Chi ha seguito le vicende associative e il dibattito sviluppatosi sulla lista uicicongresso e sul nostro giornale on line di quest’ultimo anno, avrà certamente notato, negli interventi di Nicola Stilla, il ricorrere di alcune parole come “collegialità”, “vera partecipazione”, “presidenzialismo” e simili, nonché il rammarico più volte espresso per non esser riusciti a pervenire ad una candidatura unica alla carica di Presidente Nazionale. Tuttavia, chi si sarebbe aspettato chiare delucidazioni circa il significato diciamo così “storico” di queste parole, cioè a quali circostanze e, soprattutto, a quali fatti verificabili e a quali elementi concreti facciano riferimento, fino ad ora non ha visto soddisfatta questa sua legittima curiosità. In attesa di risposte più esaurienti sul piano dell’ argomentazione e della ricostruzione “storica” da parte dell’interessato, proviamo a svolgere qualche considerazione sul senso di quelle parole impugnate come slogan nella campagna elettorale dal candidato Stilla. Anzitutto, cos’è precisamente accaduto per cui rammaricarsi il 15 settembre 2014 a Bologna, che ha sancito la fine dell’accordo che aveva portato all’elezione a Presidente di Mario Barbuto, il precedente 15 marzo?
C’ero anch’io quel giorno, e quando Nicola Stilla ha dichiarato che non era ulteriormente procrastinabile l’indicazione di un candidato unico alla Presidenza Nazionale e che a decidere fra Barbuto e lui, che comunque non intendeva rinunciarvi, doveva essere il gruppo di persone che si erano incontrate sempre a Bologna il 2 marzo per lanciare la candidatura di Mario Barbuto, ricordo che gli è stato fatto notare non solo che il gruppo del 2 marzo non aveva sufficiente titolo a scegliere il candidato presidente proprio perché non comprendeva una parte molto significativa dei diciamo sottoscrittori dell’accordo stesso, ma anche che l’indicare eventualmente, a più di un anno dal Congresso, la sua candidatura unica, avrebbe comportato la messa in fuori gioco immediata del presidente in carica, con gravissime conseguenze non solo per la gestione interna dell’Unione, ma anche per l’efficacia della sua azione politica nel momento in cui incombevano questioni serie come, tra le altre, la Legge di stabilità e il destino del Centro Polifunzionale.
Ricordo anche di aver detto che mi pareva incomprensibile proporre di convergere fin da subito sulla candidatura unica di Stilla, non essendo giustificabile un così repentino cambio di cavallo: con quale motivazione avremmo infatti dichiarato che Mario non andava bene?Ci si era tutti sbagliati il 15 marzo? Si potevano imputare gravi manchevolezze all’atteggiamento tenuto dal Presidente nei primi sei mesi del suo mandato? Quali? L’unica risposta, ripetuta ma non suffragata da prove e dimostrazioni di sorta, è stata la mancanza di collegialità, locuzione che è aleggiata anche durante le assemblee precongressuali, nella trasmissione del 17 settembre scorso e nell’articolo di Stilla che continua ad insinuare, tra l’altro, sulla presunta volontà accentratrice e il cosiddetto “presidenzialismo” rinvenibili nella bozza del nuovo statuto che, giova sottolinearlo, egli stesso ha contribuito a formulare senza muovere alcuna obiezione durante la sua stesura, a detta di tutti coloro che vi hanno partecipato direttamente. Ma che cosa esattamente egli e i suoi sostenitori intendano per “collegialità”, non è dato saperlo, così come non è dato sapere dove e quando tale collegialità sarebbe mancata nella gestione degli organi associativi da parte del Presidente Barbuto. E veniamo alla “vera” partecipazione: che cosa distingue una “vera partecipazione” da una partecipazione non vera? Neppure qui si specifica, però si insinua che i paladini della “vera” partecipazione e quindi del “vero” rinnovament,o sarebbero Nicola Stilla e i suoi sostenitori, ergo, per contro, chi non è con lui, come quelli del movimento UICI Rinnovamento (ma non solo) oppure, il presidente in carica Mario Barbuto, non sarebbero in realtà fautori di un “vero” rinnovamento.
Al di là del facile giochetto retorico, andiamo a guardare in concreto quali sono state le iniziative messe in campo e quali i metodi adottati. I sostenitori di Barbuto indìcono un convegno aperto a tutti (Napoli, novembre 2014) per dibattere e individuare alcuni punti programmatici, le cui bozze vengono elaborate da gruppi di lavoro pubblicamente annunciati. Il nostro candidato Presidente viene chiamato come gli altri a partecipare e a dare il suo contributo alla stesura del programma stesso, per cui scegliere di sostenere quel programma è tutt’uno col scegliere quel candidato presidente e viceversa. Questo cos’è: presidenzialismo, o non piuttosto autentica e trasparente partecipazione? Per contro, abbiamo un candidato Presidente come Peppino Simone che scrive il suo programma, sul quale chiede poi il consenso degli elettori, o un altro candidato presidente come Nicola Stilla, che lo fa elaborare da gruppi di lavoro che nessuno sa da chi siano costituiti, e ai quali non è possibile partecipare se non invitati. Sono questi il vero rinnovamento e la vera partecipazione? Da un lato abbiamo candidati consiglieri che si propongono liberamente e che decidono altrettanto liberamente di unirsi intorno a un programma che essi stessi hanno contribuito a elaborare e a un candidato presidente col quale si riconoscono reciprocamente, dall’altro candidati consiglieri indicati dal Consiglio Regionale di appartenenza il cui presidente si adoprerà per farli votare sulla base di accordi con altri Presidenti Regionali che procederanno nello stesso modo, secondo tradizione: io ti voto il tuo se tu voti il mio… e questo sarebbe il vero rinnovamento? Oltre tutto, mentre la stragrande maggioranza degli attuali candidati consiglieri – per lo più autocandidati – si sta facendo conoscere e si offre al confronto scrivendo nelle liste, pubblicando articoli e partecipando a trasmissioni radio, altri avvalendosi dell’attuale dettato statutario che prevede la formalizzazione della candidatura in sede congressuale, non si confrontano proprio con nessuno su idee e programmi, ma si preoccupano solo di strappare quante più promesse di voto possibili stipulando accordi di cui nessuno sa, né saprà mai niente. Scommettiamo che un certo numero di candidature salterà fuori soltanto pochissimi giorni prima del congresso? Saranno loro, forse, i veri fautori del rinnovamento?È a dir poco curioso che da un lato si chieda di fare come se le nuove norme sulla tutela delle minoranze contemplate dalla bozza di statuto, elaborata dall’apposita commissione, fossero già operanti ancorché non ratificate (vedi intervento di Nicola Stilla nell’incontro radiofonico del 17 settembre scorso), e dall’altro ci si richiami al dettato dello statuto vigente per rivendicare il pieno diritto di candidarsi all’ultimo, senza l’onere di un qualsiasi preventivo confronto con chicchessia. Quand’ero molto più giovane di adesso si soleva dire: “ciascuno è quel che fa, e non quello che dice di essere”!In conclusione un’ultima domanda al candidato Stilla: se è così convinto della ineluttabile necessità di candidarsi, perché non si è fatto avanti il 15 marzo 2014? Molto probabilmente avrebbe avuto i numeri per battere la concorrenza di Terranova; ora, invece, mi sa che dovrà cercarne il sostegno, sempre in nome del vero rinnovamento, naturalmente! Ai delegati del XXIII Congresso spetta comunque l’ultima parola, e mi auguro che sapranno distinguere tra rinnovatori vecchi e nuovi, veri e meno veri…
Francesco Fratta