Istituti  per ciechi: Cenni  di storia    e qualche   ricordo   per  non smarrire  la strada , di Carlo  Carletti

Autore: Carlo Carletti

Il Centro Regionale S. Alessio-Margherita di Savoia per ciechi di Roma è l’Ente pubblico che la Regione Lazio ha costituito nel 1987,  mediante la fusione dell’Istituto per ciechi S. Alessio e l’Ospizio Regina Margherita di Savoia per i poveri ciechi. La fusione di queste due Ipab è avvenuta quando le stesse, avevano esaurito il loro principale ruolo di gestire il convitto per gli studenti e non si erano prontamente adeguate per far fronte alle nuove esigenze  dei ragazzi ciechi e ipovedenti che, nel frattempo, erano migrati nelle scuole di tutti. Le due Ipab, erano state costituite nella seconda metà del 1800 per interessamento del Papa Pio IX e della Regina Margherita di Savoia e  furono regolamentate dalla legge 17 luglio 1890 n. 6972, meglio conosciuta come legge Crispi. Tale  norma, subì importanti modifiche per volere dell’Unione Italiana dei Ciechi, costituita il 6 ottobre 1920  , con l’obiettivo di garantire l’istruzione dei non vedenti, perché fossero emancipati, indipendenti ed in grado di lavorare. Infatti, il suo Presidente Aurelio Nicolodi,  è  stato promotore di iniziative che portarono all’approvazione del
Regio Decreto 30 dicembre,1923, n. 2841, che ha riformato la Legge Crispi, trasformando gli stessi Istituti, veri e propri ricoveri, presenti in varie Regioni d’Italia, che assicuravano soltanto un tetto e un pasto ai “poveri ciechi”, in Enti di Istruzione con il trasferimento di molte delle loro competenze dal Ministero dell’Interno a quello della Pubblica Istruzione. Con tale provvedimento è stata costituita anche la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi con il compito di coordinare le nuove competenze educative attribuite agli Istituti per ciechi.
Di fondamentale importanza per assicurare un più sicuro e dignitoso avvenire ai giovani ciechi, sono state le iniziative dell’Unione che hanno portato all’l’approvazione del
Regio Decreto 31 dicembre,1923, n. 3126, che ha sancito l’obbligo della istruzione dei ciechi negli appositi Istituti. Questo provvedimento ha consentito ai ragazzi ciechi di essere i primi cittadini, che in Italia, hanno conseguito il diritto allo studio e di frequentare, a totale carico dello Stato, le scuole dalle elementari alle università. La necessità di insegnanti particolarmente qualificati per una miglior formazione educativa dei bambini e dei ragazzi ciechi, ha indotto l’Unione ha sostenere presso il Ministero della Pubblica Istruzione l’istituzione  della scuola di metodo per la specializzazione di insegnanti per ciechi. La  Direzione  della  stessa, , ubicata in appositi locali presso l’Ospizio Regina Margherita di Savoia,   venne affidata al suo ideatore, il prof. Augusto Romagnoli, una persona priva della vista.     Nella scuola da lui diretta sono stati formati gli insegnanti vedenti e con disabilità visiva che si sono occupati dell’educazione scolastica dei bambini ciechi. Dopo la sua scomparsa, tale scuola ha assunto, per volere dell’UIC e del Ministero della Pubblica Istruzione, la denominazione di Istituto di metodo per l’istruzione dei Ciechi Augusto Romagnoli, il quale è stato anche convinto sostenitore dell’educazione scolastica dei bambini ciechi insieme a quelli vedenti. Ha scritto il libro di speciale pedagogia “Ragazzi ciechi”, un testo sempre attuale e sicuro riferimento per coloro che si occupano dell’educazione scolastica degli studenti  con disabilità visiva. Nel corso degli anni, l’UIC, dopo la sua fondazione, ha gradualmente costituito le proprie Sezioni Provinciali, dove i dirigenti ciechi più qualificati si premuravano di far giungere il desiderio del riscatto sociale e la speranza di una vita migliore a tutte quelle persone cieche, che spesso venivano emarginate anche nel loro contesto familiare. I dirigenti dell’Associazione hanno gradualmente conquistato la fiducia e dato speranza alle persone cieche e alle stesse loro famiglie divenendo importanti punti di riferimento, dimostrando con il loro esempio che gli effetti negativi della cecità potevano essere mitigati e che le persone cieche attraverso una specifica preparazione e una adeguata istruzione avrebbero potuto conquistare condizioni di vita dignitose. Per conseguire tale obiettivo, il  bambino cieco  e  la sua famiglia  , dovevano vivere l’indicibile sofferenza della  separazione  , in quanto i bambini ciechi, anche  i  ppiù piccoli,  dovevano lasciare il proprio contesto familiare all’inizio dell’anno scolastico per raggiungere gli appositi Istituti e farne ritorno soltanto nel periodo delle vacanze estive.   