Una bussola per orientarsi- La legge 104 del 1992 e il quadro dei diritti dei disabili e dei loro familiari -seconda parte-, di Paolo Colombo

Autore: Paolo Colombo

Rubrica per genitori

Eccoci al secondo appuntamento con l’avv. Paolo Colombo-responsabile del Centro di Documentazione Giuridica e componente della Direzione Nazionale dell’UICI-che ci aiuterà a conoscere e comprendere quanto è previsto dalla legge 104/1992 (Legge-quadro per l’assistenza , l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) in tema di permessi lavorativi spettanti ai genitori di minori con disabilità.

Dopo il compimento del terzo anno e sino al compimento del diciottesimo anno di vita del bambino la madre lavoratrice o, in alternativa, il padre (che deve produrre al datore di lavoro entro 10 giorni una dichiarazione da cui risulta la rinuncia parziale o totale della madre a tale diritto), anche in caso di adozione, hanno diritto per l’assistenza di figlio disabile (ovvero anche parenti o affini entro il secondo grado, -in precedenza per norma introdotta dalla legge 183/210 entro il terzo grado- qualora i genitori siano anch’essi affetti da patologia invalidanti o siano deceduti o mancanti. D.lgs. 119/ l’art. 33 della legge 104/92 el’art. 33 del d.lgs. 151/2001), in situazione di gravità accertata dai competenti organi (2) e non ricoverati (nel ricovero sono compresi i ricoveri ospedalieri o in strutture adibite all’accoglimento degli handicappati seppur come centro riabilitativo diurno – vedi messaggi INPS 228 e 256 del 4 gennaio 2006), a tre giorni di permesso al mese (4), anche frazionati a mezza giornata o a ore sino al massimo delle 18 ore mensili (messaggio INPS 15995/2007), cumulativamente (l’alternatività non influenza il numero complessivo massimo dei giorni e di ore di permesso fruibili al mese). In successivo messaggio (INPS n.16866/2007) viene precisato che, fermo restando il diritto a tre giorni al mese di assenza 2011 che modifica indipendentemente dall’orario giornaliero o settimanale, il limite delle 18 ore opera per coloro che hanno un debito orario di 36 ore alla settimana in 6 giorni lavorativi. Pertanto in caso di differente distribuzione oraria del debito orario settimanale ovvero di orario normale di lavoro settimanale eccedente o inferiore alle 36 ore, la quantificazione del massimale orario mensile di permessi orari fruibili mensilmente verrà così determinato: orario normale di lavoro settimanale diviso il numero dei giorni lavorativi settimanali moltiplicato 3.
I tempi di utilizzo dei tre giorni di permesso mensile, anche frazionati a mezza giornata o a ore, che spettano di diritto in base alla legge 104/92, non rientrano nella discrezionalità del datore di lavoro, ma vengono scelti dall’avente diritto secondo le proprie necessità. L’indicazione dei giorni durante i quali si intende fruire dei permessi deve, di norma, essere comunicata in tempo utile per consentire di provvedere alla sostituzione e all’organizzazione del lavoro, a meno che il permesso non venga richiesto per improvvise ne sopravvenute necessità connesse alla disabilità. In tal caso la comunicazione va fatta prima dell’inizio del servizio.
Infatti, se da un lato la scelta dei giorni di fruizione dei permessi mensili deve contemperare la necessità di buon andamento dell’attività imprenditoriale e il diritto all’assistenza del disabile, dall’altro canto va tenuto presente che le esigenze di tutela del disabile prevalgono sempre sulle necessità dell’impresa in caso di improcrastinabili richieste di assistenza
Ministero del Lavoro – Interpello n. 31 del 6 luglio 2010
Se il ricovero viene interrotto per garantire delle visite specialistiche o delle terapie da effettuarsi all’esterno della casa di riposo ovvero presso strutture adeguate all’assistenza sanitaria o riabilitativa, tale ipotesi non può essere ricondotta alla previsione di cui all’art 33 e precisamente – non ricoverato in istituti specializzati a tempo pieno -. Infatti nella circostanza, in cui il disabile debba recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare delle visite e/o delle terapie si interrompe il requisito del tempo pieno del ricovero e si determina il necessario affidamento del disabile all’assistenza del familiare il quale, ricorrendone gli altri presupposti di legge, avrà diritto alla fruizione dei permessi (interpello Ministero del Lavoro 20 febbraio 2009 numero 13 e messaggio INPS 28 maggio 2010 numero 14480), ovviamente con la documentazione rilasciata dalla struttura che attesti le visite e/o le terapie effettuate.
Ricordiamo che la circolare INPS numero 155 al punto 3 prevede in ottemperanza a quanto previsto all’articolo 24 delle legge 183/2010 altre eccezioni:
ricovero a tempo pieno di un disabile in situazione di gravità in stato vegetativo persistente e/o con prognosi infausta a breve termine;
