Insegnare il braille, di Stefano Mantero

Autore: Stefano Mantero

Il rumore della pioggia che picchietta incessante contro i vetri della finestra mi aiuta a trovare la concentrazione e a dedicarmi per qualche ora allo studio.

Malgrado la non più verde età, da qualche anno mi sono dedicato a studiare e mi sono iscritto alla facoltà di storia dell’università di Genova.

Le ore che riesco a dedicare allo studio sono momenti di gioia e credo che questo percorso potrà rendermi, in qualche modo, un vecchio migliore.

Nel momento in cui il telefono inizia a squillare, interrompendo la mia concentrazione, mi maledico per non aver silenziato lo smartphone e tuttavia decido di rispondere.

“Ti disturbo?” mi dice Arturo, amico e Presidente Regionale dell’U.I.C.I e, senza lasciarmi il tempo di replicare, prosegue: “ho bisogno di un insegnante di braille per il corso per centralinisti telefonici ed ho bisogno che sia tu a farlo”.

“Io?” esclamo stupito e inizio ad opporre alla sua perentoria richiesta una serie di obiezioni, tutte assolutamente inopinabili, non ultimo il fatto che non sono un braillista fra i più capaci ed esperti.

Lui sembra avere una risposta a ogni mia obiezione e alla fine ci lasciamo con l’intenzione di risentirci entro un paio di giorni per una risposta definitiva.

Alla fine è lui ad avere la meglio e mi ritrovo, non so bene quanto meritatamente, a essere l’insegnante di Braille per il corso di centralinista telefonico.

I mesi successivi scorrono senza troppi scossoni e del mio impegno relativo al corso ho delle informazioni sporadiche che mi arrivano sotto forma di e-mail o di qualche telefonata, ma la mia mente è ancora rivolta ad altre incombenze.

Arriva anche il nuovo anno, il 2020 e verso la fine di gennaio, giungono dal lontano oriente, per la precisione dalla Cina, delle notizie relative a una epidemia che si diffonde rapidamente nella provincia dell’Hubei.

Ascolto distrattamente queste notizie, forse come hanno fatto molti, pensando che in fondo la Cina è lontana, molto lontana e che il contagio non arriverà mai nel nostro paese.

Intanto nel mese di febbraio ho la mia prima lezione in classe con i ragazzi del corso e sarei bugiardo se non confessassi che ero emozionato e pieno di aspettative e anche un poco incuriosito sul fatto di mettermi alla prova.

Fin da subito posso contare sulla preziosa collaborazione di Giulia, che se in aula si è rivelata utilissima, in seguito sarà indispensabile.

Conoscere queste persone, non vedenti, ciechi assoluti e ipovedenti, è un poco come fare un salto indietro nel tempo, quando ero io fra i banchi con il mio bagaglio di speranze e di preoccupazioni.

Per cercare di stabilire subito un contatto e permettermi di conoscere velocemente le loro voci associandole così ad un nome, chiedo loro di fare una breve presentazione.

Finito il giro, estraggo una serie di cartoncini sui quali ho incollato dei tappi di plastica, quelli, per spiegare, che chiudono le bottiglie di acqua. Ogni cartoncino porta sei tappi a simulazione dei sei puntini Braille.

La lezione scivola via senza problemi e mentre loro cominciano a familiarizzare con i primi rudimenti dell’alfabeto, io cerco di memorizzare le voci e di seguire gli sforzi che piano piano ci conducono a percorrere le lettere che si formano sotto i loro polpastrelli.

Alla fine delle tre ore ci salutiamo dandoci appuntamento per la settimana successiva, non prima che abbia loro raccomandato di esercitarsi per non perdere ciò che hanno appreso durante quella prima lezione.

Invece non ci incontreremo più, il Covid 19 entra con prepotenza nella vita di ognuno, costringendoci a lunghi periodi di reclusione in casa e a confrontarci con un nemico spietato e senza controllo che avrebbe fatto migliaia di vittime che, malgrado tutto, continua a mietere, anche se i numeri si sono fortunatamente andati assottigliando.

Qui potrei aprire un vastissimo ventaglio di considerazioni su quanto è accaduto, ma sarebbe un’altra storia e forse anche già sentita. Desidero invece continuare a raccontare di quella classe e del Braille, del progetto finanziato dalla Regione Liguria e promosso dal Consiglio regionale dell’U.I.C.I. in collaborazione con l’Istituto David Chiossone, di quell’opportunità che comunque Covid o non Covid, non poteva andare sciupata.

Nel mese di aprile infatti ricevo una telefonata da Federica, Coordinatrice del progetto, che mi informa che il corso sarebbe ripreso e le lezioni avrebbero avuto luogo mediante una piattaforma online per garantire il distanziamento ed evitare ai corsisti spostamenti e viaggi in treno o in pullman.

