui potevano essere molto pericolose. Io vi prestavo molta attenzione e per questo lui, spesso e volentieri, mi lodava. Egli mi chiedeva di aiutarlo a controllare l’operato del massaro e di chi lavorava nella sua vigna. Approfittando della mia innocenza, essi riuscivano ad ottenere doppie quantità di vino e quando m’incontravano per strada, mi facevano una gran festa.
Il signor Spinella era un uomo ambivalente. Due o tre volte la settimana voleva essere accompagnato al cinema di Giarre, nella segreta speranza di potervi incontrare qualcuno disposto a dargli un po’ di confidenza. Egli, perciò mi raccomandava di farlo sedere accanto a giovani di sesso maschile.
Quando non riuscivo a esaudire i suoi desideri, per me erano guai seri.
Non lo erano quando, in certe sere d’estate, ci trovavamo seduti in piazza duomo per ascoltare i concerti della banda musicale di Giarre che, a quel tempo, era una delle più importanti della Sicilia orientale. Essa era composta per lo più da professionisti regolarmente stipendiati. Gli stipendi provenivano dai contributi che gli esercenti Giarresi versavano appositamente ogni mese.
La banda musicale raggiunse il culmine del suo prestigio quando, in un concorso tenutosi a Messina, le fu assegnato il primo premio. In essa suonava un certo Agatino Giunti di Mascali e un certo Striano di Napoli, che era uno dei due signori che di tanto in tanto mi portavano in collegio le vivande di cui necessitavo; egli si trasferì a Roma per lavorare nell’azienda tranviaria, ma, essendo un forte fumatore, lasciò la vita terrena per via di un brutto tumore alla gola.
Anche Mascali, ebbe la sua brava banda musicale. Un giorno un amico mi raccontò che quella banda andò a suonare nel paese di Sant’Alfio in occasione della festa del santo. I musicanti, credendo che i santalfioti fossero ignoranti in campo musicale, cominciarono a suonare a modo loro, cioè in modo “stonato”, ma i santalfioti meno ignoranti, se ne accorsero.
Si armarono di bastone e ci furono botte per tutti i musicanti che rapidamente si diedero alla fuga cercando scampo nelle campagne vicine.
Rimasi alle dipendenze del signor Spinella per più di un anno. Egli mi offrì la possibilità di poter mangiare a volontà uva, melograni, datteri, carne, pesci e dolci e i miei chili aumentarono in modo spropositato.
In quel periodo ebbi modo di vedere sua figlia intendersela con il maestro di pianoforte e la moglie amoreggiare con il barbiere dello stesso Spinella. Il mangiar bene, l’andar spesso nella vigna e al cinema mi inducevano a rimanere nonostante il richiamo continuo della mia famiglia.
Essendo alle dipendenze della famiglia Spinella, dovevo dormire nella loro abitazione.
Il mio letto si trovava in una stanzetta del primo piano.
Di notte, riposavo tranquillo ed il mattino mi alzavo abbastanza presto: mi lavavo, mi vestivo e poi mi affacciavo dal balcone che dava sul cortile interno.
Sulla ringhiera si erano arrampicati tralci di uva bianca che raccoglievo e mangiavo molto volentieri.
Mangia oggi e mangia domani, alla fine di uva ne rimase ben poca.
La moglie e la figlia dello Spinella mi facevano notare che i grappoli d’uva andavano diminuendo sempre più ed allora io rispondevo che erano gli uccelli a mangiarsela, «ma noi sappiamo bene che l’unico uccello sei proprio tu!».
E che dire dell’albero di melograno bello carico a cui spesso tendevo la mano, ed i suoi frutti a poco a poco scomparvero quasi tutti.
E che dire delle paste che io sottraevo furtivamente al dolciere, compare dello Spinella.
Egli collocava nel forno, a temperatura giusta, delle teglie con paste di mandorla.
Io, mettendo in atto piccoli stratagemmi, ne prendevo qualcuna e me la mangiavo sul posto; poi riuscivo abilmente a colmare gli spazi vuoti spostando le altre.
A quel tempo la fame era all’ordine del giorno, perciò i panificatori che lavoravano per conto del signor Spinella, preparavano piccole forme di pane, in modo tale da mettersele in testa, e nasconderle con i loro copricapo, per non farsi scoprire dalla moglie dello stesso Spinella.
Durante il mio servizio di accompagnatore, purtroppo per me, si ammalò donna Concettina, madre dello Spinella. La malattia si protrasse per parecchio tempo e, nonostante tutte le cure mediche, la poveretta finì per morire. Con la sua morte, a me venne meno la persona che soleva proteggermi dall’ira del figlio e dalla collera della nuora.
Durante la notte della veglia rimasi talmente impressionato che non volevo andare a dormire nel piano superiore. Allora, pensai di prendere il materasso e di portarlo al piano terra. Lì, fui severamente rimproverato dalla moglie del signor Spinella, che mi costrinse a riprendere il materasso e a portarlo di nuovo sopra. Siccome avevo sempre davanti agli occhi l’immagine della morta, quella notte non potei chiudere occhio, perciò cominciai a maturare l’idea di andar via per sempre. Ciò si doveva verificare, quando lo Spinella mi menò con un bastone e mi fece uscire sangue dal naso, allora io scappai e tornai a casa, raccontai l’accaduto a mia madre, che per fortuna decise di tenermi con sé per poter avere una mano di aiuto nel lavoro.