Ma le sezioni?, di Eugenio Saltarel

Al centro della vita associativa ci sono le singole sezioni; io sono stato presidente di una sezione piuttosto piccola come Imperia e di una piuttosto grande come ora Genova. Di fronte ad un congresso in cui certamente si discuterà di rivedere lo statuto della nostra associazione mi sembra ineludibile porsi il problema di come affrontarlo davanti alla situazione delle nostre sezioni. E’ vero che in quest’ultimo anno si sono fatti dei grossi passi avanti: il fondo di solidarietà in un momento di notevoli difficoltà economiche è stato portato a un milione di Euro e la lotteria Louis Braille è interamente destinata alla finanza delle sezioni. Grazie per queste iniziative; ma se dobbiamo guardare al futuro, bisogna che ogni delegato al congresso (oltre a tutto inviato dalla sua sezione territoriale) sappia capire e prendere decisioni che riguarderanno sicuramente anche il futuro della sezione che lo ha inviato. Io faccio una certa fatica ad accettare che il nuovo presidente sezionale sia eletto dall’assemblea dei soci e non dal consiglio che dovrà presiedere così come si ventila, così come faccio una certa fatica a immaginare che le assemblee sezionali non inviino più al congresso direttamente loro delegati. Lo so che queste due affermazioni sembrano in contraddizione, da un lato rivendico l’elezione del presidente sezionale solo nelle mani del consiglio, mentre dall’altro rivendico all’assemblea sezionale l’elezione dei delegati al congresso, sottraendola al previsto consiglio regionale; però le mie perplessità restano nel cercare di garantire il massimo di percorribilità insieme al massimo di democrazia possibile. Altro problema riguarda la gestione quotidiana delle sezioni: penso che in questo senso debbano essere notevolmente potenziate le capacità d’intervento dei consigli regionali, attribuendo loro la gestione del personale, aumentando il loro peso nella gestione economico-finanziaria delle sezioni, sgravandole di molti obblighi che oggi le rilegano ad una contabilità veramente difficile da sostenere in termini economici e di tempo. Immagino inoltre che il nuovo statuto dovrà tener conto della nuova situazione italiana dove le provincie avranno sempre meno peso, se non verranno abolite del tutto; quindi bisognerà pensare ad una definizione diversa di sezione sul territorio, in modo da poter garantire la presenza dell’Unione in tutta Italia, senza immaginare sezioni con 2 o 3 soci solo perché lì una sezione ci deve essere. Per tutte queste ragioni invito tutti i delegati e quanti sono interessati a questi problemi, ad approfondirli in modo da arrivare al Congresso con le idee chiare su cosa vogliamo per il futuro delle nostre sezioni, oltre che per quello dell’Unione; non basta certamente rifarsi a cosa pensa qualcun altro, bisogna penso poter essere convinti di come si vota, di cosa si propone e si sostiene in modo che la conclusione del dibattito tenga conto del maggior numero di punti di vista possibili e sia una sintesi condivisa il massimo possibile arricchita da tutte le nostre esperienze personali.

Eugenio Saltarel

Istituti per ciechi: considerazioni e qualche proposta, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Napoli: 2 glorie della storia dei ciechi napoletani e, più in generale, di gran parte del sud, l’istituto Martuscelli e l’Istituto Colosimo, sia pure in situazioni diverse sul piano giuridico e per prestazioni di servizi, vivono un momento di profondissimo disagio e, in generale, sono in crisi di identità.
Si tende, oggi, ad attribuire le colpe alle battaglie fatte per l’integrazione scolastica dei ciechi nelle scuole di tutti, alle leggi sullo scioglimento degli enti inutili con i relativi passaggi di questi ultimi ai comuni e alle regioni: ma è proprio vero che tali trasformazioni, avvenute in un contesto sociale e politico in cui fortissime erano le lotte per i diritti, contenessero implicitamente i presupposti per la decadenza di queste importanti e prestigiose strutture? Che cosa ha impedito, ad esempio, al Martuscelli, dotato di insegnanti altamente qualificati negli anni precedenti e successivi alla legge 517, di mantenere, insieme alla scuola dell’obbligo interna, di aprirsi all’intero territorio ed offrirsi come polo di formazione ed aggiornamento degli insegnanti di sostegno, del personale ausiliario e tecnico operante in tutte le scuole della Campania? Perché mai una struttura così bella, ricca di spazi interni ed esterni, così attrezzata in termini di patrimonio librario e tiflodidattico, di palestre, di attrezzature musicali, e, successivamente, di laboratori informatici, non avrebbe potuto diventare un centro polifunzionale di ricerca, di promozione culturale, sociale, educativa e riabilitativa per le disabilità non solo visiva? e allora non sarebbe più corretto chiederci:
cosa abbiamo prodotto tutti noi, impegnati a vario titolo nell’Uici, nella società civile, per bloccare il processo degenerativo del Martuscelli?
Se gli amministratori hanno voluto privilegiare il principio della sopravvivenza con il metodo del tirare a campare, del carpe diem, dell’uso, quantomeno allegro e spigliato delle risorse pubbliche e del patrimonio privato, tutti i nostri rappresentanti, cui competeva vigilare e difendere i diritti dell’utenza, dove, quando e come hanno coinvolto esplicitamente il corpo dell’associazione, e cioè i soci?
Adesso c’è il commissario inviato dal ministero dell’istruzione e auspico che sia fatta chiarezza sulle responsabilità e sia intrapresa una strada per offrire nuove opportunità all’istituto; intanto sarebbe, a mio avviso, indispensabile che l’Uici, a livello nazionale, creasse un gruppo di esperti, costituito da persone già operative in istituti esistenti e in salute e di amministratori per costruire una griglia di servizi standard di base cui queste istituzioni destinate a migliorare la vita dei ciechi ed ipovedenti in ogni campo, debbano attenersi. è ovvio che gli standard vadano tarati sui bisogni emergenti dai vari e diversi contesti, così come è altrettanto evidente che vanno anche garantiti margini di autonomia progettuale.
So che siamo in estate, che da settembre la maggiore concentrazione di energie confluirà sull’imminente congresso, ma credo che nulla più di ben augurante per la scadenza congressuale possa esserci, che far coincidere attività per costruire supporti ai ciechi ed ipovedenti e scadenze di politica associativa.
Mi riservo di fare qualche diversa considerazione sull’importanza del Colosimo che, comunque, è ancora un punto di riferimento per ragazzi ed adulti ciechi ed ipovedenti, ma che, comunque, merita attenzione e interventi di valorizzazione.
Silvana Piscopo