Naturalmente considero che se le lezioni online vanno bene per molte materie, dubito che possano funzionare anche per il Braille.

Pur tuttavia bisogna almeno provare, cercare un sistema efficace che consenta alla classe di corsisti di imparare a leggere e a scrivere in braille.

Malgrado tenti di assumere un atteggiamento positivo che mi permetta di estrarre il famoso coniglio dal cilindro, non riesco a pensare ad un valido surrogato della didattica frontale, però non voglio arrendermi definitivamente.

Il caso vuole che mi venga consegnata la spesa dal supermercato e mentre ripongo gli acquisti mi capiti in mano una confezione di uova, quelle confezioni che contengono sei uova in altrettanti alloggiamenti di cartone.

Subito mi torna alla mente un episodio di molti, troppi, anni fa, quando un consigliere della nostra sezione cercava di insegnare ad un me stesso, poco più che adolescente e spaurito, i primissimi rudimenti del Braille.

Ero andato a casa di Aldo De Vercelli, così si chiamava il consigliere sezionale, il quale si fece dare dalla moglie uno di quei portauova da frigorifero e facendomi sentire i primi sei alloggiamenti convessi mi fece toccare la raffigurazione ingrandita di una cella Braille.

Poi voltando il contenitore mi indicò come gli alloggiamenti concavi rappresentavano bene il braille come si scrive, ossia alla rovescia di come si legge.

Naturalmente il mio percorso con la scrittura e lettura Braille non si fermò a quel portauova, ebbi la fortuna di poter avere come insegnante anche il Professor Giacomo Raggio, ma intanto il portauova mi suggerisce una possibile strada per far apprendere alla classe i concetti principali.

Grazie anche alla consulenza di Lucia Russo che ringrazio per avermi sostenuto in questo periodo, ne parlo con Federica e le chiedo di fare in modo che tutta la classe si doti di una confezione di uova, logicamente dopo averla messa a parte delle mie intenzioni.

Penso che sia rimasta parecchio stupita, anche se onestamente non lo ha fatto trasparire e il suo: “È davvero ingegnoso”, più che al sottoscritto va attribuito a De Vercelli.

Riprendere le lezioni e ascoltare le voci degli allievi sulla piattaforma online, è una grossa emozione, qualcuno riesco a riconoscerlo, altri con maggiore difficoltà e a un po’ di allievi cambio per diverse volte il nome, con qualche disappunto del malcapitato.

In un momento di grande difficoltà per tutti, in pieno lockdown e maneggiando con cautela le uova della confezione, siamo ripartiti e piano piano posso constatare che stiamo progredendo.

Intanto ad ogni allievo viene spedito un kit con tavoletta, punteruolo e carta per scrivere e successivamente, grazie a Carlo Merisio e la sezione di Genova dell’Unione Ciechi e Ipovedenti, anche un piccolo plico di fogli stampati in braille.

Insomma possiamo finalmente lasciare le uova, che oramai sono quasi sode, per dedicarci a scrivere e leggere sul serio.

Non pensavo che saremmo riusciti a fare così tanta strada, ogni piccolo progresso è stato conquistato dai corsisti con grande volontà e impegno.

Con l’aiuto di Giulia mettiamo a punto un sistema per poter fare dei test che ci consentano di valutare tangibilmente i miglioramenti o invece dove dovremmo insistere per colmare le lacune.

Più avanti dettiamo dei testi alla classe che naturalmente scrive con tavoletta e punteruolo. Viene poi chiesto ad ogni allievo di fare una foto, o di farsi aiutare a fotografare il proprio elaborato e inviarlo a Giulia mediante whatsapp.

Credo che la povera Giulia abbia perso almeno sei o sette diottrie per leggere i testi in braille dalle foto, ma l’utilità di questo lavoro ha dato i suoi frutti fornendoci indicazioni precise sulla preparazione del gruppo.

È molto bello ascoltare le voci degli allievi che di volta in volta vengono chiamati a leggere piccoli brani e percepire come i tentennamenti e le insicurezze iniziali, lasciano il posto ad una maggiore padronanza e sicurezza che logicamente andrà allenata per essere ancora più veloce e precisa.

Se all’inizio non avrei voluto, posso dire che sono stato veramente felice di fare questa esperienza, certo meglio sarebbe stato poter lavorare in classe durante lezioni frontali, ma non è stato possibile quindi abbiamo fatto di necessità virtù, senza piangerci addosso e senza mai abbatterci.

«Vedete quest’uovo?» affermava Denis Diderot, che proseguiva: «con quest’uovo si rovesciano tutte le scuole di teologia e tutti i templi della terra».

Noi, molto più modestamente abbiamo pensato che: meglio un uovo oggi che una gallina domani.