I disabili visivi non vogliono la “scuola speciale”, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Nei mesi scorsi è stato pubblicato sul Giornale on line e sui “Corrieri” dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti un mio “pezzo” dal titolo “Scuola speciale per bambini ciechi? No, Grazie.”.
In tale articolo, a nome del c.d.a. della Federazione Pro Ciechi, rivolgevo i ringraziamenti più sentiti e fervidi al nostro collega Claudio Cassinelli, Presidente del “glorioso” Chiossone di Genova, per la decisione presa dal “suo” Istituto di fuoriuscire dalla Fondazione Guderzo, dopo l’annuncio da parte della medesima Fondazione di voler realizzare a breve una scuola “speciale” per bambini ciechi.
In questi giorni, poi, ho letto sulle prestigiose pagine di “Superando” che, ad un anno dalla pubblicazione del libro “L’attrazione speciale” di Giovanni Merlo, proprio su di esso e sulle ragioni ivi esposte che indurrebbero alcune famiglie di ragazzi con disabilità a scegliere le scuole speciali per i propri figli, saranno centrati anche alcuni imminenti incontri promossi in Lombardia e nelle Marche.
Premetto subito che il progetto di ripristinare le “scuole speciali” è ritenuto da noi della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi un “pericoloso” ritorno al passato e soprattutto una falsa soluzione ed un inganno rispetto ai reali bisogni educativi ed al corretto percorso di crescita di cui necessitano i “ragazzi ciechi” nella scuola di tutti.
Pur tuttavia, a quasi quarant’anni dal varo della Legge 517 del 1977 che ha avviato in Italia il sistema scolastico ”inclusivo, non va comunque sottaciuto il fatto che sono ancora tante le carenze e deficienze che caratterizzano il sostegno degli alunni disabili visivi e disabili in generale.
Di fronte a tali criticità, l’UICI ed i suoi Enti collegati non sono stati a guardare e si sono invece adoperati con tutte le loro energie e le risorse economiche disponibili per dar vita a “centri di servizio”a supporto della scuola “comune”.
Trattasi dei cosiddetti “centri di consulenza tiflodidattica” (c.c.t.), istituiti dalla Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi e dalla Biblioteca italiana per i ciechi “Regina Margherita” ai sensi della legge 284 del 1997. I c.c.t. oggi sono 17, sono distribuiti su tutto il territorio nazionale e si prefiggono il compito di fornire consulenza tiflodidattica e di far conoscere gli strumenti ed i materiali tiflodidattici agli insegnanti di sostegno, agli operatori scolastici, ai genitori ed agli alunni della scuola di ogni ordine e grado.
A dire il vero, vi sono altresì le “famose” u.t.c. (unità territoriali di coordinamento), che costituiscono delle strutture regionali di coordinamento tra i c.c.t., i centri autonomi rispetto ai nostri centri di consulenza tiflodidattica, le sezioni provinciali dell’UICI, le ASP e gli Uffici scolastici provinciali e regionali, ossia tra tutte le Agenzie che operano nel territorio a sostegno dell’integrazione scolastica degli studenti minorati della vista.
Dunque, il “vero” problema del sostegno degli alunni/studenti disabili visivi in Italia non sta nella mancanza di “centri di supporto” alla scuola, che ci sono e sono anche parecchi, quanto piuttosto nella totale assenza di una loro “visione d’insieme” e di un loro fattivo e sinergico collegamento, elementi che sarebbero al contrario indispensabili per un proficuo processo di inclusione dei nostri ragazzi nella scuola di tutti.
Anzi, io sono fortemente persuaso che proprio tale assoluta “scolleganza” in materia di politica scolastica tra l’Unione Ciechi ed Ipovedenti ed i suoi enti collegati sia stata la causa principale del nostro attuale “male scolastico” e cioè dell’inadeguata e precaria preparazione e formazione degli operatori che, a vario titolo, si occupano del sostegno degli studenti non vedenti ed ipovedenti.
Consapevole di ciò, il Coordinamento degli Enti collegati dell’UICI, su proposta del Presidente nazionale Mario Barbuto, ha recentemente deliberato di costituire un “Network per l’Inclusione Scolastica (NIS) tra l’Unione Ciechi ed Ipovedenti, tutti i c.c.t. della Federazione Pro Ciechi e quelli della B.I.C. e l’I.Ri.Fo.R., nella convinzione di dover coinvolgere in questo nuovo “organismo” anche i CTS periferici del MIUR, per una loro effettiva ed efficace “messa in rete” al servizio dell’inclusione scolastica dei ragazzi minorati della vista (al riguardo, rimando ad un mio recente articolo pubblicato su questo giornale).
