Nei giorni scorsi leggo sui social network “la didattica a distanza è un ossimoro”.
Ma guarda un po’!
Certo, la didattica è per definizione relazione tra due o più persone le quali, per vivere in modo completo il percorso di istruzione ed educazione, si trovano in uno spazio: l’aula!
La didattica a distanza, poiché ogni persona di quella “relazione” educativa occupa, col proprio corpo uno spazio fisico diverso da quello d’ognuno dei componenti il gruppo, che virtualmente si ritrova in uno spazio virtuale, l’aula del prossimo futuro, come può vivere in modo diretto quella relazione educativa?
Dunque, o parliamo di didattica o parliamo di distanza; i due termini faticano, per la loro natura concettuale per cui sono stati pensati, a definire un binomio costruttivo che tenda ad un risultato scolastico degno di un percorso educativo reale.
La relazione tra bambini e maestra; tra alunni e insegnante; fra studenti e docente è qualcosa che supera ogni astrazione e progetto politico sul presente e futuro della e per la scuola: di fatto è costruzione fisica di linguaggi corporei; di lessici emozionali ed emozionanti; di relazioni umane di simpatia e antipatia; di sguardi generosi ed ammiccanti; di sfioramenti e fragranze; di carezze e scappellotti!
Punti di forza della stessa didattica.
E d’altro canto, è quella scolastica in presenza, la vera istruzione.
La didattica frontale è più di un concetto, è vita quotidiana fatta di incontro, affiatamento e di convivenza.
Come possiamo insegnare a conoscere e riconoscere le passioni? Come spieghi le emozioni ad un gruppo di alunni-studenti attraverso uno schermo di pixel?
No, gli stessi giganti della letteratura italiana, internazionale, hanno dedicato la loro vita a scrivere pur di trasmettere a noi e alle generazioni future i valori su cui l’uomo costruisce il proprio cammino; con cui l’uomo può comprendere meglio la propria natura di essere pensante.
Montessori ha spesa la vita per costruire un modello educativo, che tiene conto anzitutto della natura umana, poi quella della relazione.
Come insegni ad un bimbo la bellezza dell’alfabeto, i suoni e l’estetica delle singole letterine?
Come puoi guidarne e accrescerne le conoscenze e le capacità di lettura, se lo hai lontano?
E l’esperienza del mondo fisico, come può essere mediata da uno spazio virtuale?
La morbidezza e la rigidità dei materiali; il loro peso, la loro consistenza.
La possibilità di manipolare materiali quali il pongo, il das, la creta e di farlo in gruppo con i propri compagni; di creare con loro e con loro di costruire storie e giochi.
Imparare a tenere in mano un pennello, una matita.
Fare una riga, disegnare un cerchio piuttosto che una casetta.
Chiede il Piccolo Principe al pilota, nell’omonimo romanzo straordinario di Antoine de Saint-Exupéry
“Mi disegni una pecora?”
Ce la vedete voi una maestra, intenta a realizzare un disegno per un bimbo, lei nel cucinino di casa, il bimbo nel salottino di casa sua?
O magari, nel rispetto del distanziamento sociale, entrambi mascherati, uno su un banco, la maestra sull’altro?
E il gioco, non è forse grida, risate, manate e abbracci?
La didattica è relazione, dunque anche “frustrazione”.
Sentimento importantissimo per l’apprendimento.
La frustrazione da didattica, vogliamo sostituirla con quella negativa dell’allontanamento?
La didattica è colore, disegno, manipolazione, orientamento, esplorazione, non solo corporea ma anche dell’ambiente, quello dell’aula, della scuola.
La didattica è costruzione di relazioni, non solo tra i compagni, ma anche con gli adulti, suoi maestri e anche il personale scolastico.
Tolleranza e comprensione.
Ascolto e riflessione.
Esposizione del proprio pensiero e l’accoglimento di quello altrui.
Il reciproco aiuto, mutuato e mediato da gesti e attenzioni, non può essere bagaglio esistenziale di una quotidianità virtuale o semi mascherata.
Anche poter vedere il proprio compagno piangere per magari asciugargli la lacrima sulla guancia, non ha un corrispettivo virtuale che possa surrogarne l’evento, il gesto fisico accompagnato dall’emozione.