Le persone  di ogni età, che hanno vissuto la loro vita contrassegnata dalla vera povertà, dal  pregiudizio  e dalla sofferenza,   con l’Unione Italiana ciechi, hanno  acquisito la consapevolezza dei propri diritti sociali e si sono posti obiettivi sempre più avanzati e gradualmente li hanno conseguiti anche attraverso dure e impegnative lotte. I sacrifici non sono stati vani, perché l’Unione, nel 1942 raggiunse  l’obiettivo fondamentale per la dignità  delle persone cieche che valeva molto più di una qualsiasi legge. Infatti, la regola dell’inabilitazione di diritto, che privava fin  dalla nascita  il cieco della capacità di disporre dei propri beni e di provvedere a molti atti della vita quotidiana, che poteva essere cancellata solo con un atto esplicito del Tribunale, venne totalmente cambiata con le modifiche apportate al nuovo codice civile del 1942, che all’articolo 415 ultimo comma, ha stabilito che: “Possono essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un “educazione sufficiente”. La stessa Unione che aveva fatto conseguire ai ciechi il diritto allo studio, con questo provvedimento ha consentito ai ciechi stessi, di conseguire fin dalla nascita il diritto della pari dignità umana.  . L’educazione e la formazione scolastica e lavorativa conseguita negli appositi Istituti è stato elemento determinante per tale obiettivo.
Nel 1977 con l’approvazione della legge n. 517, che finalmente ha stabilito il diritto dei ciechi di poter frequentare le scuole di tutti, ha anche determinato la graduale fine delle scuole speciali che costringevano i ragazzi ciechi negli appositi Istituti, lontano dal loro contesto familiare. L’Istituto S. Alessio e l’Istituto Romagnoli, che  avevano   ospitato fino  a   200 alunni ciascuno, frequentanti le scuole dell’asilo fino alla terza media, videro gradualmente migrare i loro studenti verso le scuole pubbliche dei loro luoghi di residenza.  ,  Nel  1963,   pur giovanissimo, ho  avuto l’onore di conoscere e di collaborare con il Presidente Nazionale dell’Unione Ciechi, il prof. Paolo Bentivoglio, che nel contempo dirigeva anche l’Istituto per ciechi Cavazza di Bologna, dove ai ragazzi delle scuole medie era consentito di frequentare le scuole pubbliche esterne all’Istituto. Ritenendo    che  quella    potesse  essere  la  modalità giusta,  più volte avevo tentato di interloquire con i Dirigenti dei due Istituti romani, perché fossero create le necessarie occasioni, per consentire anche ai loro ragazzi ciechi di frequentare compagni vedenti. Il solo Istituto S. Alessio, dopo il 1977, con il diminuire del numero degli studenti  ciechi, si aprì  ai  giovani del quartiere consentendo ai ragazzi vedenti di frequentare le scuole dei ragazzi ciechi ancora presenti  nell’Istituto . Le due Ipab, che disponevano di un cospicuo patrimonio immobiliare, gestito nella modalità più anti economica e clientelare, con tutti gli oltre 500 appartamenti locati a prezzi simbolici a parenti di amministratori, a politici di ogni i colore, agli amici e agli amici degli amici, con la totale esclusione dei ciechi, presentavano bilanci ampiamente deficitari a causa del venir meno delle rette, pagate dalle Province per l’ospitalità degli studenti. Nel contempo, i bambini e i ragazzi ciechi che avevano optato per la scuola di tutti, restavano privi di qualsiasi supporto qualificato per il loro inserimento scolastico. Inoltre, presso l’Ospizio Regina Margherita , in locali distinti da quelli dell’Istituto Romagnoli, risiedevano, in condizioni umane terribili, anche  circa 60 donne cieche. Dormivano in cameroni da 30 posti letto , in una promiscuità intollerabile, che non teneva in alcun conto le diverse condizioni di salute e le differenti necessità assistenziali, che comunque nessuna riceveva. Dovevano