Il “lungimirante” ed ambizioso progetto dell’UICI è quello di pervenire entro i primi mesi dell’anno nuovo alla sottoscrizione di una Convenzione con il MIUR, perché il NIS venga riconosciuto ufficialmente dal Ministero, configurandosi come una vera e propria ”Authority della Tiflologia”.
Il “Network” rappresenta uno strumento “tecnico” al servizio dell’UICI, costituito da un “board” (gruppo di lavoro) molto snello, composto da alcuni esperti del settore ed aperto anche ai contributi del mondo della ricerca e dell’Università, ed è deputato prioritariamente a definire il percorso formativo ed il profilo professionale dei “famosi” assistenti alla comunicazione (di cui all’art 13 comma 3 della legge 104 del 1992) e dei veri e propri “convitati di pietra” del sostegno degli alunni minorati della vista e cioè i Tiflologi.
Oggi, infatti, la “figura” del Tiflologo non esiste per legge e non dispone di un suo apposito albo professionale, così come, d’altra parte, molti assistenti alla comunicazione sono improvvisati e sono privi di un’idonea preparazione.
Pertanto, con la nascita del “Network per l’Inclusione”, s’intende garantire agli assistenti alla comunicazione degli alunni disabili sensoriali ed ai Tiflologi “diritto di cittadinanza”, un’idonea formazione ed una “vera” e concreta spendibilità del loro titolo, potendo finalmente far impegnare le Regioni (a cui compete l’assistenza scolastica e/o domiciliare) ad “obbligare” gli enti e le cooperative che erogano tale servizio ad avvalersi di educatori finalmente ed adeguatamente specializzati sulla disabilità visiva.
Altro tema caldo è quello della modesta preparazione e dell’indifferibile ed ineludibile necessità di una maggiore specializzazione dei docenti di sostegno italiani. Infatti, come detto sopra, nonostante siano trascorsi quasi quarant’anni dalla “sacrosanta” legge 517, tante sono ancora le ambiguità e le precarietà che connotano il sistema del sostegno in Italia.
Mi riferisco ovviamente all’ambiguità e precarietà del “ruolo” del sostegno. L’insegnante di sostegno ha l’obbligo di restare sul sostegno solo per cinque anni, tra l’altro non necessariamente nella stessa scuola, e non fa parte dell’organico di diritto delle istituzioni scolastiche, ma di un organico provinciale. Tale suo “non ruolo” è il fattore determinante che favorisce la provvisorietà ed occasionalità della scelta degli insegnanti di sostegno, che preferiscono “fuggire” presto da questa “ibrida” classe di concorso per passare invece nei ruoli ordinari di docenza. Tutto ciò naturalmente provoca scarsa motivazione, poco interesse all’aggiornamento da parte dei docenti di sostegno e gravissime ripercussioni per la continuità didattica per i nostri ragazzi.
Di ambiguità e precarietà si può parlare anche relativamente alla funzione dell’insegnante di sostegno. Da uomo della scuola, mi è abbastanza chiaro come i docenti di sostegno non abbiano ancora ben compreso se la loro funzione sia quella di insegnare la disciplina agli alunni privi della vista e verificare i loro apprendimenti in aule (tra l’altro troppo spesso isolate dalle altre, con la creazione delle tristemente note “aule del sostegno”) o piuttosto quella di supportare il consiglio di classe e l’intero contesto scolastico a progettare modelli e percorsi inclusivi a favore dei ragazzi disabili visivi.
Infine, l’ultima e più dannosa ambiguità e precarietà che caratterizza il sistema inclusivo italiano è l’inadeguata e scadente preparazione e formazione dei docenti di sostegno. Dagli opinabili, (seppur apprezzabili) Corsi polivalenti, si è infatti passati accorsi contraddistinti dall’eccessiva genericità, dall’essere quindi “generalisti” e poco attenti alle specificità e specialità di ciascuna singola disabilità.
Ora, malgrado tali evidenti e strutturali criticità e carenze del “sistema”, io non credo che togliere il sostegno agli alunni minorati della vista e disabili in generale sia la “panacea” ed il rimedio giusto. Infatti, nonostante tutto, il nostro sistema inclusivo ci viene invidiato un po’ dappertutto e specialmente in Europa, dove ad es. in Germania esistono ancora le scuole “speciali” per ciechi ed in Francia il cosiddetto “sistema misto” non “vince” e convince.