Verso il congresso delle idee e delle novità, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Le assemblee pre-congressuali si sono concluse e sarebbe interessante che si sviluppasse un dibattito sui contenuti che da esse sono emersi se ne sono emersi.

Io devo dire che dall’assemblea del centro Italia non ho colto spunti rilevanti neppure dai due candidati alla presidenza nazionale.

Se non vado errato, le affermazioni più degne di nota ci sono state sulle regole statutarie e poi su come si dovrebbe sviluppare il congresso nazionale.

Il presidente nazionale ha detto con chiarezza cosa vede nel futuro della nostra associazione e soprattutto ha chiarito come si dovrebbe svolgere, a suo avviso, il prossimo congresso di Chianciano.

Io vorrei esprimere un auspicio per il futuro della nostra Unione:

andare al congresso con la candidatura di Mario che si unisce alle due che già conosciamo.

Parlo di unione perché io non vedo tre candidature che si fanno la lotta ma tre candidature che propongano ai delegati tre modelli associativi sui quali aprire un sereno dibattito.

Penso che sui grandi temi come l’Unità associativa non ci siano differenze ma, almeno a me, piacerebbe sapere come vedono il futuro organizzativo dell’associazione coloro che si candidano a dirigerla.

Cosa pensano sui temi del lavoro e dell’integrazione scolastica?

Cosa pensano di fare per regolarizzare la vita associativa e semplificare le regole?

Molti altri sarebbero i temi da discutere ma forse sarei troppo prolisso e per tanto concludo chiedendo a Mario di sciogliere la sua riserva e lanciare una sfida non ai suoi competitor ma al futuro che sta davanti alla nostra associazione.

Spero che con Mario ci saranno donne e uomini di qualità che sappiano portare avanti le sfide difficili che troveremo sia al nostro interno che nella società civile.

Oltre a Mario, invito le donne e i giovani a farsi avanti senza timore perché solo chi sa portare avanti la forza delle idee può contribuire al successo dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.

 

