Goal. Venticinquesimo anniversario delle stragi di Capaci e via d’Amelio, di Gabriele Sacchi

Autore: Gabriele Sacchi

Ai ragazzi che chiedono un lavoro onesto e spazi per una partecipazione vera alla vita sociale; a chi chiede semplicemente di sentirsi dignitosamente parte di un paese fatto di cittadini onesti; alle tante associazioni e movimenti, come “libera” di Don Ciotti e “adesso ammazzateci tutti”, che si oppongono all’omertà e al perpetrare del crimine:
“non vi arrendete! Gli uomini passano, le idee restano e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini” (G. Falcone).
1992-2017: Sono passati esattamente venticinque anni da quei terribili giorni che hanno segnato per sempre le coscienze di ognuno di noi; chi oggi scrive era appena nato all’epoca dei fatti, ma i nomi di Falcone e Borsellino e il loro amore per lo Stato non sono certo a lui sconosciuti.
Vie, piazze, scuole, aeroporti, perfino un asteroide sono oggi dedicati alla memoria di questi eroi; davanti a quella che fu l’abitazione di Giovanni Falcone, a Palermo, sorge “l’albero di Falcone”, sul quale i visitatori lasciano pensieri per i due giudici che hanno combattuto la mafia fino all’estremo sacrificio; dal porto di Civitavecchia e di Napoli, ogni anno, salpano le navi della legalità piene di migliaia di giovani; Insomma, nonostante qualcuno a Capaci e via d’Amelio abbia cercato di far sparire per sempre esempi di vita da seguire, l’opinione pubblica non dimentica, non si piega.
“Chi ha paura muore due volte, chi non ha paura muore una volta sola”, così rispondeva Paolo Borsellino a chi gli chiedeva come riuscisse a compiere il suo dovere di magistrato impegnato a combattere la mafia in Sicilia negli anni in cui essa sferrava un attacco cruento agli “uomini dello Stato”, in particolare dopo il chiaro avvertimento lanciato dai Clan con la “spettacolare” uccisione del suo amico e collega Giovanni Falcone il 23 maggio 1992.
Eliminare la piaga della “piovra mafiosa”, era questo il fine del “pool antimafia” del quale i due Magistrati facevano parte; applicare dunque senza remore il reato di “associazione mafiosa” introdotto per la prima volta con il voto della legge “La Torre-Rognoni” ( a seguito degli omicidi di Pio La Torre, il 30 Aprile 1982, e del Gen Carlo Alberto Dalla Chiesa, il 3 Settembre dello stesso anno).
Indubbiamente la posta in gioco era alta; non solo la “mente” e il “braccio armato” di “Cosa Nostra” venivano minacciati, ma perfino la sua torre di comando: “Cupola”.
10 Febbraio 1986. inizia il maxi processo che porta a più di 360 arresti, ingenti confische di beni illeciti e una miriade di iscrizioni nel registro degli indagati, per associazione a delinquere, di nomi “illustrissimi”.
Nel bel paese soffia vento di bufera:
l’ombra del patto Stato/Mafia si fa largo all’orizzonte.
Un goal da cineteca dunque per i due Magistrati!
Peccato che il premio partita li attenda da un’altra parte.
Gabriele Sacchi.