Operatori telefonici non vedenti – Centralizzazione impianto di telefonia – Tutela

Autore: Tommaso Daniele

INPS
Via Ciro il Grande, 21
00144 ROMA

Gent.mi dottori
C.A. Antonio Mastrapasqua
Presidente

C.A. Mauro Nori
Direttore Generale

C.A. Ciro Toma
Direttore Centrale Risorse Umane

Egregi signori,

siamo venuti a conoscenza che è in atto presso codesto spettabile Istituto un processo di de-territorializzazione degli impianti telefonici, con l'avviamento di una centralizzazione di sistema su ROMA che svincolerà nei prossimi mesi la fruizione dei servizi di comunicazione dalla dislocazione geografica delle Vostre sedi periferiche.
Naturalmente, come Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, associazione storica che tutela e rappresenta i diritti dei non vedenti in forza di legge e per statuto associativo (ex DLCPS 1047/1947, art. 115 del D.P.R. 24.7.1977, attuato dal DPR 23.12.1978 e confermato da art. 4, comma 6, della legge 12.3.1999, n. 68), siamo oltremodo preoccupati per le future prospettive di lavoro dei nostri centralinisti telefonici non vedenti, assunti da codesto Istituto ai sensi della legge n. 113/1985 e in servizio su tutto il territorio nazionale.
Si coglie l'occasione per rammentare che, nel rispetto della autonomia organizzativa che ogni datore di lavoro ha in materia di gestione del personale e sua collocazione secondo le mansioni attribuite, anche i centralinisti non vedenti, opportunamente aggiornati alla luce del progresso tecnologico nel campo della telefonia, possono essere riconvertiti a professionalità superiori (gestione di comunicazioni inbound e outbound, utilizzo di data base, assistenza ai servizi di telemarketing e telesoccorso, di cui al decreto ministeriale 10 gennaio 2000, in applicazione dell'art. 45, comma 12, della legge n. 144/1999), senza, al contempo, penalizzare le aspettative di chi li ha assunti.
La riqualificazione dei centralinisti non vedenti tiene a rispettare il fondamentale presupposto di legge per il collocamento obbligatorio ai sensi della legge n. 68/1999 e, contestualmente, dà un forte segnale di fiducia per un modello vincente, dove il lavoratore disabile sia protagonista di un processo di implementazione continua.
 Nel rispetto che nutriamo per le attività lavorative dei centralinisti non vedenti particolarmente usuranti, ma soprattutto nella consapevolezza della grave congiuntura economica che il Paese sta attraversando, la certezza dell'impegno a investire sulle risorse umane del personale non vedente sarebbe una testimonianza eloquente della Vostra sensibilità nei confronti delle categorie più svantaggiate in chiave di integrazione socio-lavorativa.
La riconoscenza sarebbe ancora maggiore se si valutassero le Vostre intenzioni non solo in funzione del collocamento "mirato", bensì come espressione di un adeguamento "mirato" dei posti di lavoro al fine di individuare delle linee guida da standardizzare per sviluppare aggiornate professionalità per una strategia di comunicazione in e outbound, tra gli occupati centralinisti non vedenti ed uno sbocco per i giovani in cerca di una prima occupazione.
Ciò considerando, tenuto conto che per i ciechi e gli ipovedenti il lavoro costituisce un insostituibile mezzo di integrazione sociale, ci fa piacere rammentare in questa sede l'autorevole intervento del Ministro Brunetta che va a convalidare d'autorità una linea interpretativa per la quale la categoria protetta dei disabili è meritevole di tutela "… in quanto rientrante tra le fasce deboli della popolazione, …. attesa l'esigenza di assicurare in maniera permanente l'inclusione al lavoro dei soggetti beneficiari della normativa di riferimento".
Contiamo di intraprendere con Voi questa condivisione di idealità e di impegno morale e civile, per rendere sempre più proficuo, razionale ed efficiente il rispetto dei diritti e degli interessi dei lavoratori minorati della vista.
Da parte nostra, presenti con le nostre strutture centrale su ROMA e territoriali in ogni provincia d'Italia, c'è la più ampia disponibilità ad una sinergica collaborazione.

L'occasione è gradita per inviare distinti saluti.

IL PRESIDENTE NAZIONALE
Prof. Tommaso Daniele

 

Beni Culturali: “Conversazioni d’arte: Dimore, castelli e palazzi d’Italia – Rocche e castelli tra Malatesta e Montefeltro”

Autore: Tommaso Daniele

I settori Informazione e Comunicazione, Stampa Sonora e Libro Parlato, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale – Servizio II – Centro per i Servizi Educativi del Museo e del Territorio, nell'ambito del nuovo ciclo di trasmissioni on-line sul tema: "Conversazioni d'arte: Dimore, castelli e palazzi d'Italia", organizzano per giovedì 21 giugno, con inizio alle ore 15,00 e termine alle ore 17,30, un incontro dal titolo "Rocche e castelli tra Malatesta e Montefeltro".
Di scena, questa volta, le fasi e le trasformazioni di due tra le più note roccaforti d'Italia: la Rocca di Gradara nelle Marche e quella di San Leo in Emilia Romagna, le quali offriranno l'occasione per raccontare la storia di uomini, condottieri, nobili casate, re, santi ed illustri prigionieri.
Il racconto a ritroso degli sviluppi architettonici della Rocca di Gradara, dai restauri scenografici degli anni Venti curati da Umberto Zanvettori fino agli interventi nel XIII secolo che determinarono la trasformazione dell'originario mastio in fortezza ed avamposto militare dei Malatesta, lascerà spazio anche alla rievocazione della tragica vicenda di Paolo e Francesca, tradizionalmente legata alla rocca, a cui Dante Alighieri dedica i celebri versi del V canto dell'Inferno.
Alla Rocca di San Leo sarà dedicata, invece, la seconda parte della trasmissione. La rocca, sorta sulle pendici di un imprendibile masso, originariamente chiamato Mons Feretrius, da cui il nome di Montefeltro dato all'antica regione, è anch'essa legata ad innumerevoli personaggi storici: da  San Leone dalmata al re longobardo Berengario II, da Ottone di Germania a Federico da Montefeltro, per concludere con le vicende di alcuni tra i prigionieri illustri rinchiusi nelle carceri del castello per volere dello Stato Pontificio, tra cui spiccano quelle legate all'oscura e controversa figura del Conte di Cagliostro.
La trasmissione sarà condotta da Luisa Bartolucci.
Parteciperanno, tra gli altri:
Maria Rosaria Valazzi – Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici delle Marche;
Alessandro Marchi – Storico dell'Arte e Direttore della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici delle Marche;
Tiziana Bertuccioli – Assistente ai Servizi Educativi ed Accoglienza della Rocca Demaniale di Gradara;
Paolo Ottaviani – Assistente ai Servizi Educativi ed Accoglienza della Rocca Demaniale di Gradara.
Inoltre, sul tema più specifico dell'accessibilità ai contenuti del patrimonio culturale da parte delle persone con disabilità visiva ed in particolare sulle proposte del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, interverrà il responsabile del Servizio Educativo della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Luca Fedeli. Alla trasmissione parteciperà infine Elisabetta Borgia del Centro per i Servizi Educativi del Museo e del Territorio del Servizio II della Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale.
Al termine della puntata verranno fornite informazioni utili sugli eventi in corso  e su  una serie di  percorsi e iniziative culturali interessanti per persone con disabilità visiva.
Gli ascoltatori potranno scegliere diverse modalità di intervento: tramite telefono contattando durante la diretta il numero 06.69988353 o inviando e-mail, anche nei giorni precedenti la trasmissione, all'indirizzo diretta@uiciechi.it  o -ancora- compilando l'apposito form della rubrica "Parla con l'Unione".
Per collegarsi sarà sufficiente digitare la seguente stringa: http://www.uiciechi.it/radio/radio.asp.
 Il contenuto delle trasmissioni  potrà essere riascoltato sul sito di S'ed on line all'indirizzo www.sed.beniculturali.it, sul sito della Direzione Generale per la Valorizzazione www.valorizzazione.beniculturali.it, sul sito dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti all'indirizzo www.uiciechi.it/ArchivioMultimediale nonché in podcast tramite il nuovo portale giornale.uici.it.
 