ricovero a tempo pieno di un minore con disabilità in situazione di gravità per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un famigliare, ipotesi peraltro già prevista per i bambini fino a 3 anni di età (circolare INPS numero 90 del 23 maggio 2007 al punto 7).
Con l’interpretazione dell’art. 33, comma 3 della legge 104/1992 e dell’art. 20 legge 53/2000, nell’ipotesi in cui un solo lavoratore presti assistenza a più individui portatori di handicap, il limite dei tre giorni mensili di congedo parentale previsti dalla legge 104/92 riguarda ciascun singolo individuo portatore di handicap, e pertanto il lavoratore che assiste più disabili può cumulare i giorni di permesso riconosciuti per ogni singolo portatore di handicap in situazione di gravità e non ricoverato a tempo pieno con prestazioni disgiunte (si intende per prestazione -disgiunta- quando la prestazione di due o più soggetti portatori di handicap può essere assicurata solo con modalità e in tempi diversi). In particolare, in precedenza, prima della circolare INPS numero 90/2007, i permessi disgiunti erano possibili solo se le cure erano contemporaneamente esclusivee continue per ciascun soggetto (5).
L’articolo 24 commi 2 e 3 della legge 183/2010 avrebbe attenuato l’importanza dei requisiti di -esclusività- e di -continuità- quali presupposti essenziali ai fini della concessione dei benefici per l’assistenza al disabile in situazione di gravità. Infatti per l’abrogazione parziale dell’articolo 20 comma 1 della legge 53/2000 i requisiti della continuità e della esclusività verrebbero meno.
Ne conseguirebbe che i permessi ex lege 104/1992 spetterebbero anche a chi, come nel caso di residenza in una località diversa, non si possa dimostrare la continuità della assistenza in quanto residente in comune diverso da quello dell’assistito.
Tuttavia secondo la circolare Brunetta (Dipartimento Funzione Pubblica circolare 13 del 6 dicembre 2010) sarebbe meglio tipizzato il concetto di esclusività dell’assistenza con la regola che i permessi possono essere accordati, salvo la previsione espressa di alcune eccezioni, ad un unico lavoratore (referente unico).
In casi di speciale gravità dell’handicap, qualora il dirigente del Centro medico legale ravvisi la effettiva necessità del bambino a cure che non possono essere garantite durante le sole ore dell’allattamento, è possibile cumulare i permessi orari ex lege 104/92 e i riposi orari per allattamento come da DLgs 151/01 per lo stesso figlio portatore di handicap (messaggio INPS n. 11784).
Secondo la Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro (Interpello numero 41 del 15 maggio 2009) i permessi lavorativi ex art. 33 della Legge n. 104/1992 non spetterebbero ai tutori o amministratori di sostegno di persone con handicap in situazione di gravità.
I permessi sono coperti in base all’ articolo 19 lettera a) della legge 53/2000 da contribuzione figurativa (6).
In caso di contratto a part-time verticale, il numero dei giorni di permesso spettanti va proporzionalmente ridotto.
I permessi sono retribuiti e danno diritto alla maturazione dell’anzianità di servizio, ma non facevano maturare né le ferie e né la tredicesima (Informativa INPDAP numero 30/03). Con decorrenza 29 agosto 2003, data di entrata in vigore del decreto legislativo 216/2003 che introduce condizioni di maggior favore in base all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo numero 151/01 i permessi dal lavoro, mensili e orari, per l’assistenza a famigliari disabili non dovrebbero più decurtare né le ferie, né la tredicesima mensilità (Ministero del lavoro parere protocollo n. 15/0001920/04 poi sospeso e sottoposto al vaglio dell’Ufficio legislativo per l’impatto che ne potrebbe derivare).
La circolare numero 208 dell’8 marzo 2005 del Dipartimento della funzione pubblica-Ufficio per il personale della pubblica amministrazione, supportata dal parere favorevole dell’Avvocatura generale dello Stato (parere numero 142615 del 2 novembre 2004) precisa che la tredicesima mensilità dei dipendenti pubblici non subisce decurtazioni o riduzioni per il fatto di aver usufruito dei permessi previsti dalla legge per assistere i portatori di handicap all’ articolo 33 commi 2 e 3 della legge 104/92 (7). La lettera circolare del Ministero del lavoro 2 febbraio 2006, facendo riferimento al parere n. 3389/2005 emesso dalla sezione seconda del Consiglio di Stato ribadisce che non soggette a decurtazione le ferie e la tredicesima mensilità quando i riposi e i permessi previsti dall’art. 42 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 non sono cumulati con il congedo parentale.
Sono utili ai fini del trattamento di quiescenza, non sono invece valutabili né ai fini del trattamento di fine servizio (indennità premio di servizio ed indennità di buonuscita) né del TFR (Circolare n. 11 del 12 marzo 2001 della Direzione Centrale Prestazioni Previdenziali).