Assemblea precongressuale del 20 Giugno di Palermo, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Caro Presidente,
ti scrivo per inviarti l’intervento che avrei fatto in occasione dell’Assemblea precongressuale del 20 Giugno p.v. di Palermo, alla quale mi sarà impossibile presenziare.
E non sai quanto ciò mi rattristi, ma impegni istituzionali indifferibili precedentemente assunti con la Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi me lo impediranno.
Infatti, come ti è ben noto, dal 19 al 21 Giugno, io sarò impegnato a Reggio Emilia come Presidente di giuria del “prestigioso” premio nazionale di editoria tattile per l’infanzia “Tocca a te!”
Ma ho deciso di spedirti la presente anche dopo aver letto sul nostro Giornale on line il bellissimo e toccante articolo del mio amico Stefano Tortini, con il quale invita tutti noi a sostenere la tua candidatura a Presidente Nazionale, che ovviamente condivido in toto.
Ricordo ancora come fosse ieri, quando circa una decina di anni fa, io, Stefano Tortini e Mario Mirabile, componenti lo scorso Comitato Giovani dell’UICI, nel nostro piccolo sognavamo in grande un’Unione finalmente più democratica, più moderna, più trasparente. Ed improvvisamente, tutto ciò con te oggi diventa “REALTA’.
Un’Unione più democratica significa che esprimere un’opinione diversa dai Vertici associativi e pensarla diversamente da loro non è un “peccato di Lesa maestà”, né un “attentato” terroristico od un tentativo di “golpe”, come certi vecchi (e fortunatamente pochi) dirigenti ritengono ancora.
La difesa dell’Unità associativa che anche per me è un “valore” assoluto, non può e deve però essere Unanimismo.
Fino a prova contraria, da che mondo è mondo, il dibattito è stato sempre fonte di crescita e sviluppo. Oggi, invece, nell’ambito dell’UICI accade ancora troppo spesso che il “dibattito associativo” non sia fondato su una diversa interpretazione del ruolo della nostra Unione nel nuovo Millennio, ma dettato solo da bisogni di “visibilità” personale, riducendo erroneamente gli scontri a semplici fatti personali e soffocando ed impoverendo il dialogo al nostro interno.
Riprendiamo, pertanto, sin da Chianciano il dibattito culturale sui grandi temi associativi, sulle idee portanti e sui “profondi” valori della nostra Unione quali l’inclusione scolastica, le pari opportunità, il lavoro, l’accessibilità, la riabilitazione dei ciechi pluriminorati, la prevenzione della cecità e forse, anzi certamente, gli stessi Nicola Stilla e Peppino Simone ritroveranno con il Presidente Barbuto molti più punti in comune che elementi di disaccordo.
Un’Unione più moderna significa semplificare la struttura organizzativa delle nostre sezioni, adeguandole ai tempi e soprattutto ai cambiamenti imminenti che verranno in seguito all’istituzione delle “città metropolitane”
Ancora oggi abbiamo troppi organi associativi che sono tra l’altro troppo burocratizzati. Bisogna necessariamente renderli più agili nella struttura e meno pletorici nel numero dei componenti, facendo si che non solo i nostri “consigli” ma anche i Presidenti e Vice Presidenti sezionali e regionali siano eletti direttamente dalla base e dalle Assemblee dei soci.
Una piccola ma significativa questione riguarda pure il tesseramento dei nostri iscritti. Facciamo sovente i “conti” con numeri incerti e discutibili, risultato e frutto solitamente della logica dei “bollini” facili solo in prossimità dei rinnovi delle varie cariche associative, piuttosto che di una “seria” campagna d’iscrizione soci che sia invece più costante nel tempo, più sistematica e trasparente.
Un’Unione più trasparente significa anche adottare criteri di merito nella selezione e nomina dei candidati ai “posti di comando” del nostro “glorioso” sodalizio.
Per tale motivo, saluto molto favorevolmente la novità già annunciata da Mario Barbuto di voler realizzare un’apposita sezione del nostro sito istituzionale dove, chiunque vorrà candidarsi al Consiglio Nazionale (ed io lo farò certamente), potrà inserire il proprio curriculum ed il proprio programma.
Diceva Lavelle : “Il bene più grande che puoi fare ad un’altra persona non è dargli la tua ricchezza, ma rivelargli la SUA”.
Ebbene, il grande “miracolo” Barbutiano sta proprio in questo e cioè nel farci riscoprire tutti un po’ più ricchi dentro, nel farci sentire tutti principali artefici e protagonisti del futuro destino dei ciechi e degli ipovedenti italiani.
Caro Presidente, per questo io sottopongo alla tua attenzione ed a quella di tutti i congressisti la mia candidatura al prossimo Consiglio Nazionale.
Mi candido, perché la tua “trascinante” capacità di accendere il nostro entusiasmo, di individuare bisogni e prospettare soluzioni m’ha letteralmente contagiato, persuadendomi che persino un “nanetto” come me possa contribuire positivamente alla causa della nostra Unione.
Una cosa è certa, con un timoniere “visionario” come te, capace di “vedere” oltre e di prospettare all’UICI scenari ed orizzonti fino a pochissimo tempo fa addirittura impensabili, noi minorati della vista italiani “toccheremo con mano” sempre più importanti traguardi di civiltà!

