La riabilitazione visiva dei ciechi e degli ipovedenti nella prospettiva degli standard WHO

Intervento di Claudio Cassinelli

International consensus conference on visual rehabilitation standards

Sessione riservata ai centri italiani di riabilitazione visiva

Roma 12 dicembre 2015

 

Accolgo l’invito formulato dall’organizzazione della Conferenza di non intervenire a proposito della situazione del centro di appartenenza ma piuttosto di contribuire alla riflessione e al dibattito sulla situazione nazionale dei servizi di riabilitazione visiva e sulle prospettive di evoluzione.

Prescindo anche dall’analisi delle cause e delle responsabilità relative alla situazione attuale, analisi che, se pur interessante e per molti aspetti chiarificatrice, richiederebbe più spazio e soprattutto sarebbe controversa e destinata ad alimentare polemiche.

Con spirito costruttivo invece dobbiamo chiederci come è possibile superare la situazione attuale dei centri che, per constatazione comune, rappresenta un panorama diversificato e disarticolato: non sintomo di diversità e quindi di ricchezza, ma di disomogeneità e quindi di confusione e contraddittorietà.

La disomogeneità consiste soprattutto nel fatto che i centri di riabilitazione visiva italiani sono diversi per natura, servizi e qualità.  Ci sono centri istituiti, secondo la programmazione di alcune regioni, presso aziende ospedaliere o sanitarie locali o presso istituti universitari.  Si  tratta quasi sempre di centri-ipovisione, quindi per utenti ipovedenti e quasi sempre adulti, che demandano gli interventi per i ciechi totali a entità di tipo associativo.

Le strutture del primo tipo sono pubbliche e sono a carico dei fondi sanitari regionali.  Le strutture associative operano con personale spesso di dubbia qualifica, sono finanziate con risorse della legge n.284/1997, che come sappiamo sono aleatorie, e, se pur titolari di qualche forma convenzionale o di incarichi di regioni o di aziende sanitarie, sono prive dei requisiti minimi richiesti per operare in convenzione con il servizio sanitario nazionale.

Questa situazione comporta innanzi tutto una grave disomogeneità nel diritto degli utenti a ricevere servizi di qualità in rapporto alle proprie necessità. Occorre quindi cercare di superare questo situazione per orientare le scelte del governo nazionale e di quelli regionali verso un sistema più equilibrato. Certamente la definizione degli standard dell’O.M.S. in materia di riabilitazione visiva, e il ruolo svolto dall’Italia in questo percorso, ce ne danno l’occasione e le risorse, quantomeno sul piano concettuale.

Per svolgere questo cammino si individuano tre questioni sulle quali è necessario un chiarimento.

 

  1. Riabilitazione visiva.

Dovrebbe essere ormai patrimonio comune il concetto che la riabilitazione visiva non riguarda solo e meramente la funzione e l’organo della visione, ma è un processo rivolto a far acquisire, o riacquisire, alla persona capacità complessive e competenze nello svolgimento delle proprie funzioni nella vita quotidiana per raggiungere uno sviluppo armonico e un proprio stato di benessere. Questo risultato si ottiene facendo migliorare le capacità di utilizzo del residuo visivo, laddove presente, ma anche sviluppando le altre funzioni e i sensi vicarianti.

Quindi la riabilitazione visiva è rivolta non solo agli ipovedenti ma anche ai ciechi totali, e quindi in generale alla categoria dei “disabili visivi”. Per evitare una evidente ambiguità lessicale dovremmo riformare anche il nostro linguaggio e proporci una diversa definizione per la quale sono individuabili due soluzioni:

riabilitazione visiva per ciechi e ipovedenti, o

riabilitazione delle disabilità visive.

 

  1. Non solo per adulti ma anche per minori.

I centri di riabilitazione per i disabili visivi devono essere in grado di operare non solo per gli ipovedenti ma anche per i ciechi, non solo per gli adulti ma anche per i minori, a partire dall’età precoce, secondo il concetto che quanto prima si interviene iniziando un percorso riabilitativo, tanto migliori saranno i risultati in termini di crescita e sviluppo armonico.

Questo significa che i centri dovrebbero essere in grado di effettuare una “presa in carico” a partire dall’insorgenza della disabilità, quindi anche di neonati. Una assunzione di responsabilità globale, quindi per tutti gli aspetti dello sviluppo, e longitudinale ossia prolungata nel tempo per tutta l’età evolutiva.

Questo significa soprattutto che la presa in carico è rivolta anche ai genitori, particolarmente nella prima infanzia, e ai contesti di riferimento, in primo luogo quello educativo e scolastico. Per i giovani-adulti occorre che i centri siano in grado di offrire consulenza, sostegno e apporti specialistici anche nel percorso di professionalizzazione e di inserimento lavorativo.

Non bisogna dimenticare infatti che il supporto all’inserimento scolastico e lavorativo delle persone disabili rientra appieno nelle competenze del servizio sanitario nazionale, nel quale deve essere a pieno titolo considerata la riabilitazione delle disabilità visive.

Sul piano della programmazione e organizzazione dei centri occorrerà considerare l’ipotesi che i servizi di riabilitazione possano essere articolati in due distinte unità operative: una per gli adulti e una per l’età evolutiva. Per questa seconda competenza sarà indispensabile che le visite oculistiche di prevenzione in età neonatale ed evolutiva siano inserite nei livelli essenziali di assistenza.

 

  1. Non solo mono ma anche pluri.

Una terza questione merita attenzione perché rappresenta una problematica molto frequente nelle caratteristiche dell’utenza che si rivolge ai centri di riabilitazione: spesso la disabilità visiva è associata ad altre disabilità fisiche, psichiche o sensoriali.