Servizio Civile: Il Ministro Andrea Riccardi: reperiti nuovi fondi per il Servizio Civile Nazionale

Autore: (tratto dal sito www.serviziocivile.gov.it)

L'intervento del Ministro Andrea Riccardi nell'incontro tenuto con i giornalisti il 12 giugno 2012 presso la sala monumentale di Largo Chigi.
In questi mesi di Governo ho avuto modo di conoscere da vicino la realtà del Servizio Civile Nazionale e debbo dire che mi ha positivamente sorpreso: in un'epoca segnata spesso dall'interesse e dal profitto, il Servizio Civile rappresenta un'isola di gratuità e di altruismo.
Il Servizio Civile Nazionale si realizza attraverso l'impegno dei giovani tra i 18 ed i 28 anni in progetti mirati a salvaguardare il rapporto tra le istituzioni ed i cittadini e a favorire la realizzazione dei principi costituzionali della solidarietà (art. 2 Cost.), dell'uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), del progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.), a promuovere lo sviluppo della cultura e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione (art. 9 Cost.) e la pace tra i popoli (art. 11 Cost.).
In questi dieci anni di vita il servizio civile ha coinvolto 284.596 giovani impegnati nella realizzazione di progetti in diversi settori (assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, e servizio civile all'estero) favorendo la solidarietà e la coesione sociale. Il Servizio civile ha coinvolto oltre 14.000 enti pubblici e privati, iscritti a vario titolo all'Albo nazionale e agli Albi delle Regioni e delle Province autonome, che da un lato si pongono come punto di riferimento delle singole realtà e dall'altro tessono la tela dei
legami delle comunità con particolare riferimento a quelli tra i cittadini e le Istituzioni.
Il valore educativo del Servizio Civile Nazionale porta i giovani a sperimentare e praticare con maggior consapevolezza la cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici.
L'azione dei giovani volontari apporta importanti benefici alle categorie più svantaggiate dei cittadini (portatori di handicap, immigrati, bambini difficili, malati terminali,ecc.) e al patrimonio pubblico (beni culturali e ambientali, protezione civile, promozione dei diritti e della pace).
Questo che considero un bene prezioso per la Repubblica e per la collettività è stato sul punto di scomparire a causa dei tagli apportati al Fondo del Servizio Civile Nazionale dalla legge di stabilità del 2011.
Gli effetti dei predetti tagli già si sono fatti sentire in modo rilevante, costringendo allo scaglionamento delle partenze del bando 2011e rendendo impossibile la presentazione dei progetti per l'anno 2012.
Il rischio che abbiamo corso è stato quello di chiudere il Servizio Civile Nazionale.
Di fronte a questo quadro, nei mesi addietro ho cercato di sensibilizzare i colleghi del Governo sul problema, ma tutti conosciamo la situazione economica e finanziaria in cui versa il Paese, estremamente critica e grave.
Tuttavia non mi sono arreso, non mi sembrava e non mi sembra giusto chiudere una esperienza pionieristica in Europa e un'istituzione che lo Stato, purtroppo parco di interventi in questo senso, dedica in via esclusiva ai nostri giovani.
Dopo un'attenta e faticosa ricognizione nell'ambito del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nei capitoli di mia competenza, siamo riusciti a reperire le risorse finanziarie aggiuntive per il Servizio Civile Nazionale per un importo pari a 50 milioni di euro a valere sull'esercizio finanziario 2012.
Queste nuove risorse serviranno a stabilizzare il servizio civile nel biennio 2013 – 2014, come d'altra parte auspicato dalla Consulta Nazionale per il Servizio Civile nella seduta del 6 giugno 2012.
Le proiezioni effettuate dall'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile hanno quantificato in 18.810 unità i volontari che è possibile avviare al servizio, di cui 450 all'estero , per ciascun anno del biennio considerato.
Inoltre, ho chiesto ufficialmente al MEF, tramite l'Ufficio nazionale, di integrare la dotazione finanziaria del Fondo nazionale per il servizio civile fino a 120 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2013 – 2015.
Il reperimento di questi fondi ha rappresentato stato uno sforzo finanziario notevole, che costringerà altri settori affidati alle mie competenze a duri sacrifici. Ma credo ne valesse la pena.
Ho sempre considerato il servizio civile una priorità della mia azione di governo.

Servizio Civile: Riunione della Consulta Nazionale per il Servizio Civile del 6 giugno 2012 – sintesi degli argomenti trattati

Autore: (tratto dal sito www.serviziocivile.gov.it)

Il giorno 6 giugno 2012 si è tenuta, presso la sede dell'Ufficio Nazionale, Via Sicilia, 194, la riunione della Consulta Nazionale per il Servizio Civile con il seguente ordine del giorno:
1) Lettura e approvazione verbale seduta precedente;
2) Comunicazioni del Presidente della Consulta;
3) Comunicazioni del Capo dell'Ufficio Nazionale;
4) Linee guida per la formazione generale: conclusione esame e espressione di parere;
5) Deposito progetti per bando giovani 2013;
6) Varie ed eventuali.
Verificata la regolarità della seduta, i lavori sono iniziati con l'approvazione, senza osservazioni,
del verbale della seduta del 29 marzo 2012.
Con riferimento al secondo punto all'ordine del giorno, il Presidente della Consulta ha effettuato comunicazioni in ordine ai seguenti argomenti:
Le numerose iniziative di sensibilizzazione e mobilitazione, fra cui Padova, Roma, Firenze, alle
quali ha partecipato in qualità di Presidente;
Tre atti normativi in itinere che possono avere ripercussioni sul servizio • civile nazionale:
– Riforma in materia di lavoro;
– Decreto legge di riorganizzazione del Dipartimento della Protezione Civile con particolare riferimento al meccanismo di reperimento delle risorse;
– Provvedimento di riorganizzazione degli Uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
– La nomina della nuova rappresentante dei volontari di scn all'estero;
Relazione sull'attività della Consulta in vista della sua prossima scadenza;
• Problematiche emerse per progetti all'estero;
Equiparazione tra servizio civile nazionale e servizio militare volontario in ordine
all'accesso ai concorsi pubblici.

