L’evoluzione della terminologia nel tempo rappresenta l’idea dei passi che facciamo verso una società che risponda alle esigenze di tutti e di ciascuno, al fine di restituire concretezza e completezza alla parola “inclusione”.
L’utilizzo di termini specifici è doveroso proprio per dare l’esatto nome alle cose, evitando di usare etichette verbali che fanno riferimento ad un uso comune e diffuso, ma spesso completamente errato.
Vorrei soffermarmi innanzitutto su quelli usati quando ci si riferisce alla disabilità in generale.
Risulta opportuno non utilizzare i termini diversamente abile, persona/alunno H o associare sempre l’aggettivo “speciale”.
La parola “speciale” non assume sempre una connotazione positiva, in quanto la generalizzazione non le restituisce il giusto valore.
Io parlerei di valorizzazione della specificità che mi sembra più adeguata per rappresentare le individualità.
Tutti i termini presi in esame precedentemente (diversamente abile, persona/alunno H) si focalizzano su una questione di evitamento della realtà, hanno la caratteristica di rappresentare ciò che non rispecchia il senso più profondo dell’identità della persona.
È corretto dire persona disabile o con disabilità; mentre quando ci riferiamo a persone cieche e ipovedenti è preferibile “persona con disabilità visiva”.
Non utilizzare termini obsoleti quali “videoleso” evitando anche “non vedente”, in modo da porre l’attenzione sulla persona, sulle sue potenzialità e non solo sulla disabilità. Importantissimo pronunciare sempre il suo nome: ad esempio “Andrea, persona con disabilità visiva”.
Di riflesso, risulta scorretta anche l’etichetta verbale “normodotato”, da sostituire con “bambino/ragazzo con sviluppo tipico”.
Riflettiamo insieme sull’importanza della parola inclusione che non deve ridursi a buoni propositi ma racchiudere l’attuazione di pratiche realmente condivise ed applicate in modo naturale, con la finalità di rendere il tutto parte integrante della società e non evento straordinario. Ciascuno di noi, infatti, ha caratteristiche ed esigenze specifiche che vanno conosciute e prese in considerazione soprattutto quando si devono improntare interventi educativi/didattici finalizzati all’autonomia e alla massima espressione di sé.
Concludo questa riflessione rimarcando quanto sia doveroso rimodulare il nostro modo di esprimerci e riferirci alla disabilità, in particolare per chi offre il proprio contributo professionale in quest’ambito, evitando l’improvvisazione e dedicando parte del proprio tempo agli opportuni approfondimenti teorici e legislativi al fine di lavorare sempre secondo un progetto propositivo e calibrato verso il raggiungimento del massimo potenziale esprimibile. Procedere per obiettivi concreti, scelti dopo un’attenta fase di osservazione e rilevazione delle esigenze personali.
La chiave di volta sta nel dedicarsi alle persone con disabilità con il cuore e non con superficialità, non soffermarsi sulle difficoltà ma intravedere sempre il potenziale emergente di ciascuno; considerare il soggetto in continua evoluzione ed il cambiamento come via possibile.
Cogliere, infine, le unicità che ci circondano e fare leva sul senso di responsabilità che un prendersi cura operativo richiede.
Anna Lisa Serpi
Insegnante di sostegno specializzata
Esperta in tematiche tiflologiche
Pubblicato l’11/12/2023.