Ricordi d’infanzia. Continuazione, di Michele Sciacca

Autore: Michele Sciacca

All’età di tre anni mi fu dato modo di lasciare la casa dei nonni materni per stabilirmi con mia madre in una grande masseria sita nel territorio di Riposto, e precisamente in una grande proprietà presa in gabella da mio padre.
In quella proprietà c’erano tre fabbricati abitati da altrettante famiglie che erano molto spaventate dai bombardamenti diurni che talvolta avvenivano in prossimità del vicino mar Jonio. In quel periodo mi capitò di assistere al bruttissimo episodio di un aereo tedesco che, con due piloti a bordo, precipitò accanto alle nostre abitazioni.
Lo schianto fu terribile si levarono in cielo alte colonne di fumo nero. Allora tutti gli abitanti della masseria si raccolsero in preghiera sotto un’arcata perché temevano che lo scoppio delle bombe, avrebbe potuto decretare la loro fine; non fu così perché l’aereo per fortuna non trasportava ordigni.
Un altro momento difficile fu quando, a poca distanza dalla costa, i soldati tedeschi a bordo di una grossa cannoniera vistisi minacciati da un sottomarino nemico, iniziarono a gettare bombe di profondità che sollevarono in aria enormi colonne di acqua. Io e mia madre che eravamo proprio nelle immediate vicinanze, spaventati da quanto stava accadendo, fuggimmo velocemente verso casa.
Nel frattempo un aereo nemico, volteggiante sulle nostre teste, sganciava alcune bombe che fortunatamente finirono in mare.
Un’altra volta, in un’imprecisata notte di mezza estate, mia madre, io e mio fratello fummo svegliati dal fragore di una violenta sparatoria fra gli uomini della masseria ed alcuni ladri di mestiere che volevano rubare i loro vitelli grassi. Finita la sparatoria, vidi i Massari col fucile in mano contenti e soddisfatti per lo scampato pericolo, i quali si raccomandavano fra loro di non abbassare la guardia poiché i ladri sarebbero certamente tornati di nuovo all’attacco. Intanto, sentivo dire a quegli stessi uomini che le sorti della guerra volgevano a favore degli alleati i quali avevano rotto in più punti il fronte dell’esercito nazi-fascista operante in Africa settentrionale e si accingevano a compiere lo sbarco in Sicilia.
Qualche tempo dopo, dalla masseria, con la mano sulla fronte a mo’ di visiera, vidi in lontananza gigantesche navi bianche, navigare nelle acque del nostro mare. Quelle navi trasportavano uomini, viveri, automezzi e materiale bellico. Una volta sbarcati e messo piede sulla terra ferma, gli alleati avanzarono rapidamente per la flebile resistenza dell’esercito italo-tedesco.
Essi, in meno di un mese, arrivarono dalle nostre parti. Io vidi l’ampio cortile della masseria, occupato da soldati britannici che vi avevano messo le loro tende in cui mangiavano e dormivano. Essendo molto curioso, ogni giorno solevo andare a guardare da vicino l’accampamento. Un giorno vidi piangere un giovane soldato scozzese mentre mostrava a mia madre la foto del fratello perito nel crollo del ponte Primosole, minato e fatto saltare in aria dai tedeschi durante la ritirata; vidi altresì, un altro scozzese, mettere sulla testa di un vecchietto della masseria, a mo’ di elmetto, la tazza con cui il poveretto ogni giorno chiedeva la sua porzione di rancio e lo stesso scozzese ridere di gusto nel vedere il vecchietto fuggire a gambe levate verso casa sua.

Senza traveggole, di Mario Censabella

Autore: Mario Censabella

Non ho mai pensato che la cecità mi fosse tragedia, certo molto disagio, a volte infinita angoscia e tristezza; negli anni in cui non avevo né arte né parte ho qualche volta ipotizzato il suicidio senza mai scendere nei particolari per una soluzione traumatica del mio esistere.
Sono certo che tutti coloro che nei secoli, forse nei millenni hanno pensato di creare sollievo, assistenza, istruzione nei confronti dei ciechi, si saranno immedesimati nella tragedia assoluta che un tempo rappresentava questa minorazione.
Sono certo che questa riflessione sia stata la valutazione che von Hartig, Governatore austriaco del Regno Lombardo Veneto a Milano nel lontano 1840 abbia fatto propria cercando di istituire anche nella nostra città una struttura per ciechi simile a quella che già esisteva a Vienna.
L’Istituto dei Ciechi di Milano da quasi due secoli è una prestigiosa realtà che ha offerto a generazioni di ciechi assistenza, istruzione, educazione anche in una accezione assoluta del termine.
Il Commissario straordinario dell’Istituto mi ha invitato a partecipare ad un evento senza volermi raccontare i particolari, quasi un simpatico mistero.
E’ passato da casa, mi ha ospitato in una molto confortevole auto, in verità un poco bassa guidata dalla moglie, la gentile signora Elena. Un tempo quando si usavano ancora le carrozze il salire e lo scendere aveva un senso molto più spiccato.
Ora sono giunto nella prestigiosa sede dell’Istituto dei Ciechi di Milano. E’ mercoledì 3 giugno ore 20.30 hanno inizio un evento che sarà in… cartellone sino al 30 ottobre, cioè per tutta la durata dell’EXPO. L’iniziativa è stata concertata dal Commissario straorinario dell’Istituto dei Ciechi di Milano che in verità non brilla per …colpo d’occhio, è affetto da una notevole ipovisione, per contro non gli manca intelligenza, vivacità e la capacità di saper proporre e realizzare eventi particolari.

Masto ha concesso che la sala intitolata a Michele Barozzi, fondatore dell’Istituto fosse trasformata in una sorta di oratorio dei frati Domenicani.
Ora oltre ai preziosi stucchi che caratterizzano la sala appaiono pannelli che sviluppano la dinamica e i particolari della famosa Cena di Leonardo Da Vinci realizzata nell’oratorio dei Frati di Santa Maria delle Grazie in Milano.
“Leonardo racconta”: un attore appare in un video e illustra come Leonardo Da Vinci nel 1400 già genio riconosciuto fosse stato ingaggiato da Ludovico il Moro per la realizzazione del grande dipinto. L’attore illustra le difficoltà di Leonardo impegnato a studiare quella realizzazione sin nei minimi particolari: i colori, le tempere, le difficoltà di creare un affresco in una sala umida, la fisiognomica degli apostoli; la descrizione è stata tanto avvincente e veritiera da farmi quasi… vedere le posture, gli atteggiamenti, le varie fisionomie di tutti i componenti di quella famosa cena.
Poi anche per noi la cena, non certo male.
La serata si è conclusa con un concerto d’Arpa che un virtuoso ha proposto suonando contemporaneamente due strumenti, uno classico, l’altro rinascimentale.
Fuori, era già tardi, l’aria raffrescata alitava sui nostri volti e nei nostri capelli, una brezza che ho pensato non fosse dissimile da quella che avrà potuto percepire Paolo Bentivoglio, uno dei fondatori della nostra Unione Italiana dei Ciechi quando negli ultimi anni del 1800 è stato allievo di questo Istituto.