Per quanto attiene le comunicazioni da parte del Capo dell'Ufficio Nazionale, di cui al punto 3),
esse hanno riguardato:
– Circolare sulla partecipazione dei volontari nelle zone colpite dal terremoto;
– La partecipazione all'evento del 2 giugno e la visita, in accettazione dell'invito della
CNESC, ad una sede di attuazione di un progetto dei Salesiani;
– Problematiche relative ai visti per l'accesso ai paesi esteri;
– Emendamento per cancellare l'UNSC dall'elenco degli enti da cui attingere risorse da parte della Protezione civile in caso di calamità;
– La proposta di regolamento che prevede il rimborso delle spese sostenute dai rappresentanti dei volontari per la partecipazione ad eventi che riguardano il servizio civile;
– Disponibilità di fondi 2012 per il servizio civile nazionale (30-50 ML di euro) da attingere dalle risorse del bilancio del Ministero della Cooperazione Internazionale e l'Integrazione da impegnare per le partenze del 2013-14. Tale disponibilità non cancella la richiesta di ripristino di fondi fino a 120 milioni di euro per il prossimo triennio.
Alle comunicazioni è seguito un dibattito sui vari argomenti. In particolare i presenti esprimono soddisfazione per il reperimento dei fondi da parte del Ministro e al contempo preoccupazione per la proposta di riorganizzazione della PCM che prevede l'accorpamento dell'UNSC al Dipartimento della gioventù. I membri della Consulta ritengono che la proposta, così come concepita, snaturi l'identità del Servizio Civile Nazionale. A questo proposito l'assemblea dà incarico al Presidente di predisporre una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro Riccardi con cui rappresentare il disaccordo su tale ipotesi.
Riguardo il punto 4) all'ordine del giorno si propone ai presenti il testo modificato sulla base degli emendamenti accettati tra quelli pervenuti.
In relazione al punto 5) all'ordine del giorno l'Ufficio, tenendo conto della problematica segnalata da alcuni enti che hanno avvii a Settembre e Ottobre, propone che il periodo per il prossimo deposito progetti sia dal 1 Settembre al 31 Ottobre 2012, modificando un precedente orientamento;
Infine, nell'ambito dell'ultimo punto all'ordine del giorno, l'Ufficio propone il rinvio dei termini delle norme di differimento contenute nella circolare 17 giugno 2009 in materia di accreditamento, con esclusione dei termini previsti per l'adozione della firma digitale e della PEC.
La Consulta Nazionale per il Servizio Civile durante la seduta ha espresso il parere sui seguenti argomenti:
1) Determinazione Direttoriale che prevede il rimborso ai Rappresentanti Nazionali dei volontari di SCN delle spese sostenute in occasione della loro partecipazione ad eventi che riguardano il Servizio Civile: favorevole unanimità;
2) Testo relativo alle Linee guida per la formazione generale (5 favorevoli, 3 astenuti);
3) Termini per l'entrata in vigore delle linee guida per la formazione generale dai progetti presentati nel 2013: favorevole unanimità;
4) Termini per la presentazione dei progetti 2012 (1 settembre- 31 ottobre 2012): favorevole unanimità;
5) Dilazione entrata in vigore alcune disposizioni della circolare 17 giugno 2009 in materia di accreditamento: 5 favorevoli, 3 astenuti.

La Segreteria della Consulta Nazionale per il Servizio Civile

Istruzione: Decreto direttoriale 16 aprile 2012, n. 7, “Corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero. Anno scolastico 2012/2013”

Autore: a cura del MIUR

Chiarimenti e rassicurazioni sui corsi di sostegno
Nelle ultime settimane alcuni siti hanno diffuso notizie allarmanti sulle conseguenze del Decreto direttoriale n. 7 del 16 aprile 2012, a firma del Direttore generale del personale scolastico, che istituisce i corsi, facoltativi e gratuiti, destinati al personale scolastico in esubero, per acquisire il titolo di docente specializzato per le attività di sostegno.
Si accredita l'ipotesi che i suddetti corsi possano togliere posti ai docenti già specializzati di ruolo o precari in   servizio sul sostegno e che questa certezza avrebbe poi indotto il MIUR a ritardarne e sospenderne l'attuazione.

Sembra opportuno smentire entrambe le previsioni. Il corso inizierà nei prossimi giorni in ossequio ad un preciso impegno contrattuale di riconversione del personale docente stabilizzato in esubero rispetto ai posti di organico.
Il continuo incremento dei posti di sostegno, registrato negli ultimi anni, farebbe escludere ripercussioni negative sulle assunzioni del personale precario nel prossimo anno scolastico.

IMU per nuclei familiari con persone disabili – Lettera dell’ANCI

Gentile Presidente,

l'ANCI avverte la disabilità come uno dei temi più meritevoli di tutela sociale ed economica, che vede i Comuni fortemente esposti in quanto istituzioni di prossimità a diretto contato con i cittadini. Siamo convinti che le famiglie al cui interno vi sia un componente che soffre di gravi handicap, debbano essere considerate tra i principali destinatari agevolazioni, anche sotto il profilo fiscale.

Devo però farLe presente che il noto impegno del Governo tradotto anche in un Ordine del giorno approvato a larghissima maggioranza dalla Camera dei Deputati mirante a "prevedere esenzioni per persone con disabilità per gli anni 2012 e 2013 e con risorse a valere sul gettito spettante allo Stato, e la riduzione del 50%, e fino alla completa concorrenza, dell'imposta municipale propria sulla prima abitazione per ciascun figlio disabile grave non autosufficiente", non si è finora concretizzato in norma di legge, così ponendo a carico esclusivo dei Comuni la responsabilità di scelte agevolativi.

Come saprà, la riserva statale su una parte consistente del gettito dell'IMU e la compensazione del maggior gettito di spettanza dei Comuni rispetto all'ICI, attraverso corrispondenti riduzioni delle assegnazioni statali, fanno sì che nonostante l'aggravio di prelievo dovuto alla disciplina dell'IMU, le risorse comunali non subiranno alcun aumento in corrispondenza della disciplina di base del nuovo tributo, anzi sono stati previsti ulteriori e pesanti tagli anche per il 2012.

Tuttavia, già con la disciplina ICI, molti Comuni avevano previsto nei propri regolamenti un trattamento agevolato per i casi di disagio sociale, tra i quali la presenza di disabili nel nucleo familiare. Pertanto, confidiamo che tali interventi siano riconfermati, nonostante la grave crisi finanziaria che investe le risorse comunali,

Per parte mia e dell'ANCI, Le assicuro l'impegno per sensibilizzare i Comuni sul tema, oltre che per proporre modifiche della legislazione nel senso anche da Lei auspicato.

Cordiali saluti.

