Una bussola per orientarsi- Imparare e insegnare a fare facendo, di Angelo Fiocco (terza e ultima parte)

Autore: Angelo Fiocco

(terza e ultima parte)
Eccoci al terzo ed ultimo appuntamento con il dott. Angelo Fiocco-tiflologo e Presidente dell’Istituto per Ciechi L. Configliachi di Padova-che ci accompagnerà ancora una volta nel mondo dei sensi vicarianti, suggerendoci qualche utile strategia per favorire nei bambini con disabilità visiva lo sviluppo e l’utilizzo delle risorse insite nel patrimonio genetico dell’essere umano, al fine di imparare a conoscere l’ambiente che li circonda.
Chi ha testato le facoltà percettive in suo possesso seguendo le indicazioni proposte (ma anche sperimentando altri accorgimenti se li ha trovati, dato che esse non hanno alcuna pretesa di unicità), forse si starà domandando quali strategie adottare per sollecitare convenientemente il piccolo che non vede a identificare le proprie, a consolidarle e a divenirne padrone. Siccome temo le risposte concluse e conclusive, le soluzioni “prêt à porter” e i tecnicismi spacciati per certezze, provo a formulare in modo conciso alcune proposte operative maturate grazie alle osservazioni compiute sul campo e condivise da un gruppo di educatori, genitori e bambini ciechi oggi cresciuti che nel Veneto si confronta da anni.
E’ indispensabile offrire al piccolo occasioni di percepire che ci risultino essere gratificanti per lui, tenendo presente che:
– tali sono state in genere le sue esperienze prima di venire alla luce;
– benché bisognoso di tutte le cure e le attenzioni dovutegli in quanto individuo in fase di adattamento alla vita, già alla nascita egli è in grado di operare discriminazioni funzionali al proprio sé (allattiamolo prematuramente col biberon anziché al seno, o diamogli un succhiotto diverso dall’abituale e sentiremo che musica!…);
– quello che gli studiosi definiscono “campo percettivo” non è costituito da una somma indefinita di elementi sensoriali, bensì da oggetti ed eventi che rivestono per il singolo valori soggettivi importanti;
– ogni azione che compiamo nei suoi riguardi – ciò vale per tutti i bambini – è portatrice di messaggi aventi funzione educativa; sta perciò a noi far sì che tali azioni concorrano alla costruzione sia della sua personalità, sia delle abilità necessarie ad esorcizzare i condizionamenti del deficit.