Lettera a Il Corriere dei Ciechi, di Milena Cocco

Autore: Milena Cocco

Gentili amici lettori de Il Corriere dei Ciechi, mi considero una affezionatissima socia dell’Unione e vi scrivo per raccontarvi che ho avuto modo di riflettere su uno dei problemi che affliggono la vita dei ciechi italiani in questo momento.
Ho sempre pensato con un senso di impotenza alla penuria di lavoro che in questi ultimi anni colpisce in maniera particolare i giovani Disabili visivi, in conseguenza del fatto che lavorare è diventato difficile per tutti.
Avere una buona idea per incrementare le possibilità di lavoro per i ciechi non mi è mai sembrato facile e dentro di me avevo ormai accantonato l’idea di poter pensare qualcosa di utile in proposito.
Qualche mese fa, però, mia figlia ha deciso di recarsi in Cina per affrontare in maniera seria lo studio del mandarino che aveva iniziato da tempo in Italia. Perciò si è iscritta ad un corso universitario per stranieri in una città cinese e, guardandosi intorno, si è informata su una delle possibilità che hanno i ciechi locali per guadagnarsi da vivere, avendo sentito spesso sua madre arrovellarsi su questo problema.
Così ha scoperto che molti ciechi cinesi, presso centri da essi stessi gestiti, praticano il “tuina”, un massaggio particolare, capace di restituire tono al corpo ed allo spirito, a prezzi modici e nell’assoluta garanzia di serietà e competenza che la professionalità e la sensibilità dei ciechi rappresentano, almeno da quelle parti..
Mia figlia mi ha consigliato un libro da leggere, I maestri di tuina, che ho potuto scaricare dal LP online. Si tratta di una piacevolissima lettura che permette di dare uno sguardo attento e partecipe su una società che ci ha ormai invasi, che ci copia, ma dalla quale nessuno ci impedisce di copiare.
Io spero che la lettura di questo libro possa far intravvedere ad altri, oltre che a me, che anche i ciechi italiani potrebbero praticare il massaggio in appositi centri dove il fine non sia la riabilitazione di una parte del corpo, ma il benessere fisico ed estetico.
Questo, a mio modo di vedere, semplificherebbe l’accesso alla professione per coloro che non desiderano proseguire a lungo gli studi dopo le scuole superiori.
Si affollano nella mia mente i tanti passaggi che andrebbero fatti se la mia idea dovesse riscuotere simpatia da parte dei nostri giovani , ma anche della futura dirigenza dell’Unione.
Per esempio:
-l’istituzione di una nuova professione e la scelta di un nome che la identifichi;

– la proposta di una legge concepita sul modello della 113 per i centralinisti;

– la cura dei corsi di formazione e dell’inserimento al lavoro da parte di una commissione nazionale dell’Unione.

– la nascita di cooperative di ciechi che operino insieme a pochi vedenti presso appositi locali commerciali.

e chissà quanti aspetti sfuggono al mio elenco!
Sicuramente tra i lettori del Corriere ci sono persone che hanno una visione molto più ampia della mia nei confronti delle future prospettive di lavoro che hanno i ciechi italiani. Sento il bisogno di riaccendere, insieme ad essi, le luci su un argomento di cui si parla troppo poco ultimamente. Il lavoro per i ciechi significa prima di tutto rottura dell’isolamento, aggregazione sociale, indipendenza economica, ma anche, forse, qualche rinuncia a privilegi ritenuti acquisiti. Perchè non parlarne?