IL PRESIDENTE DELL'ANCI – Graziano Delrio

 

 

 

 

Ausili e Autonomia: Un dito che può abbattere una barriera

Autore: Pino Bilotti

Vogliamo sottoporre all'attenzione l'ennesimo caso in cui la difesa di un interesse particolare viene a scontrarsi con un diritto dei cittadini, quello alla fruizione della cultura, sancito da ogni carta dei diritti fondamentali che sia essa nazionale o internazionale. 
Questo nuovo limite si sta affacciando in modo dirompente e devastante nel mondo delle   innovazioni tecnologiche perché nascono e si prolificano i terminali informatici con il sistema Touch screen.
Cosi scrivevo circa un anno fa, quando arrivavano le prime informazioni sui nuovi  sistemi di cellulari senza tastiera.
Oggi, devo  fare un passo indietro e disconoscere ciò che avevo annunciato, come persona che utilizza  i nuovi sistemi dell'Apple e posso affermare che sono  davvero accessibili.
Allora la paura, tanto decantata, della preclusione all'informazione, ci faceva partire dal percorso di definizione dei diritti di accesso delle persone disabili nei diversi
contesti della vita sociale,  realizzato nel corso degli ultimi decenni,  sottolineando l'accesso alla comunicazione.
Un superamento delle barriere comunicative che è venuto progressivamente a definirsi, ponendosi al centro dell'attenzione comune. Allora facciamo un po' di ragguaglio sulla normativa:
In primo luogo, già la Legge n. 104/1992, nelle proprie finalità di garantire il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona con disabilità e di promuovere la sua piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e
nella società, contiene disposizioni relative ai diritti di accesso alla comunicazione e all'informazione, quali ad esempio:

la previsione, l'inserimento e l'integrazione sociale della persona con disabilità si realizzano, tra l'altro, mediante provvedimenti che rendono effettivi il diritto all'informazione, il diritto allo studio della persona con disabilità, con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato, docente e non docente;

si adeguino le attrezzature e il personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali; assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e l'organizzazione di trasporti specifici; (art. 8);

le misure orientate a facilitare, in occasione di consultazioni elettorali, l'effettivo esercizio del diritto di voto (art. 29);
La Legge n. 4/2004, relativa a "Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici", tra le proprie finalità:

riconoscere la tutela e il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici; in particolare, la tutela e garantisce il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'art. 3 della Costituzione.
Nell'ambito della pluriennale attività delle Nazioni Unite per l'affermazione e il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, le Regole Standard, emanate nel 1993, contengono principi di riferimento orientati in particolare alla questione dell'accessibilità sia all'ambiente fisico e architettonico sia all'informazione e alla comunicazione; a quest'ultimo riguardo, si afferma tra l'altro l'impegno degli Stati a:

studiare strategie per costruire servizi d'informazione e di documentazione accessibili a tutte le persone con diverse tipologie di disabilità;

incoraggiare i media a rendere accessibili i propri servizi;

assicurare che i sistemi computerizzati di informazione di servizio offerti alla generalità dei cittadini siano resi accessibili o adattati anche alle persone con disabilità.
Anche in ambito comunitario, infine, la questione dell'accesso alla comunicazione delle persone con disabilità è stata affrontata in numerosi documenti comunitari, dalla Risoluzione del Consiglio dei Ministri del 20.12.1996 sull'uguaglianza di opportunità per le persone disabili all'approvazione dell'art.13 del Trattato di Amsterdam del 1997 che ha fissato il principio di non-discriminazione, fino alla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue del 2000 che riafferma con forza i principi di "non discriminazione" ( Cap.III, art. 21) e di "inserimento dei disabili" attraverso "misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità" (Cap.III, art. 26) e alla Dichiarazione di Madrid del marzo 2002, che rappresenta il manifesto culturale e politico di riferimento.
Nel quadro delle sfide comuni poste alla Comunità europea, si rileva anche l'impegno:
garantire che i cambiamenti tecnologici si traducano in un miglioramento del tenore e delle condizioni di vita a vantaggio dell'intero tessuto sociale;

provvedere che le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione costituiscano un'opportunità da cui trarre pienamente profitto non allargando il divario fra le persone che hanno accesso alle nuove conoscenze e quelle che ne sono escluse;
utilizzare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione per ridurre l'esclusione sociale favorendo l'accesso di tutti alla società dei saperi;

provvedere all'attuazione effettiva della normativa comunitaria in materia di lotta contro tutte le discriminazioni fondate su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali, sviluppando gli scambi di esperienze e di buone prassi per rafforzare tali politiche;
infine, anche l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nella Direttiva generale in materia di qualità e carte dei servizi di telecomunicazioni adottata con la delibera n. 179/03, ha evidenziato l'esigenza che gli organismi di telecomunicazione indichino agli utenti eventuali misure atte a favorire ogni forma di fruizione differenziata, per realizzare condizioni di parità di accesso ed eguaglianza d'uso dei servizi di telecomunicazioni ai disabili ed agli anziani, nonché per favorire l'eliminazione delle barriere alla comunicazione.
B) Comunicazione e servizi
Le misure proposte per il superamento delle barriere comunicative si applicheranno in relazione sia al modello della comunicazione adottata sia alla tipologia dei servizi erogati.  In particolare andranno differenziate le modalità di comunicazione diretta che consentono alla persona con  difficoltà di comunicare direttamente con l'erogatore dei servizi, in autonomia o con supporto di strumenti tecnologici, da quelle di comunicazione assistita dove la persona con  impedimento comunica con l'ausilio di un operatore che funge da "mediatore comunicativo".
Dopo questa carrellata di normative che tutelano l'accesso alla cultura dell'informazione  per le persone con difficoltà e che a volte si scontra con la difesa di un interesse particolare delle aziende che vogliono diventare sempre più tecnologicamente avanzate a discapito di chi porta una difficoltà,    possiamo rilevare  che tale  innovazione è un'enorme ostacolo  per l'informazione e che può superarsi solo e soltanto applicando la legittima condivisione di percorsi nella ricerca come ha prodotto un'azienda leader come l'Apple.
In questo modo  il diritto dei cittadini alla conoscenza,  grazie all'informazione e alla cultura, sancito da ogni carta dei diritti fondamentali che sia essa nazionale o internazionale viene superato.
Pertanto, il nuovo ostacolo che annunciavamo  come barriera si pone sulla strada  dell'emancipazione, facendo diventare  la nuova tecnologia  lo strumento e il produttore di  cultura  al servizio dei non vedenti, il Touch screen.
Certamente  ancora oggi presenta alcune difficoltà,  ma con la voce di "Silvia" e la rapidità di gestione di tutte le operazioni,  le cose si semplificano e si aprono ulteriori porte di apprendimenti.
Indiscutibilmente i limiti di operatività esistono ma con un po' di formazione e la voglia di mettersi in raffronto con le moderne tecnologie si superano le difficoltà, aprendo così nuove porte per i non vedenti e le nuove generazioni.
Strumentazioni sempre più veloci e interconnesse ci permetteranno di essere informati e dinamici, guidando sulle strade della tecnologia le informazioni. Abbattendo così quei limiti che avevo annunciato di preclusione alla cultura e oggi , come utente di queste macchine infernali, posso affermare che non  era come avevo annunciato, dando ragione alla tecnologia interattiva del Touch screen.

Pino Bilotti

Istruzione: scolarizzazione e integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità visiva

Autore: Luciano Paschetta

 

 

Riflessioni e proposte per superare un "modello mai nato"

Permettetemi di riprendere, a beneficio di quanti non avessero letto il mio precedente articolo "Storia di un modello mai nato", (Corriere dei ciechi n.2/2012) alcune considerazioni quale premessa per le successive riflessioni.