La compensazione comunicativa e strumentale del contatto visivo con quello uditivo è d’obbligo, essendo quest’ultimo il solo che segnali a chi non vede, anche a distanza, la nostra presenza. Meno immediato rispetto al primo, che può consentire la simultaneità dell’interazione tra due o più soggetti, esso comporta il ricorso alla voce nelle sue svariate sfumature e alle parole, la cui valenza molto dipende dall’intonazione con la quale vengono pronunciate. (Si pensi a titolo esemplificativo ai diversi significati che possiamo attribuire al termine “ancóra” a seconda di come lo articoliamo: incoraggiamento, richiesta di iterazione, stupore, rimprovero, ecc..)
Il contatto fisico è chiamato ad assumere un ruolo che va oltre gli atti legati all’accudimento e alle espressioni appartenenti alla sfera affettiva (coccole, abbracci, contenimento, ecc.). Ad esso, infatti, dovrà essere affidata la maggior parte degli interventi volti a trasmettere il senso e il gusto del fare, quest’ultimo inteso quale atto o insieme di atti finalizzati a raggiungere uno scopo predefinito.
Poiché il deficit visivo totale o grave preclude la possibilità di avvalersi dell’imitazione diretta, all’adulto compete non soltanto proporre al bimbo dei modelli di comportamento che lo stimolino ad appropriarsene e lo orientino verso forme di imitazione differita, ma anche condurlo a scoprire, a comprendere e ad assimilare i gesti che non può replicare imitando. Impugnare, allacciare, indossare, abbottonare, piegare, avvolgere, riempire, capovolgere, sparpagliare, infilare, infilzare, premere, spremere, plasmare sono una minuscola parte delle operazioni il cui apprendimento spontaneo è impedito dall’assenza della vista e che dovranno quindi essere insegnate partendo dalle attività manuali più semplici.
Il riconoscimento degli oggetti e delle forme non può che avvenire tramite l’esplorazione tattile. Normalmente i bambini amano toccare, e toccare è la prima modalità di approccio alla realtà fisica che l’individuo attua deliberatamente per sentirsene parte e, in seguito, adattarla ove possibile alle proprie esigenze. Non essendo però il tatto senso “a distanza”, ad esso sfugge tutto quanto non si trova alla sua portata; pertanto l’adulto, una volta certo che il piccolo reagisce correttamente alle sollecitazioni propostegli, dovrà avere l’accortezza di guidarlo ad esplorare l’oggetto sia posando leggermente le proprie mani sulle sue, sia dandogli suggerimenti verbali riguardo ai movimenti da compiere per individuarne forma e attributi, considerando che le proprietà esplorative del tatto si attivano solo se le mani sono in movimento.
Il traguardo forse più significativo da perseguire durante la prima infanzia è tuttavia rappresentato dalla comprensione dei rapporti tra sé e lo spazio e del loro modificarsi conseguente ai movimenti compiuti, nonché dall’organizzazione dello spazio secondo le proprie necessità: infatti, il bambino privo della vista ne avverte sì l’esistenza, testimoniata dalle sonorità tipiche di ciascun ambiente interno ed esterno, ma non è in condizione di relazionarsi con esso fintantoché culla, box e contenitori simili lo costringono al contatto con le medesime cose, all’inattività e alla noia. Avviare il piccolo all’esplorazione tattile-uditiva quale strumento privilegiato per conoscere l’ambiente e interiorizzarne i dettagli è dunque un passaggio obbligato, ricco di sorprese emozionanti tanto per lui/lei quanto per chi lo guida.
Quando iniziare?
Nei momenti in cui il piccolo non è “contenuto”, osserviamo come reagisce ai nostri richiami e ai segnali che siamo presenti mentre ci avviciniamo o ci allontaniamo: lo capiremo dall’interesse che manifesta con vocalizzazioni probabilmente insolite e dai pochi gesti che, sebbene non ancora opportunamente coordinati, già gli sono usuali per esprimere curiosità e desideri.
Se i suoi primi tentativi di “gattonare” ci paiono troppo faticosi, aiutiamolo per qualche breve tratto accompagnando discretamente con le mani i movimenti ora delle braccia ora delle gambe, come del resto si fa con tutti i cuccioli d’uomo che stanno per avventurarsi alla scoperta del mondo. Ci accorgeremo che non tarderà a ripeterli di sua iniziativa e, procedendo per gradi, potremo invitarlo a raggiungerci attirando la sua attenzione con un giocattolo sonoro che gli è particolarmente gradito e così via.
Allorché avrà acquistato la forza per assumere la stazione eretta lo farà spontaneamente, e di lì a poco prenderà a trotterellare per casa.
D’ora in avanti il suo campo percettivo si amplierà via via che egli andrà affinando la capacità di discriminare gli input sensoriali esterni e la competenza nell’associarne tra loro i riscontri e decodificarli in informazioni plausibili sulla realtà che lo circonda. Si tratta, come dicevo, di operazioni abbastanza congeniali ai disabili visivi, i quali però imparano a servirsene in un arco temporale dilatato. Perché allora non anticipare l’acquisizione di questa competenza, che per lo più rafforza nel bambino la sicurezza di sé e accelera lo sviluppo dei processi cognitivi?
Perché non approfittare dei momenti dedicati al gioco per coinvolgerlo in esperienze di esplorazione tattile-uditiva che lo motivino a conoscere, ad osservare e ad agire?
Potremmo per esempio metterci a ginocchioni o seduti di fronte a lui a distanza ravvicinata e:
– chiedergli di raggiungerci e, in seguito, di indicare con la manina dove siamo;
– tendergli un oggetto riconoscibile al rumore nominandolo, invitarlo a prenderlo e gratificarlo con un “bravissimooo!” quando lo avrà afferrato (rinviare la proposta ad altra occasione qualora stenti a dirigere bene la mano);
– chiedergli di trovare nel cesto dei giochi la palla che suona e di darcela;
– ripetere in un momento diverso il gioco sedendoci al suo fianco e, successivamente, sdraiandoci supini in modo che lui si trovi all’altezza del nostro bacino, affinché colga il cambio di provenienza della nostra voce.
E ancora:
– invitarlo a raggiungerci dopo aver aumentato la distanza che ci separa;
– quando si sarà fatto più agile nel camminare, incitarlo a seguirci, dapprima percorrendo traiettorie diritte, poi variando la direzione, uscendo dalla stanza, senza mai interrompere il contatto uditivo;
– parlargli stando fermi in un angolo della stanza o tra due mobili, così che possa avvertire come le due pareti o lo spazio chiuso su tre lati condizionano il suono della nostra voce;
– fargli quindi prendere il nostro posto e chiamarlo dopo avergli suggerito di rispondere “sono qui”, in modo che senta il suono della sua voce in quella posizione;
– agitare per aria un giocattolo sonoro con l’invito a prenderlo, verificare se tende le manine nella giusta direzione e abbassarlo fino a consentirgli di afferrarlo;
– introduciamolo all’uso delle espressioni topologiche (vicino/lontano, dentro/fuori, sotto/sopra, in basso/in alto e, più tardi, davanti/dietro, destra/sinistra, ecc.), facendogli sperimentare i relativi concetti;
– sulla base dei progressi che andrà compiendo, invitiamolo a dirci la sua posizione rispetto a noi, la nostra rispetto a lui, dove sono la porta e la finestra, dove si trova il suo giocattolo preferito, ecc..
L’obiettivo a lungo termine, da conseguire cioè nell’età compresa tra gli 8 e i 10 anni, è la capacità da parte del bambino di costruire spontaneamente la rappresentazione mentale dei luoghi conosciuti e del tragitto circostanziato da compiere per spostarsi da un ambiente ad un altro, vere e proprie mappe da descrivere verbalmente su richiesta (andare dalla cucina alla camera da letto, dall’ingresso di casa al garage, dal cancello al soggiorno, dall’aula ai servizi igienici, ecc.).

Crescere un figlio che vede può apparire più facile che crescerne uno che non vede, ma quando un giorno questo ci dirà “Ho visto la neve” o “Domani vedrò la nonna” crediamogli, perché vedere è anche un processo mentale, e saremo cresciuti di nuovo pure noi.

Angelo Fiocco
Tiflologo, specializzato nell’insegnamento agli alunni disabili visivi