cenare alle  17 e   dovevano mettersi a letto alle  18, perché il personale in servizio che si autogestiva, voleva raggiungere la propria abitazione per consumare la  cena   in famiglia. Le donne ricoverate non disponevano nemmeno dell’acqua calda per lavarsi anche nelle giornate invernali. Alcune di queste donne, come la sig.ra Giovannina, ormai scomparsa, che ho conosciuto quando aveva 88 anni, nel raccontarmi la sua storia, mi ha confessato che era divenuta ospite di quell’ambiente quando aveva solo 2 anni. Per meglio comprendere quella realtà, devo necessariamente ricordare , che quando le cose sono cambiate, con l’amico Emidio Vitaletti, primo Presidente del nuovo Ente, una persona vedente che ha svolto il suo ruolo nel pieno rispetto della dignità delle persone con disabilità visiva,  si  decise di portare a pranzo in un ristorante le ospiti in grado di uscire. Molte di loro confessarono che da quando erano entrate in quell’ospizio, era la prima volta che ne varcavano la porta d’uscita.. La sig.ra Giovannina ha dovuto attendere ben 88 anni. Aveva sempre creduto che non potesse uscire dall’Ospizio e che ai ciechi non  fosse consentito di entrare nei ristoranti e in altri luoghi pubblici.   Nel 1981, il Consiglio regionale dell’Unione ciechi, che presiedevo, decise  di intervenire  con determinazione nei confronti delle due Ipab, non più rispondenti alle necessità dei ciechi. Colse l’occasione del rinnovo dei due Consigli di Amministrazione per rivendicare il diritto di rappresentare le persone con disabilità visiva nell’ambito di quelle Ipab. Per la prima volta un rappresentante dell’Unione Ciechi entrò a far parte di quei Consigli di Amministrazione. In precedenza il S. Alessio era stato Amministrato per tanti anni , da un Commissario  appartenente  alla  Curia vescovile e l’Ospizio Regina Margherita da un Consiglio costituito da alcuni pseudo Benefattori e da rappresentanti nominati dagli Enti locali . La situazione del S. Alessio con il nuovo Consiglio, del quale fu nominato  Presidente  un  Funzionario della Giunta Regionale,   dove era presente anche il rappresentante dell’Unione  Leucio Fortini, non    trovò  ostacoli insuperabili  sulla   via  del    necessario cambiamento. Le cose erano più difficili presso il Margherita di Savoia a causa del negativo ruolo dei pseudo benefattori, che si erano sempre alleati con i rappresentanti degli Enti locali, soprattutto per la gestione clientelare del cospicuo patrimonio immobiliare. Fortunatamente, grazie ai positivi rapporti costruiti con le varie forze politiche romane, gli Enti locali nominarono rappresentanti che si mostrarono subito particolarmente corretti e attenti alle problematiche della Ipab e dei ciechi.  Al cospetto di situazioni  che determinavano  tanta sofferenza umana, anche i più resistenti pregiudizi politici vennero meno, infatti un convinto comunista come Domenicali, un esponente del Movimento sociale come Perina e un Socialista come me si trovarono uniti per votare  il Democristiano  Vitaletti quale nuovo Presidente del Margherita di Savoia, che aveva fatto  proprie le  proposte di  rinnovamento  avanzate  ddall’Unione.  Il  dott.  Perina,  pur  subendo  un certo  ostracismo per  la  sua  appartenenza  politica,  ha  scelto di schierarsi con noi dalla parte  della  comunità  dei ciechi,  rinunciando alla  Presidenza, più volte offertagli   dai pseudo benefattori. Serbo, ancora  oggi,  un sentimento di stima  e   gratitudine per il dott. Perina, avversario politico  si, ma uomo di grande umanità e lealtà, che se avesse fatto l’altra scelta, oggi non avremmo potuto raccontare e prendere atto dell’attuale positiva, seppur necessaria migliorabile realtà. Lo scontro  con i  pseudo benefattori  fu durissimo. Quale  rappresentante  dell’Unione, ho   descritto quella inumana realtà  in cui  Ierano  costrette  le  circa 60  donne cieche e  la mala gestione del  patrimonio immobiliare nell’ambito di molte  interviste  sui giornali,  Radio  e  Televisioni, rimediando   4 querele  e   conseguenti processi  penali dai  quali  fui sempre assolto. Mi   sono sentito profondamente ferito  dall’assoluzione per     intervenuta  amnistia  nel processo  avuto insieme  al giornalista  Pergolini