La riconquista di un "diritto negato"
Il processo di scolarizzazione dei disabili visivi, diventato "istituzionale"  a partire dalla riforma Gentile del 1923,  evidenzia come  esso si sia realizzato  attraverso l'integrazione  "ante litteram" dei giovani  non vedenti.
La frequenza delle scuole speciali,  presenti negli istituti per ciechi, era infatti limitata al primo ciclo della scuola elementare (allora fino alla terza), mentre dalla quarta elementare i ragazzi proseguivano gli studi prima nelle scuole elementari prossime all'istituto, poi nelle scuole medie della città   e così   fino al termine delle superiori. Il loro inserimento   nelle scuole "comuni",  frequentate con successo da centinaia di giovani disabili visivi, non prevedeva alcun insegnante di sostegno. Solo nel 1963, con l'avvento della scuola media unica, i ragazzi con disabilità visiva, a causa di una interpretazione surrettizia della legge, si trovarono "obbligati" a frequentare la nuova scuola media   unica speciale, nata dalla trasformazione delle preesistenti scuole speciali di avviamento professionale  annesse agli istituti per ciechi.
Fu questo un "momento buio" del  processo di scolarizzazione dei ragazzi con disabilità    visiva, un momento che , senza alcuna motivazione pedagogica, sancì  la "ghettizzazione" dell'insegnamento ai minorati della vista.
Una delle cause  di questa involuzione è da ricercarsi anche nella progressiva perdita di prestigio , quale centro di ricerca tiflopedagogica,  del'istituto Romagnoli  di Roma. Senza più il suo fondatore , il grande AUgusto Romagnoli prematuramente scomparso nel 1948, esso diventava sempre meno capace di continuare ad essere il punto di riferimento per sensibilizzare i "circoli culturali"  e gli intellettuali sulle tematiche  dell'educazione e dell'integrazione sociale dei disabili visivi e, chiudendosi sempre più in sé stesso e diventando sempre più autoreferenziale, via, via, si  emarginava  dal movimento di rinnovamento culturale e scientifico della psicopedagogia  che  , in quegli  anni,  caratterizzava le università italiane.
Quando all'inizio degli anni '70 si avviò nella scuola e nella società italiana, quel grande movimento innovatore che ha nel principio dell'integrazione  sociale dei diversamente abili uno dei suoi aspetti più significativi, alcuni genitori di disabili visivi, affiancati da un gruppo minoritario di psicopedagogisti non vedenti si rifiutarono di iscrivere i loro figli alle scuole speciali , avviando così la battaglia per la "riconquista" del diritto all'integrazione. Diritto   che verrà riconosciuto con la legge 360 del 1976, un anno prima della legge che sancirà il diritto all'integrazione nella scuola dell'obbligo per  tutti i disabili: la legge 517 del 1977.
Battaglia vinta quindi: il "diritto negato" era stato nuovamente riconosciuto, purtroppo ciò è vero solo in parte: il diritto all'integrazione riconquistato sul piano giuridico avrebbe avuto bisogno per la sua corretta realizzazione di essere accompagnato dalla necessaria riflessione pedagogica sugli aspetti peculiari che avrebbero dovuto caratterizzare il modello organizzativo di inclusione dei disabili visivi.

La novità del modello di integrazione: il docente di sostegno
Purtroppo però,  L'inserimento nella scuola  di tutti,  avvenuto contro il parere e al di fuori  della volontà dell'intellighenzia ufficiale" dei disabili visivi, rappresentata  in quegli  anni dalla potente "Federazione delle istituzioni pro ciechi "e dalla maggioranza dell'Unione italiana ciechi, non potrà essere supportato dalle necessarie indicazioni psicopedagogiche, in quanto la stragrande maggioranza degli insegnanti specializzati e degli "esperti" di tiflopedagogia, rifugiata nel l"Aventino" dei loro istituti,  rifiuta ogni collaborazione al processo di integrazione che vede come "il diavolo  vede l'acqua santa".
Parimenti, mentre l'istituto Romagnoli, arroccato nella sua "torre d'avorio" delle competenze tiflopedagogiche  continua  denigrare l'inserimento scolastico e a formare nella omonima "scuola di metodo" educatori nell'ottica della istituzionalizzazione, nelle università italiane si vengono definendo metodologie innovative e didattiche inclusive, ma questo quasi sempre nell'ignoranza delle tematiche tiflologiche e delle specifiche esigenze dei disabili visivi, per le quali non vi è esperienza, né riflessione da parte della comunità scientifica.
E' in questo contesto che si viene definendo il "modello" di integrazione che avrà nel docente di sostegno l'elemento di novità sul quale "imperniare" il processo diinclusione.
Sull'onda di questa innovazione anche ai disabili visivi inseriti nelle scuole elementari e medie viene assegnato  il sostegno e quando nel 1988 , la sentenza 215 , aprirà le porte delle scuole superiori a tutti i disabili, i ciechi e gli ipovedenti, che  da sempre  e fino ad allora avevano frequentato autonomamente,  si vedono affiancare il docente di sostegno,  che, spesso,   è privo delle necessarie competenze specifiche.

Un modello organizzativo "estraneo" ai bisogni derivanti dalla disabilità visiva
Il modello  organizzativo di inclusione che si è  venuto consolidando è "indifferenziato"  in rapporto alle tipologie di disabilità, e  si è "modellato" ed evoluto principalmente in riferimento ai bisogni   della tipologia di disabilità   che risulta essere di gran lunga maggioritaria, strutturandosi  in relazione alle indicazioni della conseguente riflessione psicopedagogica che su questa si è sviluppata: la disabilità intellettiva con ritardo  di apprendimento.
Oltre a ciò, nel tempo, assistiamo sempre più spesso a comportamenti difformi da quanto stabilito dalla legge 517. Essa, definendo nel rapporto 1 a 4   il tempo di impiego e 'assegnazione alla classe" del docente di sostegno, ne prospettava il ruolo quale "mediatore" tra i bisogni  del disabile,  il consiglio di classe ed i compagni, con  una funzione di  stimolo del contesto a cogliere  e saper leggere i bisogni del disabile  e ad attivarsi per fornire le risposte idonee al suo apprendimento.
Essendo  la tipologia di handicap di gran lunga maggioritaria  quella  riconducibile alla disabilità intellettiva    con conseguente ritardo  e/o disturbi , più o meno gravi, di apprendimento,   il modello organizzativo  che si è venuto affermando è quello funzionale ai bisogni  relativi,   che trovano  risposta negli insegnamenti  e nella didattica differenziati con valutazione riferita agli obiettivi  personalizzati del PEI, più o meno indipendenti  (spesso addirittura estranei) dagli obiettivi comuni della classe. Il modello   organizzativo nel tempo si è allontanato sempre più  dalla  impostazione  prevista dalla legge  che, rispondendo al corretto concetto di inclusione,  voleva il docente di sostegno assegnato alla classe  a supporto (non in sostituzione) dei docenti curriculari . Questi, invece,  viene sempre più spesso considerato come docente "esclusivo"  del   e per il bambino disabile  ed a lui viene delegata la responsabilità    del suo apprendimento e del processo di integrazione. Il consiglio di classe , viene assumendo  un ruolo  sempre più estraneo al percorso educativo   del bambino disabile:  la stesura del PEI   , la definizione degli obiettivi didattici  e disciplinari  , (sovente slegati dal contesto degli obiettivi della classe e quasi mai veramente definiti e misurabili), la responsabilità  e la valutazione del loro raggiungimento sono affidati , quasi esclusivamente, all'opera del docente di sostegno.
E' in questo contesto educativo    che il suo numero di ore   viene interpretato  dai genitori ( e dai giudici quando chiamati a decidere) come "l'indicatore di riferimento"   a garanzia del successo   formativo  e del processo di integrazione. 
I giudici , chiamati in causa dalle famiglie che ricorrono contro lo scarso numero di ore di sostegno assegnate al loro "bambino" , riconoscono  in caso di grave disabilità la necessità del rapporto 1 a 1 , ed in alcuni casi anche di più.
Per comprendere quanto sia distorta questa interpretazione  pedagogica prima e "giuridica"  poi della  funzione del docente di sostegno,   basta pensare che essa si fonda sulla  determinazione del numero di ore da assegnare, non su una valutazione della complessità   del lavoro didattico , né del tempo occorrente per svolgere il lavoro didattico   necessario al raggiungimento degli obiettivi educativi  definiti nel P.E.I., ma quasi unicamente su una valutazione "socio-sanitaria", quando non assistenziale,  della disabilità che si fonda sulla gravità della minorazione indicata nella diagnosi.