Un saluto a tutti.
Milena Cocco

Statutando, di Luciana Pericci

Autore: Luciana Pericci

Lo Statuto…. questo disatteso, sconosciuto, a volte ambiguo strumento. Consapevole del suo importante motivo di essere rimango perplessa dalla concertazione in fase di riforma e adattamento, con grande affanno pre e intra congressuale.
Passata l’approvazione per la maggior parte del tempo rimane chiuso nel suo cassetto o file; a parte qualche dirigente scrupoloso o cultore non viene molto considerato, se non nei suoi punti necessari per la quotidianità operativa.
Finché va tutto bene!!! Al momento in cui si verifica una diatriba, un intoppo o una situazione non favorevole ad una certa corrente, ecco che ci si ricorda che c’è.
Esiste lo Statuto!!! Lui dirimerà la querelle!! Invece no… si peggiora!!! Perché, forse non lo sapete, ma lui è…. elastico, adattabile, ha la forma dell’acqua. Il significato di un articolo può variare in base alle opportunità e se una persona evidenzia un problema, il problema diventa quella persona e non si risolve il nodo iniziale; ci si perde nei meandri interpretativi, influenzati da emotività, rivalse e ripicche, uno contro l’altro armati. Sterili perdite di tempo e di sostanza. Le norme dovrebbero essere chiare, nette, precise.
Che il nuovo Statuto abbia sì la forma dell’acqua, ma intesa nella sua accezione di adattabilità ad ogni circostanza, una versione da bere senza possibilità di inquinamenti personalistici, in modo da soddisfare all’uopo sete di chiarezza, merito e sostanza e, poi, mettiamolo nello shaker ed uniamo uno spruzzo di volontà, di spirito associativo, due gocce di buon senso, un pizzico di passione, aggiustiamo con una dose di onestà e correttezza, scecheriamo, gustiamolo insieme, da qui al prossimo Congresso ed oltre…. possibilmente!

La Biennale di Venezia non risponde sull’accessibilità, di Andrea Bianco

Autore: Andrea Bianco

Sono un non vedente di Bolzano e da 5 anni sono interessato all’arte. Scolpisco legno, marmo e lavoro ceramica (www.biancoandrea.it). Tengo conferenze nelle scuole e all’università per spiegare che con entusiasmo e volontà si possono raggiungere risultati insperati, per aiutare le persone invalide ad avvicinarsi all’arte, per spiegare la necessità dell’accessibilità… Veniamo al dunque. Dodici giorni fa ho telefonato alla Biennale di Venezia chiedendo se alcune opere esposte fossero toccabili da parte di visitatori non vedenti. La risposta è stata: “Boh! E’ la prima volta che ci viene fatta una domanda del genere. Ci mandi una e mail”. Bene… Ho spedito immediatamente una e mail specificando i musei che già mettono a disposizione i loro lavori per i non vedenti. Dopo 12 giorni non ho avuto nemmeno una riga di risposta. Hanno cestinato la mail o sono imbarazzati, perché non sanno come rispondere? Ieri ne ho spedita una seconda allegando la precedente. Mi chiedo, però:
Perché nessuno ha mai posto loro questo quesito? Deve arrivare uno sconosciuto qualsiasi a sollevare una questione di civiltà e integrazione?

Andrea Bianco

Riflessioni e proposte per la nostra Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, di Peppino Simone