dell’Unità. Contro il parere della famiglia e  di molti amici,  assistito  dall’avv. Tarsitano, ho rinunciato all’amnistia  conseguendo  la piena assoluzione in  appello.Nel  frattempo  il      CDA del S. Alessio e del Margherita di Savoia, approvarono un documento redatto  dal Consiglio regionale dell’Unione, che rappresentava alla Regione Lazio l’opportunità e  la necessità di procedere alla fusione delle due Ipab, con la costituzione di un nuovo Ente che si occupasse di tutte le complesse problematiche connesse alla disabilità visiva, nel territorio regionale. Con il positivo assenso dei due CDA, ho rappresentato, insieme  a  tutti i  dirigenti  dell’Unione del  Lazio, sempre  attivi  e  presenti  negli  ambienti  politici  e  istituzionali,  tale prospettiva a tutti i gruppi politici della Regione. L’allora Assessore alle politiche sociali, il socialista Paolo Arbarello e il suo staff di collaboratori si attivarono per formalizzare una apposita proposta di legge. Nel corso dei primi mesi del 1986 vi fu un rimpasto nell’organigramma della Giunta Regionale e all’Assessorato alle Politiche sociali approdò il Democristiano Paolo Tuffi che, dopo aver conosciuto gli obiettivi  e  la determinazione dell’Unione,  continuò il lavoro del suo predecessore e insieme  agli stessi rappresentanti dell’Unione  sottopose  il testo  della  proposta  di legge    a tutti i gruppi politici di maggioranza e minoranza  .  Nella riunione del 14  gennaio  1987, un particolare  riconoscimento dell’attività  promozionale  dell’Unione  fu  espresso anche   dall’on. Pasqualina  Napolitano, rappresentante    del PCI che  si trovava   all’opposizione.   Pertanto, la legge n 8/87 costitutiva dell’attuale  nuovo Ente  , Centro Regionale S. Alessio – Margherita di Savoia per ciechi di Roma,  venne approvata all’unanimità.  Il  giorno 8  novembre  2017,presso  la  Regione  Lazio, l’UICI, nel corso di un apposito  Convegno, ha  cercato  di fare il punto della situazione  a  30 anni  dalla  istituzione  del nuovo   Ente, mettendo in  luce  le positive novità  derivanti dall’attuale gestione, come  il risanamento del  bilancio  mediante la creazione  di  un apposito  Fondo  Immobiliare,      la maggior  attenzione riservata alle  persone con disabilità visiva e   il buon rapporto di collaborazione  con l’Unione,  ma anche   la necessità di  adottare  ulteriori    concreti  atti    per  rendere l’Ente sempre  più  rispondente  alle   esigenze  dei ciechi e degli   ipovedenti. Per  queste ragioni, il  Centro  Regionale  S. Alessio, deve  attuare  forme di decentramento operativo e  strutturato  nell’ambito  di ciascuna  Provincia, per  meglio rapportarsi  con le  persone con disabilità visiva, con gli  Enti locali, ASL, Comuni e    Istituti scolastici. Deve  inoltre, considerata  la  migliorata  situazione  economica,       -partecipare  attivamente  alla co-progettazione  e  al co-finanziamento di  progetti  educativi,  formativi,  riabilitativi  e  assistenziali insieme  alla  Regione  divenendone un    partner  qualificato e  insostituibile. Deve   rapidamente e  con sistemicità   provvedere  alla miglior  formazione  teorica e  pratica degli operatori che  dovranno  provvedere   al recupero  umano e  sociale   delle persone che perdono la vista anche  in età adulta, raggiungendole   anche negli angoli più sperduti    del territorio. Tali  obiettivi   potranno essere rapidamente  conseguiti   soltanto  se  i  dirigenti   dell’UICI e i   soci,  con piena  consapevolezza  e  determinazione  sapranno  metterli al centro di  una forte iniziativa politica da  condurre con  immediatezza    nei confronti della  Regione Lazio, che  si  è  mostrata  palesemente  inadempiente    verso la  comunità delle  persone  con disabilità visiva.  L’attuale situazione   conferma che  anche quando  sembra di aver fatto tanto per   conseguire un obiettivo,  in realtà   si  è  giunti  al solo  punto  dal  quale ricominciare,       perché  quel che  resta da  fare,   è ancora  il più.  Ciò,  che è  stato  fatto, spesso non è sufficientemente  conosciuto oppure  viene  dimenticato.  In evidenza  restano  le sole   necessità  delle persone  con disabilità visiva e     l’insufficienza  dei servizi a   loro  destinati.