Considerazioni sul  "modello mai nato"
Purtroppo questa distorsione  in negativo del modello organizzativo   di integrazione , non essendo mai nato un modello elaborato nello specifico per favorire l'inclusione dei nostri ragazzi,coinvolge anche i disabili visivi, prevedendo sempre l'assegnazione del docente di sostegno, ed inoltre, essendo la cecità assoluta considerata minorazione grave, ai genitori, che scontenti dei risultati dell'integrazione  del figlio fanno ricorso, il giudice assegna il  massimo delle ore di sostegno.
E' però necessario chiedersi se sia   lo scarso numero di ore di sostegno la vera causa dell'insuccesso scolastico : noi siamo certi di  no, se, come abbiamo ricordato, in tempi non lontani, i ragazzi ,dalla scuola media in avanti, frequentavano con successo le comuni scuole senza bisogno del docente di sostegno.
Per questo  è importante cercare di comprendere se, anche nella scuola di oggi dove i disabili visivi spesso fanno fatica ad apprendere ed a stare al passo con i compagni, non possa essere preso in considerazione un modello di integrazione non fondato sul docente di sostegno.
La prima considerazione emerge da quanto detto fin qui:  il  modello organizzativo di inclusione che si è consolidato in questi anni facendo  riferimento principalmente ai bisogni  derivanti dalla disabilità intellettiva e dal ritardo di apprendimento, tende a generalizzare il presupposto che l'alunno con disabilità (a prescindere dalla tipologia)  non riesca a raggiungere gli obiettivi comuni, ma necessiti di un piano educativo individualizzato e, conseguentemente, di un docente di sostegno. 
Anche per questo, il modello di inclusione si è "incardinato" sempre   più sul rapporto tra  alunno e docente di sostegno  ,  e  , delegando a quest'ultimo  le responsabilità dell'apprendimento, tende a  escludere gli insegnanti   curriculari dal loro ruolo di docenti nei confronti del ragazzo disabile e, interponendosi tra loro, ne  ostacola anche la comprensione delle modalità di "comunicazione e relazione".
La tendenza a riferire la disabilità al ritardo di apprendimento fa spesso dimenticare che il  ragazzo con disabilità visiva,  è dotato di normali capacità di apprendimento e è assolutamente in grado, se dotato dei giusti strumenti, di seguire con profitto le lezioni e di partecipare al lavoro didattico comune.
La presenza di un docente di sostegno, quasi sempre  con poche  (se non nulle)competenze in  tiflopedagogia e con vaga conoscenza degli strumenti  tiflotecnici e dei sussidi tiflodidattici,  non sapendo educare l'alunno  all'autonomia personale , né  essere capace  a predisporgli i materiali didattici necessari a permettergli di seguire con profitto le lezioni del docente curriculare, fornendo a quest'ultimo le informazioni necessarie per una corretta relazione con lui, anziché "facilitare" il processo di integrazione , ne diventa un ostacolo: egli si è "sovrapposto" al disabile visivo  nel rapporto con compagni e docenti ,  gli ha impedito di "crescere"  e di diventare autonomo nel suo operare quotidiano : non è difficile incontrare ragazzi di scuola media  e/o superiore che non possiedono un metodo di letto/scrittura diretta) , che non sono capaci di muoversi autonomamente all'interno dell'aula e della  scuola  e che, negli intervalli se ne stanno in un angolo con il docente di sostegno.
Per  questi soggetti poco servirà ricorrere al giudice per aumentare il numero delle ore di sostegno per garantirne il successo formativo.
Abbiamo accennato alla generale scarsa competenza specifica dei docenti di sostegno: è questa  una delle cause principali dell'insuccesso scolastico  e della mancata inclusione dei disabili visivi. Egli , se  non competente, non può svolgere un ruolo attivo di mediatore  tra i bisogni del ragazzo ed i docenti di classe, né può stimolare l'ambiente  a comprendere le modalità di relazione positiva con il disabile visivo e ne diventa  di fatto la "balia" . Con il suo atteggiamento protettivo ostacola, anziché favorire, lo  sviluppo delle sue autonomie personali, di movimento e di lavoro.
Sul piano della formazione  dei docenti , forse anche per esorcizzare lo spettro delle scuole speciali,  si  è  voluto per comodità   imboccare la  strada della "polivalenza",   quale unica  modalità formativa idonea a garantire il successo dell'inclusione, ma , anche in questo caso, via , via abbiamo assistito alla progressiva eliminazione degli insegnamenti specifici: a partire     dal 1995 con il D. M.  226  prima e presso le S.I.S.  dopo, fino ad arrivare al decreto 249 del 2011 di prossima attuazione, gli insegnamenti specifici sono quasi  (se non del tutto) scomparsi, con conseguente aumento degli insuccessi scolastici e dei percorsi di integrazione.

