Domenica 10 aprile 2016, ACEA Maratona di Roma
Sono anni che, nell’ambito di qualsiasi esperienza didattica, non si fa altro che parlare di formazione, declinando il concetto nelle svariate forme ad essa correlate. Sono così proliferate le “attività formative”, i “corsi di formazione” e, come corollario di tutto questo ginepraio di definizioni, le cosiddette “giornate formative” che, ahimè troppo spesso si limitano ad interminabili ore passate ad assistere a lezioni frontali e ben poco interattive. La giornata trascorsa oggi a Roma in occasione della maratona cittadina da me, in qualità di studente di fisioterapia presso l’Università degli Studi di Firenze, da altri colleghi studenti del medesimo corso ma presso l’Università La Sapienza di Roma, coadiuvati dal professor Alfio Pulvirenti, motore e anima della giornata nonché referente per l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti presso l’AIFI (Associazione Italiana Fisioterapisti), ha rappresentato ciò che dovrebbe essere un’autentica e fruttuosa giornata formativa. Vorrei articolare la mia riflessione su tre aspetti principali: l’apprendimento attraverso la pratica, l’inclusione e la gratificazione.
Per quanto concerne il primo aspetto, non posso fare a meno di notare come io sia riuscito, grazie all’infinita pazienza e dedizione, e alle sapienti ed esperte mani dei massofisioterapisti Michele ed Elena, rispettivamente ipo e non vedente, ad apprendere e a mettere in pratica, con discreta semplicità, le tecniche di massaggio essenziali ai fini del lavoro di defaticamento muscolare che avremmo dovuto portare avanti nel corso di tutta la giornata; tecniche delle quali, nell’ambito della mia formazione universitaria da studente di primo anno, non avevo neanche sentito parlare. La riflessione che ne ho tratto è che spesso si impara più in un giorno passato ad operare sul campo che in giorni e giorni di lezioni frontali di stampo accademico e che, il ruolo di fisioterapisti aventi la stessa mia disabilità o simile, risulti di fondamentale importanza per la crescita professionale degli studenti.
La giornata in questione è stata inoltre un grande esempio di ciò che è insito in un’altra parola troppo spesso abusata nel nostro linguaggio quotidiano, ovvero l’inclusione. In un meccanismo pressoché perfetto di sinergia e di scambio reciproco di esperienze, sui lettini dell’area a noi riservata si alternavano atleti provenienti da ogni parte del mondo, terapisti non vedenti e ipovedenti e studenti disabili e non. Straordinaria l’opportunità anche per gli studenti vedenti di apprendere le tecniche di massaggio mostrate loro da Michele ed Elena, la dimostrazione lampante che, se messi nelle condizioni di poter comunicare efficacemente, i nostri mondi tendono naturalmente a fondersi e ad integrarsi reciprocamente.
Riguardo all’ultimo punto devo ammettere che non avrei mai creduto che un sorriso o un semplice grazie, da parte di una persona stremata da ore di attività fisica, dopo un trattamento di soli cinque minuti potesse gratificarmi tanto; era come se quella parola avesse il potere balsamico di cancellare la stanchezza di ore passate stando in piedi, il caldo o la fatica. Credo che è proprio da quel semplice grazie che mi sento di ispirarmi, perché credo racchiuda il più profondo ed autentico senso della professione che, in un futuro spero non troppo lontano, avrò l’onore di svolgere.
Jacopo Lilli