È come chiedere ad un essere umano, nella fase di crescita, di imparare a riconoscere il sole e il rumore del mare attraverso una cartolina, un semplice film.
Il sapore è fisico, personale, immediato, non mediabile attraverso lo schermo freddo di un personal computer.
Il calore del vento, il freddo del ghiaccio, la sensazione che si prova nel tenere tra le dita i fiocchi di neve, non hanno altra realtà che possa trasmetterne l’esperienza.
Immaginiamo poi se quel bambino, alunno o studente è cieco assoluto o ipovedente grave, tutto ciò sarebbe davvero assurdo.
E noi?
Sin qui ho difesa la didattica a distanza, l’opera camaleontica che ha permesso di tenere vivo il dialogo scolastico, pur virtuale, con milioni di bambini, alunni e studenti.
L’ho difesa dalle prime illuminanti riflessioni di chi, pur non essendo protagonista attivo della didattica a distanza, sentenziava già dalle prime ore dell’evento straordinario, sull’inutilità della stessa didattica, richiamando i fondamenti pedagogici e didattici in nome di una verità, di cui chiunque svolga la professione docente con coscienza, conosce e dunque sa benissimo.
La didattica è relazione, anzitutto!
Questa sorta di mantra lo ritrovavo ovunque, peccato che l’emergenza e il distanziamento sociale ci ha costretti in un isolamento educativo e dunque anche didattico, non per scelta, ma per imposizione. E allora, ogni disquisizione sui principi di una didattica, intesa come relazione, della prima ora, era quanto meno superflua se non irrispettosa nei riguardi degli stessi bambini, alunni e studenti, nonché del corpo docente tutto.
Stiamo dando il massimo, magari non sarà il meglio, potevamo fare di più, vero, ma quanto è stato fatto sin qui, e durerà sino agli esami di maturità, è davvero tantissimo.
Oggi però, giunti quasi al termine dell’anno scolastico, iniziano ad aggirarsi strani fantasmi per il paese e soprattutto negli ambienti ministeriali e non solo: Ma se il Paese ha reagito così bene alla didattica a distanza, perché non prendere in considerazione l’uso delle tecnologie e per proseguire con questa metodologia di istruzione?
Oppure, per risolvere i problemi legati alla sicurezza, definiamo un nuovo scenario scolastico: aule semi vuote in cui far stare metà o meno degli studenti di una classe; mentre l’altra metà seguirà la lezione da casa su piattaforma web.
Scenario che si presenterà così:
una bambina, mascherata, seduta al centro di una figura composta da cinque banchi.
Quello a cui è seduta la nostra bambina; un banco dietro e uno davanti; due ai lati, sinistro e destro. I quattro banchi rigorosamente vuoti, per consentire il distanziamento sociale di almeno un metro.
Potremmo definire la figura col concetto del segno matematico “più”. O, il che forse si addice meglio, al simbolo della “croce”.
Questa composizione si ripete tante volte quante ne sono consentite dallo spazio dell’aula.
Poi, di fronte a loro, rigorosamente mascherato, l’insegnante.
Cinque ore. Cinque lunghe e interminabili ore in cui gli alunni e gli studenti dovranno vivere la loro nuova scuola, quella di un carnevale senza alcun sorriso né emozioni.
Sulla cattedra, debitamente sistemato, il computer col quale lo stesso insegnante terrà lezione all’altra parte degli alunni o studenti.
Connessioni precarie per una didattica, per metà a distanza e per metà in rigorosa diretta mascherata!
Se, come è giusto che sia, la salute prima d’ogni cosa e al di sopra di tutto, iniziamo a mettere mano a un nuovo sistema di fare scuola, che non eserciti il distanziamento sociale come metodo per lo svolgimento di una didattica tradizionale, ma eventualmente per ripensare la stessa didattica tradizionale per trasformarla in qualcosa che non assomigli ad una emergenza, ma alla normalità, in cui la relazione continui a essere il perno educativo-didattico attorno cui costruire il percorso di istruzione per tutti i bambini, gli alunni e gli studenti della scuola italiana.
Marco Condidorio (Direttore Scientifico I.Ri.Fo.R Molise)