Un bisogno di specificità
A questo punto mi si dirà  che sono il solido  pedagogista cieco che rivendica gli insegnamenti tiflopedagogici specifici, dimenticando che il cieco  disabile visivo è prima un bambino poi un non vedente, che l'educazione  si rivolge allo sviluppo della persona e non può focalizzarsi sulla minorazione ,  per arrivare a dire che solo i ciechi ed i sordi, storicamente hanno avuto un percorso specifico, mentre tutti gli altri  disabili   sono stati sempre accomunati, e così via.
La formazione polivalente , ossia una informazione generale che, stante le sempre meno ore degli attuali percorsi formativi di specializzazione, rischia di diventare generica, sarebbe  utile ai docenti curriculari perché potessero farsi carico, così come dovrebbe essere, dell'insegnamento ai disabili inseriti nelle loro classi,  ma è assolutamente inutile per quel ruolo  di "mediatore"  di cui abbiamo accennato sopra, che dovrebbe svolgere il docente di sostegno.
I sostenitori ad oltranza della polivalenza   ci "accusano"  di "retroguardia" dicendoci che solo i disabili sensoriali hanno avuto  nel tempo percorsi formativi specifici,  quasi questo  , sia stato un errore del passato, da non ripetere e, soprattutto, da non rivendicare perché , diversamente, bisognerebbe dare risposta anche alle richieste di specificità provenienti dalle organizzazioni  di genitori dei ragazzi down, autistici dislessici, ecc.
 Senza voler entrare , in questa sede,  più nel merito del problema, mi limito a ricordare che  costoro sembrano   ignorare i progressi fatti dalle scienze psicologiche e dalle neuroscienze in questi ultimi anni  in merito alle  conoscenze specifiche  alle diverse disabilità intellettive e alle relative modalità di  approccio e di relazione positiva con i  singoli soggetti.
Ignorare  le richieste,   che arrivano dai genitori  di ragazzi con disabilità  visiva, e non solo,  che vedono la mancata "crescita culturale"  dei loro ragazzi, vuol dire non dar retta al "campanello di allarme"   che ci avvisa che questo nostro modello di integrazione , fondato sulla miglior legislazione d'Europa,   ma che spesso non produce gli effetti proclamati, è in pericolo.
Per rimanere  sui problemi dei nostri ragazzi  e delle loro famiglie: attualmente noi abbiamo un insegnante di sostegno che possiede le  conoscenze   generali per sapersi relazionare positivamente con il ragazzo disabile, conoscenze utili a svolgere magari un buon lavoro di "maternage" , ma del tutto inadeguate per svolgere un intervento didattico efficace mirato ad ottenere dal disabile visivo  quanto più possibile sul piano dell'apprendimento e su quello della relazione con l'ambiente. Per chiarire perché l'attuale modello organizzativo sia certamente inadeguato per l'inclusione dei ragazzi con disabilità visiva, mi rifaccio alle mie conoscenze relative alle molte situazioni di scolarizzazione di cui sono a conoscenza.
Al bambino, inserito a scuola, quasi sempre viene assegnato un docente di sostegno che non ha competenze di tiflopedagogia e non conosce i sussidi tiflotecnici e tiflodidattici. Se siamo all'inizio di un ciclo elementare come farà ad apprendere un sistema di letto/scrittura autonomo? Quand'anche il docente si  affrettasse per imparare il braille, saprà capire che il metodo che ah usato lui per impararlo, non è quello che gli servirà per insegnarlo al bambino? Ecc. Quali suggerimenti potrà dare ai docenti curriculari circa l'uso delle immagini e dei colori nel  lavoro didattico?  Come fare ad educarlo all'autonomia di movimento , ad insegnargli ad esplorare l'aula, ad andare ai servizi da solo. Eppure quel ragazzo ha capacità di apprendimento normali, il problema sta solo nel fatto che qualcuno  conosca gli strumenti idonei  per consentirgli di "comunicare" con il contesto. Lasciato senza indicazioni , inevitabilmente , dopo qualche mese egli comincerà ad avere un ritardo di conoscenze, che se non colmato si trasformerà in ritardo di apprendimento,, non perché  egli fosse "incapace", ma perché nessuno ha saputo  fornirgli  gli strumenti   per dargli "pari opportunità"  per  imparare a leggere e scrivere e per " comunicare" con gli altri,  e gli altri con lui, in modo idoneo. Un esempio  per  tutti se il docente di sostegno non conosce il  braille  , il bambino non potrà imparare un modo autonomo di scrittura e di lettura e, necessariamente, non riuscirà a seguire il lavoro didattico della classe e, pian,piano il divario con i compagni aumenterà. I genitori e i docenti della classe , preoccupati, l'anno successivo richiederanno un incremento delle ore di sostegno, il che  farà lievitare la spesa, senza però  migliorare il servizio.
Questa la situazione di molti ragazzi con disabilità visive inseriti nelle nostre scuole e le principali cause del loro disagio   e delle loro difficoltà di apprendimento.

Una risposta concreta
Come si vede per garantire il successo al processo di inclusione dei ragazzi con disabilità visiva, manca un intervento capace di fornire gli elementi conoscitivi specifici al contesto perché possa diventare "accogliente" nei suoi confronti, così da consentirgli "pari opportunità" di accesso e che, nel contempo, sia in grado di fornirgli  tutti gli strumenti  ed i suggerimenti utili  al raggiungimento della sua autonomia personale, di movimento  e nel lavoro didattico.
Si tratta di una figura capace, non tanto di intervento educativo   o didattico ,ma in grado di fornire un supporto "tecnico specifico" rivolto al  disabile ed al "contesto" (docenti curriculari, personale A.T.A. , compagni, ecc), per mettere il non vedente in grado di muoversi ed  orientarsi nell'ambiente, di  comunicare con gli altri e di possedere gli strumenti per un autonomo lavoro didattico e,  contemporaneamente di sensibilizzare gli altri (docenti e compagni) a "sapersi relazionare con lui in modo positivo e a saper leggere" i suoi bisogni di aiuto.
Come spesso avviene nella legislazione italiana non c'è una nuova legge da scrivere, né una nuova figura da inventare, basta  far emergere dal "limbo" e chiedere  la presenza  nella scuola del "assistente/facilitatore" della comunicazione "figura prevista dall'art. 13 comma C della legge 104/92, la sua presenza consentirebbe di ridurre al minimo  le ore del docente di sostegno (se non soprattutto nelle superiori, di eliminarle). Prima, però, occorre, riprendere la norma, per definire  il "profilo" professionale e  il percorso formativo  di questa figura.
L'I.RI.FO.R. con l'Università La Sapienza di Roma  ha cominciato a farlo progettando il primo Master per " Assistente/facilitatore alla comunicazione e all'autonomia personale per disabili sensoriali" che verrà realizzato nell'anno accademico 2012/13.

Luciano Paschetta
Responsabile operativo commissione nazionale istruzione

Anziani: 2012 Anno Europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale

Autore: Rodolfo Cattani

Evoluzione Demografica e Coesione Sociale

Una delle sfide più significative del ventunesimo secolo in Europa è promuovere una società per tutte le età, in cui ogni persona sia messa in condizione di partecipare attivamente e di avere uguali diritti e opportunità in tutte le fasi della vita, senza riguardo alla condizione e posizione sociale, al genere, alla razza o appartenenza etnica, alla religione o alle convinzioni personali, all'età, alla disabilità e all'orientamento sessuale.
Uno dei fenomeni più eclatanti dell'attuale contesto sociale è indubbiamente il trend demografico verso una società che invecchia e la conseguente necessità di riequilibrare gran parte della struttura stessa della nostra società, non solo a livello dell'unione Europea, ma anche in rapporto alla situazione demografica globale, che presenta differenze rilevanti.
L'"Anno Europeo dell'Invecchiamento attivo e della Solidarietà intergenerazionale", proclamato dall'Unione Europea per il 2012, intende coagulare tutte le forze attive e propulsive attorno a un progetto ambizioso che si propone di costruire un'Unione Europea per tutti e per tutte le età entro il 2020.

Gli Obbiettivi

 

Gli obbiettivi più importanti dell'iniziativa sono:
– promuovere l'invecchiamento attivo nel mondo del lavoro;
– prolungare la partecipazione alla vita sociale;
– promuovere una vita sana e autonoma per tutti;
– rafforzare la solidarietà  tra le generazioni.

Sotto la pressione della persistente crisi economica e sociale, che si aggiunge all'invecchiamento della popolazione, i decisori politici nazionali ed europei, così come le altre parti interessate, devono trovare soluzioni innovative per evitare che questo fondamentale parametro sfugga al controllo. Per comprendere la portata del fenomeno basta tener presente che il numero degli ultrasessantacinquenni è destinato a passare da 85 milioni nel 2008 a 151 milioni nel 2060 e quello degli ultraottantenni da 22 a 61 milioni nello stesso periodo.

 

Soluzioni Sostenibili

In realtà, è nell'interesse di tutti promuovere l'invecchiamento attivo e in buona salute e trovare soluzioni sostenibili per tutte le generazioni, il che, peraltro, è compito dei pubblici amministratori a tutti i livelli.