Casi particolari:
LAVORO NOTTURNO
Per l’art.17 della legge 5 febbraio 1999 numero 25 il lavoro notturno non deve essere obbligatoriamente prestato dalla lavoratrice o dal lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile.
TRASFORMAZIONE DEL CONTRATTO DI LAVORO
La legge di riforma del Welfare al comma 44 punto d) 3 prevede che il lavoratore o la lavoratrice convivente di età non superiore ai 13 anni o con figlio convivente con handicap come da articolo 3 della legge 104/1992 abbia la priorità nella richiesta di trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
SCELTA DELLA SEDE DI LAVORO
Il genitore che assiste con continuità un figlio disabile ha diritto (art. 33 della legge 5 febbraio 1992 n. 104) a scegliere -ove possibile- la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso.
Inoltre da tenere presente che qualora un lavoratore pubblico con una situazione familiare già esistente che dà diritto ai permessi “ex lege” n. 104/1992, accetti un posto di lavoro fuori dalla propria sede e, di conseguenza, venga lì trasferito, non può poi rivendicare, in via prioritaria, il trasferimento nella vecchia sede per assistere il familiare handicappato (Cassazione sentenza numero 23526 del 2 novembre 2006).
Va inoltre tenuto presente (Tar Lazio sentenza 8639/2005) che la norma che prevede il diritto del parente di un disabile alla scelta della sede di lavoro, non contempla il diritto al trasferimento in corso di rapporto di lavoro ai fini dell’avvicinamento al famigliare bisognoso di assistenza. Il criterio ispiratore della decisione di accordare o meno il beneficio del trasferimento è quello di tutelare le situazioni di assistenza già esistenti, mentre esigenze successivamente insorte a causa della sopravvenienza di uno stato di disabilità non possono trovare soddisfazione in virtù dell’applicazione della previsione legislativa all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92. In particolare, la concessione del beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 non può in alcun caso prescindere dal riscontro di una già esistente situazione di assistenza continuativa ovvero dall’attualità dell’assistenza, sicché non può essere concesso ai dipendenti che, non assistendo con continuità un familiare, aspirino al trasferimento proprio al fine di poter instaurare detto rapporto di assistenza continuativa.
Il diritto del genitore o del familiare lavoratore che assiste con continuità un handicappato, di scegliere la sede lavorativa più vicino al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso, non si configura come un diritto assoluto o illimitato perché detto diritto non può essere fatto valere allorquando, alla stregua della regola di un equo bilanciamento tra i diritti, tutti con rilevanza costituzionale, il suo esercizio finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive o organizzative del datore di lavoro e per tradursi, soprattutto nei casi in cui si sia in presenza di rapporti di lavoro pubblico, con l’interesse della collettività.
Cassazione Civile Sez.Unite numero 7845 del 27 marzo 2008
E’illegittimo il trasferimento del lavoratore che assiste un familiare portatore di handicap anche non grave, qualora l’azienda non abbia prodotto alcun motivo che, in un bilanciamento degli interessi, possa giustificare la perdita di cure da parte del soggetto debole.
In particolare, il diritto del lavoratore a non essere trasferito ad altra sede lavorativa senza il suo consenso (articolo 33 comma 5 della legge 104/92) non può subire limitazioni anche allorquando la disabilità del familiare non si configuri come grave risultando la sua inamovibilità – nei termini in cui si configuri come espressione del diritto all’assistenza del familiare comunque disabile – giustificata dalla cura e dall’assistenza da parte del lavoratore al familiare con lui convivente, sempre che non risultino provate da parte del datore di lavoro – a fronte della natura e del grado di infermità (psico-fisica) del familiare – specifiche esigenza datoriali che, in un equilibrato bilanciamento tra interessi, risultino effettive, urgenti e comunque insuscettibili di essere diversamente soddisfatte.
Corte di Cassazione sez. Lavoro – Sentenza numero 9201 del 7 giugno 2012
L’articolo 24 della legge 183/2010 prevede ora che il lavoratore ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina non più al domicilio del lavoratore che presta assistenza, ma al domicilio della persona da assistere.

Avv. Paolo Colombo
Responsabile Centro di Documentazione Giuridica “G. Fucà”
cdg@uiciechi.it