Il fenomeno è evidente nella popolazione anziana ove il declino delle facoltà complessive può essere accelerato dal deficit visivo che si dimostra molto frequente nella terza-quarta età soprattutto in persone che hanno trascorso tutta la vita precedente senza significativi problemi visivi. Questa situazione particolare merita attenzione perché spesso è ignorata o sottovalutata dai medici di famiglia, dalle stesse persone interessate e dai famigliari e richiede quindi campagne di sensibilizzazione.

Altrettanta, e forse maggiore, attenzione è dovuta alla questione della pluridisabilità in età evolutiva per la delicatezza e complessità dell’argomento e per la frequenza della casistica: da alcune statistiche emerge che su dieci neonati disabili visivi solo tre siano  compromessi soltanto nella visione, mentre gli altri sette sono portatori di pluridisabilità.

La complessità della questione è insita nei diversi livelli di gravità, qualità e rilevanza dei deficit, ed emerge come il ritardo cognitivo e mentale sia caratteristico dei casi più gravi e di difficile intervento.

Nei fatti i servizi presentano situazioni diverse: sovente soggetti disabili visivi pluridisabili sono presi in carico da strutture specializzate per altre disabilità, le quali ignorano o sottovalutano e comunque non erogano prestazioni di riabilitazione specifiche per la disabilità visiva, con pregiudizio dei risultati e dei benefici per l’assistito.

Occorre che i centri specialistici per la riabilitazione visiva affermino sempre la propria competenza e capacità prestazionale anche per i casi di multidisabilità, qualora sia presente una disabilità visiva. A questo proposito si possono dare due situazioni:

vi sono casi nei quali, in rapporto alla situazione dell’utente e alla disponibilità di altri servizi specialistici sul territorio, è opportuna una presa in carico globale, e quindi l’assunzione di titolarità e responsabilità complessiva, eventualmente utilizzando competenze e consulenze di altre strutture specifiche per altre disabilità;

viceversa, nei casi di disabilità visiva di livello lieve, in presenza di altre gravi disabilità, potrà essere offerta consulenza e l’erogazione di prestazioni specialistiche ad un diverso centro che effettui la presa in carico globale.

In ogni caso bisognerà considerare che per i casi di pluridisabilità occorrono non solo servizi di tipo ambulatoriale ma anche residenziali: residenze sanitarie assistenziali e “dopo di noi” e semiresidenziali; centri diurni. Strutture che rientrino tra le competenze e le risorse a disposizione dei centri di riabilitazione delle disabilità visive.

A proposito del fenomeno dei disabili visivi pluridisabili occorre considerare una importante novità nel panorama italiano. Infatti la Federazione nazionale delle istituzioni pro ciechi ha finalmente ottenuto nel corso del 2015 lo sblocco dei finanziamenti della legge n.278/2005, che prevede la realizzazione di un centro polifunzionale per “ciechi pluriminorati”. La Federazione ha acquisito un immobile in Roma e presentato al Ministero dell’Interno uno studio di fattibilità per la sua ristrutturazione, nonché le linee guida per l’organizzazione del centro. Dopo dieci anni dall’approvazione della legge è finalmente in corso l’avvio della progettazione della ristrutturazione dell’immobile e si avvierà quanto prima anche la programmazione delle collaborazioni con le strutture del territorio a livello nazionale affinché il nuovo centro rappresenti una realtà integrata, in grado di interagire e supportare la rete dei servizi territoriali.

Definiti questi tre temi sui quali occorre che vi sia un impulso a livello centrale e regionale per superare l’attuale situazione di confusione e ambiguità, occorre una ulteriore impegno per compiere un passo avanti verso l’organicità istituzionale del sistema dei centri di riabilitazione delle disabilità visiva, in armonia con il quadro degli standard definiti dall’Organizzazione Mondiale della Salute con l’attuale conferenza.

Si sono già evidenziati nel corso dei precedenti convegni del Polo nazionale IAPB, e in particolare in quello del 13 marzo 2015, i limiti e le ambiguità della legge n.284/1997, la quale ha avuto il merito di definire e promuovere la nascita dei centri, ma ha nel contempo prodotto un sistema di finanziamento degli stessi diverso e parallelo rispetto a quello del servizio sanitario nazionale. Non bisogna certo smettere di chiedere il rifinanziamento della legge, ma occorre destinare queste risorse agli investimenti per le dotazioni strutturali, strumentali e a iniziative promozionali o campagne di prevenzione, non al funzionamento dei centri, alle spese di personale e alle eventuali convenzioni con centri specialistici accreditati, finanziamenti che devono rientrare a pieno titolo nei fondi sanitari regionali.

A tal proposto è opportuna una sottolineatura: per garantire il diritto dei cittadini disabili visivi a ricevere prestazioni riabilitative, come stabilito dalla legge n. 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, è necessario un richiamo alle Regioni affinché nel disciplinare il sistema delle convenzioni con centri non appartenenti alle aziende sanitarie o ospedaliere, siano richiamate non solo al rispetto del Decreto ministeriale 18.12.1997 (come modificato dal D.M. 10.10.1999) che stabilisce i requisiti organizzativi, strutturali e funzionali dei centri di cui all’art.2, comma 1 della legge 284/97, ma anche al rispetto dell’Atto di indirizzo e coordinamento approvato con D.P.R. 14.1.1997, che stabilisce i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi minimi prescritti per l’esercizio delle attività sanitarie.

Infatti è dal rispetto della disciplina specifica di ogni singola disabilità, integrato  con il rispetto di quella generale del servizio sanitario, che tutti i disabili, di qualunque tipologia, possono sentirsi adeguatamente tutelati e a pieno titolo considerati cittadini titolari di diritti speciali, come tutte le persone in rapporto ai propri bisogni.