Di là dagli slogan, ciò si può ottenere regolando i processi legislativi e orientando i programmi di finanziamento. Tutte le istituzioni coinvolte dovrebbero adottare una strategia europea coerente in grado di attuare gli obbiettivi prefissati dalla strategia Europa 2020 per realizzare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.
Questa nuova strategia dovrebbe produrre delle sinergie tra i programmi politici e quelli di finanziamento dell'UE e di altre aree economiche interessate a puntare sull'Euro.
Una società  sicura, capace di mediare e controllare le tensioni tra i suoi componenti può realizzare un network europeo volto a promuovere un ambiente adatto ai bisogni di tutte le fasce d'età e un patto istituzionale trasversale per sostenere gli attori locali, regionali e nazionali che intendono promuovere l'invecchiamento attivo e la solidarietà intergenerazionale.

 

Impegno e coinvolgimento.

 

I presupposti della coesione sociale delle generazioni sono un sistema di protezione adeguato, giusto e sostenibile e un ambiente inclusivo e senza barriere.
E' fin troppo evidente che un programma di tale portata richiede da un lato un forte impegno istituzionale e dall'altro il coinvolgimento della società civile, cioè dei cittadini e delle loro organizzazioni rappresentative. Ben consapevoli di  ciò, diverse organizzazioni europee hanno formato una coalizione informale per garantire che l'iniziativa non sia velleitaria e puramente mediatica. A tal fine è stato redatto il "Manifesto dell'Unione Europea per tutte le età entro il 2020", in cui sono enunciati gli obbiettivi da conseguire e le modalità  per farlo.

Le organizzazioni partner concordano che la realizzazione di una società per tutte le età richiede che i responsabili politici e le altre parti coinvolte lavorino di concerto per dar vita a forme di organizzazione sociale tali da garantire un futuro equo e sostenibile per tutte le generazioni. In tal senso, l'attuale cambiamento demografico può rivelarsi un'importante opportunità per promuovere la solidarietà tra  le generazioni e la partecipazione attiva delle stesse.

Il Percorso

A tal fine bisogna garantire:
– un atteggiamento positivo nei confronti dell'invecchiamento, riconoscendo a tutte le generazioni la propria identità e il proprio ruolo sociale;
– un mercato del lavoro inclusivo che consenta un'equa retribuzione ai lavoratori giovani e maturi, comprese le persone disabili o svantaggiate; che sostenga l'apprendimento intergenerazionale e permetta ai lavoratori di rimanere in salute e di conciliare lavoro e vita privata;
– infrastrutture accessibili che favoriscano l'autonomia delle persone e la loro durevole   partecipazione alla vita sociale, stimolando gli scambi intergenerazionali;
– l'accesso alla formazione continua e l'apprendimento intergenerazionale a qualsiasi età;
– beni e servizi su misura per le esigenze di tutti;
– una politica che faciliti a tutti la fruizione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
– possibilità di far valere le proprie esigenze nei processi decisionali e della ricerca degli strumenti più appropriati;
– l'opportunità di partecipare ad attività di volontariato, culturali, sportive e ricreative, mantenendo o creando le proprie relazioni, acquisendo nuove conoscenze, prendendosi cura della propria realizzazione personale e del proprio benessere;
– sistemi di sicurezza sociale basati sulla solidarietà intra- e intergenerazionale per prevenire e combattere la povertà, assicurare agli anziani un reddito adeguato, sistemi pensionistici sostenibili per la generazione attuale e quelle future e garantire l'accesso a servizi sociali e sanitari di qualità nell'arco dell'intera vita;
– condizioni e opportunità per crescere e invecchiare in buona salute fisica e mentale, prevenendo le malattie, incentivando l'attività fisica, l'educazione alla salute e al benessere, nonché un'azione diretta sui determinanti dell'invecchiamento in salute.

      Un contesto problematico

Purtroppo, questo "Anno Europeo" si celebra in un contesto politico, economico e sociale di gravissima crisi che minaccia di sconvolgere dalle fondamenta la struttura stessa della società che avrebbe dovuto essere la punta più avanzata delle nuova economia di mercato foriera di benessere, sviluppo e pari opportunità per tutti.
La realtà quotidiana di mezzo miliardo di cittadini europei contrasta drammaticamente con gli slogan mediatici altisonanti e a dir poco utopistici di questa, come di altre simili iniziative. Nella maggior parte degli stati membri dell'UE la sicurezza sociale per molti anziani, soprattutto quelli non autosufficienti, è ormai un ricordo del passato, le pensioni sono insufficienti a garantire una vita dignitosa o addirittura inesistenti per le nuove generazioni.  La disoccupazione dilaga, la povertà è in aumento, il tessuto produttivo non riesce più a creare ricchezza se non per una ristretta cerchia di superprivilegiati. La classe politica non riesce a dare risposte efficaci e l'innovazione è affidata al caso più che alla ricerca.
L'opinione pubblica, già tiepida nei confronti dell'Unione Europea, è sempre meno convinta della sua utilità,  attanagliata com'è dall'asprezza della crisi economica, politica ed etica. Ci vuole molto ottimismo per credere al messaggio che giunge da una dimensione quasi aliena, priva di concreti riscontri nella vita dei suoi destinatari.

Tuttavia la società civile non si arrende e si batte per coglie il buono dell'iniziativa, per non lasciar cadere l'ideale che è stato ed è la forza che ha finora impedito la disgregazione dell'Unione, quella che Jeremy Rifkin ha definito magnificamente "Il sogno Europeo". Siamo tutti chiamati a difenderlo e a farlo vivere per il bene nostro e delle generazioni future.

 

Beni culturali: Dal 15 giugno il Museo Omero alla Mole

Autore: Aldo Grassini

Grande attesa per l'inaugurazione della mostra "in_limine. Sulla soglia del nuovo Museo Omero", venerdì 15 giugno alle ore 17.00 alla Mole Vanvitelliana, che segna il primo passo verso il trasferimento del nostro Museo.
De Chirico, Pomodoro, Consagra, Martini, Marini, Messina, sono solo alcuni degli autori rappresentati nella mostra: inedite opere per Ancona, ultime acquisizioni del Museo.
Queste e altre opere autentiche già in collezione dialogheranno con il titanismo dei capolavori michelangioleschi.
Ultimi giorni dunque per visitare la sede del Museo Omero in via Tiziano, che sarà chiusa al pubblico dal 16 giugno. L'intera collezione sarà nuovamente fruibile a partire da settembre alla mole Vanvitelliana.
Orario mostra in_limine:
da martedì a venerdì dalle ore 17.00 alle ore 20.00.
Sabato e domenica dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 20.00
Mattino apertura su prenotazione per gruppi.
Ogni giovedì, dal 19 luglio al 23 agosto, apertura straordinaria fino alle 24 per la Rassegna Sensi d'estate: percorsi multisensoriali di Arte, Musica, Degustazioni XI edizione
Chiusura: lunedì, 15 agosto.
Ingresso gratuito.
Visita guidata e/o bendata: 7,00 euro a persona (dai 12 anni). Ridotto per gruppi/famiglie (da 4 a 60 persone): 3,50 euro a persona.

Gratuito: non vedenti, ipovedenti, diversamente abili e loro accompagnatori, bambini da 0 a 12 anni.

Prenotazione: obbligatoria per visite guidate e/animate.

Informazioni:
Museo Tattile Statale Omero

Tel. 071.2811935,

Fax 071.2818358,

E-mail info@museoomero.it

Web www.museoomero.it;

Sito vocale 800 20 22 20.