Autore: Peppino Simone

Questo breve scritto rappresenta un contributo che desidero offrire alla riflessione di tutti coloro che intendono arricchire di contenuti e di suggerimenti il nostro dibattito.
Ritengo questa fase ancor più importante dello specifico momento congressuale che, come ben sappiamo, si caratterizza per dinamiche volte all’elezione dei gruppi dirigenti, più che alla focalizzazione dei temi e delle priorità nell’attività associativa.
Non si tratta, appunto, di caricare di eccessive aspettative il momento congressuale, ma molto più serenamente di rispondere ad un effettivo bisogno di fissare, innanzitutto per me stesso, alcuni indirizzi che ritengo fondamentali per orientare il nostro itinerario di riscatto umano e civile.
Quanto sinteticamente esporrò, non è il frutto accademico di un’analisi puramente astratta della condizione dei ciechi italiani, ma rappresenta il risultato di una trentennale intensissima attività associativa contraddistinta da un continuo, vivo contatto con i nostri soci, mai privo di rapporti istituzionali che, nei diversi ambiti di competenza, costituiscono l’approdo irrinunciabile per stabilizzare servizi moderni ed efficaci.
Se è vero che la gran parte dei nostri associati è costituita da non vedenti che hanno incontrato la cecità in età avanzata, ciò non ci deve mai far trascurare la formidabile tensione che in quasi un secolo di storia ha caratterizzato l’impegno dei dirigenti associativi succedutisi nei decenni alla guida dell’Unione: si è sempre ben compreso che l’istruzione, la formazione e la dignitosa conquista del lavoro costituiscono le uniche solide basi per il riscatto dei ciechi.
Sino quasi alla fine degli anni settanta del ‘900, vi era un assetto definito del sistema organizzativo che, pur con i suoi limiti, riusciva a fornire opportunità di cui tantissimi non vedenti hanno potuto godere.
Il caotico e non preparato passaggio al modello che semplicisticamente viene definito dell’inserimento e dell’integrazione scolastica, ha prodotto conseguenze devastanti nei percorsi formativi, nel trattamento degli effetti secondari della minorazione, con la totale sottovalutazione, o meglio, con l’assoluta incomprensione della necessità imprescindibile nella acquisizione di multiformi competenze ed abilità irrinunciabili per un giovane non vedente che voglia incamminarsi nel difficile percorso della vita solidificando la propria interiorità e strutturando le proprie abilità.
Il problema della formazione del personale educativo e formativo, si è trascinato e continua a trascinarsi in modo indecoroso da decenni con ricadute inaccettabili ormai su generazioni di giovani non vedenti e sulle loro famiglie.
Abbiamo sempre più la sensazione sgradevole di isolamento, di dispersione, approssimazione ed abbandono che, senza un instancabile impegno dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, ci farebbe precipitare agli albori dell’istruzione dei ciechi.
Occorre prendere definitivamente coscienza del piano inclinato su cui si sta precipitando e, comunque, come i rimedi che vengono prospettati spesso siano velleitari, inefficaci e ulteriormente peggiorativi.
Tante volte si ha l’impressione di una fatica di Sisifo: nessuno controlla nulla e del resto come potrebbe e che cosa dovrebbe controllare un’autorità priva di specifica competenza in tale ambito.
Le università italiane che un legislatore distratto e ignaro ha posto al centro del sistema formativo del personale, ne è priva quasi totalmente, non ha alcuna tradizione storicamente consolidata e concretamente verificata; quindi, manca di esperienza in materia, con la conseguenza di saltare a piè pari duecentocinquant’anni di riflessione teorica e metodologica, per non parlare della pratica didattica totalmente assente.
In tal senso non siamo mai riusciti a salvaguardare il formidabile patrimonio, prima ancora che materiale, soprattutto educativo dei nostri istituti. Era e continua ad essere in tali luoghi la leva da azionare per reindirizzare il sistema italiano dell’istruzione dei ciechi. Occorre pensare pragmaticamente ad un ruolo molto più attivo, autorevole e legalmente riconosciuto per tali istituti, a cui le scuole in maniera cogente devono riferirsi quando si tratta di educazione ed istruzione dei non vedenti.
Il problema è davvero complesso e richiederebbe ben più approfondita trattazione che sicuramente saremo in grado di sviluppare.
Noi ciechi che, grazie all’illuminata opera di uomini come Augusto Romagnoli, Paolo Bentivoglio, Enrico Ceppi e tantissimi altri tiflologi italiani ed europei, abbiamo acquisito una maturità teorica e dato vita ad esperienze d’avanguardia nel campo educativo, ci vediamo oggi letteralmente sommersi da improbabili ideologismi che si scontrano impunemente passo dopo passo con la realtà e resistono testardamente all’evidenza dei fatti.
Si riesce addirittura ad immaginare la corbelleria di utilizzare un simile personale di sostegno così maldestramente preparato, come fulcro della formazione di tutto il personale scolastico.
Poi, è preferibile tacere sulla totale assenza di una qualsiasi valutazione economico-finanziaria di tale impostazione.
Ovviamente, si fa gran confusione tra informazione, sensibilizzazione e formazione. Senza alcun dubbio risulta irrinunciabile il bisogno di un’alta scuola specialistica che, sul cammino tracciato dalla Scuola di metodo, possa ridare rigore, garanzie formative e fondarsi sul bisogno di ricerca aggiornata. Forse, è il caso di non moltiplicare in maniera spropositata gli enti autorizzati alla gestione della formazione. Le risorse umane e finanziarie devono essere gestite al meglio e, sullo stile della tedesca Blista, riportare ad unità ciò che è stato largamente disperso.
Ma, dove e quando i nostri ragazzi possono svolgere in modo sistematico e qualificato le attività non strettamente disciplinari scolastiche?
Come acquisire una graduale conquista volta all’autonomia personale?
Come potersi confrontare in maniera sistematica con altri non vedenti che in passato erano una risorsa ed uno stimolo formidabile per i più piccoli nell’indicare una via di riscatto e di emancipazione?
Noi minoranza delle minoranze dobbiamo ben capire il rischio che corriamo e, assolutamente, definitivamente rimboccarci le maniche, armarci del coraggio sorretto dall’intelligenza per tirarci fuori da questo mare magnum di inconcludenza e di declino.