L’attuale sistema scolastico “inclusivo” italiano non va spazzato via od eliminato tout court, rifugiandosi magari nelle facili scorciatoie delle scuole speciali, va invece riordinato e riformato. E di questo, secondo quanto riferitoci dal Dott. Ciambrone nel corso dell’ultima seduta del consiglio d’amministrazione della Federazione Pro Ciechi, si sta discutendo in queste settimane in sede ministeriale a proposito dei vari decreti attuativi della legge de “La Buona Scuola”, anche tenendo conto della famosa proposta di legge 2444 della Fand e della Fish sul sostegno e sull’inclusività.
Tale proposta di legge, che noi della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi condividiamo in toto, lo rammento, prevede le seguenti significative novità sul sostegno:
l’obbligo di un semestre di formazione universitaria iniziale per tutti i futuri docenti curricolari; l’obbligo di una apposita nuova specializzazione dei futuri docenti per il sostegno di durata triennale, successiva ad una laurea triennale come avviene per tutti; l’obbligo dell’aggiornamento in servizio sia dei dirigenti scolastici, sia dei docenti curricolari e per il sostegno, che per i collaboratori scolastici e per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione; l’obbligo di alcune ore mensili di programmazione congiunta di tutti i docenti, come da sempre avviene per i docenti di scuola dell’infanzia e primaria e  sino ad oggi assente per i docenti di scuola secondaria; la costituzione di appositi ruoli per il sostegno, distinti per ordine di scuole, dai quali si può uscire solo per passaggio di cattedra.
Due sono, infatti, i punti qualificanti su cui dobbiamo insistere in queste settimane di “intenso” dibattito al MIUR sulla riforma del sostegno e cioè: una formazione di base sulla disabilità in generale di tutti i docenti disciplinari e la maggiore specializzazione dei docenti di sostegno con la creazione di un’apposita loro classe di concorso e di un loro “specifico” ruolo.
La formazione di base sulle più disparate tematiche della disabilità di tutti gli insegnanti curricolari è infatti fondamentale per evitare il perverso e fin troppo frequente meccanismo scolastico della “delega” dell’alunno disabile e dunque anche minorato della vista al solo docente di sostegno, perché in realtà del processo di inclusione si deve far carico l’intero “contesto”.
A tal proposito, “sfruttando” il comma 124 della Legge 107, che ha finalmente trasformato l’aggiornamento degli insegnanti in “obbligatorio, permanente e strutturale” (e l’imminente avvio del piano di formazione dei docenti sembrerebbe suffragarlo) ed “approfittando della “carta del prof”, le sedi locali dell’I.Ri.Fo.R. dell’UICI, magari integrandosi con la rete dei CTS e CTI provinciali, stanno per attivare diversi corsi formativi per fornire ai docenti curricolari e di sostegno un’adeguata preparazione di base sulla disabilità visiva.
Invece, la maggiore specializzazione dell’insegnante di sostegno e la costituzione di un suo ruolo “ordinario” potrà finalmente dotarlo di quelle competenze pedagogiche, didattiche, tecniche e metodologiche (nel caso della cecità e dell’ipovisione ad esempio, la conoscenza della Tiflodidattica, della Tifloinformatica e del Braille), capaci di “trasformarlo” in un progettista ed attuatore di modelli inclusivi, volti a rendere efficaci gli insegnamenti e gli apprendimenti degli studenti privi della vista in un ambiente veramente “accogliente”.
Per quanto finora argomentato, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti e tutti i suoi Enti collegati ritengono che togliere gli alunni disabili visivi dalla scuola “normale” possa lasciare il tempo che trova.
Un errore imperdonabile della Pedagogia moderna è quello di pensare che, dopo la 517 del 1977, l’inclusione scolastica e l’educazione speciale si elidano reciprocamente, piuttosto che integrarsi tra loro.
La nostra soluzione è invece quella di potenziare l’attuale sistema di inclusione scolastica, definendo una volta per tutte i profili delle figure professionali dell’assistente alla comunicazione e del tiflologo e creando una rete tra tutti i “centri di supporto” al sistema scolastico del sostegno (vedasi la costituzione del NIS) e, soprattutto, un ruolo “specifico” del sostegno nella scuola di tutti e di ciascuno.
Solo così potranno essere fugate le tentazioni di ritorni anacronistici alle scuole speciali, garantendo veramente accoglienza ed inclusione a tutti gli alunni con disabilità visiva.