Ricordi d’infanzia, di Michele Sciacca

Autore: Michele Sciacca

Nel 1949, mia madre acconsentì che io facessi da accompagnatore a un certo Spinella di Macchia di Giarre, che era un uomo privo di vista ma colto e poliglotta. Lo Spinella era padrone di una grossa bottega alimentare gestita dalla moglie e di un grande vigneto di uva bianca e nera da cui ricavava dell’ottimo vino che vendeva ai commercianti di Riposto. Il mio compito era di accompagnarlo nella vigna e al cinema di Giarre. La stradina che conduceva alla vigna presentava numerose piccole buche, che per lui potevano essere molto pericolose. Io vi prestavo molta attenzione e per questo lui, spesso e volentieri, mi lodava. Egli mi chiedeva di aiutarlo a controllare l’operato del massaro e di chi lavorava nella sua vigna. Approfittando della mia innocenza, essi riuscivano ad ottenere doppie quantità di vino e quando m’incontravano per strada, mi facevano una gran festa.
Il signor Spinella era un uomo ambivalente. Due o tre volte la settimana voleva essere accompagnato al cinema di Giarre, nella segreta speranza di potervi incontrare qualcuno disposto a dargli un po’ di confidenza. Egli, perciò mi raccomandava di farlo sedere accanto a giovani di sesso maschile.
Quando non riuscivo a esaudire i suoi desideri, per me erano guai seri.
Non lo erano quando, in certe sere d’estate, ci trovavamo seduti in piazza duomo per ascoltare i concerti della banda musicale di Giarre che, a quel tempo, era una delle più importanti della Sicilia orientale. Essa era composta per lo più da professionisti regolarmente stipendiati. Gli stipendi provenivano dai contributi che gli esercenti Giarresi versavano appositamente ogni mese.
La banda musicale raggiunse il culmine del suo prestigio quando, in un concorso tenutosi a Messina, le fu assegnato il primo premio. In essa suonava un certo Agatino Giunti di Mascali e un certo Striano di Napoli, che era uno dei due signori che di tanto in tanto mi portavano in collegio le vivande di cui necessitavo; egli si trasferì a Roma per lavorare nell’azienda tranviaria, ma, essendo un forte fumatore, lasciò la vita terrena per via di un brutto tumore alla gola.
Anche Mascali, ebbe la sua brava banda musicale. Un giorno un amico mi raccontò che quella banda andò a suonare nel paese di Sant’Alfio in occasione della festa del santo. I musicanti, credendo che i santalfioti fossero ignoranti in campo musicale, cominciarono a suonare a modo loro, cioè in modo “stonato”, ma i santalfioti meno ignoranti, se ne accorsero.
Si armarono di bastone e ci furono botte per tutti i musicanti che rapidamente si diedero alla fuga cercando scampo nelle campagne vicine.
Rimasi alle dipendenze del signor Spinella per più di un anno. Egli mi offrì la possibilità di poter mangiare a volontà uva, melograni, datteri, carne, pesci e dolci e i miei chili aumentarono in modo spropositato.
In quel periodo ebbi modo di vedere sua figlia intendersela con il maestro di pianoforte e la moglie amoreggiare con il barbiere dello stesso Spinella. Il mangiar bene, l’andar spesso nella vigna e al cinema mi inducevano a rimanere nonostante il richiamo continuo della mia famiglia.
Essendo alle dipendenze della famiglia Spinella, dovevo dormire nella loro abitazione.
Il mio letto si trovava in una stanzetta del primo piano.
Di notte, riposavo tranquillo ed il mattino mi alzavo abbastanza presto: mi lavavo, mi vestivo e poi mi affacciavo dal balcone che dava sul cortile interno.
Sulla ringhiera si erano arrampicati tralci di uva bianca che raccoglievo e mangiavo molto volentieri.
Mangia oggi e mangia domani, alla fine di uva ne rimase ben poca.
La moglie e la figlia dello Spinella mi facevano notare che i grappoli d’uva andavano diminuendo sempre più ed allora io rispondevo che erano gli uccelli a mangiarsela, «ma noi sappiamo bene che l’unico uccello sei proprio tu!».
E che dire dell’albero di melograno bello carico a cui spesso tendevo la mano, ed i suoi frutti a poco a poco scomparvero quasi tutti.
E che dire delle paste che io sottraevo furtivamente al dolciere, compare dello Spinella.
Egli collocava nel forno, a temperatura giusta, delle teglie con paste di mandorla.
Io, mettendo in atto piccoli stratagemmi, ne prendevo qualcuna e me la mangiavo sul posto; poi riuscivo abilmente a colmare gli spazi vuoti spostando le altre.
A quel tempo la fame era all’ordine del giorno, perciò i panificatori che lavoravano per conto del signor Spinella, preparavano piccole forme di pane, in modo tale da mettersele in testa, e nasconderle con i loro copricapo, per non farsi scoprire dalla moglie dello stesso Spinella.
Durante il mio servizio di accompagnatore, purtroppo per me, si ammalò donna Concettina, madre dello Spinella. La malattia si protrasse per parecchio tempo e, nonostante tutte le cure mediche, la poveretta finì per morire. Con la sua morte, a me venne meno la persona che soleva proteggermi dall’ira del figlio e dalla collera della nuora.
Durante la notte della veglia rimasi talmente impressionato che non volevo andare a dormire nel piano superiore. Allora, pensai di prendere il materasso e di portarlo al piano terra. Lì, fui severamente rimproverato dalla moglie del signor Spinella, che mi costrinse a riprendere il materasso e a portarlo di nuovo sopra. Siccome avevo sempre davanti agli occhi l’immagine della morta, quella notte non potei chiudere occhio, perciò cominciai a maturare l’idea di andar via per sempre. Ciò si doveva verificare, quando lo Spinella mi menò con un bastone e mi fece uscire sangue dal naso, allora io scappai e tornai a casa, raccontai l’accaduto a mia madre, che per fortuna decise di tenermi con sé per poter avere una mano di aiuto nel lavoro.