Dato il numero esiguo dei casi, la loro dispersione territoriale e la sempre maggiore presenza di minorazioni aggiuntive, occorre comprendere che si rendono necessarie scelte identitarie di aggregazione che consentano di ottimizzare le scarse risorse.
Abbandoniamo il piccolo cabotaggio e valutiamo con maggiore umiltà le scelte operate negli altri paesi europei.
Nel frattempo strutturiamo servizi più interdipendenti ed interconnessi, innanzitutto stabilendo un rapporto più osmotico tra Biblioteca di Monza, Agenzia per la prevenzione e Federazione delle Istituzioni pro Ciechi, senza trascurare l’importanza dell’IRIFOR.
Non è proprio il caso di buttare braille a casaccio senza una continua consulenza scolastica ai ragazzi ciechi, ipovedenti, alle loro famiglie ed ai loro insegnanti.
Non è possibile produrre testi per ipovedenti senza un preventivo controllo oculistico-funzionale che possa seriamente indicare le caratteristiche di detto lavoro.
Quante volte ci è accaduto di constatare l’assurdità delle richieste scolastiche che è stato possibile correggere solo grazie alla competenza e sistematica attenzione critica dei nostri esperti!
Per quel che è stato possibile, la nostra ben solida consapevolezza ci ha sempre guidato nelle interlocuzioni istituzionali e sul nostro territorio regionale sono stati articolati servizi diffusi e multiformi che sorreggono i nostri ragazzi nella loro crescita e nei loro studi:
Sono state conquistate leggi regionali e stipulato convenzioni che, pur nei limiti della patologica, italica provvisorietà, abbiamo l’orgoglio di possedere, qualche volta anche rispetto a tante regioni settentrionali.
I nostri ragazzi sono seguiti a casa nelle ore pomeridiane da educatori da noi preparati, che spesso rappresentano l’unica àncora a cui aggrapparsi ed un veicolo di comunicazione e di guida nei confronti degli insegnanti di sostegno e curriculari.
Tali educatori sono molto, dico molto più stabili degli insegnanti di sostegno, con i quali si ha sempre l’impressione di lavorare a vuoto, poiché quando si avvicinano le date per richiedere trasferimento, tutto sembra svanire.
I nostri giovani possono frequentare corsi di orientamento e mobilità, possono seguire studi musicali e vengono continuamente sollecitati ad acquisire buone competenze informatiche da noi ritenute basilari per l’autonomia negli studi e nel lavoro.
Tanti di loro svolgono pratiche sportive e partecipano a momenti di socializzazione che consentono incontri ed amichevoli scambi di esperienze e di consigli.
Come si può ben intendere, oggi tutto ciò rischia di essere distrutto o gravemente ridimensionato con conseguenze avvilenti, non solo per i ragazzi, ma per tutti i non vedenti che traggono beneficio e incoraggiamento dalle attività dell’UICI e delle sue organizzazioni collaterali.
Anche nella scelta degli studi superiori spesso si considerano prioritarie le necessità logistiche o si ritiene ininfluente tale scelta ai fini di un inserimento lavorativo già di per sé problematico.
In passato tali percorsi erano precisamente delineati; certo, oggi, possono esservi variazioni, novità possibili; ma sembra improduttivo un eccesso di disinvoltura nell’intraprendere gli studi superiori a causa di scarsa informazione sui rischi futuri.
Per i ciechi pluriminorati gravi, forse sarebbe il caso di un bagno di umiltà; dare a Cesare quel che è di Cesare e non avere la presunzione di poter fare noi ciò che non sappiamo e possiamo fare. Sarebbe anche molto peggio del pessimo che viene fatto dalle Università nella formazione del personale di sostegno.
Valorizziamo, incoraggiamo e sosteniamo le esperienze significative e irrinunciabili che tutti noi ben apprezziamo: è tempo di stabilire nella distinzione dei ruoli rapporti di profonda e stretta cooperazione e di reciproco aiuto con la Lega del Filo d’Oro. C’è troppa sofferenza da reggere e certe nostre angustie sono veramente ingiustificabili.
In tantissime occasioni il compianto prof. Banchetti con garbo, ma anche con grande rigore ci richiamava in tal senso.
Una tematica collaterale andrebbe messa a fuoco: trattasi delle attività formative gestite dall’IRIFOR.
Forse sarebbe opportuno un ripensamento generale del ruolo pur positivo svolto: si ha l’impressione di una mancanza di linee guida, ovviamente per nostri limiti di individuazione di percorsi formativi non troppo polverizzati. Se ne fossimo capaci, eviteremmo interventi a pioggia che non fruttano grandi benefici.
Nel campo lavorativo si è riscontrato un ostacolo insormontabile nell’attuazione del Decreto Salvi, con difficoltà di inserimento specialmente per le nuove professioni e, addirittura, la mancanza di una regolamentazione in materia.
L’attenzione agli orientamenti, agli strumenti e alle tempistiche comunitari sollecita improrogabilmente la strutturazione di gruppi di esperti nella materia in grado di rigorosa progettualità.
Patrimonio: come gestirlo al meglio?
Il patrimonio eventualmente utilizzabile deve rispondere al rispetto delle finalità del donante, anche per evitare contenziosi visto che è sotto la vigilanza del Ministero degli Interni.
Occorre valutare la fondatezza dell’emergenza e le responsabilità degli organi direttivi delle sezioni nello sperpero del patrimonio che, spesso discende dallo scadere dell’attività associativa.
Risulta opportuno migliorare le interne tecnologie ed ottimizzarle per conseguire una maggiore efficienza associativa.
A tale riguardo è opportuno uniformare gli atti amministrativi e realizzare un modello univoco delle deliberazioni attraverso una buona strutturazione delle procedure.
Alcuni aspetti del sistema elettorale andrebbero rivisti e occorrerebbe anche per le votazioni congressuali e nazionali potersi organizzare in liste di candidati.
Alcune imperfezioni linguistiche dello Statuto associativo andrebbero modificate per ridurre al minimo la possibilità di capziosità ed operare in un quadro di certezze.
Il presente documento scaturisce dalle numerose iniziative intraprese dalla Puglia che ha coinvolto l’intera base associativa, nonché dall’ultima Assemblea regionale dei Quadri dirigenti della Puglia.

Giuseppe Simone
detto Peppino
Candidato alla Presidenza Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ONLUS